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Una folle notte con il capo (eLit): eLit
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E-book179 pagine2 ore

Una folle notte con il capo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Lorenzo Hall e la sua nuova assistente Sophy Braithwaite, figlia del giudice Braithwaite, provengono da ambienti diversi, e per loro stessa ammissione non potrebbero mai piacersi. L'attrazione però è tutta un'altra storia. Meglio togliersi il pensiero e passare una folle notte di passione insieme. Ma l'incendio che li brucia non può certo essere spento così in fretta.
LinguaItaliano
Data di uscita5 nov 2018
ISBN9788858993941
Una folle notte con il capo (eLit): eLit
Autore

Natalie Anderson

Tra le autrici più amate e lette dal publico italiano.

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    Anteprima del libro

    Una folle notte con il capo (eLit) - Natalie Anderson

    1

    Il tempo non aspettava nessuno. E Sophy Braithwaite non intendeva essere da meno.

    Iniziò a battere un piede sul pavimento, lentamente, per scaricare il nervosismo. Ma ben presto aumentò il ritmo.

    La segretaria l’aveva invitata a salire direttamente in ufficio e la targa sulla porta indicava che aveva trovato quello che cercava. Era al posto giusto nel momento giusto.

    In attesa.

    Si girò e osservò i quadri sulla parete accanto. Immagini bucoliche della campagna italiana, che suppose fossero state scelte da Cara. Valutazione e apprezzamento le presero meno di un minuto. Poi tornò a osservare il caos sulla scrivania. La confusione era tale che là sopra non sarebbe riuscita a trovare nemmeno una penna. Pile di fogli erano ammonticchiate in precario equilibrio. La posta ancora chiusa debordava dall’apposita vaschetta e le prime buste erano già cadute sulla sottostante tastiera. Cara non aveva esagerato nell’affermare che aveva lasciato una vera babele.

    «Non c’ero più con la testa. E con quello che è successo dopo...». Si riferiva alla nascita prematura della sua bambina, avvenuta sei settimane prima del previsto. La piccola era ancora in ospedale e Cara viveva in preda all’ansia. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era preoccuparsi per il lavoro parttime che svolgeva per un ente benefico.

    L’irritazione di Sophy andò alle stelle. Ma dove diavolo si era cacciato quello? Lorenzo Hall, il supposto genio dell’industria vinicola e cocco delle prime donne della raccolta di fondi, l’amministratore delegato di quel caos.

    «Lorenzo è così impegnato in questo periodo. Con Alex e Dani via, è lui a doversi occupare di ogni cosa.» Cara era sembrata così preoccupata per lui quando Victoria, la sorella di Sophy, le aveva passato il telefono. «Sarebbe fantastico se tu potessi dargli una mano e alleggerirlo almeno delle preoccupazioni legate al Whistle Fund

    Be’, Sophy non era lì per alleggerire il carico delle preoccupazioni di Lorenzo Hall, bensì quelle di Cara.

    Si rese conto di battere il piede al ritmo di un suono sordo che echeggiava in distanza. Come se qualcuno stesse usando un martello o roba simile ma accelerando, per poi fermarsi e ricominciare. Scosse la testa per liberarsi di quel fastidio e tornò a osservare la confusione che la circondava. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo per mettere tutto in ordine. Quanto avrebbe voluto sapere rifiutare. Ma non ci riusciva mai. Non quando qualcuno invocava il suo aiuto. Il problema era che tutti lo sapevano. Era tornata in Nuova Zelanda da meno di un mese e la sua famiglia l’aveva già sommersa di mille impegni. Ma lei non si era opposta, accettando passivamente ogni cosa. E meno male che avrebbe dovuto essere più risoluta e capace di tenersi almeno un po’ di tempo per sé.

    Sapeva che gli altri non vedevano alcun cambiamento, e con i suoi e i suoi volentieri lei non faceva niente per aiutarli a capire, confermando tacitamente di non avere niente di meglio con cui occupare il tempo. O per lo meno, niente di importante quanto ciò che le chiedevano.

    Ma non era così.

    Sebbene adorasse aiutare gli altri, c’era qualcos’altro che adorava. Il cuore le batteva forte quando ci pensava come a un lavoro. Voleva con tutta se stessa riuscire a dimostrare che era proprio ciò che poteva essere. Ma per riuscirci aveva bisogno di tempo.

    Perciò non aveva nessuna voglia di starsene lì ad aspettare un tizio che sembrava non essere nemmeno capace di organizzare il proprio tempo. Lo stesso tizio che aveva indotto Cara a chiamarla dall’ospedale per chiederle aiuto. E se il suo aiuto era davvero necessario era pronta a offrirlo, ma non intendeva restare lì ad aspettare per altri venti minuti. Tornò a guardare l’orologio. Il solo vederlo la riempì di piacere: un piccolo e delizioso pezzo vintage. Lo aveva trovato in un mercato delle pulci a Londra. Era bastato cambiargli il cinturino e portarlo dall’orologiaio perché nascesse a nuova vita. E adesso funzionava alla perfezione. Certo non andava avanti.

    Il suono sordo tornò a riempirle il cervello risvegliando antichi ricordi dei tempi del liceo.

    No. Non poteva essere.

    Si alzò, attraversò l’ufficio, girò intorno alla scrivania e raggiunse la finestra. Abbassò lo sguardo sul cortile posto sul retro dell’edificio. Trasse un respiro profondo.

    Ma sì, era proprio così. Pallacanestro.

    Lorenzo Hall, era certa fosse lui, se ne stava là fuori a divertirsi. Se fosse almeno stato impegnato a giocare con un’altra persona lei avrebbe capito, avrebbe accettato che lui desiderasse terminare la partita prima di incontrarla. Ma non c’era nessun avversario da battere. Stava giocando da solo, mentre lei lo aspettava dopo avere preso regolare appuntamento. Lunghi minuti di attesa e solo a beneficio di quell’uomo.

    L’irritazione si trasformò in rabbia. Perché mai nessuno si rendeva conto che anche il suo tempo era prezioso? Uscì dall’ufficio, il ticchettio dei tacchi che risuonò lungo le scale. Si piantò davanti alla segretaria.

    «Ci vorrà ancora molto prima che il signor Hall arrivi?» domandò con esagerata educazione.

    La donna la guardò sorpresa. «Non è in ufficio?»

    Sophy la incenerì con lo sguardo. Non lo sapeva? Ma non era la sua segretaria? Dove stava l’efficienza in quel posto, partita per un viaggio su Marte? Inspirò profondamente per mantenere la calma. «Direi proprio di no.»

    «Eppure sono sicura di averlo visto. Potrebbe andare a verificare se è al terzo piano oppure giù in cortile.» E con quelle parole si alzò e si allontanò, apparentemente impegnata.

    Sophy scese ancora una rampa di scale. L’appuntamento era stato fissato due giorni prima. Forse quel tizio era anche il nuovo re degli esportatori di vino, ma Sophy non riusciva proprio a capire come ci fosse riuscito. Non quando non sapeva nemmeno presentarsi in orario a un appuntamento. Trovò la porta che doveva condurre nel cortile sul retro. Si fermò, drizzò le spalle e abbassò la maniglia, tirando verso di sé la pesante porta di legno.

    Da quanto aveva visto dalla finestra sapeva ciò che doveva aspettarsi, ma non aveva preso in considerazione l’effetto che le avrebbe fatto da vicino. Deglutì a vuoto, a un tratto senza parole.

    Lui le dava la schiena, una schiena ampia e muscolosa, e anche abbronzata. Be’, chiaramente il risultato delle molte ore sprecate là fuori senza camicia.

    Il fuoco che divampò in lei era sicuramente dovuto alla rabbia.

    Il canestro era situato sul lato opposto di un rettangolo di asfalto. Lui aveva la palla in mano, le ginocchia lievemente piegate mentre si preparava per il lancio.

    Sophy aspettò il momento giusto. Appena il corpo dell’uomo si mosse per lanciare, lei lo chiamò, alzando appena la voce e ricorrendo a quello che la sua insegnante di arte drammatica definiva il tono.

    «Lorenzo Hall?»

    Inutile dirlo, lui sbagliò il canestro. Sophy sorrise. Ma il sorriso morì subito dopo.

    Nonostante i metri che li separavano, avvertì il calore bruciante emanato dall’uomo. Lui girò la testa e le lanciò un’occhiata veloce con gli occhi più scuri che lei avesse mai visto. Poi riportò la propria attenzione al canestro.

    E quello era quanto gli bastava per giudicarla? Sophy non era abituata a essere liquidata con tanta rapidità. Forse non aveva dato prova di essere all’altezza della sua famiglia nel settore giuridico, ma in quanto ad aspetto fisico non se la cavava poi male. Sempre immacolata. Sempre perfetta. Sempre appropriata. L’importanza dell’aspetto esteriore le era stata inculcata a tal punto che ormai la dava per scontata. Perciò sapeva di essere ben più che presentabile in gonna di lino azzurra e camicetta bianca. Il rossetto era tenue ma non insignificante e la pelle era tutt’altro che lucida. I capelli erano come sempre perfetti, così naturali che non doveva nemmeno pettinarli.

    La palla era rimbalzata un paio di volte. Lui non aveva avuto nemmeno bisogno di muoversi per recuperarla. Quando fu di nuovo tra le sue mani, si girò e le lanciò un’altra occhiata. Poi tornò a guardare il canestro, prese la mira e ripeté il lancio, questa volta centrandolo.

    Sophy avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andata se non fosse stata troppo arrabbiata per muoversi. Era quindi quello il modo di comportarsi di quel tipo, eh? La sua partitella in solitaria era più importante di un appuntamento con lei.

    Sophy aveva sentito solo commenti positivi sull’organizzazione benefica da lui fondata. Aveva sentito anche i pettegolezzi sul suo passato e sulla sua incredibile ascesa; fantastico, diceva la gente, che uno con alle spalle una storia simile avesse raggiunto un tale successo.

    Be’, lei non aveva intenzione di adulare quel tronfio egoista. «Pensa che riuscirà a trovare qualche minuto per il nostro incontro?» Adesso non intendeva proporgli di rimandare l’appuntamento a un altro giorno.

    La palla era tornata nelle mani dell’uomo, che la lanciò di lato e si diresse verso di lei. Portava jeans a vita bassa, senza cintura. Sophy intravide un elastico: slip o boxer? Non avrebbe dovuto chiederselo. Ma non riusciva a staccare gli occhi.

    Non c’era un filo di grasso su quel corpo, solo muscoli che guizzavano a ogni movimento. Sophy si obbligò a spostare lo sguardo più in alto, sul torace punteggiato da una lieve peluria, i capezzoli erano scuri. Aveva spalle larghe, dritte. Muscoli ben sviluppati si allungavano sulle braccia. E tutto era ricoperto da una patina di sudore, che faceva risplendere la pelle abbronzata.

    Sophy si accorse di avere il fiato corto.

    Due passi e le fu vicino. Troppo vicino. Allarmata, lo guardò, mentre lui abbassava lo sguardo su di lei.

    E lei incontrò quello sguardo, lo sostenne, rifiutando di lasciarsi andare all’imbarazzo per essere stata colta a fissarlo. Ma poi, quando lui fu certo di avere catturato la sua attenzione, esaminò ogni centimetro del suo corpo. La spogliò letteralmente con gli occhi.

    Sophy si odiò per il rossore che stava imporporandole le guance e sentì riaffiorare la rabbia. Ma forse se lo meritava. Non lo aveva appena squadrato anche lei? Non intenzionalmente, però, e non in quel modo così provocatorio. Non si era semplicemente resa conto di quanto fosse stata esplicita o di quanto tempo fosse rimasta a fissarlo, il cervello scollegato mentre gli occhi se la godevano.

    Ma quello dell’uomo era un gesto chiaramente e deliberatamente a sfondo sessuale.

    «Tu devi essere Sophy.» Con la mano indicò il minuscolo campo di pallacanestro. «Stavo pensando. Ho perso la cognizione del tempo.»

    Be’, come scusa era un po’ misera.

    «Il mio tempo è prezioso» affermò Sophy, per la prima volta in vita sua in tono stizzito. «Non mi piace sprecarlo.»

    Certo non per colpa di un uomo mezzo nudo. E non in quel modo.

    Gli occhi scuri e profondi incontrarono i suoi. Il rossore aumentò sulle sue guance. Lei non sapeva se fosse per l’imbarazzo o la rabbia. Sospettava l’ultima.

    «Ma certo» replicò lui, in tono pacato. Troppo pacato. «Non lo farò più.»

    Qualcosa era brillato nei suoi occhi mentre aggiungeva quelle parole. Qualcosa che Sophy non si prese la briga di definire. A un tratto si sentì avvampare, come se fosse stata lei nel torto. Spostò il peso da un piede all’altro. Lanciò un’altra occhiata furtiva a quel possente torace e quindi tentò di concentrarsi sull’asfalto.

    «Non hai mai visto un uomo sudare, Sophy?» Il tono ironico la colpì allo stomaco.

    La fresca mattina di primavera divenne a un tratto rovente. Cercò di dire qualcosa. Non ci riuscì. La secca ironia nella voce dell’uomo l’aveva sconvolta.

    Lui le voltò le spalle. «Vuoi fare una partita uno contro uno?» le chiese. «Personalmente trovo che favorisca la concentrazione. Potrebbe servire anche a te.»

    Ah, e così lei aveva bisogno di aiuto per concentrarsi? Ma figuriamoci.

    «Aiuta anche a bruciare l’energia in eccesso.»

    Adesso sì che faceva chiare insinuazioni. Cercava di mandarla in confusione, come se non fosse bastato quel fisico in bella mostra. Con un notevole sforzo riprese il controllo di sé. Be’, anche lei poteva lanciare qualche allusione. Le parole dell’uomo potevano infiammare, ma la sua freddezza lo avrebbe distrutto. «È chiaro che sono troppo vestita.»

    Lui la fissò un breve istante prima di rispondere con tutta calma. «Problema facilmente risolvibile.»

    Sophy inarcò lentamente le sopracciglia, decisa a restare di ghiaccio. «Vuoi che mi spogli?»

    Lui scoppiò a ridere, e sul viso gli apparve un sorriso maledettamente affascinante. Sophy si portò una mano alla bocca per nascondere la sorpresa. L’atteggiamento dell’uomo mutò totalmente, dalla severità a un coinvolgente buonumore. Un cambiamento estremamente intrigante e vergognosamente attraente.

    «Sarebbe giusto, non trovi?» affermò. «Dopotutto, io sono in netto svantaggio.»

    «Sei tu che ti sei messo in quella posizione.» Sophy era senza fiato. E dentro di sé riteneva la

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