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La verità del milionario: Harmony Jolly
La verità del milionario: Harmony Jolly
La verità del milionario: Harmony Jolly
E-book174 pagine2 ore

La verità del milionario: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Spesso si dice che il sole dia alla testa. Allora ben venga, se ciò significa innamorarsi sino a perdere la ragione!

Natasha Sinclair, detta Tash, mai avrebbe immaginato che sua mamma nascondesse così tanti segreti, il più scioccante è quello di aver avuto un unico vero amore, Nathaniel Moore, facoltoso uomo d'affari. Ora Tash vuole sapere tutto e il signor Moore è l'unica persona che la può aiutare. La cosa sembra semplice ma tra l'anziano e Natasha si intromette Aiden Moore, l'affascinante e pericoloso figlio. Lui è convinto che Tash voglia approfittare del padre e della sua posizione. La cara signorina, però, non ha fatto bene i conti e Aiden non mancherà di dirglielo di persona.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2019
ISBN9788858993576
La verità del milionario: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    La verità del milionario - Nikki Logan

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    My Boyfriend and Other Enemies

    Harlequin Mills & Boon Modern Heat

    © 2013 Nikki Logan

    Traduzione di Alessia Di Giovanni

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-357-6

    1

    Tash Sinclair guardò l’affascinante uomo dai capelli sale e pepe dall’altra parte del dehors del ristorante caffetteria. Chiacchierava con l’uomo più giovane seduto davanti a lui. Il blu elettrico dell’oceano che si estendeva oltre il porto di Fremantle faceva loro da sfondo.

    Lei avrebbe dovuto avere occhi solo per l’anziano, dopotutto era andata lì apposta per osservare Nathaniel Moore, cosa che stava facendo, in effetti, scrutandolo attraverso il locale come una stalker esperta. Solo che lo sguardo continuava a caderle sul ragazzo dall’aspetto modesto davanti a lui.

    Non aveva un viso cesellato come il vecchio amico della madre e sembrava più sui trent’anni, come Tash, che sui cinquanta come Nathaniel. Ciononostante c’era qualcosa di irresistibile in lui. Qualcosa che attirava inesorabilmente la sua attenzione...

    Si sforzò di riportarla sull’anziano, lì, dove doveva essere.

    Sembrava così tranquillo, persino spensierato e, per un attimo, Tash ebbe un tentennamento.

    Voleva davvero fare esplodere una bomba in tutta quella serenità.

    Era la cosa giusta da fare?

    Sembrava giusta, sì. Inoltre lo aveva promesso a sua madre... più o meno.

    Il ragazzo sollevò un braccio per dire al cameriere di portare loro altri due caffè e la sua camicia verde si tese sulle sue spalle muscolose.

    Tash sentì una certa attrazione. La respinse e si sforzò di concentrarsi su Nathaniel Moore.

    Non era difficile capire cosa avesse attratto la madre, trent’anni prima. Quell’uomo aveva un che di Marlon Brando e, nel caso lei non l’avesse notato, aveva decine di diari della madre a testimoniarlo, insieme a decenni di ricordi e riflessioni fissate con l’inchiostro a documentare il rapporto tra loro.

    Adele Porter - la madre aveva smesso di usare il cognome Sinclair subito dopo essersi separata da Eric - non aveva potuto esprimere liberamente i suoi sentimenti, ma non aveva avuto alcuna difficoltà a confessarli al suo diario.

    Tash studiò di nuovo Nathaniel.

    La madre aveva amato quell’uomo fino alla morte e lui, da quanto Tash poteva capire dai diari di cui aveva appreso l’esistenza solo da qualche settimana e dalle impressioni dei suoi parenti, ricambiava quell’amore con la medesima intensità.

    Eppure erano rimasti separati per la maggior parte della loro vita...

    Tash non avrebbe mai pensato di seguirlo e di guardarlo da vicino, se lui non avesse lasciato un messaggio sulla segreteria della madre. Un messaggio di auguri per il suo cinquantesimo compleanno.

    Un messaggio che Adele non avrebbe mai ricevuto, ma che era stato comunque registrato, solo perché Tash si era rifiutata di disdire la sua linea telefonica per avere ancora la possibilità di comporre il suo numero e sentire la sua voce alla segreteria. Per avere la possibilità di chiamare la madre quando voleva, quando ne aveva bisogno.

    Perché era la sua voce.

    A quanto pareva ne avevano bisogno entrambi.

    Tornò a guardare l’uomo nella caffetteria.

    Nathaniel alzò la testa e gettò una vaga occhiata agli altri clienti e verso il tavolo al quale era seduta lei, che indossava appositamente un paio di occhiali neri perché lui non si accorgesse che lo stava fissando.

    Fu allora che li notò: le occhiaie, lo sguardo rabbuiato.

    La stessa espressione che Tash aveva avuto per settimane.

    Chiaramente Nathaniel Moore soffriva ancora per la scomparsa di Adele e soffriva da solo, Tash ci scommetteva tutte le sue opere d’arte.

    L’altro uomo si staccò dal tavolo e si alzò, spostando le tazze vuote di espresso di lato. Una piccola gentilezza che avrebbe reso un po’ più facile il lavoro dei camerieri.

    Si scusò con Nathaniel e si diresse alla toilette, passando davanti al tavolo di Tash. E guardandola come facevano molti uomini. Con apprezzamento ma in modo quasi assente, come se valutassero un prodotto, non una persona. Come per dirle che poteva indossare la lingerie che le regalavano a Natale, ma che non avrebbe mai ricevuto un anello, tantomeno avrebbe conosciuto la loro famiglia.

    La storia della sua vita.

    Di norma avrebbe ignorato quel genere di occhiata, ma oggi... la possibilità di vedere di che colore avesse gli occhi quel ragazzo la attirava troppo per resistere.

    Sollevò la testa mentre lui passava e gli restituì l’occhiata.

    Le mancò il fiato.

    Come aveva potuto pensare che fosse meno affascinante di Nathaniel? Non era di una bellezza canonica, no, ma aveva delle labbra piene e ben delineate, la mascella marcata.

    E quegli occhi... profondissimi e di un azzurro simile al vetro di cobalto più raro e inestimabile che avesse mai lavorato nella sua vita di artista.

    Trasformavano il suo viso. E le levarono letteralmente il fiato.

    Distolse lo sguardo con un sussulto.

    Lui continuò a camminare come se niente fosse, mentre il cuore le batté contro le costole come un bambino capriccioso.

    Fece un profondo, lento respiro. In genere, più che per il loro fisico, notava gli uomini per il loro comportamento, il loro modo di parlare, gli atteggiamenti che assumevano e che rivelavano chi erano davvero.

    Con l’amico di Nathaniel, invece, non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua bocca perfetta e dallo straordinario colore delle sue iridi, e questo le impedì di notare altro. Di pensare ad altro.

    Per esempio alla ragione per cui era lì...

    Tornò a concentrarsi sul tavolo poco distante dal suo e sull’uomo che sedeva lì da solo, lo sguardo nel vuoto.

    Fallo!, le suggerì una voce.

    Non era né la voce della madre né la sua. Era uno strano ibrido di entrambe.

    Era per quella voce se era andata lì, se aveva fatto particolare attenzione a un articolo sul giornale corredato da una fotografia di Nathaniel Moore, se aveva indagato e scoperto dove lavorava e come contattarlo.

    Quella voce l’aveva spinta in ogni fase ad agire, le aveva ispirato ogni mossa. Spronandola quando ne aveva più bisogno come un angelo custode, come un suggeritore che, da fuori scena, le indicava cosa fare.

    Fallo adesso!

    Premette il pulsante di chiamata del cellulare e tenne d’occhio Nathaniel dall’altra parte della sala. Lui infilò mollemente una mano in tasca, allentandosi contemporaneamente la cravatta.

    In quell’istante le venne voglia di mandare tutto all’aria. Tentennò sul pulsante di fine chiamata, poi Nathaniel rispose sotto il suo sguardo.

    «Pronto?» risuonò una voce profonda al telefono.

    Le spuntò una ruga tra le eleganti sopracciglia, le si strinse il cuore e non riuscì a parlare.

    Nathaniel abbassò il telefono per controllare il numero di chi lo aveva chiamato. «Pronto?»

    Parla, accidenti!

    Aprì la bocca ma il lieve suono che ne uscì si perse nel rumore del locale.

    Lui scosse la testa e cominciò a chiudere il telefono. Dandole la spinta che le serviva.

    «Signor Moore!»

    Nathaniel si fermò e sollevò le sopracciglia, continuando a parlare. «Sì?»

    Tash fece un profondo respiro.

    «Signor Moore, mi dispiace interrompere il suo pranzo...» Accidenti! Non avrebbe dovuto sapere che stava pranzando, ma lui parve non accorgersene.

    Nathaniel strinse gli occhi e si tese in avanti apparentemente impallidito. Contrasse la mano che reggeva il telefono.

    «Signor Moore, mi chiamo Natasha Sinclair. Credo che lei... penso che lei conoscesse mia madre.»

    Niente.

    Guardò le espressioni attraversargli il viso come colpi di luce su un vetro.

    Paura. Stupore. Dolore. Speranza.

    Soprattutto speranza.

    La mano libera gli tremava mentre giocherellava con un fazzolettino. Non parlò per quella che le parve un’eternità. Lo vide andare nel panico e cercare con gli occhi l’altro uomo che si era allontanato.

    Quando si voltò in direzione del suo tavolo, Tash si girò leggermente.

    Alla fine parlò, in un sussurro disperato. «Hai la sua stessa voce...»

    La turbò sapere di stare facendo soffrire un uomo che la madre aveva amato.

    «Lo so. Mi dispiace. Sta bene?»

    Lui si versò un bicchiere d’acqua e lo portò alle labbra. Lo sentì bere.

    «Io... sì. Sto bene. Sono solo sotto shock. Sorpreso» aggiunse, come accorgendosi di essere stato scortese.

    Tash rise. «Sotto shock... immagino.» Inspirò. «Volevo chiamarla, restare in contatto, assicurarmi che sapesse...» Sì, lo sapeva già. La sua espressione ne era la conferma.

    Cadde il silenzio mentre Nathaniel si riprendeva. Guardò di nuovo verso la toilette.

    «Ho sentito. Mi dispiace di non essere venuto al funerale. Non era... possibile.»

    Tash sapeva tutto dei cattivi rapporti delle loro due famiglie; aveva letto a cosa avevano portato nei diari della madre.

    «Non ha potuto dirle addio.»

    Nathaniel si guardò disperatamente intorno nella caffetteria, poi si voltò verso il porto.

    La sua voce diventò rauca. «Natasha. Mi dispiace tanto per la tua perdita. Era... una donna straordinaria.»

    Tash respirò profondamente e colse un meraviglioso profumo di spezie misto a terra fresca. E seppe, senza guardarlo, che lui stava passando di nuovo accanto al suo tavolo. L’uomo dalle spalle larghe stava tornando da Nathaniel Moore.

    Le gettò uno sguardo con la coda dell’occhio. Ma era lo sguardo meno casuale che lei avesse mai colto in un uomo.

    Le batté forte il cuore e non solo perché il suo tempo si stava esaurendo.

    «Signor Moore, volevo che sapesse che, malgrado i rapporti tra le nostre due famiglie, la mia porta è sempre aperta per lei. Se vuole parlare o fare qualche domanda...»

    L’uomo si risedette al suo posto, capendo subito dall’espressione di Nathaniel che qualcosa non andava. L’altro, infatti, si alzò improvvisamente in piedi.

    «Mmm... un attimo, vuoi scusarmi?»

    Lo dice a me o al suo collega?

    Nathaniel si allontanò dal tavolo su gambe malferme, accennando alla telefonata con la mano. Degli occhi azzurri preoccupati lo seguirono qualche metro più in là, poi si guardarono sospettosamente intorno.

    Quando giunsero a lei, Tash gettò la testa all’indietro e finse di ridere silenziosamente. Non che lo sconosciuto avesse la benché minima idea di chi ci fosse dall’altra parte della linea, ma non voleva mettere in difficoltà l’uomo che la madre aveva amato fino alla morte.

    E, per l’ennesima volta, Tash si chiese come fosse essere amati e amare con la stessa intensità descritta nei diari di Adele.

    Tornò a guardare il giovane ora seduto al tavolo da solo.

    «Ci sei?» le chiese Nathaniel.

    «Sì, scusi.» Lo trovò a qualche metro di distanza, le dava la schiena ed era seminascosto da due grosse palme in vaso. Gemette.

    «Signor Moore, volevo solo che sapesse che... mia madre non ha mai smesso di amarla.» Le spalle vestite di Armani ebbero un sussulto. «Mi dispiace essere stata così diretta, ma mi sento come se non avessimo tempo. I suoi diari sono pieni di lei. Di ricordi di lei. Soprattutto le pagine... alla fine.»

    Il battito del suo cuore risuonò nel silenzio.

    Lui parve ancor più turbato. «Hai perso così tanto» le disse con voce strozzata. «Sopportato così tanto...»

    Tash tornò a guardare il tavolo: duri occhi azzurri sorvegliavano Nathaniel e si strinsero.

    Lei scosse la testa.

    «No, signor Moore. Ho avuto così tanto.» Più di quanto ha avuto lei. Più di una sola notte straordinaria. Inspirò. «Per quanto duro sia stato perdere mia madre, almeno l’ho avuta per tutta la mia vita. Trent’anni. È stato un regalo.»

    Lui abbassò la testa addolorato e sussurrò: «Sì, lo è

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