L istinto di amarti: Harmony Collezione
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Margaret Mayo
Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.
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L istinto di amarti - Margaret Mayo
successivo.
Prologo
«Tarah è morta? Non può essere!» Kristie rifiutava di accettare la notizia. «Certo che vengo. Subito» assicurò. E, lanciando la macchina sull'autostrada per Londra, sperò e pregò che non fosse vero. La sua amata sorella col gusto per la vita... non era possibile che ne fosse stata privata così da giovane.
Venticinque anni erano troppo pochi. I loro genitori erano morti sotto una valanga mentre sciavano in Norvegia, entrambi cinquantenni. Anche allora era stato difficile rassegnarsi. Ma Tarah!
«No, no!»
Scosse la testa. Doveva restare calma alla guida; e in qualche modo si convinse che era un errore; che si trattava di qualcun altro, non della sorella. All'ospedale, però, non poté più ingannarsi.
«Abbiamo fatto del nostro meglio» le disse mesto il chirurgo, «ma non è bastato. La sola consolazione è che il bambino sta bene.»
A Kristie non importava del bambino.
«Vuole vederlo?»
Perché non poteva essere morto lui al posto di Tarah? Perché la vita era tanto ingiusta?
Lacrime amare le rigarono le guance.
«Penso che dovrebbe» insistette il medico, deciso.
«Come vuole.» Ancora in stato di shock, si fece condurre dal letto della sorella alla nursery. Il piccolo dormiva, un angioletto vestito d'azzurro. Identico a Tarah. Quando le chiesero se lo avrebbe preso con sé, non poté ripudiarlo.
Non era colpa del bimbo se era rimasto senza madre... e senza padre!
Kristie era stata solidale con Tarah quando per telefono le aveva detto che Radford l'aveva piantata in asso. Ma quando, un paio di settimane dopo, le aveva annunciato di essere incinta e che a lui non lo avrebbe detto, perché aveva sempre sostenuto che non amava i bambini e che non voleva una famiglia, si era infuriata.
«Non puoi farlo. È il padre; ne è responsabile. Non puoi crescere il bimbo da sola, non senza un aiuto economico almeno!»
Tarah, invece, era stata categorica. E ora era morta, a causa di quell'uomo.
Kristie non lo aveva mai conosciuto e non intendeva farlo adesso, perché sapeva che lo avrebbe ucciso.
Avrebbe adottato lei Jake; e benché fosse arduo essere un genitore single, ci sarebbe riuscita.
1
La casa era invisibile dalla strada principale. Kristie aveva oltrepassato quel punto tante volte senza rendersi conto che la proprietà si nascondeva dietro i muri coperti di edera e il bosco.
Era un edificio singolare, basso e ampio, che pareva essersi espanso nei secoli con il risultato di un misto eclettico di stili. All'interno era ancor più singolare. Si era aspettata ogni stanza gradevolmente arredata, invece sembravano non essere mai state usate. No, non era proprio così. Vi erano dei mobili austeri, ma anche un'aria vissuta. Un giornale lasciato là, un libro qui, una giacca sulla spalliera di una sedia. Il genere di cose che mostravano che la casa era abitata.
«Felicity, ti piacerebbe un matrimonio estivo, vero, tesoro?»
Kristie si voltò mentre una ragazza di notevole bellezza entrava su una carrozzella. Aveva capelli neri e lucidi e attraenti occhi grigi. Non poté evitare di fissarla. Il suo stato era una tragedia.
Eppure, la ragazza sorrideva allegra.
«L'inizio di giugno, al mio compleanno. Non riesco a pensare a niente di più perfetto.»
«Tesoro, questa è Kristie Swift, di cui ti ho parlato.»
«La persona che organizzerà tutto per me?» Felicity si avvicinò con la sedia a rotelle e le porse la mano. «Mi è stata molto raccomandata e non ha idea di che sollievo sarà per mia madre. Si agita, poverina.» Fu detto, però, con la più dolce delle voci e un sorriso sbarazzino che la fece sembrare una bambina, anche se Kristie sapeva che aveva appena compiuto trent'anni.
«Mio fratello non è ancora qui?» chiese ancora Felicity girandosi e sbirciando fuori della finestra.
«È per strada» affermò la madre. «Non dovrebbe tardare. Beviamo qualcosa mentre aspettiamo, vuoi?» E a Kristie: «Il padre di Felicity è morto qualche anno fa e mio figlio si è sempre fatto carico di occasioni come questa. Non so che farei senza di lui».
La signora Mandervell-Smythe era una donna esageratamente agghindata, con capelli grigi e la pelle segnata da qualche ruga.
«Dovresti trovarti un altro uomo» le suggerì Felicity. «Non c'è penuria d'offerta.»
«Ma nessuno che possa calarsi nei panni di tuo padre» ribatté la madre.
«È improbabile» le concesse la figlia. «Papà era di una specie rara. Però, mamma, detesto vederti sola. Evviva, eccolo!» Eccitata, voltò la sedia e corse fuori della stanza.
La signora Mandervell-Smythe sorrise. «Come può notare, Felicity adora il fratello. Lui vive e lavora a Londra e non lo vede spesso.»
Kristie sentì l'accoglienza entusiastica e la voce di un uomo, fuori. Quando questi entrò dietro alla sorella, posò subito gli occhi su di lei. Fu come essere centrata da una pistola laser... un colpo che le fece trattenere il respiro.
Poi, l'attenzione di lui si spostò sulla madre e mentre la salutava Kristie lo studiò. Era l'uomo dal fascino più aggressivo che avesse mai visto; molto simile alla sorella, con gli stessi capelli neri e intensi occhi grigi. Il genere che svettava in una folla, non solo perché era alto ma perché dotato di innato carisma. Era come un magnetismo al quale Kristie non poteva sottrarsi.
Lui si girò verso di lei, ora, e la madre lo presentò. «Kristie Swift, che organizzerà il matrimonio di Felicity. Kristie, mio figlio Radford.»
«Donna coraggiosa» commentò lui con un sorriso accecante. «Mia sorella è famosa per la volubilità.»
Kristie non stava ascoltando. Radford! Radford Mandervell-Smythe. In un istante i suoi sentimenti mutarono. Radford Smythe. O Radford Smith, come Tarah aveva insistito nel chiamarlo. Doveva essere lo stesso uomo. Radford non era un nome comune.
Il sorriso scemò. In effetti, il viso le si gelò e non riuscì a toccargli la mano protesa.
«C'è qualcosa che non va?» chiese lui, guardandola con occhi penetranti.
«Ehm, no, niente» balbettò. Era incredibile. Aveva sempre voluto vedere che tipo fosse, dirgli cosa pensava di lui. E ora era lì e lei era inebetita.
«È diventata molto pallida» sottolineò la madre con preoccupazione. «Non si sente bene? Si sieda. Farò portare dell'acqua.»
«Sto bene» si scusò Kristie, confusa e imbarazzata. «Non so cosa mi è successo.»
Quanto meno, non c'era nulla che potesse dire a quella famiglia. Non ancora.
«Mio fratello ha questo effetto su tutte le donne» ridacchiò Felicity.
«Flick!» la rimproverò la madre.
Qualcuno portò una brocca d'acqua e Kristie tentò di versarsene un bicchiere, ma le mani le tremavano.
«Mi permetta» intervenne la fredda voce di Radford, e lei dovette sopportare la sua vicinanza.
Era un uomo bello e virile, la cui mascolinità le turbava i sensi. Poteva capire perché la sorella se ne fosse innamorata. Era impossibile non avvertire l'attrazione magnetica della sua spiccata sensualità.
«Beva» la esortò lui, stringendole la mano attorno al bicchiere e aiutandola a sollevarlo alla bocca.
Kristie voleva scacciarlo. Voleva essere ovunque, tranne che lì con quell'uomo che aveva...
«Ho detto beva. Che diavolo le prende?» le domandò ancora lui, brusco.
«Radford!» esclamò la madre, turbata. «Non è il modo di parlare...»
«Di certo, non è adatta a organizzare le nozze di mia sorella. Dove accidenti l'avete scovata?» Il suo sguardo era di condanna.
«Mi è stata raccomandata» annunciò Felicity. «Michelle se ne è servita quando si è sposata.»
«Mah! Dico solo che Michelle non ha gusto.»
«Lascia in pace la signorina» insistette la madre. «Vieni a sederti, Radford. È probabile che sia tu a renderla nervosa. Sai essere opprimente, come tuo padre.»
«Non ho fatto niente, santo cielo!» protestò lui.
«Comunque, lascia stare Kristie.»
Kristie cominciò a sentirsi imbarazzata e con un grosso sforzo si riprese, bevendo dell'acqua prima di posare il bicchiere. «Mi dispiace, non so cosa mi sia capitato.» Il che era una bugia, ma come poteva rivelare alla signora Mandervell-Smythe che bastardo era il figlio?
«Non si preoccupi. Si sente di continuare con i preparativi del matrimonio?»
«A me sembra che dovrebbe andare a casa a stendersi» commentò Radford, diffidente.
Kristie non replicò. Felicity rise ancora, come se trovasse la cosa divertente.
«Ora sto bene» disse Kristie pacata, pur sapendo che con Radford nella stanza non si sarebbe potuta concentrare su una singola parola. Odiava quell'uomo con tutta se stessa. Sentiva ancora la voce della sorella che le diceva di aver incontrato l'uomo più fascinoso al mondo. È incredibilmente sexy. Aspetta di conoscerlo. Capirai cosa intendo.
Kristie capiva. Era il genere di persona che attirava a sé, che lo si volesse o meno. Dovevano essere poche le donne che gli resistevano. La sorella, dopo un matrimonio fallito, si era trasferita a Londra per iniziare una nuova vita. Aveva sempre scansato gli uomini... fino all'incontro con Radford Smythe.
«Lo prendo in giro e lo chiamo Smith. Non gli piace affatto. Sai, ha un doppio cognome, ma non lo usa mai. Dirige la casa editrice di famiglia. Suo padre è morto e la madre vive da qualche parte vicino a Stratford. È davvero piccolo il mondo, eh?» le aveva raccontato.
Troppo piccolo. Quella casa era a pochi chilometri da dove abitava Kristie. Si rese conto che la signora Mandervell-Smythe le stava parlando e che lei non aveva ascoltato nulla.
Cercò di prestare attenzione alle loro richieste, proponendo alcuni suggerimenti, appuntando tutto sul blocco, da riportare poi nel computer. Un giorno, si promise, avrebbe comprato un portatile. Avrebbe risparmiato un mucchio di tempo.
A un certo punto, vennero portati caffè e biscotti. A Kristie saltarono ancora i nervi quando Radford le porse il piatto e gli occhi incrociarono i suoi in uno sguardo interrogativo. Poi lui le sorrise... il genere di sorriso che avrebbe sciolto parecchie ragazze.
A Kristie riuscì solo una smorfia, e prese un paio di pasticcini.
«Ha un'aria migliore» disse lui.
Kristie annuì.
«Parleremo più tardi e mi dirà cosa l'ha fatta venire meno.»
«Non credo» rispose lei. «Dopo questo ho un altro impegno urgente.»
«Forse lavora troppo?»
«Sono forse affari suoi?» Nell'attimo in cui le parole furono nell'aria desiderò di non averle pronunciate. Vide che la madre la guardava perplessa, e che l'interesse di Felicity era aumentato. Ma, soprattutto, vide il volto granitico di Radford. Che quando si alzò la sovrastò come un angelo vendicatore.
Kristie mordicchiò un biscotto e sorbì il caffè, consapevole di essere l'oggetto di tanta curiosità. Le sarebbe piaciuto andarsene, fuggire dal detestabile Radford Smythe. Ma c'era parecchio ancora da definire e lui insisteva nel mettere bocca su ogni aspetto dei preparativi. Perfino quando uscirono nel giardino dove si sarebbero celebrate le nozze, dominò la conversazione con arroganza.
«Penso che la cerimonia debba avere luogo qui» disse Kristie, indicando un punto del prato a circa venti metri dalla casa, in linea con il salotto dove tre finestre a parete si aprivano sull'esterno. «Con un passaggio coperto... nel caso piovesse.» Sapevano tutti che nel giugno inglese c'era ogni probabilità di pioggia. «E qui...» suggerì, allargando le mani e facendo una giravolta, «... dovrebbe esserci un ampio palco, magari con colonne doriche e una copertura di seta ornata di nastri che riprendano i vestiti delle damigelle e i fiori, e molto fogliame intorno.»
Fu consapevole per tutto il tempo degli occhi di Radford addosso e fece fatica a restare indifferente.
Passarono un paio d'ore prima che avessero discusso di tutto. Infine, Kristie si alzò in piedi sollevata.
«Rimarrò in contatto» concluse guardando la signora Mandervell-Smythe, ed evitando il figlio.
«La accompagno» disse questi.
Kristie voleva obiettare, ma