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Una ragazza sul ring: Harmony Destiny
Una ragazza sul ring: Harmony Destiny
Una ragazza sul ring: Harmony Destiny
E-book168 pagine2 ore

Una ragazza sul ring: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Bram Masterson è per tutti Beastmaster quando sale sul ring. Il wrestling è il suo mondo, gli applausi della gente la sua linfa vitale, le vittorie sugli avversari una continua scommessa. Eppure il suo manager vuole di più, pretende lo spettacolo e così, una sera, Bram è costretto suo malgrado a coinvolgere una ragazza del pubblico in un gioco al quale nessuno dei due vorrebbe partecipare. Amanda reagisce male, lo minaccia, poi però capisce che, sotto l'aria "tutto muscoli", quell'uomo ha un cuore che batte per lei.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2017
ISBN9788858965450
Una ragazza sul ring: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Una ragazza sul ring - Carol Devine

    successivo.

    1

    «Allora...» Hardy buttò via la sigaretta e si alzò dal divano dove era sdraiato. «Cos'è quella faccia?»

    Abraham Masterson era tanto disgustato da quello che aveva detto il top promoter che non rispose nemmeno alla domanda. Superò il suo manager con un brontolio e si diresse lungo il corridoio verso la stanza dei pesi. Aveva bisogno di ben altro che la faccia di Hardy per scaricare la sua rabbia.

    «È così grave?» chiese Hardy, trotterellandogli dietro. Era un ometto ambiguo, vestito con un abito verde smeraldo, camicia bordeaux e cravatta in tinta. «Detesto farti presente che te l'avevo detto, Masterson. Hai firmato un contratto di ferro. Quando il boss dice che devi fare qualcosa, devi farlo.»

    «E se mi rifiuto?»

    «Vuoi che si torni a chiedere il giudizio della lega? A loro non piacciono i tipi che non fanno quello che devono.»

    «Non m'interessa quello che pensano o non pensano quelli della lega. Che vadano all'inferno.»

    «Non te la prendere con me, Masterson. Non commettere qualche gesto stupido.»

    «Io fare qualcosa di stupido?» Bram si fermò alla fine del corridoio e si passò una mano tra i capelli che gli arrivavano alle spalle. «Se non è stupido afferrare una donna seduta tra il pubblico e portarla su una spalla come un sacco di patate, allora non so proprio cosa lo sia.»

    «Considera la questione da questo lato. Stai aiutando qualcuno a fare un'esperienza che non ha prezzo.»

    «Non ho capito bene.»

    «Masterson, quelle ragazze sono attrici. Vengono pagate per far finta di svenire dal piacere quando tu le scegli. In fondo, si potrebbe dire che stai offrendo un'opportunità di lavoro ad artiste in crisi.»

    «Questo si chiama razionalizzare, perfino per uno come te, Hardy.»

    «E allora prova anche questo. Ai tuoi fan piacerà.»

    «Certo. La scorsa settimana a Philadelphia c'è stata una rissa.»

    «Sì, ma quello era il tuo primo incontro con la Montagna Umana, è logico che il pubblico fosse un po' eccitato. E comunque c'erano un sacco di poliziotti per tenere a bada i più esagitati.»

    «Il problema è che non mi piace quello che rappresento.»

    «Perché no? Tu sei Beastmaster, il Domatore. Il peggiore dei peggiori. Ci si aspetta che tu prenda tutto quello che vuoi, sia uomo, donna o animale.»

    «Taglia corto, Hardy. La sola ragione per cui ti piace tutta quella messinscena è la pubblicità. E più pubblicità per me significa più soldi per te.»

    «Certo che mi preoccupo dei soldi. E anche tu, mi sembra. Se non mi sbaglio, poco tempo fa mi hai chiesto di accettare qualsiasi ingaggio perché ritenevi di non guadagnare abbastanza. Siamo stati in giro per trecentodiciannove giorni, l'anno scorso. Adesso che hai sfondato puoi scegliere con chi incontrarti e dove. E invece ti lamenti proprio dell'unica cosa che ti rende diverso dagli altri. Molti vorrebbero essere al tuo posto.»

    «Io non sono come gli altri.»

    «Puoi dirlo forte. E non capisco proprio cosa ci vedi di male in questa esibizione. È come se Superman si rifiutasse di volare. È quello che ti rende diverso da tutti gli altri.»

    Bram voltò le spalle al manager e si diresse verso la palestra. La Montagna Umana era in piedi in fondo alla stanza e si massaggiava dell'olio sui bicipiti. Il Serpente e il Duo Dinamite si allenavano a una delle macchine.

    «Quanto manca al mio incontro?» chiese Bram. «Quindici minuti al massimo. Il Robot e il Duca hanno già cominciato.»

    Bram scaricò una serie di pugni contro il sacco che pendeva in un angolo. In qualche modo doveva pure sfogarsi.

    «Hai già dato un'occhiatina a quella che sarà la tua vittima di oggi? Sai almeno dove è seduta?» chiese Hardy.

    I colpi di Bram divennero ancor più rabbiosi. «Sezione cinque, fila tre, posto uno, proprio di fianco al corridoio.» All'improvviso si fermò e si girò verso il manager. «Dove è Tasha?» chiese afferrando l'asciugamano che Hardy gli porgeva.

    «Mack l'ha legata nello spogliatoio.»

    Bram stava asciugando il sudore dal torace possente, ma si fermò subito. «L'ha lasciata là da sola?»

    «Avevo bisogno di lui. E poi che problema c'è? Tu mi hai sempre detto che è inoffensiva come un micino.»

    «I micini di quella taglia non sono mai inoffensivi.» Bram ricacciò indietro i capelli umidi e sistemò la fascia di cuoio che portava sulla fronte. Indossava già il suo costume di scena, una pelle di leopardo, ginocchiere e stivali. Mentre il suo costume era semplice, la sua partner di scena non lo era affatto. Era complicata e molto sensibile agli affronti, reali o immaginari che fossero.

    «Le tigri odiano essere lasciate sole. Specialmente Natasha.»

    Quando la trovò, stava andando su e giù nervosamente, legata a una catena di un metro e mezzo. La catena era assicurata alla gamba di una panca avvitata al pavimento. Almeno Mack l'aveva legata a qualcosa di sicuro.

    Faceva tre passi, si girava e tornava indietro, un avanti e indietro senza fine. Fino a quando lo vide. Allora si fermò e ruggì, con aria davvero indignata. Bram rabbrividì al pensiero dei ricordi che quella segregazione poteva aver risvegliato in lei.

    «Buona, piccola» disse con il tono tenero di un amante. L'accarezzò tra le orecchie, e la sentì rilassarsi e fare le fusa. Doveva essere di buon umore quella sera. Allentò la catena e continuò a sussurrare paroline dolci.

    «Povera Tasha. Non sapevi se sarei venuto a prenderti, vero?» Bram si ripromise di dire due paroline a Mack per quello che aveva fatto. La maggior parte delle creature viventi aveva imparato a sopportare la solitudine, ma non quel particolare animale.

    Hardy schiacciò sotto la scarpa la sigaretta fumata a metà. «Mi dispiace interrompere questa scenetta commovente, ma tra due minuti tocca a voi.»

    Bram si avvolse la catena intorno al polso e si alzò in piedi. Natasha sollevò la testa e fissò intensamente la porta, agitando la coda.

    «Siamo pronti.»

    Il boato della folla disturbava l'udito di Amanda Tarkenton. Era seduta in mezzo a un mare di gente, circondata da urla e improperi che avrebbero fatto arrossire uno scaricatore di porto. A parte lei, tutti gli spettatori erano in piedi e gridavano, gli occhi fissi sul ring. Amanda scosse la testa, diede un'occhiata all'agenda che teneva in grembo e si chiese per quanto avrebbe potuto sopportare ancora tutto quel caos.

    «Si può sapere cosa stai facendo?» Una mano curata afferrò l'agenda. «Come puoi lavorare in un momento come questo?»

    Colta in castagna, Amanda guardò l'amica con espressione pentita. «Mi dispiace, Julie. Boggs mi ha assegnato un nuovo caso, oggi, e vorrei abbozzare un paio di idee che mi sono appena venute.»

    Julie Williams sbuffò e chiuse l'agenda nella borsa. «Sei senza speranza. Ti ho portato qui per distrarti, non certo per lavorare. Dimentica gli impegni per cinque minuti e cerca di seguire lo spettacolo. Ti stai perdendo tutto il meglio.»

    Amanda seguì l'unghia laccata di rosso dell'amica che le indicava il ring sul quale due corpulenti uomini a torso nudo stavano combattendo. Quello che si chiamava Robot indossava dei pantaloncini metallizzati con borchie mentre il suo rivale, il Duca, aveva stivali da cowboy e jeans strappati che lasciavano davvero poco all'immaginazione.

    «Senza offesa, Julie, ma ne ho abbastanza. Sono pronta ad andarmene, se vuoi.»

    Julie scosse la testa con un certo vigore, i riccioli rossi sparsi sul tailleur blu.«Stai scherzando? Il tipo per cui sono venuta fin qui stasera è il prossimo. Ti prometto che non ti pentirai dell'attesa. È meglio di Tarzan e Tom Selleck messi insieme.»

    Amanda alzò gli occhi al cielo, sapendo che era inutile discutere con Julie, specialmente quando si trattava di un uomo. La sua migliore amica aveva atteso quel momento per tutta la serata. E anche Amanda, ma solo perché dopo aver dato un'occhiata a quel fenomeno, quell'Uomo Belva o come si chiamava, finalmente Julie sarebbe stata disposta a staccarsi da quel cosiddetto evento sportivo e sarebbero quindi potute andare a casa.

    «E va bene» sospirò Amanda. «Ancora uno. Ma mi rifiuto di alzarmi da questa sedia se non per uscire da qui. Qualcuno potrebbe riconoscermi.»

    «Ma fammi il piacere. Qui? E a parte tutto, perfino i membri dell'onorata famiglia Tarkenton hanno diritto a un po' di divertimento.»

    «Ti ricordi quello che i giornali scandalistici hanno scritto di mio fratello l'anno scorso? E si era limitato ad andare in una spiaggia pubblica.»

    «Ti dimentichi di dire che il tuo serissimo fratello era insieme a una stellina di Hollywood in topless» precisò Julie. «Praticamente se l'è andata a cercare. Tu no. Resta pure seduta, se preferisci, ma non ce ne andremo prima della fine del prossimo match.»

    Amanda si schermò gli occhi dalla luce abbagliante dei riflettori. Aveva un terribile mal di testa. Bel modo di festeggiare il suo ventottesimo compleanno. Quando Julie le aveva proposto un assaggio di cultura popolare, tutto avrebbe potuto immaginarsi tranne che finire in un posto come quello. Se non fosse stato per la loro decennale amicizia, Amanda se ne sarebbe andata prima del primo match.

    Si massaggiò le tempie doloranti. Il combattimento era terminato e le luci lampeggianti segnalavano l'entrata dei contendenti successivi. Iniziò una musica tribale, segnata dal ritmo dei tamburi. Il richiamo di molteplici uccelli tropicali risuonò nell'aria e all'improvviso la folla cessò di urlare. Si sentiva il suono della pioggia che cadeva sul fogliame della foresta.

    Si spensero le luci e Amanda, incuriosita, si raddrizzò nella sua sedia, colpita da quel subitaneo cambiamento. Si sentiva sola nell'oscurità, circondata dalla foresta pluviale e oppressa da un cielo gonfio di pioggia. Ridicolo, si trovava a Denver, non certo in Brasile. Eppure il ritmo dei tamburi non faceva che accrescere la sua eccitazione. Sentiva strani occhi su di sé. Occhi di animale.

    Il ritmo della musica divenne più rapido e uno strano brivido le percorse la spina dorsale. Quale atleta di wrestling si meritava un'accoglienza simile?

    Bram entrò nel cerchio di luce e per qualche istante rimase immobile, per abituare i suoi occhi a quel fascio abbagliante. Non riusciva a vedere il pubblico, ma poteva sentirlo. Con un movimento impercettibile tirò il guinzaglio di Tasha e la tigre ruggì.

    Bram sollevò una delle corde del ring e poi saltò dentro insieme al felino. I riflettori illuminavano il pubblico e lui notò una donna in prima fila. La folla era tutta in piedi, ma lei no.

    Era seduta, con le braccia conserte e i capelli biondi tirati indietro. Bram la riconobbe. Amanda Tarkenton, figlia del senatore John Bertram Tarkenton. Quindici anni prima era stato tragicamente ucciso mentre era alla testa di una marcia per i diritti civili e da quel momento era diventato quasi un martire.

    Lei sembrava appena uscita da un consiglio di amministrazione. Indossava un tailleur scuro. Non c'era bisogno di osservarla da vicino per capire che non si stava affatto divertendo.

    Lui e Tasha fecero il giro del ring e in quell'occasione riuscì a osservarla meglio. Aveva i capelli del colore dell'oro e una carnagione di porcellana. Sembrava molto annoiata e risentita e Bram avvertì lo stesso risentimento salirgli nel petto. Li conosceva bene i tipi come lei. Era solo una primadonna viziata.

    Amanda non sapeva cosa fare. Lui la stava osservando con occhi chiari come il cristallo e un ghigno cattivo. Aveva lunghi capelli neri trattenuti da una fascia di cuoio, e un viso e un corpo che sembravano appartenere a un dio.

    Julie aveva ragione. Era fantastico. Amanda si sentiva sempre più nervosa. Sotto lo sguardo di quell'uomo era a disagio, come non lo era mai stata nemmeno davanti ai peggiori criminali in tribunale.

    L'amica le sfiorò un braccio. «Allora, Amanda, avevo ragione o no? Non è bello da morire?»

    Lei non riusciva a parlare. Era incredibile: la regina del foro era rimasta senza parole.

    «Amanda? Ti senti bene?»

    «Certo» mormorò. «Bella tigre. Adesso andiamo?»

    «Non la tigre, Amanda! Guarda lui!»

    In quel momento la voce dello speaker interruppe la musica. «Signore e signori, ho l'onore di presentarvi Beastmaster, il terribile domatore di tutte le belve... detentore del titolo intercontinentale... vincitore...»

    La voce continuò a elencare le meraviglie atletiche di quell'uomo

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