Mai fidarsi delle amiche!: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Doveva essere un gioco tra amiche, ma Julie Miles si è dimenticata che, con quella ficcanaso di Carla, le idee più assurde diventano mine vaganti. Come quella di compilare una lista di possibili mariti per lei da selezionare dopo altrettante cene! Il primo in classifica sarebbe Ben Harbison, il simpatico vicino di casa, seguito a ruota da due psicologi. Julie si ritrova così a pensare un motivo per invitare Ben senza insospettirlo. Alla fine decide una mossa sicura ma pericolosa...
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Recensioni su Mai fidarsi delle amiche!
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Anteprima del libro
Mai fidarsi delle amiche! - Valerie Taylor
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The World’s Best Dad
Harlequin American Romance
© 2000 Valerie Taylor
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-402-8
www.harlequinmondadori.it
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1
«Devi deciderti. O fai la mamma, o segui il tuo lavoro.»
Julie Miles allontanò il ricevitore dall’orecchio e lo fissò con disgusto. Il suo capo stava farneticando, era logico che, se avesse dovuto scegliere tra la sua bambina e il suo lavoro, avrebbe scelto Marisa. Anche Ed aveva dei figli, come faceva a non capire?
Lui, però, aveva una moglie che si prendeva cura dei bambini, e poteva permettersi di dedicarsi a tempo pieno alla sua attività.
Forse ne avrebbe avuto bisogno anche lei, rifletté ironica. Trasse un profondo respiro per riacquistare la calma e riavvicinò il ricevitore all’orecchio.
«Ed, è ovvio che il lavoro è importante per me.» Senza il suo stipendio, tanto per cominciare, come sarebbero vissute lei e Marisa? «Ma sai che sto attraversando una fase molto particolare. Sono mamma da esattamente...» controllò l’orologio, «quarantatré ore e dieci minuti, e da meno di ventiquattr’ore possiedo una casa. Dammi un attimo di respiro... non mi pare di chiedere troppo.»
«Non ti ho certo assillato in queste ultime settimane» grugnì Ed. «Phillipa Grange continua a telefo nare e io non so niente del suo stupido programma. Vuole arrivare al sodo entro la prossima settimana, e tu sei lì a giocare alla mamma. È semplicemente ridicolo che una venticinquenne sola adotti una bimba già grandicella.»
Ed non è un perfetto mascalzone, si disse Julie. Sta solo atteggiandosi a duro.
«E per di più mi hai piantato in asso con la Cincin nati Eagle.»
Ecco finalmente il vero motivo di quella sfuriata! C’era in agenda una presentazione per uno dei clienti più importanti alla fine della settimana, e lui non sapeva letteralmente da dove cominciare. Avrebbe proprio fatto la figura dell’imbecille quel venerdì se non gli fosse piovuto dal cielo un aiuto.
Be’, quello era comunque un problema suo. Quella settimana lei avrebbe fatto la mamma. Per un attimo assaporò la gioia che le procurava la sua nuova condizione, dimenticandosi dello scontro con Ed. Sorrise, ripetendosi a fior di labbra che aveva una bambina.
«Julie? Ci sei ancora?»
Lei si riscosse, e affrontò concretamente l’assillo principale del suo capo. «Guarda sotto Frequent Flyer Programs. Troverai almeno un centinaio di program mi simili a quello che vuole la Cinci Eagle. Apporta qualche lieve modifica, in modo da dare l’impressione di essere stato tutt’orecchi quando ti spiegavano le loro necessità, e passa il tutto a Carla. Credimi, lei è in grado di sostituirmi perfettamente.»
Ed borbottò qualcosa di inintelligibile e tolse la comunicazione. Julie scosse la testa, e si volse in tempo per vedere gli addetti al trasloco che stavano risalendo il vialetto con le reti del suo letto, incuranti della pioggia battente. Sotto il suo sguardo inorridito attraversarono l’aiuola fiorita, le fecero passare sopra la ringhiera del porticato raschiando via la vernice ed evitarono con cura il telo che avevano steso sul pavimento del soggiorno per proteggere la moquette.
Non che le piacesse in modo particolare il color malva di quella moquette, ma l’aggiunta di macchie di fango non avrebbe migliorato la situazione.
Miss Malloy, il suo enorme gatto tigrato, entrò in soggiorno con la carcassa di uno dei topi che cacciava con perizia nel giardino, e la depositò con cura sul sedile nel vano della finestra, accanto alle altre. Sembrava quasi che le sistemasse a seconda delle dimensioni. Julie soffocò un brivido e cercò di non pensare a quella raccapricciante sfilata.
Uno dei trasportatori le fece un cenno, la rete grondante acqua tra le braccia. «Dove va, signora?»
«Nella camera da letto grande, per favore. Di sopra.» I tre spinsero la rete lungo le scale, urtando ripetutamente il corrimano. Julie lo controllò: era tutto sbrecciato, ma probabilmente era già in quelle condizioni. Tutto nella casa sarebbe stato da ritoccare, e lei prese mentalmente nota di acquistare un libro sul Fai da te per le riparazioni di casa.
«Julie? Dove sono le mie cose?» Marisa, il motivo di tutto il trambusto dell’ultimo mese, esitò un attimo in cima alle scale prima di cominciare a scendere, come se non fosse sicura di fare la cosa giusta.
La piccola, nei suoi cinque anni di vita, era stata sballottata tra la madre naturale e diverse famiglie affidatarie. Ora finalmente era stata adottata da Julie.
Marisa arrossì. «Volevo dire... mamma.» Abbassò lo sguardo e lei percepì il suo imbarazzo. «Scusa, mi ero dimenticata» aggiunse in un bisbiglio.
Le si precipitò accanto. «Va tutto bene, tesoro, anche se te lo dimentichi. È difficile per i primi tempi. Anch’io spesso mi dimentico... poi all’improvviso mi ricordo: ho una bambina!» Le sorrise con affetto e la piccola la ricambiò.
Julie la prese tra le braccia. Il corpo magrolino si irrigidì per un attimo, poi si rilassò. Marisa non era abituata ai gesti di affetto, e non era ancora pronta a ricambiarli, ma nel periodo in cui erano state perfezionate le pratiche di adozione aveva cominciato a sentirsi un po’ più a proprio agio.
Lei sapeva che non era ancora convinta che la sua fosse una sistemazione definitiva, ma la speranza, commovente nella sua fragilità, cominciava a far capolino nei suoi occhi.
Marisa si sottrasse lentamente all’abbraccio, sbirciando sopra la sua spalla in soggiorno. Spalancò gli occhi e serrò le labbra per il disgusto. «Mamma! Cos’è quello?»
Lei seguì la direzione del suo sguardo. I topi di Miss Malloy, ecco cos’era! «Oh, sporcizia che pulirò subito. Non guardare, tesoro.» Si affrettò in cucina a cercare un paio di guanti, della carta e un sacchetto.
Quando ritornò trovò Marisa che si sporgeva sul sedile. «Che schifo!»
Julie la allontanò. «Non preoccuparti, tesoro, li tolgo subito.»
«Mary non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe chiesto a George di occuparsene.» Mary e George erano stati i suoi ultimi genitori affidatari in ordine di tempo. «Mary dice che queste cose devono farle i papà.»
«Bene, in questa casa me ne occupo io.» Parole coraggiose, ma l’ansietà ormai radicata le diede una morsa allo stomaco. Sembrava che si presentassero continuamente nuove occasioni per indirizzarle il messaggio che i bambini avevano bisogno sia di una mamma sia di un papà. Marisa non appariva affatto convinta dalla sua asserzione, e mettendole una mano rassicurante sulla spalla le spiegò: «Tesoro, se lo possono fare i papà, possono farlo anche le mamme».
Era quello che andava ripetendosi da qualche tempo, ma non impedì ai conati di vomito di assalirla mentre gettava i trofei di Miss Malloy e strofinava energicamente il sedile.
Appena ebbe finito, la bimba si rammentò della domanda originaria. «Mamma, non ci sono le mie cose!» La guardò ansiosa.
«Lo so io dove sono. Al sicuro in macchina.» Le poche cose che le appartenevano erano infatti sistemate in due scatoloni sul sedile posteriore della sua auto.
Marisa si rannuvolò.
Intuendo quanto fossero importanti per lei, Julie si rassegnò a bagnarsi. «D’accordo, andiamo a prenderle.» La prese per mano, affacciandosi sulla porta. «Pronta?» La bimba annuì e si precipitarono verso la macchina parcheggiata nel giardino. Lei spalancò la portiera e afferrò uno scatolone. «Tieni questo, io prenderò quello grande.» Corsero di nuovo insieme sotto la pioggia finché, fradice, raggiunsero ridendo il portico.
Portarono le scatole nella cameretta e Julie si incantò a vedere con quanta cura la bambina sistemava i suoi tesori. L’intensità della sua espressione l’aveva colpita sin da quando l’aveva conosciuta, tanti anni prima, ed era uno dei tratti che l’aveva subito conquistata.
Scese rapida le scale e rientrò in soggiorno, scrollandosi l’acqua dai capelli, proprio mentre si affacciava sulla porta principale la sua amica Carla Hartshorn.
Lei alzò le sopracciglia con aria interrogativa. «Ed ti ha permesso di venire qui? L’ho appena sentito al telefono ed era in preda al panico.»
Carla sorrise. «È la mia pausa pranzo.»
«Alle quattro del pomeriggio?»
«Non l’ho fatta prima. Hai avuto una buona idea a suggerirgli di spulciare tra le vecchie presentazioni per trovarne una da modificare, almeno sarà occupato per un bel po’.»
«Domani però ti toccherà sgobbare per sistemare tutto a puntino.»
Carla fece spallucce. «So cosa intendevi proporre per la Cinci Eagle, non sarà un problema. Ora, cosa posso fare per aiutarti?»
Julie le rivolse uno sguardo riconoscente. «Sei un angelo! Puoi telefonare all’idraulico e appurare perché non è ancora qui anche se avevamo un appuntamento per le nove. Poi potresti chiamare la Cincinnati Po wer & Light e scoprire perché non abbiamo ancora la corrente, anche se mi avevano assicurato che sarebbe stata allacciata in mattinata.» Porse a Carla il cellulare e l’elenco dei numeri da chiamare. «Ah, anche la Cin cinnati Telephone non ha ancora collegato il telefono. Tutte queste telefonate con il cellulare mi manderanno in rovina!»
Carla spense l’apparecchio. «No, non credo.»
Julie la guardò con aria interrogativa.
L’amica le porse il cellulare, ammiccando. «È scarico.»
Ben Harbison distolse l’attenzione dal figlioletto di quattro anni sdraiato nella vasca da bagno e prese il cordless che aveva accanto. «Pronto?»
«Ben?»
Sospirò. Maggie. Una donna simpatica, una nonna meravigliosa che tuttavia cercava di organizzare la sua vita e quella di Joe da quando Rose era morta due anni prima. «Salve, Maggie. Come va?»
«Ben, sono preoccupata per Joey.»
Come al solito. Maggie era sempre preoccupata per Joe. Ben guardò suo figlio. «Un attimo solo, Maggie.» Coprì il ricevitore. «Non spruzzare dappertutto, d’accordo?»
Joe corrugò la fronte. «I gatti non spruzzano. Ai gatti non piace l’acqua.»
Un gatto. Bene, era sempre meglio del coniglio che era stato per tre giorni il mese precedente, tre giorni in cui aveva insistito per nutrirsi