Safari di passione (eLit): eLit
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Natalie Anderson
Tra le autrici più amate e lette dal publico italiano.
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Anteprima del libro
Safari di passione (eLit) - Natalie Anderson
1
Ana non sapeva che ne avrebbe fatto di tutte quelle foto. Ne aveva scattate centinaia e non aveva il coraggio di cancellarne neanche una. Per fortuna si era portata un altro paio di flash card. L'Africa era tutto ciò che si era aspettata: grande, selvaggia e incredibilmente calda. Totalmente diversa da qualunque altra cosa avesse sperimentato prima. Per questo cercava di catturarla, per poter ricordare il senso di libertà totale una volta tornata a casa.
Anche ora, con il pulmino accostato di lato alla strada nei dintorni di Arusha, lei aveva la macchina fotografica pronta. Chinò la testa da un lato per vedere cosa stesse facendo Bundy, l'autista. Parlava con qualcuno. Lo vide sorridere al forestiero, che le dava le spalle.
Anche Ana sorrise, godendosi lo spettacolo. L'amico di Bundy era un bell'esemplare di maschio. Ana si godette la sensazione gradevole; era la prima volta in un anno che reagiva in modo fisico piacevolmente a un uomo. Un brivido di eccitazione le si annidò nello stomaco, con una domanda passeggera... e se? Si mosse a disagio sul sedile e reclinò il capo di lato per vedere meglio. Oh, già. Un e se?, definitivamente.
Ridacchiò. Fantastico, era tornata alla normalità, alla fine. Capace di provare un tocco di eccitazione sessuale in modo totale, salubre e vero. Sollevò la macchina, fece un paio di scatti. E zumò.
Gli short in tessuto jeans lasciavano scoperti i polpacci abbronzati e ammiccavano a cosce ugualmente muscolose. Le mani appoggiate ai fianchi stretti accentuavano un posteriore notevole. Ma furono le spalle a conquistarla. Il torso era un triangolo dannatamente ampio, così ampio che la stoffa della camicia tirava un poco agli orli. Spalle larghe, larghissime, fatte per essere strette. Il tipo di fisico in grado di far sentire molto femminile una donna; Ana aveva una statura notevole, per cui le serviva un uomo grande per sentirsi iperfemminile. Sfortunatamente non ce n'erano molti in giro, e quando ne trovava per caso uno, lui non era mai interessato. Per qualche strana ragione, gli uomini grandi parevano sempre volere donne piccole. Per il momento, però, poteva scordare la realtà e godersi la fantasia attuale. Scattò un'altra foto. I capelli erano tagliati corti, quasi in stile militaresco. Chissà come sarebbe stato carezzare quello scalpo. Interessante.
Ma la cosa migliore, definitivamente, era l'altezza. Bundy non era piccolo, ma quel tipo era più alto di lui di almeno mezza testa. Essendo così alta lei stessa, Ana era sempre stata attratta dagli uomini alti e lui di centimetri ne aveva da vendere. In effetti quel tipo, a vederlo da dietro, aveva tutto in abbondanza. Ora, se solo si fosse girato per completare la fantasia di perfezione maschile, sarebbe stato il massimo.
Ana mollò la presa sulla macchina e stiracchiò le dita per allentare la tensione che si era accumulata nei muscoli. Sesso. Al momento stava pensando al sesso.
Wow.
Ridacchiò di nuovo e scattò un'altra foto. Sapeva che era stupido, ma si stava godendo la libertà di riprendere un bel maschio. Non avrebbe mai creduto che le sarebbe tornata la voglia. Dopo quell'ultimo anno infernale, era fantastico scoprire che c'era ancora. Non le restava che rientrare a Londra sperando di trovare i documenti firmati. Almeno avrebbe potuto andare avanti con tutto quanto. Venire fin qui era stata la cosa giusta da fare e ora aveva avuto la prova di essersi finalmente ripresa e di avere ritrovato il suo amore per la vita, nonché la sua libido.
Bundy si girò e i due uomini si allontanarono verso la parte anteriore del pulmino, dove lei non poteva più vederli. Non importava. Osservò lo schermo della sua macchina fotografica e sorrise, riguardando gli scatti del sedere maschile più bello che avesse mai visto.
Mai.
Sorrise un'altra volta. Era finita. Finalmente aveva chiuso con quella storia.
Ci fu un colpo e uno scossone e il mezzo balzò in avanti, di nuovo in movimento. Ana alzò lo sguardo mentre gli altri urlavano. Le ci volle un momento per realizzare che c'era qualcuno di nuovo a bordo e che gli altri passeggeri stavano salutando lui, che stava camminando lungo la corsia e veniva verso di lei, lo sguardo diretto, implacabile, imperscrutabile.
Ana non sapeva che fosse possibile venire congelati da una fiamma. Non riusciva a muoversi, a pensare, e non poteva credere ai propri occhi. Eppure in qualche modo stava respirando, stava vedendo e tristemente non c'era modo di negare chi stesse vedendo. E doveva crederci.
«Seb?» Ma lo aveva detto ad alta voce?
Era lui quello in short di tessuto jeans tagliati al ginocchio e T-shirt casual che mostrava bene le spalle ampie. Era lui quello con i capelli corti da soldato sexy. Era lui quello in piedi, così alto, che faceva ridere Bundy.
Era lui che aveva ispirato le sue fantasie vivaci, le prime che si era concessa da mesi.
Oh, Dio, era troppo ironico. Batté le ciglia, sperando con tutta se stessa di avere le visioni.
Invece no, era davvero Sebastian.
Il suo cervello inviò subito messaggi di blocco alla mollezza del corpo. Aveva appena guardato con desiderio il suo ex.
Sebastian Rentoul. La sua unica e sola notte di sesso puro. La sua unica avventura da una sola settimana. Il suo unico e solo impetuoso matrimonio.
Suo marito. Il padre del suo bambino. Suo marito che aveva mentito. Il suo bambino che era morto.
Mille immagini si ripresentarono nello spazio di un secondo. Il caldo e le luci del bar, il ritmo della musica e loro due così vicini, la sensualità del tocco, la risata quando avevano goduto insieme mormorando quelle folli parole. La rabbia alla scoperta del tradimento e della mancanza di comunicazione. L'angoscia solitaria della sua perdita.
Non aveva avuto la gioia di conoscere il suo bimbo. A ripensarci bene, non aveva conosciuto neppure suo marito. L'uomo di cui si era innamorata era una finzione, una fantasia del suo cuore bisognoso.
Era atroce pensare a quanto stupida fosse stata. E il dolore che ne era conseguito l'aveva quasi distrutta.
Concentrati, Ana. Concentrati.
Era finita. Era passato e lei lo aveva accantonato. Non sarebbe caduta a pezzi alla sua vista. Innanzitutto lui non sapeva metà della storia e non intendeva dirgliela. Batté di nuovo le ciglia. Stava venendo verso di lei. Ana riavvolse il nastro, riponendo i ricordi e le emozioni nella sua prigione interiore e chiudendo a chiave la porta. Spense la macchina fotografica e se la mise in grembo per non fargli vedere le foto sulle quali si era appena soffermata. Buon Dio, aveva appena sbavato su di lui!
Abbassò e si tolse in fretta la vera in platino. Non era il caso che lui vedesse che portava ancora la fede matrimoniale. Non se l'era tolta in tutti quei mesi. Lo avrebbe fatto, ovvio. Ma le avevano detto che poteva essere un detrattore nei confronti di avance sgradevoli per una donna che viaggiava sola e quindi...
La gettò nella custodia della macchina fotografica. Anche così, sul dito era rimasta una striscia di pelle più pallida. Non poteva farci nulla, però, e lui non lo avrebbe notato, non sarebbe venuto così vicino. Arrischiò un altro sguardo.
Era quasi accanto a lei. Sorrideva, ma con scarsa convinzione. Non come quella prima sera, quando l'aveva stesa con l'espressione da vieni che facciamo festa. Comunque fu sufficiente anche questo a farle alzare la temperatura corporea. Non era giusto che a un uomo del genere fosse concesso quel dono.
Ana chiamò a raccolta un sorriso luminoso, ignorando il proprio stravolgimento interiore. L'orgoglio le imponeva di mantenersi salda.
«Wow, Sebastian.» Okay, era un po' a corto di fiato. Normale, visto ciò che le stava accadendo.
Incredibile. Eccolo lì, totalmente a proprio agio come se fosse stato lui quello in safari in Africa per quasi tutto il mese. Era anche abbronzato, ma Ana sapeva che gli ci voleva poco ad assumere quel colore fantastico con il sole. Era stato così durante quei pochi folli giorni a Gibilterra. Al diavolo, non ci doveva ripensare, ora. Il calore corporeo saliva e si concentrava pericolosamente in un punto.
«Ana.» Lui non era senza fiato, sembrava tranquillo. Fece un cenno verso il posto vuoto accanto a lei. «Ti spiace se mi siedo lì?»
Il sorriso di Ana si immobilizzò. «Per niente, prego.» Si spostò verso il finestrino, per scostarsi di mezzo centimetro in più da lui. Il cuore le batteva forte e aveva i sensi allerta e i muscoli tesi.
Impossibile, impossibile. Lui non poteva essere lì. E lei non poteva pensare a... quello che aveva pensato. Non di lui. «Strano vederti qui. In Africa. Con tanti posti che ci sono.»
Sam si sedette con un sorriso diabolico. «Una bella coincidenza, eh?»
«Già.» Col cavolo. «Chi ti ha detto che ero qui?»
«Nessuno» replicò lui, innocente. «È davvero una coincidenza.»
Sì, esatto.
Si girò a guardarla, troppo vicino. «Oh, ho avuto i documenti per il divorzio.»
Quindi intendeva fare il finto tonto, eh? Casuale? Ana rese più dolce il sorriso. «E li hai firmati?»
Ti prego, ti prego, ti prego. Allora sarebbe stata davvero finita.
«Non ancora. Ti volevo vedere, prima.»
«Oh.» Perché? Non era già stato detto e fatto tutto? O piuttosto, non detto e non fatto, il che era decisamente meglio per lei. Non avevano bisogno di un post-mortem. Era stato un errore folle e stupido e la cosa migliore era cancellare tutto e andare avanti. Lontani uno dall'altra, il più in fretta possibile, visto il modo sconvolgente in cui il suo corpo stava reagendo.
Sebastian fece un paio di respiri profondi e cercò di schiarirsi le idee. Cavoli. Non aveva immaginato che lei fosse così, che apparisse così. In tutti quei mesi, quando aveva pensato a lei, gli era apparsa diversa, pallida, timida, condiscendente.
E invece eccola lì, abbronzata, capelli più lunghi, con una canotta e gli short, luminosa e sicura di sé.
Okay, era rimasta scioccata nel vederlo, glielo aveva letto in volto. Una sorpresa non gradevole. Eppure sorrideva ancora, con gli occhi velati, ma un sorriso. E un sorriso incredibile, a dire il vero.
«Volevo vederti. Volevo...» Esitò. Era finita male. Meno di una settimana dopo il matrimonio c'era stata una brutta lite e lei se n'era andata. Era stata colpa sua. E al momento si era sentito sollevato; poi il buonsenso era tornato a prevalere. E aveva iniziato a farsi domande. «Volevo essere certo che stessi bene.»
Era stato un sollievo avere finalmente sue notizie, ma ricevere le carte per il divorzio non era stato sufficiente. Non poteva firmarle e dimenticare. Doveva vedere con i propri occhi. Per essere sicuro. Non rimpiangeva molte cose della propria vita. Ma quella settimana era il suo rimpianto più grande.
«Bene.» Il sorriso di Ana non vacillò. «Come vedi, sto bene, Sebastian.»
Quell'accenno di sfida nella voce gli scivolò nel sangue come l'iniezione di un virus mortale. Il suo corpo reagì di colpo. Poteva combattere il virus, crearsi delle difese, o avrebbe ceduto alla malattia, di nuovo? «Già.» Annuì, suo malgrado. «Bene.»
Stava più che bene. Glielo confermò il brivido di eccitazione del suo corpo, la temperatura che cresceva, la consapevolezza di lei. Anche se la guardava in faccia, ogni cellula assorbiva le sue curve morbide, le gambe lunghe in vista sotto quegli short così corti. Cortissimi.
I ricordi si affollarono, ricordi sepolti. Il profumo, la risata, la scintilla negli occhi e la pelle di seta. E il suo calore.
Ora stava bollendo; del resto era in Africa, no? Non era a causa di Ana. Era il calore asciutto e inevitabile di un continente quasi sempre in preda alla siccità.
Be', non proprio. Perché non solo aveva caldo, ma era eccitato. Represse il guizzo inaspettato di desiderio. Certo che no, non di nuovo. Ripensò a quella settimana e fu come se rivedesse quegli eventi concitati e confusi che gli avevano tolto il fiato dai polmoni e il buonsenso dalla testa. Anche ora non si capacitava di come fosse potuto accadere. Di come fosse arrivato a compiere quella follia.
La rimise a fuoco e si sentì stringere dentro. E capì. Desiderio sessuale, compatibilità fisica, lussuria istantanea. Comunque la si volesse chiamare, c'era stata, a valanghe, a container interi. Ma non c'era stato nient'altro. Non avevano avuto tempo per nient'altro, e neppure l'interesse. Lui non era mai stato interessato a che ci fosse qualcosa di più.
Provò un vago senso di panico. Ora l'aveva vista. Stava bene, assolutamente, del tutto bene. Lui, però, era costretto su un pullman con lei per un'altra settimana. Non molto ben congegnato, Seb. Avrebbe voluto urlare all'autista, scendere di nuovo, ma ora erano fuori città e si dirigevano verso qualche parco naturale selvaggio. Okay. Si scostò un po' più in là. Poteva gestire la situazione, no? Poteva controllare gli