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Marito e milionario: Harmony Collezione
Marito e milionario: Harmony Collezione
Marito e milionario: Harmony Collezione
E-book161 pagine1 ora

Marito e milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dalla Grecia agli Stati Uniti, dall'Italia all'Inghilterra, innamorarsi di un milionario non è poi così difficile. Ma riuscire a rapirne il cuore non è un'impresa da tutti.



Sophy e George Savas sono stati felicemente sposati fino al giorno in cui lei ha scoperto che tutto quello in cui aveva creduto e sperato era solo una dorata finzione. In quel preciso istante Sophy capisce che la cosa giusta da fare è andarsene e non voltarsi più indietro. Quando, quattro anni dopo, riceve la notizia che George ha subito un grave incidente non può non tornare a New York da lui, e la sua vita viene sconvolta ancora una volta. George ha bisogno del suo aiuto, ma giocare alla famiglia felice è assai pericoloso quando sotto la cenere bruciano ancora sentimento e passione.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858979754
Marito e milionario: Harmony Collezione
Autore

Anne McAllister

Autrice di grande versatilità, ha vinto il premio RITA per la letteratura romantica ed è acclamata dai fan di tutto il mondo.

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    Anteprima del libro

    Marito e milionario - Anne McAllister

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Hired by Her Husband

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2010 Barbara Schenck

    Traduzione di Silvia Paola Bazoli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-975-4

    1

    Quando quella sera il telefono squillò, Sophy corse a rispondere per evitare che Lily, che si era finalmente addormentata, potesse risvegliarsi.

    Quel pomeriggio avevano festeggiato il quarto compleanno della bambina insieme a quattro amichette e alle loro madri. Avevano trascorso le prime ore in spiaggia e poi a casa dove avevano cenato tutte insieme e concluso l’incontro soffiando sulle candeline della torta.

    Lily era entusiasta e aveva dichiarato che quella festa era senza dubbio la più bella del mondo. Una volta salutate le altre bambine, l’euforia, però, aveva lasciato il posto alla stanchezza e la piccola era crollata.

    Sophy le aveva fatto un bagno caldo, quindi coccolata a lungo e poi l’aveva messa a letto con Chloe, il suo nuovo cagnolino di pezza.

    La casa era ridotta a un campo di battaglia e l’ultima cosa di cui Sophy aveva bisogno, era che sua figlia si risvegliasse. Così, al primo squillo acuto del telefono, balzò in piedi e corse a rispondere.

    «Pronto?»

    «La signora Savas?»

    All’altro capo c’era una voce maschile sconosciuta, ma non fu questo a farla trasalire, bensì il nome con il quale l’aveva chiamata. Sua cugina e socia in affari era diventata la signora Savas un anno prima, quando aveva sposato Christo, ma era improbabile che la cercassero a casa di Sophy.

    Per un attimo esitò, quindi rispose con voce ferma.

    «No, mi dispiace. Ha sbagliato numero. Richiami durante l’orario di lavoro e troverà Natalie.»

    «A dire il vero sto cercando la signora Sophia Savas. Ho fatto il...» L’uomo s’interruppe un attimo, poi ripeté il suo numero di telefono.

    Sophy non lo udì nemmeno. Era rimasta paralizzata nel sentirsi chiamare Sophia Savas.

    Un tempo era stato quello il suo nome, anche se solo per pochi mesi.

    Si sedette lentamente, stringendo con forza la cornetta.

    «Pronto? È ancora lì?»

    Sophy inspirò rapidamente.

    «Sì» mormorò. Si sorprese che la sua voce risuonasse fredda, calma, controllata. «Sono Sophia McKinnon» lo corresse. «Un tempo ero la signora Savas.»

    «La moglie di George Savas?»

    Per Sophy fu come ricevere un pugno allo stomaco.

    «S-sì» balbettò.

    No. Forse. Non era possibile che lei fosse ancora la moglie di George. Oppure sì? Cominciava a girarle la testa.

    Era certa che George avesse divorziato da lei in quei quattro anni. Ne era convinta, anche se non aveva mai ricevuto nessun documento in merito. A dire il vero non aveva voluto porsi il problema, perché aveva evitato in tutti i modi di pensare a George.

    Non si sarebbe dovuta sposare con lui e lo sapeva. Tutti lo sapevano.

    Per quanto la riguardava era del tutto irrilevante essere sposata o divorziata a quel punto della sua vita.

    Non aveva assolutamente intenzione di sposarsi di nuovo. Ma forse George era pronto a un altro matrimonio.

    Sophy si sentì gelare e provò un dolore forte in mezzo al petto, nonostante continuasse a ripetere a se stessa che non le importava se George fosse sul punto di risposarsi.

    Forse si era finalmente innamorato. Sapeva di non essere stata la donna dei suoi sogni. Probabilmente aveva conosciuto una adatta a lui. Era quello il motivo di quella telefonata? L’uomo all’altro capo del telefono era un avvocato? Stava per comunicarle che George aveva chiesto il divorzio?

    Sophy deglutì e provò a ripetersi per l’ennesima volta che non le importava più nulla di George. Dopotutto il loro matrimonio era stato una finzione. Era stata lei a illudersi...

    «Sì, sono io Sophia Savas» rispose finalmente.

    «Sono il dottor Harlowe. Mi dispiace comunicarle che suo marito ha avuto un incidente.»

    «Sei sicura?» chiese Natalie.

    Lei e suo marito Christo erano accorsi non appena Sophy li aveva avvisati.

    «Te la senti di andare fino a New York? È all’altro capo del Paese.»

    «Lo so e sono sicura di quello che faccio» rispose Sophy mentre gettava delle cose a casaccio in una valigia. Quello che contava non era il luogo dove si stava recando, ma la persona dalla quale stava andando.

    «Lui mi è stato vicino quando ho avuto bisogno, ricordi?»

    «Con la pistola puntata alla tempia» ribatté Natalie.

    «Smettila» le intimò Sophy.

    Si ricordò di infilare un paio di scarpe da ginnastica nella sacca. Gli anni trascorsi a New York le avevano insegnato che era meglio indossare scarpe comode.

    «Credevo che aveste divorziato» disse Natalie.

    «Lo credevo anch’io. Be’, in realtà non ho mai ricevuto dei documenti da firmare, ma...» Si strinse nelle spalle. «Ecco, pensavo che George si fosse occupato di tutto da solo.»

    Era la sua specialità prendersi cura delle cose e delle persone. Era quello che aveva fatto anche con lei e Lily.

    Sophy chiuse la sacca e sollevò lo sguardo su sua cugina Natalie.

    «Se ci fosse un modo eviterei questo viaggio, mi devi credere. Ma non c’è. Stando ai documenti, io sono la parente più prossima di George. È privo di conoscenza e forse dovranno intervenire. Non sanno quanto siano estesi i danni, per ora lo tengono sotto controllo, ma se la situazione dovesse peggiorare...»

    Sophy s’interruppe senza riuscire a ripetere quanto le aveva spiegato il dottore.

    «Sophy» mormorò Natalie con dolcezza.

    Lei raddrizzò le spalle e inspirò profondamente.

    «Lo devo fare» disse con fermezza. «Quando aspettavo Lily ed ero sola, lui mi è stato vicino.»

    Era vero. L’aveva sposata per dare un padre a Lily e per attribuirle il nome dei Savas.

    «Glielo devo. Mi sto sdebitando con lui.»

    Natalie la guardò con aria dubbiosa, poi però annuì.

    «Credo di capire» ammise, ma non riuscì a trattenere uno scatto di impazienza. «Mi chiedo solo come possa un uomo adulto farsi investire da un camion.»

    Uno distratto e con la testa nelle nuvole può, pensò Sophy.

    «Non lo so. Ti ringrazio di essere corsa qui e di essere disposta a prenderti cura di Lily durante la mia assenza. Ti chiamo domattina e fissiamo una videochiamata, così Lily mi potrà vedere. Non sopporto l’idea di partire senza salutarla.»

    Era la prima volta che lasciava Lily in quattro anni, ma non poteva rischiare di svegliarla, perché sapeva che la bambina le si sarebbe aggrappata e le avrebbe reso impossibile partire.

    «Starà bene» la rassicurò Natalie. «Ora vai e abbi cura di te» aggiunse.

    «Certamente, andrà tutto bene» ribatté Sophy e abbracciò la cugina, mentre Christo prendeva il suo bagaglio.

    Sophy si concesse solo un’ultima sosta di fronte alla camera di sua figlia. Restò sulla soglia a osservarla mentre dormiva profondamente, i capelli scuri sparpagliati sul cuscino. Assomigliava a George. Anzi, no, si corresse mentalmente. Assomigliava ai Savas. George non aveva nulla a che fare con lei, anche se sul comodino della bimba c’era una sua foto con Lily di pochi giorni fra le braccia.

    Lily non lo poteva ricordare, ma sapeva chi era. Aveva cominciato molto presto a chiedere chi fosse suo padre, dove fosse e quando sarebbe tornato.

    Un’infinità di domande alle quali sua madre non aveva saputo dare risposte adeguate.

    Aveva fatto del suo meglio. Aveva cercato di convincere la bambina che George le voleva bene e le aveva anche promesso che un giorno l’avrebbe conosciuto.

    «Quando?» aveva insistito lei.

    «Più avanti, quando sarai più grande» aveva risposto Sophy vagamente.

    E se lui fosse morto? No! Era davvero impossibile, George non poteva morire. George le era sempre sembrato forte e indistruttibile.

    «Sophy?» Era Natalie che sussurrava alle sue spalle. «Christo ti sta aspettando in auto.»

    «Arrivo» rispose e si precipitò all’ingresso. Sua cugina la guardava preoccupata e lei si sforzò di sorriderle.

    Natalie l’abbracciò nuovamente, poi la fissò.

    «Sophy, non sei ancora innamorata di lui, vero?» le chiese.

    Lei si scostò e scosse la testa.

    «No» rispose con fermezza. Non era possibile e lei non lo voleva. «Assolutamente no!»

    Non gli stavano somministrando gli antidolorifici e George poteva anche accettarlo, nonostante il dolore lancinante nella testa. Quello che non tollerava, era che non gli permettessero di dormire.

    Ogni volta che scivolava nel sonno, lo osservavano, lo studiavano, lo interrogavano, gli rivolgevano delle domande con il tono che si usa con i bambini piccoli, gli puntavano un fascio di luce negli occhi, gli chiedevano come si chiamasse, quanti anni avesse, chi fosse l’attuale presidente.

    Che razza di domande idiote! Lui non ricordava la sua età o il presidente prima dell’incidente, figurarsi dopo essere stato investito da un camion.

    Se gli avessero chiesto come determinare la velocità della luce o le proprietà dei buchi neri, avrebbe saputo cosa rispondere. Avrebbe anche potuto parlare per ore, ma nessuno gli poneva quelle domande.

    Medici e infermiere se ne andavano per un po’, ma puntualmente tornavano e lo tormentavano, fissandolo preoccupati perché non ricordava se aveva trentaquattro o trentacinque anni.

    «In che mese siamo?» chiese lui. Ricordava che il suo compleanno era a novembre.

    «Non sa che mese è» mormorò un dottore e prese appunti.

    «Non importa» ribatté George irritato. «Jeremy come sta?»

    Era l’unica cosa che gli stava realmente a cuore. Quando chiudeva gli occhi rivedeva il suo vicino di quattro anni che si lanciava in mezzo alla strada per recuperare la palla. Vedeva lui e con la coda dell’occhio il camion che gli puntava addosso.

    «Come sta Jeremy?» chiese ancora George.

    «Sta bene, ha solo qualche graffio» rispose il dottore, puntandogli un fascio di luce negli occhi. «È già tornato a casa. Santo cielo, stai fermo e tieni gli occhi aperti George!»

    Sicuramente Sam Harlowe si mostrava più paziente con gli altri ammalati. Ma lui e Sam erano stati alle elementari insieme.

    Gli sollevò il mento e mosse la luce da un occhio all’altro, procurandogli un dolore insopportabile.

    «Bene, ora devi riposare. Lo controlli regolarmente» aggiunse, rivolto all’infermiera. «Mi riferisca qualunque cambiamento. Le prossime ventiquattro ore sono quelle critiche.»

    George aprì gli occhi.

    «Credevo avessi detto che stavo bene.»

    «Pensa a riposare George. Fra un po’ torno da te.»

    Suonava più come una minaccia che come una promessa. George rimase solo con l’infermiera e la fissò irritato. «Può andarsene anche lei» disse.

    Ne aveva abbastanza di domande e visite e se chiudeva gli occhi, la testa

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