Papà in affitto (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Un figlio a tutti i costi! April è divorziata, ma non per questo il suo orologio biologico ha smesso di ticchettare. La soluzione per lei è semplice: rivolgersi a una banca del seme. Purtroppo, nella piccola Harmony Grove una ragazza in dolce attesa, e divorziata, non la passerebbe liscia. Per fortuna ci sono gli amici! Glen la conosce da sempre e la convince a sposarlo, solo finché nascerà il bambino, per proteggerla da ogni malignità, per aiutarla ad affrontare tutti i problemi, ma soprattutto perché...
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Anteprima del libro
Papà in affitto (eLit) - Carolyn Greene
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Wedding Deception
Harlequin Love and Laughter
© 1997 Carolyn J. Greene
Traduzione di Vincenzo Russo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 1999 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5895-001-2
www.harlequinmondadori.it
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1
«Dammelo, testona. Non fare storie.»
April Hanson si acquattò, con la mano tesa verso il cane dal pelo dorato. Sfortunatamente, Maybelline aveva deciso che quel gioco la divertiva molto. Questo accadeva ogni volta che la sua padrona cercava di insegnarle ad andare a prendere qualche oggetto; solo che in quell’occasione non si stavano contendendo nessun giornale. Cercò di afferrarle il muso, ma il cane fece un balzo all’indietro, sempre con quel piccolo scoiattolo in bocca.
April decise di cambiare tattica. Si alzò e camminò nella direzione opposta, fingendo di ignorarla. Si fermò e raccolse un ramo da terra. Maybelline abbandonò lo scoiattolo e la guardò con attenzione. Appena vide la padrona lanciare il legnetto, corse per andarlo a recuperare.
Aveva funzionato. April si chinò e raccolse con la massima delicatezza quella povera bestiola. Sebbene un po’ ammaccata e sicuramente scioccata, non sembrava ferita seriamente. A giudicare dalle dimensioni, doveva avere tre o quattro settimane di vita.
«Povero piccolino» gli disse quasi bisbigliando. «Stavi davvero per fare una gran brutta fine.»
Se lo strinse al petto e s’incamminò verso il cavallo, chiedendosi cosa avrebbe potuto dargli da mangiare.
Montare in sella usando una mano sola non fu semplice, ma ci riuscì ugualmente. «Forza, Daisy. Torniamo a casa.»
Era una luminosa mattina d’inizio estate. La campagna della Virginia si era già riempita dei colori e dei profumi tipici della stagione. Avvicinandosi al campo, April notò che le piantine che aveva messo a dimora poche settimane prima erano cresciute parecchio.
«Ah, che bello!» esclamò soddisfatta. Era proprio vero che la fine della primavera era la stagione migliore dell’anno.
Sentendo il suono della sua voce, Daisy si voltò per un attimo verso di lei.
«Che cos’hai da guardare con quell’espressione critica?» le chiese April. «Lo so che senti anche tu il cambiamento del tempo. Non credere che non mi sia accorta che hai un debole per lo stallone del vecchio Grissom.»
Daisy scrollò la testa, come se volesse dissentire da ciò che aveva appena insinuato la padrona.
April sospirò. Persino la sua cavalla aveva una vita sentimentale più soddisfacente della sua. Le sarebbe piaciuto moltissimo avere un marito e mezza dozzina di bambini da crescere. Invece, con i suoi trentasei anni già compiuti, le possibilità di restare zitella a vita erano decisamente elevate.
Adorava i bambini dei quali si occupava nel campeggio che dirigeva, ma stavolta non era così sicura di resistere a una nuova ondata di genitori ansiosi di sbarazzarsi per un po’ dei loro figli. Desideri dei bambini? Eccoti i nostri, sembrava che volessero dirle mentre le facevano le solite raccomandazioni. Non capivano quanto la ferisse quell’atteggiamento sbrigativo. Non si rendevano conto di quanto fossero fortunati.
Giunta davanti allo spaccio del campo, Glen Radway, il suo socio, le venne incontro con un’espressione ansiosa.
«Che cosa c’è?» gli chiese lei, temendo un’altra seccatura.
«Che ne dici di una cenetta insieme e un film, stasera?» propose lui, e April si chiese quante altre volte gliel’avesse chiesto negli ultimi giorni.
«È successo qualcosa?» gli domandò, invece di rispondere.
«No. Ha chiamato tua nipote.»
«Nicole? E cosa voleva?»
Glen, l’unico essere umano che potesse veramente definire amico, fece un passo indietro e si toccò per un attimo la fronte con l’indice sinistro. Quando compiva quel gesto, voleva dire che c’era un guaio.
«Non voleva niente. Aveva solo una cosa da dirti.» Si mise una mano nella tasca e ne estrasse un cellulare.
April scosse la testa. «Cattive notizie in arrivo. Me lo sento.»
Glen le porse il telefono. «Chiamala.»
«Aspetta.»
April scese da cavallo con un balzo e poi gli porse lo scoiattolino. «Prendilo tu.» Si scambiarono la bestiola e il telefonino.
Le ultime due volte che Nicole aveva chiamato, l’aveva fatto per darle cattive notizie: prima quando le aveva detto che si era innamorata di un programmatore di computer, poi quando aveva avuto un incidente stradale.
Tutta la famiglia sosteneva che Nicole era caratterialmente identica a April. Forse per questo, ogni volta che si cacciava in qualche guaio, chiamava in soccorso la zia. L’aveva sempre fatto e continuava a farlo anche adesso che aveva compiuto ventidue anni.
«Lo sai che queste cose mi mettono in apprensione» borbottò April rivolta a Glen prima di comporre il numero. «Dimmi almeno di che si tratta, così mi posso preparare al peggio.»
Lui sospirò, senza staccare gli occhi dallo scoiattolino. «Come vuoi. Tieniti forte, allora. Diventerai presto prozia.»
April emise un’esclamazione soffocata. Daisy si voltò verso di lei, sorpresa. April avrebbe giurato che il suo cavallo le stesse sorridendo, come per congratularsi.
Prozia! Era troppo giovane per diventare prozia, si disse. Nelle commedie brillanti le prozie sono vecchie, malandate e dure d’orecchio. Per lei era già stato un brutto colpo doversi mettere gli occhiali, l’anno prima, dopo che si era accorta che la sua vista non era più perfetta. E adesso...
«Qual è problema?» le chiese Glen.
Il problema? Il problema era che sua nipote era incinta e lei no! «Ma io non sono ancora... Ecco io... non sono pronta!» esclamò, sentendosi piuttosto ridicola: in fondo non toccava a lei partorire quel bambino! Glen non riusciva a capire le sue perplessità.
«Lo so, ma devi tener conto che Nicole non è più una bambina. È una donna sposata, cosa volevi che facesse?»
April pensò alla reazione che aveva avuto sua madre quando la figlia maggiore aveva annunciato di essere incinta. Diversamente da Nicole, Stella non era sposata. Le cose non erano cambiate molto, da quel giorno. La piccola comunità di Harmony Grove non vedeva di buon occhio chi andava contro le regole dalla tradizione. Non c’è un luogo al mondo più moralista della provincia americana.
«Già, almeno lei è sposata» mormorò, infastidita da quei pensieri. «A quanto pare Nicole è riuscita a distrarre John dai suoi computer... almeno per una sera.»
Glen le appoggiò una mano sulla spalla. «È un bravo ragazzo, lo sai.»
Era vero. Lei era solo gelosa, ecco tutto. Nicole aveva un compagno, mentre lei era sola. «Be’, immagino che sarà un buon padre.» Si sforzò di sorridergli. «Dovrà esserlo per forza, altrimenti...»
«Forza, chiama Nicole, adesso. Non vedeva l’ora di darti personalmente la lieta novella.» Glen prese le redini di Daisy e si avviò verso la stalla. «E mostrati stupita, appena te lo dirà.»
April aprì lo sportellino del telefono. Senza gli occhiali, le riusciva difficile leggere i tasti. Mentre componeva il numero, fu assalita dal panico. Se voleva avere un figlio, doveva fare in fretta. Alla sua età, non poteva più permettersi il lusso di aspettare molti anni.
In che razza di situazione si trovava! Era stata sposata per un paio d’anni con l’uomo sbagliato. Poi aveva perso troppo tempo a cercare l’uomo ideale, già sospettando che non esistesse. E infatti non l’aveva trovato. Appena si era resa conto di avere sprecato i suoi anni migliori, si era buttata sul lavoro. I mesi erano passati velocemente, e adesso le speranze di poter trovare un marito erano davvero minime. Quasi tutti gli uomini che conosceva erano o sembravano felicemente sposati; quei pochi che non lo erano si trovavano in piena crisi di mezz’età, sembravano non interessarsi alle donne e se lo facevano guardavano solo le ragazze più giovani.
La sagoma di un’auto che si stava avvicinando la distrasse dai suoi pensieri. Probabilmente si trattava di una famiglia che aveva deciso di concedersi un weekend di riposo, anche se la stagione doveva ancora iniziare. Sperò che si trattasse di una coppia senza figli.
Ormai non c’era più tempo, così spense il cellulare. Avrebbe chiamato la nipote più tardi. Si stampò un sorriso sulle labbra, anche se non aveva la minima voglia di sorridere, pronta all’incontro.
La macchina era sempre più vicina, seguita da una coda di polvere. All’improvviso, mentre la guardava, ebbe un’illuminazione: voleva un figlio. A tutti i costi. Dio solo sapeva perché le fosse venuto in mente in quel momento e in quel luogo, decisamente poco opportuni. Ma era così, senza possibilità di dubbio.
L’auto si fermò nel parcheggio.
Dall’abitacolo, però, non scese nessun villeggiante: era la macchina del vicesceriffo Alexander Dugg.
«La stagione non è ancora iniziata» disse April al vicesceriffo, che stava camminando nella sua direzione. «Non vedo che cos’abbia da protestare la signora Turner questa volta.»
Dugg le sorrise. «Non sono venuto per trasmetterle le proteste per i troppi decibel della signora Turner» dichiarò, con un tono di voce che le ricordò Jackie Gleason in Smokey and the Bandit. «Ho saputo che ha assunto un teppistello...»
«Steven è un bravo ragazzo, non è affatto un teppista.»
Le