Un accordo sconveniente: eLit
Di Juliana Ross
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Info su questo ebook
IMPROPER SERIES - Vol. 2. Francia, 1866 - Dopo che una folle passione giovanile le ha quasi rovinato la vita, Lady Alice Cathcart-Ross si è ripromessa di essere prudente e di non cedere più alla tentazione. Ma nel momento in cui vede Elijah Philemon Keating scalare una parete di roccia senza corda di sicurezza sente risvegliarsi in sé un desiderio incontenibile e decide che lui, famoso esploratore dal fascino oscuro e conturbante, sarà la sua guida per il periodo di villeggiatura che ha intenzione di trascorrere esplorando le Alpi francesi. Pur essendo molto attratto da lei, Elijah è determinato a non lasciarsi coinvolgere in una relazione: tutto quello che le promette è una settimana di passione e Alice, donna libera e indipendente, accetta di buon grado. Ma via via che le cime da scalare diventano più impegnative e la passione incendia le loro notti, mantenere i buoni propositi si rivela per entrambi sempre più difficile.
I romanzi della serie:
1) Una relazione sconveniente
2) Un accordo sconveniente
3) Una proposta sconveniente
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Anteprima del libro
Un accordo sconveniente - Juliana Ross
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Improper Arrangements
Carina Press
© 2013 Juliana Ross
Traduzione di Sandra Benincà
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-312-0
www.harlequinmondadori.it
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1
Argentière, Francia
Agosto, 1866
Non riuscivo a distogliere gli occhi.
Ci eravamo fermati sul ciglio della strada a causa di un problema a una delle ruote della carrozza. Credo si fosse spostato un asse, o una cosa simile. Non mi era dispiaciuto fare una pausa, dopotutto mi sembrava di essere in viaggio da un secolo, tanto mi ero sentita sballottata su e giù per quelle strette stradine di montagna piene di buche.
Quando avevo posato lo sguardo per la prima volta sulle Alpi? Doveva essere stato mercoledì o giovedì scorso. E ne ero rimasta colpita, tanto da riempire il blocco, foglio dopo foglio, di schizzi abbozzati in fretta a matita con quanto ero riuscita a catturare dai finestrini della carrozza. Erano per lo più promemoria che avrei utilizzato in seguito per realizzare dipinti a china o acquerello.
Da allora erano trascorsi solo pochi giorni e i miei occhi si erano presto abituati alle meraviglie che mi circondavano. Mi ero quasi appisolata quando fui svegliata dalle grida del cocchiere. Capivo abbastanza il francese e riuscii a intuire quello che stava dicendo. Gridava a proposito di un pazzo e ribadiva che solo un incosciente avrebbe osato sfidare la morte in quel modo e che se Dio non aveva dato le ali agli uomini ci doveva essere pure un motivo. Dato che non aveva detto una sola parola in tutto il giorno, quello sfogo attirò la mia attenzione.
«Che succede?» urlai.
«Laggiù, guardate. Su quella parete di roccia, a destra.»
«Cosa dovrei vedere?» Era la solita parete di granito che avevo ammirato innumerevoli volte negli ultimi giorni, priva di vegetazione, fatta eccezione per qualche conifera striminzita e macchie di muschio.
«In alto, madame.»
Mi sporsi dal finestrino per vedere meglio e fu allora che lo notai.
Sopra di noi, sospeso a un centinaio di piedi da terra, un uomo scalava una parete di roccia. Il fatto in sé non era insolito. Mi era stato riferito che molti giovani del posto si mettevano alla prova con quel genere di imprese, ma quell’uomo era solo e senza corda o altre attrezzature di sicurezza. O almeno così mi pareva da quella distanza.
Frugai nella sacca di pelle che era caduta sul fondo della carrozza e tirai fuori il binocolo. Sì, avevo visto bene. Era solo e senza corde. Notai sorpresa che indossava pochi indumenti.
Misi a fuoco le lenti per essere sicura di non essermi sbagliata, ma non era così. Indossava soltanto un paio di brache, o forse dei calzoni tagliati all’altezza del ginocchio. Non portava la camicia e aveva i piedi scalzi.
«Celui-là, il est fou» esclamò il cocchiere. «Solo un pazzo tenterebbe un’impresa simile.»
In effetti, arrampicarsi a certe altezze in totale assenza di sicurezza era di una follia inaudita. Tuttavia, mentre lo osservavo scalare la roccia, l’orrore iniziale lasciò il posto all’ammirazione. Si muoveva con grazia, scegliendo con attenzione le proprie mosse mentre si arrampicava verso l’ignoto e cercava un appiglio a cui aggrapparsi per issarsi più in alto, per poi ricominciare da capo l’intera sequenza di gesti. Si muoveva agile e fluido e sembrava nuotasse.
Quando raggiunse la cima, si mise in piedi e scomparve nel bosco davanti a lui. Dopo aver aspettato invano che ricomparisse, rivolsi delusa l’attenzione al cocchiere e ai tentativi di riparare il mezzo.
«Brutte notizie, madame. Si è rotta una ruota. Non ci resta che aspettare un’altra carrozza, oppure, se preferite, incamminarci verso il paese.»
Il paese di cui parlava era Argentière, diverse miglia a nord di Chamonix. Da lì avrei iniziato il cammino lungo la famosa Alta Via fino a Zermatt. Sempre che io e i miei bagagli giungessimo a destinazione.
«Quanto dista?» chiesi.
«Uno o due chilometri al massimo.»
«Allora verrò con voi. Come facciamo con il baule e le borse?»
«Il baule è assicurato al retro della carrozza, quanto al resto dei bagages, li metterò al sicuro nella cassetta sotto il mio sedile.»
Dopo avere stipato le borse più piccole, staccò i cavalli dalla carrozza e li legò a un albero poco lontano. Versò loro un secchio d’acqua fresca da una botte agganciata sotto il mezzo, prese della biada e li lasciò mangiare.
«Allons-y, madame.»
Presi con me solo la borsa di pelle, due valigette con l’attrezzatura per dipingere e gli oggetti di valore che il cocchiere si offrì di portare.
Ci incamminammo lungo una strada semplice da percorrere e senza molti dislivelli. Era una via poco trafficata quella tra Chamonix e Argentière, per lo meno a quell’ora, dato che non incontrammo altre carrozze o carri. Incominciammo a parlare, e il cocchiere mi disse che si chiamava Monsieur Durand e che era cresciuto ad Argentière. Aveva intenzione di trovare qualcuno che riparasse la carrozza e, nel frattempo, avrebbe trascorso la notte presso la sorella.
Ci eravamo appena messi in cammino quando sentimmo un rumore di passi alle nostre spalle. Mi girai e notai che si trattava di un uomo e, mano a mano che si avvicinava, mi resi conto che sì, era lo stesso che avevamo osservato scalare la parete poco prima.
Solo che ora indossava una camicia, aperta sul collo e un paio di bretelle che gli tenevano su le brache. Ma non portava cravatta, panciotto e giacca, e aveva le gambe nude. Ai piedi calzava degli stivali bassi, piuttosto consumati e logori. Viaggiava senza bagagli, ad eccezione di una borraccia vuota.
Doveva essere un uomo attraente, nonostante la barba lunga e scura che aveva un urgente bisogno di una spuntatina e i capelli troppo lunghi rispetto alla moda del tempo, con ciocche ribelli che gli arrivavano fin quasi alle spalle. Possibile che ad Argentière non ci fosse nemmeno un barbiere?
Ero decisa a non rivolgergli la parola. Mi sarei limitata a sorridere appena, niente di più. Ma poi si avvicinò e, quando fu a un passo di distanza, non riuscii a evitare di guardarlo negli occhi.
Il colore dell’iride risplendeva di un pallido grigio, una sfumatura tanto chiara da sembrare argento, ed era circondato da un sottile cerchio blu della stessa tonalità dell’inchiostro di china. In vita mia non mi era mai capitato di vedere degli occhi di un colore tanto insolito. Mi scrutò in modo intenso come se anche il mio aspetto avesse qualcosa di peculiare quanto quello sguardo strano e freddo.
«Buongiorno» lo salutai.
«Buongiorno.» Fui sorpresa dall’accento con cui mi rispose. Era inglese.
«Eravate voi, prima, arrampicato sulla parete di roccia?»
«In persona.»
«Avevo paura che poteste cadere da un momento all’altro.»
«Non cado quasi mai» rispose serio, ma non avrei saputo dire se mi stava prendendo in giro.
«Avete rischiato di morire!»
«Come vedete non è ancora successo.»
Quando gli porsi la mano seguì un momento piuttosto imbarazzante. Sulle prime sembrava incerto sul da farsi e si limitò a fissare immobile il guanto bianco. Tuttavia, dopo essersi pulito i palmi sui calzoni, mi diede una vigorosa stretta di mano.
«State andando ad Argentière? Vi andrebbe di tenerci compagnia?»
Non disse nulla e si limitò a fare un cenno del capo, quindi proseguimmo il viaggio verso nord. La strada divenne più larga, le pareti di roccia lasciarono il posto a pendii erbosi e a colline di conifere. Oltrepassammo un paio di fattorie. Camminavamo in silenzio. Dopo qualche minuto, mi resi conto che riuscivo a sentire il canto degli uccellini, la rilassante presenza delle acque di un torrente vicino e perfino il mormorio del vento che si insinuava tra gli alberi.
Faceva caldo sotto il sole della tarda mattinata, e dopo qualche centinaio di metri mi fermai per togliermi i guanti e aprire il primo bottone della giacca. Ero stata una sciocca a dimenticare il parasole nel baule della carrozza, e il leggerissimo cappellino alla moda che portavo mi riparava a malapena dai raggi del sole. Mi sarei ritrovata ben presto il viso coperto di lentiggini: niente che non si potesse rimediare con del succo di limone. Ne approfittai per osservare l’uomo che mi precedeva di pochi passi.
Lo guardai con attenzione e ammirai il guizzo dei muscoli che si intravedevano dal tessuto consunto della camicia, meravigliandomi del modo aggraziato e inconsapevole con cui si muoveva. Mi chiesi che tipo di amante sarebbe stato.
Erano passati più di otto anni dalla fine della breve e disastrosa relazione con il mio primo e unico amante. Relazione che si era rivelata peraltro insoddisfacente. In seguito alla delusione e allo scandalo, che era stato evitato per un pelo, avevo lasciato che i miei genitori mi promettessero in sposa a un uomo che conoscevo appena. Il fidanzamento era poi stato cancellato in modo pubblico e a dir poco umiliante.
Jean-Philippe non si era preoccupato molto del mio onore: mi aveva preso e gettato via come un fazzoletto usato. Con Lord Alfred mi era andata un po’ meglio, ma mi aveva esposto allo scherno e al disonore quando mi aveva messo da parte per un’altra.
All’epoca, mi ero ripromessa che non sarei mai più caduta in tentazione. Non mi sarei lasciata incantare dalle parole dolci di un uomo, né tantomeno dal suo aspetto. Dopotutto, che bisogno avevo di un uomo al mio fianco? Avevo abbastanza denaro, una famiglia che mi voleva bene e tollerava la mia eccentricità ed ero perfettamente in grado di soddisfare i desideri della carne senza dover sopportare le attenzioni sudate e goffe di un amante inesperto.
Mai più, mi