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Il volto del male (eLit): eLit
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E-book314 pagine4 ore

Il volto del male (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Siamo in Florida. Sotto il sole cocente, in un clima mite e spumeggiante, si annidano le ombre più pericolose e i segreti più imperscrutabili dell’animo umano. Ricordi inquietanti, presunti veggenti, sette religiose animate da propositi non proprio candidi... Una festa, un innocuo raduno di ragazzi si trasforma nel giro di poche ore in un massacro senza precedenti.
Chloe Marin, unica sopravvissuta, con la sua testimonianza saprà condurre a un'apparente verità. Dieci anni dopo, però, a indagini chiuse, le cose sono destinate a nuovi e agghiaccianti sviluppi. Eppure, in tanta marea d’orrore, ci sarà posto per un’importante storia d’amore.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788858988992
Il volto del male (eLit): eLit
Autore

Heather Graham

New York Times and USA Today bestselling author Heather Graham has written more than a hundred novels. She's a winner of the RWA's Lifetime Achievement Award, and the Thriller Writers' Silver Bullet. She is an active member of International Thriller Writers and Mystery Writers of America. For more information, check out her websites: TheOriginalHeatherGraham.com, eHeatherGraham.com, and HeatherGraham.tv. You can also find Heather on Facebook.

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    Anteprima del libro

    Il volto del male (eLit) - Heather Graham

    PROLOGO

    Argento.

    Era il colore della notte, della luce della luna piena che filtrava attraverso le tende aperte del soggiorno.

    Mentre entrava con circospezione, calcolando mentalmente la pianta della casa, si meravigliò della luminosità della notte.

    Si fermò di fronte a un giovane che dormiva, poi si accovacciò ed esaminò il suo volto. Così giovane, illuminato da un bagliore color latte, caldo e delicato.

    Appoggiò una mano forte e guantata sulla sua bocca, poi gli recise la gola, con la lama affilata del coltello che fendeva la carne come un motoscafo l’acqua di un mare calmo. Non era facile come sembrava nei film. Anche con una lama così tagliente, richiedeva un certo sforzo. E abilità. Lui li aveva entrambi.

    Il ragazzo fece un leggero gorgoglio, ma nulla di più. A mezzo metro di distanza, una giovane donna dormiva sul pavimento stringendo un cuscino tra le braccia. Non aveva sentito nulla.

    Le si avvicinò.

    Aveva i capelli color oro.

    La portò in un mondo più glorioso con un rapido e freddo calcolo, quindi si soffermò a guardarne il volto. Rimase immobile per un istante, poi si disse che doveva proseguire. Non aveva ancora raggiunto il suo obiettivo. Certo, non lavorava da solo, tuttavia...

    Non poteva essere certo che nessuno rovinasse i piani. Senza contare che la missione era la sua.

    Si fermò di nuovo, immobile. Silenzio. Era il momento di spiegare le sue ragioni prima di portare a termine la missione. Immerse il dito guantato nella gola della ragazza morta, quindi andò verso il muro, scrivendo rapidamente in modo che il sangue restasse fresco e brillante. C’era ancora tanto lavoro da fare.

    Una nuvola oscurò la luce della luna per qualche breve istante.

    Nero.

    Davvero a proposito.

    Era il colore della sua anima.

    Rosso.

    Scuro, cremisi intenso.

    Il colore colava, cupo e denso, sul pavimento di marmo bianco.

    All’inizio, nascosta sotto l’enorme letto nella camera principale, Chloe Marin vide soltanto l’intensità di quel colore. Era così paralizzata dal terrore che non riusciva a capire.

    Neppure il tempo aveva un senso.

    Non sapeva se era sveglia da pochi secondi oppure da un quarto d’ora.

    Mentre dormiva aveva sentito qualcosa, un rumore, e sebbene l’avesse svegliata, non si era spaventata.

    Dopotutto, la governante stava dormendo da qualche parte dentro la proprietà, così come le due domestiche fisse, e c’erano almeno una ventina di giovani tra i sedici e i ventuno anni sparpagliati in giro per la casa.

    David Grant, un astro del football grande e grosso, era svenuto sul divano al piano di sotto. E Kit Ames, la sua ragazza, aveva preteso di dormire sul pavimento, pur di stargli vicino. Proteggeva il suo territorio con più ferocia dei giocatori sul campo.

    Tuttavia qualcosa di vago l’aveva messa in stato di allerta. Non erano i movimenti naturali dei ragazzi. Era una cosa indefinibile, come lo strisciare insidioso di un serpente nell’erba.

    Divideva la stanza con altre due ragazze, che all’inizio parevano dormire entrambe pacificamente. Ma si era resa conto che qualcosa non andava. Aveva cercato di svegliare Jen Petersen, però era addormentata troppo profondamente. Victoria Preston, invece, aveva appena iniziato a scuotersi quando Chloe vide l’uomo che entrava nella stanza.

    Era completamente vestito di nero, con quella che sembrava una tuta da sub e un passamontagna aderente che lasciava scoperti solo gli occhi e la bocca. Non aveva visto né lei né Victoria, ma andò dritto verso Jen e la fissò un istante.

    Poi, prima che Chloe potesse muoversi, colpì.

    Cercò di non gridare e premette una mano sulla bocca di Victoria. Il letto di Jen era vicino alla porta, perciò per fuggire dovevano raggiungere il bagno che collegava la loro stanza con la camera accanto. Afferrò il braccio di Victoria e la trascinò in bagno, sbattendo la porta alle loro spalle.

    A quel punto Victoria cominciò a gridare, e Chloe la spinse nel corridoio. Mentre cercava di raggiungerla, qualcuno chiuse la porta dall’esterno, non lasciandole altra scelta che tornare indietro.

    Si rese conto che nella casa c’era più di un intruso.

    Più di un assassino.

    La porta della camera da letto cominciò ad aprirsi e qualcuno trascinò dentro un corpo. Un grosso corpo.

    Chloe si precipitò sotto il letto.

    Fu allora che vide rosso.

    Cremisi. Che colava sul pavimento.

    Gocciolava dall’alto. Da un corpo sopra il letto.

    Cercò di non gridare e attese, ascoltando. Riuscì a sentire dei passi. Dal suo nascondiglio vide l’assassino che si infilava dei sacchetti da freezer sopra le scarpe.

    Erano due, uno in questa stanza e uno nell’altra. O ce n’erano altri? E Victoria era riuscita a scendere di sotto?

    Lo guardò dirigersi furtivamente verso il bagno.

    L’avrebbe trovata lì sotto il letto. Era inevitabile.

    Sapendo di non avere scelta, rotolò fuori con attenzione, senza far rumore, correndo poi a piedi nudi verso la porta che conduceva al corridoio.

    Lì non vide nessuno. Sperava di trovare qualche altro superstite.

    Niente. Nessuno.

    Corse lungo il corridoio per scendere al piano di sotto. Una luce ocra riempiva il soggiorno in fondo all’imponente scalone.

    Anche lì il pavimento di marmo era colorato di rosso.

    E sul muro c’era una frase scritta in rosso.

    Morte ai peccatori!

    C’era pure un’immagine...

    Una strana mano disegnata col sangue.

    Sentì qualcosa muoversi alle sue spalle. Brad Angsley, il cugino adolescente di Victoria, uscì barcollando da una delle altre camere, tenendosi la testa.

    Gli corse incontro.

    «È proprio dietro di noi!» gridò lui.

    «Muoviti!» ribatté, e lo aiutò a scendere le scale.

    Quando raggiunsero il grande ingresso con le due porte, si azzardò a guardarsi rapidamente alle spalle.

    Qualcuno li stava inseguendo, un altro uomo in nero, con una specie di zaino o borsone in spalla.

    Lottò brevemente con la serratura, poi spalancò le porte e corse fuori, con Brad aggrappato alla spalla.

    Raggiunsero il lungo viottolo di ghiaia che portava al viale d’accesso e quasi si persero in mezzo alla collezione di BMW, Audi e auto malandate che appartenevano ai ragazzi ospiti della villa.

    Dietro di loro, a breve distanza, riusciva a sentire il tonfo dei passi che si avvicinavano.

    Si voltarono insieme, e vide il coltello con la lama insanguinata che scintillava alla luce della luna.

    Appoggiò Brad a una macchina e afferrò una statua di Poseidone.

    Era pesante, ma se ne accorse appena mentre la strappava da terra e la scagliava con entrambe le braccia.

    Colpì l’inseguitore alla testa. Questi vacillò, e lei lanciò un grido che parve durare in eterno, finché non si rese conto che Brad era salito sulla macchina, facendo partire l’allarme.

    Improvvisamente si accesero delle luci, che illuminarono il viale. Chloe vide Victoria che spuntava barcollando da dietro gli alberi, abbracciata a Jared Walker, che pareva illeso, anche se con il volto color cenere.

    Agitava un cellulare e urlava: «Resistete! Sta arrivando aiuto!».

    Benedetta tecnologia, pensò Chloe.

    Le luci provenivano dalle auto della polizia, che arrivarono numerose.

    Chloe guardò fisso il suo aggressore, pregando che cadesse, che non riuscisse a raggiungerli prima dell’arrivo della polizia.

    L’uomo le restituì lo sguardo, con la maschera strappata nel punto in cui la statua lo aveva colpito.

    Ma non si avvicinò; diede un’occhiata ai poliziotti che si stavano avvicinando, si voltò e corse via, sparendo fra le tenebre.

    Poliziotti e paramedici cominciarono a correre per la tenuta.

    Qualcuno prese Brad; qualcun altro afferrò Chloe, che aprì la bocca per gridare.

    «Va tutto bene» la rassicurò la voce di un poliziotto. «È ferita. Le serve aiuto.»

    «Non sono ferita» disse, poi sollevò le mani e si accorse che erano piene di sangue.

    Color cremisi.

    Un’oscurità macchiata di rosso discese su di lei, e perse conoscenza.

    Era finita, eppure non lo era.

    Nei giorni e nei mesi seguenti, continuò a rivederli.

    I suoi amici, con i loro lati positivi e negativi, che non avrebbero mai avuto la possibilità di maturare e diventare brave persone o bastardi egoisti.

    Tormentavano i suoi sogni.

    Li vedeva morti, distesi sul pavimento dentro pozze di sangue.

    Li vedeva chiedere aiuto.

    Supplicarla.

    «Come posso aiutarvi...? Ditemelo» aveva chiesto a voce alta più di una volta.

    Ma non rispondevano mai.

    E durante la terapia, riuscì a convincersi che non li vedeva davvero, ma che erano gli effetti del senso di colpa per essere sopravvissuta, e che solo il tempo avrebbe rimarginato una tale ferita.

    Finalmente un giorno scivolarono via, come la nebbia grigia e argentata, e lei riprese a vivere.

    1

    La vecchia villa dei Branoff sulla spiaggia era meravigliosa. Aveva più di ottant’anni, costruita nello stile mediterraneo-spagnolo della metà degli anni venti. Non era lontana da un’abitazione simile dove pochi anni prima era stato ucciso Gianni Versace, perciò la zona era spesso meta di turisti.

    La villa meno famosa, ora quartier generale e dormitorio informale per le modelle della rinomata Bryson Agency, era situata su di un acro di terra, con uno straordinario prato davanti. I giardini e i viali erano eleganti e i cancelli di ferro che la circondavano quella sera non erano chiusi a chiave. Tuttavia l’ingresso non era facile. Alla festa dell’agenzia potevano partecipare soltanto persone bellissime ed eleganti, in particolare donne.

    E naturalmente i ricchi. Dopotutto, era la zona lussuosa di Miami Beach.

    Mentre entrava dai cancelli, mostrando l’invito e la carta d’identità contraffatta all’incaricato in smoking, Luke sapeva di rientrare nella categoria ricchi, almeno per questa sera. Grazie al fatto che trascorreva la maggior parte della sua vita in calzoncini e T-shirt, i pochi completi griffati che possedeva erano in ottimo stato. E grazie alla sua corporatura alto-ma-non-troppo, era in grado di scomparire in mezzo a qualunque folla. Non era un poliziotto, ma era in incognito.

    Normalmente non usava occhiali da sole, ma questa volta aveva pensato che fossero adatti. Ringraziò i due energumeni al cancello, che si fecero da parte squadrandolo con attenzione.

    Dovevano aver notato subito che, sebbene avesse un aspetto attraente, non era giovane, né perfetto come un modello. Nel loro mondo, questo significava che aveva i soldi.

    Venne accolto da una cascata di ciao e di sorrisi, a cui rispose cercando di apparire come un uomo d’affari con un interesse personale per la moda.

    La Bryson Agency era una delle agenzie più quotate e rispettabili nel campo, conosciuta per aver creato alcune delle modelle più pagate del secolo.

    Anche se quanto alla legalità...

    Era così irreprensibile, in effetti, che quando era scomparsa una ragazza durante un servizio fotografico, soltanto i suoi familiari e amici avevano cercato di indagare sull’agenzia.

    La Bryson assumeva ragazze bellissime e offriva loro il mondo; la scomparsa di un’aspirante modella non era sufficiente a tenere alla larga i cacciatori di stelle.

    Due mesi prima, Colleen Rodriguez, una tipica bellezza di Miami, con geni cubani e irlandesi, era scomparsa durante un servizio fotografico per l’agenzia alle Keys. Né le autorità della Contea di Monroe né quelle di Miami-Dade erano riuscite a svelare l’enigma, e il caso era rimasto aperto. Alcuni credevano che fosse stata uccisa, altri che fosse scappata con qualcuno che le aveva offerto una carriera migliore. Viva o morta che fosse, Colleen era maggiorenne quando aveva accettato il lavoro. Senza un corpo né le prove di un delitto, era stata classificata ufficialmente come persona scomparsa.

    Ma Luke non pensava che se ne fosse andata di sua volontà. Anche la sua migliore amica, Rene Gonzales, lavorava per l’agenzia. Rene stava evitando i propri genitori, certa che il loro istinto di protezione in seguito alla scomparsa di Colleen le sarebbe costato la carriera, quindi, che ci credesse davvero oppure no, insisteva che l’amica fosse scomparsa di proposito. Perciò eccolo qui, improvvisato stilista di belle speranze, alla ricerca di un modo per parlare con Rene e vedere se poteva aiutarlo a scoprire la verità su Colleen.

    «Salve.» Quando lo vide arrivare, una bionda flessuosa distese le lunghe gambe a si alzò, offrendogli una mano perfettamente curata. «Io sono Lena Marconi. E lei è...?»

    Luke estrasse un biglietto da visita. «Jack Smith, della Mermaid Designs» disse. «Piacere di conoscerla.»

    «Mermaid Designs?» ripeté Lena, spalancando gli occhi grigi. «Abbigliamento da spiaggia?»

    «Esattamente, abbigliamento da spiaggia femminile» precisò Luke. «Bikini, tankini, ini di ogni tipo.»

    «Meraviglioso» si entusiasmò la bionda.

    Una donna dai capelli neri si alzò con un movimento fluido ma poco spontaneo.

    «Un disegnatore di costumi da bagno! Perfetto. Lo sa, l’agenzia sta giusto preparando il prossimo calendario di costumi» intervenne offrendogli la mano. «Maddy Trent, da Amarillo, Texas, al momento innamorata di South Beach. Piacere di conoscerla, signor Smith.»

    «Piacere mio» le assicurò.

    Sedute nella veranda c’erano altre due donne, entrambe bionde. La prima, molto chiara di pelle, con grandi occhi azzurri e uno sguardo divertito e amichevole, si alzò.

    «Salve, signor Smith. Sono Victoria Preston. La prego, si accomodi, così le presento Myra, Myra Allen, la responsabile dell’ufficio di Miami, e le faccio portare qualcosa da bere.»

    La quarta donna, seduta su una sedia a dondolo di vimini, non si mosse, sebbene lo scrutasse con attenzione. Aveva una sfumatura di rosso tra i lunghi capelli mossi. Gli occhi erano verdi, color lime, come quelli di un gatto. Continuò a esaminarlo pensierosa, senza parlare. Strano, non sembrava volesse apparire fredda e distaccata, semplicemente preferiva studiarlo che presentarsi.

    Interessante.

    «Chloe?» la chiamò dolcemente Victoria Preston.

    «Oh, certamente.» La donna con i capelli color tramonto si alzò. Era alta, forse uno e settantacinque. Portava un paio di sandali con dei tacchi alti con una strana forma, probabilmente l’ultima novità. Non era una bellezza classica, come Victoria, ma era la più interessante.

    Erano i suoi occhi... vellutati e con un che di misterioso. Un caldo sorriso evidenziava le labbra carnose e i denti bianchi, perfetti. Non era magra come le altre, assomigliava di più a un’atleta.

    Gli offrì la mano. «Chloe... Marin» mormorò con una strana esitazione, come se non volesse rivelare davvero la propria identità.

    O forse, istintivamente, non si fidava di lui.

    «Chloe, felice di conoscerla» ribatté.

    «È uno stilista?» chiese lei.

    Lui annuì.

    La donna sorrise, ma con sguardo scettico.

    «Chloe, presentiamo a Myra il signor Smith» incalzò Victoria.

    «Oh, ragazze, guardate chi sta arrivando!» esclamò a quel punto Maddy con voce strascicata. «È Vincente!»

    «Vincente... chi?» chiese Lena.

    «Vincente. Solo Vincente» disse Maddy. «C’era un articolo a due colonne su di lui su GQ

    Luke cercò di non scoppiare a ridere; lui era appena diventato cibo per gatti per Maddy da Amarillo.

    «Venga dentro, signor Smith» lo invitò Victoria, e gli fece strada. Chloe li seguì.

    All’interno la casa era ancora più elegante. Un cameriere in livrea gli offrì dello champagne da un vassoio d’argento. Lui accettò ringraziando, notando che le donne non seguirono il suo esempio.

    Proseguirono fino a un soggiorno con soffitti altissimi, una scalinata curva bianca e pavimenti di marmo ricoperti da preziosi tappeti.

    Tre coppie di portefinestre conducevano a un enorme patio con piscina e vasca di acqua calda adiacente.

    Uscirono e si diressero verso un tiki bar in fondo alla piscina, salutando piccoli gruppi di persone vestite in modo stravagante.

    «Quella è Myra» disse Victoria, indicando una donna attraente sulla quarantina, con un semplice vestito nero, capelli corti neri e scarpe nere con tacco medio. «Sta parlando con le signore di Rostini. Le conosce?»

    Non prima di oggi, quando si era imbottito di nozioni sull’industria della moda. «Rostini» disse, annuendo. Sentì che Chloe lo guardava sospettosa. Perché?

    «Sono una coppia incantevole. Quando pensi che si sono conosciute al college e il loro matrimonio dura da più tempo di molti altri... Sono le migliori per gli abiti da cocktail, secondo me» aggiunse.

    Myra alzò lo sguardo in quel momento e li vide avvicinarsi. L’aveva incontrata una sola volta, per preparare il suo invito alla festa, ma tenne lo sguardo vago, come se non l’avesse mai vista prima.

    Lei sorrise e fece un cenno di saluto, con un’espressione simile alla sua. Anche Myra Allen era stata una topmodel, finché un servizio fotografico sulla spiaggia non le aveva lasciato una cicatrice sulla guancia. Durante la convalescenza aveva accettato un ruolo amministrativo nella Bryson Agency e un buon accordo con la compagnia assicurativa. Invece di sottoporsi alla chirurgia estetica oppure affidarsi al trucco e riprendere il lavoro di modella, aveva fatto una rapida carriera all’interno dell’agenzia e ora dirigeva una delle loro sedi più redditizie, la villa di Miami Beach.

    Era ancora una donna bellissima.

    «Signor Smith» lo salutò. «Ce l’ha fatta a venire. Ne sono lieta.»

    Gli tese la mano, e lui si fece avanti per prenderla, chiedendosi se dovesse baciarla. No, un gentiluomo francese lo avrebbe fatto di sicuro, ma lui era un immigrato inglese che viveva e lavorava negli USA.

    Le strinse la mano.

    «Signor Smith, Josie Rowan e Isabel Santini. Sono certa che saprà...»

    «Sono le Rostini, sicuro» la interruppe, sorridendo alle donne.

    A questo punto Myra prese il controllo della situazione, riportandolo nel soggiorno e presentandogli diverse persone del settore.

    C’era anche Harry Lee, un pezzo grosso del gruppo Bryson. Era un uomo di circa sessant’anni, distinto e vestito in modo impeccabile. Un altro uomo, difficilmente classificabile - basso, magro e con grandi occhiali dalla montatura nera - pareva il suo assistente, a sua completa disposizione. Ovviamente era circondato da un’autentica folla di donne.

    Harry Lee parve prendere sul serio Luke e fu lieto di dargli il benvenuto alla festa. «Non c’è niente come Miami Beach. Tutti i nostri uffici producono un calendario di costumi da bagno, ma questo è il più importante. Miami è famosa per i bei corpi. Corpi da spiaggia. Certo, troppe donne se ne vanno in giro con vestiti davvero striminziti...» Fece una pausa e rabbrividì. «Tuttavia qui ci sono anche vere bellezze, e naturalmente noi ne approfittiamo. Myra mi ha detto che realizzerà il suo primo catalogo insieme al nostro calendario. Allora, benvenuto. Come vedrà, alla Bryson ci sono sempre le modelle più spettacolari e più dotate.»

    Luke concordò educatamente, poi proseguì.

    Verso le giovani donne.

    Quelle spettacolari e dotate.

    Non poté fare a meno di riconoscere Lacy Taylor, la bellezza acqua e sapone che aveva monopolizzato le copertine di almeno una dozzina di riviste importanti. Era bella, ovviamente, ma con lo sguardo perso, e si accorse che era fatta e ubriaca. Ricomparve Lena Marconi, energica e gentile, che gli concesse qualche minuto quando non doveva rincorrere Vincente. Poi c’era Jeanne LaRue, un nome d’arte, ne era sicuro, che era alta, flessuosa e ultrachic, ma anche grintosa, l’opposto della bellissima e naturale Lacy. C’erano molte altre modelle, ma nessun segno di Rene Gonzales.

    Luke riuscì a non complicarsi troppo la vita facendo conversazione, perché gli altri parevano felici di parlare quasi sempre. Lui si limitava ad annuire di tanto in tanto e loro sembravano gradire.

    Fu comunque in grado di scoprire alcune cose; doveva solo fare attenzione con le domande. Chiese a Myra di Rene, scoprendo che sarebbe arrivata prima o poi.

    Jeanne LaRue, seduta con lui al bar, non era interessata all’argomento. Conosceva Rene, ma secondo lei era goffa, priva di esperienza, perciò se aveva intenzione di realizzare un servizio fotografico sulla spiaggia, non avrebbe fatto un grande affare a chiamarla.

    «Victoria sa il fatto suo. E Lacy, certo. Finché riesce a tenerla sobria. E ovviamente la sottoscritta. Io sono la migliore. Soprattutto in costume.»

    Lui aggrottò le sopracciglia. «Che mi dice di quell’altra ragazza? Colleen Rodriguez? Per un paio di settimane la sua scomparsa era su tutti i giornali, poi la gente sembra essersi scordata di lei.»

    Jeanne arricciò il naso.

    «Perché è chiaro che la sciocchina si è innamorata e ha deciso di tagliare la corda.»

    «Be’, è strano. Se ti innamori, non lo annunci al mondo intero?»

    Era evidente che Jeanne si stesse infastidendo con tutto questo parlare di un’altra donna. «Forse è una specie di trovata pubblicitaria. Sa, una sorta di imbroglio. Spero che la mettano in prigione quando la troveranno, ha quasi rovinato tutto.»

    «Oh, quindi non è preoccupata? Non era, non è una sua amica?»

    «Certo, siamo tutte amiche. Ma lei si è comportata come una marmocchia egoista. Eravamo tutte sull’isola a girare uno spot, ed eravamo felici, poi lei è scomparsa. Con il portafogli e il passaporto, vorrei sottolineare.»

    «Ma non ha preso le sue cose?»

    Jeanne agitò una mano.

    «Non lo so cosa abbia preso o cosa non abbia preso. Non dividevo la stanza con lei. Non la divido con nessuno. Fa parte del mio contratto. Può parlare con Lacy, erano in camera insieme. Colleen è stata furba. Lacy è la ragazza del momento, lei lo sapeva e le stava intorno, si prendeva cura di lei. Se c’è qualcuno che sa qualcosa, quella è Lacy. Certo, Lacy è quasi sempre fuori

    Luke prese nota mentalmente di parlare con Lacy, preferibilmente quando era sobria. Ma questa sera doveva trovare Rene.

    Jeanne stava proseguendo con la sua gara.

    «Chloe Marin va bene per qualcosa di sportivo. Però è vero che ha quegli occhi eccezionali. E grossi seni, che ho sentito dire siano naturali. Personalmente, credo che un po’ di silicone aiuti. E devo ancora incontrare un uomo che non sia d’accordo. Che cosa mi dice a proposito, signor Smith?»

    Si accorse che era a caccia di un complimento, perché si sporse in avanti e gli si avvicinò.

    Lui abbassò la testa, cercando di non sorridere. Senza dubbio si aspettava che accettasse la sua offerta piuttosto esplicita. C’era stato un periodo della sua vita in cui l’avrebbe fatto, ma era passato. Non che avesse una relazione seria. Non

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