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Il signore di Calverley Hall
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E-book254 pagine5 ore

Il signore di Calverley Hall

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816.
Dopo aver fatto fortuna a Londra ed essere tornato nel suo paese natale da uomo ricco, Connor Hamilton si prende la soddisfazione di acquistare la prestigiosa dimora di Calverley Hall, in passato appartenuta a Sir George Blake. Anni prima lui e Isobel, la figlia di Blake, erano stati molto legati, ma adesso i suoi sentimenti per lei sono solo un ricordo. Ora Isobel è una donna dalla reputazione compromessa che ha bisogno di lavorare per vivere, tanto che lui le offre il posto di maestra nella scuola per i figli dei lavoratori stagionali. Fin da subito, però, le emozioni fra loro si risvegliano, ma le riserve che Connor nutre su di lei gli impediscono di fare il primo passo. Finché una nuova, sconvolgente verità fa crollare ogni più piccola certezza.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2018
ISBN9788858989333
Il signore di Calverley Hall

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    Il signore di Calverley Hall - Lucy Ashford

    successivo.

    1

    Gloucestershire, giugno 1816

    Sette anni prima Connor Hamilton si era ripromesso di girare per sempre le spalle alla campagna inglese. Tuttavia, quel giorno, sentendo il caldo sole estivo sulla faccia e respirando l'odore del fieno falciato da poco, si rese conto di non aver mai davvero dimenticato quanto potesse essere bella.

    Con Elvie al fianco e Tom, l'anziano stalliere, appollaiato sul retro, teneva i suoi bai al trotto veloce lungo la strada verso Chipping Calverley. Mentre si avvicinavano a destinazione, li mise al passo e lanciò una rapida occhiata a Elvie. L'enorme cappello che la nonna aveva insistito per farle indossare gli impediva di vedere granché del suo volto.

    «Prometto che la riporterò indietro tutta intera, Laura» aveva assicurato scherzando.

    «So che sto esagerando» aveva convenuto la donna con una risata, poi aveva aggiunto, più piano: «Tu sai quanto mia nipote significhi, per me».

    Un dolore inespresso aveva colorito le sue parole, e Connor aveva replicato: «Certo. Significa moltissimo anche per me».

    Povera piccola, silenziosa Elvie, che stava osservando ciò che la circondava con tranquillo piacere. A un tratto la bambina gli tirò la manica della giacca e sussurrò: «Guarda, Connor, c'è una fiera!». Stava indicando delle tende colorate montate su uno spazio erboso, già affollato di persone e banchetti.

    «Una fiera?» ripeté lui. «Sono certo di no.»

    «Ma c'è, Connor. C'è.»

    Lui finse di scrutare in lontananza, facendosi ombra agli occhi. «Lo sai?» ribatté poi. «Penso che tu abbia proprio ragione.»

    Elvie non aggiunse altro, ma guardò affascinata la scena movimentata a cui si stavano avvicinando. I cavalli dovettero fermarsi nella fitta coda di carrozze, calessi e carri, tutti diretti alla fiera. Connor si rivolse a Tom. «Va bene se ti lascio alla guida del phaeton, mentre io vado avanti con Elvie?»

    «Tutto a posto, signore» rispose l'anziano stalliere, balzando a terra con notevole prontezza per un uomo della sua età. «Voi due andate a divertirvi.»

    Nessuno avrebbe potuto essere più felice del vecchio Tom, quando in aprile Connor era arrivato a Calverley Hall e gli aveva annunciato che avrebbe comprato la tenuta. Il precedente proprietario era morto cinque anni prima, lasciando un mare di debiti. La banca che aveva preso possesso della tenuta l'aveva messa in vendita. Nessun compratore si era fatto avanti, solo una successione di affittuari che non avevano fatto niente per sollevarla dal suo generale declino. E adesso Connor era il nuovo padrone di Calverley.

    Tom era uno dei pochi domestici rimasti, del vecchio personale. «Bene» aveva detto quando aveva appreso la notizia. «Stavo pensando di andare in pensione, ma visto che siete tornato... Se avete bisogno di qualcuno per gestire le scuderie, Mr. Hamilton, ci sono!» Aveva gonfiato il petto. «Sarà un onore lavorare per voi, signore.»

    E se pure ricordava che Mr. Hamilton un tempo era stato solo il figlio del fabbro locale, non ne aveva fatto cenno.

    Connor gli tese le redini, poi andò ad aiutare la piccola Elvie a scendere. «C'è un po' da camminare» l'avvertì, «ma non ti importa, vero?»

    «Oh, no.» Lei gli strinse forte la mano.

    «Brava ragazza» approvò lui, notando come i suoi occhi fossero spalancati per la meraviglia mentre la guidava attraverso la folla animata.

    Così le persone venivano ancora da miglia di distanza alla fiera d'estate di Chipping Calverley, pensò. «È il più grazioso villaggio del Gloucestershire» dicevano di solito. «Con la migliore fiera di tutta la contea!»

    Ogni suono, visione e odore, riportava alla sua mente dei ricordi. L'aroma appetitoso dal banchetto del pane fresco. La musica dei Morris Men, con i loro violini e campanelle. Le risa della gente che guardava lo spettacolo di burattini di Punch e Judy. A Londra non si vedevano molti sorrisi sui volti degli uomini d'affari, a meno che non avessero ottenuto un grande profitto da qualche impresa finanziaria. E anche in quel caso sorridevano solo a metà, perché con la mente erano occupati a contare i loro soldi.

    Connor calcolò che gli animali nei recinti del bestiame dovessero valere parecchio. Guidò Elvie verso le zone in cui gli allevatori esibivano orgogliosi le loro bestie e la folla premeva per dare un'occhiata più da vicino.

    «Guarda, Elvie. Vedi i vitelli?» Sollevò la bambina in alto perché potesse vedere meglio le mucche con i loro piccoli e, fermamente incatenato a un robusto palo, il muscoloso toro nero che guardava minaccioso la folla sbalordita. Elvie ansimò per la gioia, poi si spostarono, perché un po' distante dal recinto Connor aveva individuato alcune zingare che, con i loro abiti colorati, offrivano giri sui pony.

    Notò che la bambina li osservava. «Vuoi fare un giro?» le chiese gentilmente.

    Lei esitò e scosse il capo. Gli parve di cogliere una punta di incertezza nel suo sguardo.

    «Forse un'altra volta» suggerì allora. «Sì?»

    Lei annuì.

    Potrei prenderle un pony tutto per sé, pensò. Uno piccolo e gentile. Le darebbe qualcosa di cui avere cura. Forse l'aiuterebbe a superare la morte di suo padre.

    Anche a lui mancava Miles Delafield, che non era stato solo un socio in affari, ma anche il suo migliore amico.

    Si guardò attorno e notò che in lontananza, oltre il campo della fiera e su per la valle, si vedeva Calverley Hall, all'estremità del fiume. Dal punto in cui si trovava si godeva di una vista mozzafiato dei suoi acri di giardini e dei tetti a timpano, mentre le finestre dai vetri a losanghe brillavano al sole di giugno.

    E ora... apparteneva tutto a lui. Quanti commenti dovevano essersi scambiati, gli abitanti del luogo, quando avevano saputo che aveva comprato la tenuta! Quante speculazioni sulla fortuna che doveva aver fatto!

    Se Connor aveva sperato che la sua presenza alla fiera passasse inosservata, si era sbagliato. Proprietari terrieri e uomini d'affari che ai vecchi tempi non l'avrebbero degnato di uno sguardo lo salutavano calorosamente, esclamando: «Dobbiamo incontrarci presto, Hamilton! È bello rivedervi, e speriamo che riporterete la Hall alla vecchia gloria. Verrete a cena da me, presto?».

    E poi c'era il vicario, il reverendo Malpass. L'uomo gestiva una piccola scuola per i bambini dei poveri meritevoli, che Connor aveva frequentato per breve tempo prima di esserne scacciato per aver nascosto una rana nella sua scrivania.

    Malpass lo ricordava? Di sicuro sì, comunque fu penosamente espansivo, nel suo tentativo di dargli il benvenuto. «Mr. Hamilton, ho saputo che vi siete stabilito a Calverley Hall. Che splendida notizia! Vi ricordo bene... e sono sicuro che siate proprio ciò di cui il posto ha bisogno!»

    Connor lo guardò, le sopracciglia scure leggermente sollevate. «Anch'io mi ricordo di voi, reverendo Malpass. E vedo che non siete cambiato affatto.»

    Il vicario esitò, prima di rivolgere un sorriso radioso a Elvie. «E questa signorina è una vostra parente? Affascinante. Come state, signorina?»

    «I... io... molto bene, signore.»

    Allora balbettava ancora. Connor sentì Elvie rannicchiarsi contro il suo fianco e le strinse la mano. «Non è una mia parente» affermò. «Miss Elvira Delafield è la figlia del mio defunto socio in affari.»

    «Ah, sì. Miles Delafield. È morto di recente per un attacco di cuore, vero? E ho sentito che anche la madre della povera bambina è morta... Molto, molto sfortunata!»

    Elvie si premette di più contro di lui. Connor aveva sempre pensato che il vicario fosse un goffo idiota. «Infatti» replicò, asciutto. «Adesso, se volete scusarci...»

    Non appena sgusciò oltre il vicario, però, si ritrovò ad affrontare un nuovo pericolo: donne. Oh, le donne! Non solo le giovani, che lo guardavano da sotto le falde dei loro cappellini di paglia, si stavano dirigendo verso di lui da tutti i lati, ma anche le madri.

    «Mio caro Mr. Hamilton!» l'apostrofò una, più audace delle altre. «Siamo davvero deliziate che siate tornato nel Gloucestershire. Speriamo di avere presto il privilegio della vostra compagnia...»

    E procedevano a recitare una lista di feste per raccogliere fondi e di impegni parrocchiali dall'aria molto meritoria. Lui però sapeva a cosa stavano pensando, in realtà, quelle gatte. Che Mr. Connor Hamilton, a venticinque anni, era un uomo favolosamente ricco. L'umile figlio del fabbro aveva risalito la scala sociale fino a diventare un magnate nella produzione dell'acciaio; e adesso che il suo socio era convenientemente defunto, tutto era finito nelle sue mani. Inoltre era il nuovo proprietario della più imponente casa del distretto, anche se piuttosto trascurata. E, ciliegina sulla torta, era scapolo!

    Connor sopportò la parata che le madri fecero delle loro figlie, ma fu felice quando Elvie lo distrasse tirandolo per la mano. «Connor» sussurrò. «Connor, guarda.»

    C'era dell'agitazione nei pressi dell'affollata tenda della birra. Un gruppo di bambini stava correndo attorno, e gli parve di sentire un cagnolino abbaiare. Delle voci di adulti si sollevavano, irate e minacciose.

    Con la mano di Elvie stretta nella sua, Connor si avvicinò. I bambini apparivano malnutriti e trasandati. Immaginò che provenissero dai carrozzoni dei lavoratori stagionali che ogni estate si accampavano a Plass Valley, a mezzo miglio di distanza. Mentre i loro genitori erano occupati nel raccolto del fieno, i bambini davano la caccia a un cucciolo, che correva trascinando dietro di sé un guinzaglio di corda. Si tuffarono per catturarlo, lo mancarono e tentarono di nuovo, strillando e ridendo mentre il cucciolo sfuggiva, eccitato.

    Connor ricordò che alle persone del posto non piaceva la gente di Plass Valley, nonostante il lavoro vitale che svolgeva nelle fattorie in estate. L'aspetto dei bambini non era di aiuto perché, a giudicare dalle macchie di fango sui loro abiti e sulla pelle nuda, dovevano aver appena fatto un tuffo nel vicino stagno delle anatre. E lo stesso doveva aver fatto il cucciolo. Dal suo mantello schizzavano stille d'acqua che facevano strillare le signore vicine, mentre gli uomini borbottavano minacciosi.

    Un tipo massiccio afferrò un ragazzino per l'orecchio. «Piccola canaglia, tu e quelli come te dovreste essere sbattuti fuori da qui! E io...»

    Si interruppe quando Connor si fece avanti, osservando: «Il bambino è piuttosto piccolo per subire le vostre minacce, non vi pare?».

    «Gliele suonerò, dannazione!» abbaiò l'altro. «Non sono altro che sudici pidocchi di Plass Valley!»

    «Perché non le suonate a me, invece?» lo sfidò Connor. Era alto, e i suoi abiti di sartoria non riuscivano a nascondere che fosse anche molto muscoloso. L'uomo esitò, borbottò qualcosa sottovoce e svanì tra la folla degli astanti.

    A quel punto Connor udì una voce femminile che affermava con tranquilla fermezza: «Bambini, non dovreste far eccitare il cucciolo così tanto. Lui è convinto che sia un gioco, non capisce che state tentando di prenderlo».

    Ora riusciva a vederla. Alta e snella, sui vent'anni, indossava un cappello di cotone fuori moda e un vestito fiorato generosamente chiazzato di fango, dato che aveva sollevato il cucciolo eccitato e lo stava trattenendo fermamente tra le braccia.

    Uno dei bambini rispose: «Non volevamo combinare guai, signorina! È venuto a nuotare nello stagno delle anatre ed è rimasto impigliato nelle erbacce. Così l'abbiamo tirato fuori, ma poi è scappato via».

    «Ma adesso è qui, per fortuna» ribatté lei. Il cucciolo stava tentando di leccarle la faccia con la lingua rosea. «Forse fareste meglio a portarlo a casa e a pulirvi.»

    I bambini si guardarono. «Non è nostro, signorina.»

    «Non...?»

    «È randagio» spiegò il ragazzino. «L'abbiamo trovato questa mattina tra i campi. Era davvero affamato, così gli abbiamo dato da mangiare e abbiamo chiesto in giro. Nessuno lo vuole. E non possiamo portarlo al nostro campo, perché ci sono già abbastanza cani.»

    «Bene» mormorò lei. «Bene.»

    Connor sentì i ricordi riemergere e sistemarsi al loro posto, uno dopo l'altro. La giovane donna indossava abiti di campagna chiaramente fatti in casa e fuori moda da anni. Tuttavia si muoveva con grazia e parlava con insolita chiarezza. E altri ricordi andarono ad aggiungersi ai primi. Troppi.

    Poi giunse qualcun altro... Il dannato vicario, Malpass. «È meglio che ne restiate fuori, giovane signora» l'ammonì seccamente, fissando quasi con ripugnanza il cucciolo infangato tra le sue braccia. «E quanto a voi» dichiarò rivolgendosi ai bambini, «come osate correre come selvaggi, disturbando la pace e non facendo nulla di buono? Andatevene via!»

    Connor stava per intervenire, ma c'era già chi li difendeva. «Ho parlato con i bambini, vicario» pronunciò la giovane, in apparenza ancora calma. «Il cucciolo era in difficoltà nello stagno, e loro stavano tentando di aiutarlo. È davvero un'azione così cattiva?»

    A quanto pareva, il vicario pensava di sì. «Conoscete la loro razza. Non sono meglio dei genitori, vivono come vagabondi pensando di essere al di sopra della legge. E non vengono mai in chiesa!»

    «Forse perché sanno che sarebbero accolti male» ritorse lei.

    Il suo intervento aveva dato ai bambini la possibilità di fuggire. Connor si fece avanti, la mano di Elvie ancora nella sua, e si rivolse al vicario: «Sembra che non sia successo alcun danno, reverendo Malpass. E io penso che dovremmo ricordarci tutti che i genitori di quei bambini sono vitali per il raccolto estivo. Non è così?».

    L'altro strinse le labbra. «Certo, Mr. Hamilton, ma dobbiamo comunque mantenere un livello di moralità, nel distretto.» Quindi, con un cenno secco del capo, si allontanò.

    Se Connor fosse stato saggio, se ne sarebbe andato anche lui, ma non lo fece. Tutti gli altri si erano ritirati, di nuovo nella tenda della birra o presso i banchetti del cibo, o i recinti del bestiame, ma la donna non si era mossa. Stava ancora calmando il cucciolo, che si era sistemato, grato, tra le sue braccia.

    Connor notò che, nonostante fosse snella, possedeva la sua parte di curve femminili. Sollevò lo sguardo al suo volto e notò che gli occhi erano intensi come sempre: fra il verde e l'oro e frangiati da fitte ciglia scure.

    Lei sostenne il suo sguardo con fermezza, poi pronunciò: «Così siete tornato».

    Il cagnolino piagnucolò tra le sue braccia, come se a un tratto fosse a disagio. E anche Connor lo era, incerto di come gestire la situazione. Annuì. «Infatti, Miss Blake» confermò. «Sono tornato, e voi siete ancora...» Esitò un istante, prima di aggiungere: «... al centro degli avvenimenti».

    Gli parve di notare un leggero rossore salirle alle guance, ma lei sollevò il mento e ribatté: «Al centro degli avvenimenti? Se è il modo in cui scegliete di vederla, allora sì. È una mia abitudine, forse sfortunata, ma che sembra non riesca a evitare». Lo fissò con calma, benché a lui sembrasse di vedere una vena pulsare sulla sua gola. «E ovviamente ho sentito che avete comprato Calverley Hall. Be', è quello che definirei un ritorno impressionante. Permettete che vi faccia le mie congratulazioni.»

    Connor sentì il respiro bloccarsi in gola. Solo per un istante tornò indietro di sette anni, a quando era il figlio del fabbro, e Isobel Blake, allora sedicenne, era l'erede di Calverley Hall e di tutta la sua presunta ricchezza. «Non mi sarei disturbato a comprare la casa solo per far impressione, Miss Blake» ribatté.

    Il cucciolo si dimenò un po'. Lei lo strinse, mormorando qualche parola per calmarlo, poi volse di nuovo gli occhi verdi su Connor. «Davvero? Oh, ma io l'avrei fatto. Se fossi stata in voi.» Poi sprofondò in un inchino quasi beffardo e aggiunse: «Con il vostro permesso, Mr. Hamilton. Ho degli acquisti da fare».

    «Terrete il cucciolo?» Connor si fece avanti impulsivamente. «Come farete a occuparvi di lui?»

    Quasi senza rendersene conto le aveva messo una mano sul braccio. L'abito fiorato che lei indossava aveva le maniche corte, e alla tiepida morbidezza della pelle color del miele Connor provò un brivido.

    Isobel guardò la mano e poi lui, e Connor si accorse che nei suoi occhi lampeggiava un'emozione. Rabbia? Rimosse in fretta la mano e attese la sua risposta.

    «Forse pensate» replicò lei in tono piatto, «che lo lascerei morire di fame?»

    «No, ma ho sentito dire che avete avuto tempi difficili.»

    «Non sono indigente. Lavoro per vivere.»

    «Ho sentito anche questo.» Connor la vide trattenere il respiro. Lei sapeva esattamente cosa stava pensando.

    «Mr. Hamilton» pronunciò poi in tono educato, «sono davvero delusa. Una volta mi avvertiste di non prestare mai attenzione alle chiacchiere dei pettegoli...» Si interruppe. Il cucciolo si era liberato dalle sue braccia e stava correndo via, trascinando il guinzaglio di corda.

    «Oh!» gridò Elvie. «Prendetelo, è scappato!»

    Connor si rese conto di essersi dimenticato della bambina, perché il passato era tornato a travolgerlo. Isobel Blake era tornata di nuovo nella sua vita. Non per molto ancora, se riusciva a evitarlo, promise a se stesso.

    Elvie era già corsa dietro al cucciolo, come Isobel. Connor le superò con le sue lunghe falcate, sollevò la creatura e la porse alla giovane donna, che fu costretta ad avvicinarsi. Si ritrovò a inalare il suo profumo. Lavanda, ricordò. Lei aveva sempre amato la lavanda.

    «Grazie» mormorò Isobel. Era sul punto di girarsi e andarsene senza un'altra parola, quando si accorse di Elvie, che fissava con desiderio la piccola creatura. «È adorabile, vero?» Il tono di voce era molto diverso da quello che aveva usato con lui. «Vorresti accarezzarlo? Ecco. Vedi, gli piaci. Si fida di te.»

    Elvie annuì. «Credo sia la cosa più dolce che abbia mai visto.» Si girò verso di lui. «Pensi che potremmo...?» La sua voce svanì.

    «Elvie, non l'ho dimenticato» le assicurò Connor. «Ho detto che avresti potuto avere un animale di cui occuparti, quando saremmo venuti in campagna. Avevo pensato a un pony. Ne abbiamo parlato, vero?»

    «Non posso avere un cucciolo, invece?» lo pregò la bambina. «Uno come questo, tutto bianco e piccolo? Per favore? Prometto che mi occuperò di lui! Gli darò da mangiare, lo spazzolerò e lo porterò a passeggio ogni giorno.»

    Per un momento Connor ammutolì. Dalla morte del padre, Elvie aveva pronunciato di rado più di poche parole per volta, anche con sua nonna. E inoltre c'era quel balbettio. I dottori di Londra avevano dichiarato che era la conseguenza del trauma e del dolore.

    «Datele del tempo» gli avevano suggerito. «E forse un cambiamento di scenario. Anche così, possono volerci mesi prima che si riprenda.»

    E ora era lì a chiacchierare tranquillamente con Isobel Blake!

    «Pensate che se avessi un cucciolo come questo lui vorrebbe andare a passeggio molto lontano?» le stava chiedendo ansiosamente. «Pensate che gli pesi avere un guinzaglio? E mangerebbe lo stesso cibo che mangiano quei grandi cani di Connor?»

    «Santo cielo!» esclamò Isobel, divertita. «Quanti cani possiede, Connor?» domandò alla bambina.

    «Oh, almeno sei» rispose la piccola. «Gli piacciono molto i cani grandi, capite. Però io ne vorrei uno piccolo, come questo...» La sua voce era colma di desiderio.

    Connor intervenne, con molta cautela. «Elvie, il cucciolo è affidato a questa signora. Il suo nome è Miss Blake.»

    «Mi dispiace di avervi infastidito, Miss Blake» mormorò la bambina, desolata.

    «Non l'hai fatto» la tranquillizzò Isobel. «Puoi avere il cucciolo, se vuoi. Penso che sarebbe molto felice alla Hall. Ma soltanto» aggiunse lanciando un rapido sguardo a Connor, «se Mr. Hamilton consente.»

    Elvie si girò verso di lui in un'agonia di attesa.

    «Impetuosa come sempre, Miss

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