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Sogni audaci (eLit): eLit
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E-book189 pagine2 ore

Sogni audaci (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Timida e impacciata, Jane Demeo è stanca di essere relegata a ruolo di mobilio nell'ufficio in cui lavora. Ha una cotta feroce per il suo capo, Reid Forester, e vuole che lui la noti. Per questo e perché comunque è convinta di valere molto di più si trasforma in un'altra donna: Sasha. Abiti, capelli, atteggiamento, la sua trasformazione è talmente radicale che Reid sembra non riconoscerla. La invita a cena, ma sul più bello lei abbassa la maschera.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2018
ISBN9788858985359
Sogni audaci (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Sogni audaci (eLit) - Emily McKay

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Her Wildest Dreams

    Harlequin Temptation

    © 2006 Emily McKaskle

    Traduzioni di Tiziana Tursi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-535-9

    1

    L’amore trepidante era roba per sciocche adolescenti. L’assioma bastava a rinsaldare Jane Demeo nel segreto convincimento che ciò che provava per il suo capo, Reid Forester, non fosse di quel genere.

    Un’impudica lussuria, alternata a carnale attrazione, e sottesa da un’ormai patologica componente tachicardica descrivevano meglio il suo caso.

    Reid Forester era il classico bravo ragazzo, uno stimato e quotato professionista che mai si sarebbe lasciato tentare da una tresca con una dipendente.

    Mentre lei, di gran lunga più possibilista e moralmente duttile, quella tresca non faceva che sognarla a occhi aperti.

    Ed era esattamente quella l’attività che la vedeva impegnata dietro la scrivania quando Audrey, l’assistente personale di Reid, fece capolino nel cubicolo e le consegnò un biglietto.

    «C... cos’è?»

    Il tempo di tartagliare quella domanda e Audrey era sparita.

    Jane spiegò il foglio e lo lesse.

    Ho bisogno di vederti urgentemente riguardo alla campagna Butler. Reid Forester.

    Il cuore prese a martellarle mentre lo sguardo accarezzava la mascolina grafia del laconico scritto. Reid aveva bisogno di vederla il prima possibile.

    Spinse indietro la poltroncina girevole, allungò il collo e sbirciò nella postazione accanto. Teresa, l’altra componente del team, nonché suo diretto superiore, stava ritoccando l’enorme cartellone pubblicitario che avrebbero presentato alle dieci di quel mattino.

    Perché Reid aveva convocato soltanto lei?

    Riesaminò il biglietto. L’asciutto messaggio era inequivocabile e l’avverbio imponeva una decisa accelerazione motoria.

    Jane scattò in piedi e percorse con gambe tremanti il lungo corridoio che conduceva all’ufficio del grande capo.

    Audrey le fece cenno di accomodarsi.

    Era la prima volta che si ritrovava sola con lui. Il cuore le rimbalzava contro la cassa toracica come una bestiola in cattività.

    Reid era in piedi dinanzi alla portafinestra affacciata sulla maestosa cupola del Campidoglio del Texas.

    Le mani affondate nelle tasche dei pantaloni gli tendevano il tessuto della camicia all’altezza delle spalle, mettendone in risalto l’atletica muscolatura.

    A dispetto della distanza che li separava, Jane ne percepiva la tensione. Anche quando era solo, il signor Forester non abbassava mai la guardia.

    Non l’aveva vista entrare e Jane accennò un colpo di tosse per annunciarsi. Lui non mosse neanche un muscolo.

    «Ti dispiacerebbe chiudere la porta?»

    L’aveva formulata come una preghiera, ma non le fu difficile riconoscerlo per il perentorio ordine che era. Lo scatto della serratura riecheggiò nel solenne silenzio che aleggiava tra loro e Jane si convinse che lui potesse udire distintamente i battiti accelerati del suo cuore.

    «Ti starai domandando perché ti ho convocata.»

    Lei annuì istintivamente. Poi si rese conto che non poteva vederla e si risolse ad articolare una monosillabica replica.

    «Sì.»

    Signore, fa che non mi licenzi.

    «Tranquilla. Non voglio licenziarti.»

    «Come fa...?»

    «Sembravi sul punto di svenire» la precedette lui.

    Fu allora che Jane si rese conto che lo sguardo di lui non era fisso sulla facciata di granito rosa dell’edificio capitolino, ma sul riflesso di lei che il vetro gli rimandava.

    Le sembrò che il pavimento avesse avuto un cedimento.Trasse un respiro profondo per rianimare i polmoni asfittici, ma quel carico eccedente di ossigeno le svuotò la testa.

    Ora sì che era sul punto di perdere i sensi!

    Reid Forester si girò verso di lei.

    «Non voglio che tu mi tema» dichiarò.

    Urgeva una replica.

    «Non la temo» si fece animo lei e, per la prima volta, non registrò impedimenti alla fonazione.

    Lo sguardo di lui le perlustrò pigramente il volto in cerca di una conferma alla menzogna che trasudava dalle sue parole.

    «Ho cercato di girare al largo.»

    «Girare al largo?» gli fece eco Jane.

    Non aveva bisogno di delucidazioni. Il significato di quella dichiarazione le era sin troppo chiaro. Neanche lei poteva sottrarsi alla magnetica attrazione che li sospingeva inesorabilmente l’uno verso l’altro.

    Reid Forester fece il giro della scrivania e attraversò la stanza con passo imperioso. Sollevò una mano e le sfiorò la guancia con il dorso.

    «Per quanto mi ripeta che è sbagliato, non riesco a starti lontano» chiarì, e le passò fugacemente un dito sulle labbra.

    Jane sentì il fiato mancarle e un soffuso calore dilagarle per il corpo, mentre l’essenza muschiata del suo dopobarba le invadeva le narici.

    Non gli era mai stata così vicina e dovette reclinare il capo all’indietro per guardarlo negli occhi. Occhi più verdi e impenetrabili di una foresta tropicale.Mezzo passo e si sarebbe ritrovata tra quelle possenti braccia, ma prima doveva essere sicura che tutto fosse assolutamente perfetto.

    Reid si era chinato per impadronirsi delle sue labbra, ma Jane si ritrasse.

    «Aspetta...»

    Confusione e desiderio gli offuscarono lo sguardo.«Cosa?»

    «Mi conosci appena... non mi avevi mai rivolto la parola... dubitavo che fossi persino al corrente della mia esistenza.»

    Lui le avvolse il viso con le mani e la guardò negli occhi.

    «Ho provato a ignorarti e non ti ho mai rivolto la parola perché temevo di cederti. So che è sbagliato, ma non riesco a starti lontano.»

    Perfetto.

    Assolutamente perfetto.

    Jane si sporse verso di lui, che la sostenne con le mani forti e calde. Perché si ostinava così a resistergli? Erano cinque lunghi anni che attendeva di offrirsi all’assalto di quella bocca sensuale.

    Sollevò il viso in una muta offerta...

    «Dannazione, Jane, non ti sarai addormentata?»

    La voce acuta come quella di una gallina le fece spalancare gli occhi, e la dura realtà sfrattò ogni residua fantasia. Teresa era china su di lei con aria minacciosa, pronta a starnazzare ancora se non l’avesse placata per tempo.

    «No... non... dormivo. Stavo... meditando.»

    «Raccontalo a qualcun altro. Mancano dieci minuti alla presentazione. Non fare tardi.»

    Teresa girò sui tacchi e partì spedita in direzione della sala riunioni, lasciandola ammutolita, paonazza e furente.

    Accidenti! Perché incespicava nelle parole ogni volta che urgeva sfoderare le unghie?

    Decisa a non mollare la presa, Jane recuperò la cartella dei bozzetti e la raggiunse.

    «La mia nuova idea per lo spot!» esclamò tutto d’un fiato porgendogliela.

    «Se anche fosse passabile, non ci sarebbe tempo per montare l’intera campagna.»

    «La presentazione al cliente è prevista per venerdì. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. E poi l’hai detto tu stessa che i bozzetti che avevamo erano penosi. Questa nuova idea è...»

    «Sexy. Lo so. È la tua specialità. Ma stiamo lanciando un aspirapolvere, non vedo come...»

    «Guardali.»

    Teresa sospirò, ma afferrò ugualmente la cartella.

    «Proverò a dare un’occhiata» capitolò.

    Qualche minuto dopo sedevano al tavolo di mogano in attesa di Reid Forester e di Matt Blake, il direttore creativo.

    Teresa si era decisa a sfogliare i bozzetti che Jane aveva buttato giù la sera prima in bianco e nero. In un paio d’ore Pete, il mago della grafica, avrebbe saputo tirarne fuori una bella presentazione a colori, ma non c’era tempo.

    Jane ne andava comunque fiera. L’ennesima fantasia ispirata a Reid si tramutava in disegno.

    L’idea le era venuta mentre sedeva in tuta da ginnastica a gambe incrociate sul tappeto del salotto a sorseggiare un bicchiere di vino rosso dinanzi al camino spento.

    Nella sua fantasia, indossava un abito sottoveste nero, il vino era champagne, la legna scoppiettava nel camino... e Reid era lì con lei.

    Mentre le immagini le si svolgevano dinanzi agli occhi, Jane aveva afferrato blocco e matita e le aveva fissate sulla carta.

    Un paio di flûte vuoti sulla mensola. Una coppia senza volto che ballava un lento a piedi nudi. Poi i corpi avvinghiati che si lasciavano cadere sul soffice tappeto. Le mani di lui che le incorniciavano il viso mentre si chinava a baciarla. In un angolo l’aspirapolvere Butler. E la scritta: Perché della pulizia del tuo tappeto devi poterti fidare.

    Jane trattenne il fiato mentre Teresa esaminava l’ultimo schizzo.

    «Allora?» incalzò.

    «Sono buoni, questo lo sai. O non li avresti portati» commentò l’altra.

    «Ma?»

    «Ma la presentazione inizierà tra meno di cinque minuti. Abbiamo tutto pronto.»

    Già. La solita scenetta del succo d’uva.

    «Se...»

    «No.» Teresa richiuse la custodia. «Spetta a me decidere e la mia decisione l’ho già presa. Quando sarai tu a capo del team, potrai fare di testa tua. Fino a quel giorno le danze qui le dirigo io» concluse freddamente.

    Jane avrebbe voluto mettersi a urlare. Con quella storia del capo, Teresa finiva puntualmente per fare il buono e il cattivo tempo.

    Non che lei non potesse ambire a un ruolo dirigenziale. Aveva perso il conto delle volte in cui Matt le aveva proposto di capeggiare una squadra di creativi. E spesso era tentata di accettare.

    Lo scatto salariale era cospicuo e la libertà creativa quasi illimitata. In cambio avrebbe dovuto accollarsi maggiori responsabilità e, nota dolente, presentazioni in pubblico.

    Il terrore di balbettare non appena avesse aperto bocca dinanzi a una platea l’avrebbe sicuramente paralizzata in un muto silenzio.

    Quindi, non le era rimasto che declinare l’offerta.

    Ma per promuovere le sue idee poteva sempre battersi. «Teresa, n... noi...»

    L’altra non la lasciò finire. Per come la vedeva lei, il capitolo era già definitivamente chiuso.

    «La presentazione dovrà essere ineccepibile. Sai quanto sia importante per Matt e per Reid.»

    «C... cor... reggeremo... il tiro strada... fa... facendo» balbettò lei.

    «Non questa volta. L’agenzia ha già perso tre commesse nell’ultimo semestre. Non vedono l’ora di farci fuori, e sai bene che cosa rischiamo.»

    «M... moti... vo in più per... mostrare... loro una idea in... novativa...» cercò di obiettare lei.

    «No. È la mia ultima parola.»

    Prima che potesse protestare, la porta della sala riunioni si aprì e Reid sostò sulla soglia per scambiare qualche parola con qualcuno che stava in corridoio. Indossava un abito grigio fumo, una camicia azzurra e la cravatta con le vignette di Marvin il Marziano.

    Jane sentì un brivido serpeggiarle giù per la schiena. Lo aveva avvertito così tante volte da conoscerne l’elemento scatenante, che non era la cura con cui era vestito. Né il potere che la sua posizione gli conferiva. Né tanto meno il verde lussureggiante dei suoi occhi.

    Gli bastava mettere piede in una stanza per spostarne il centro di gravità. Era energia allo stato puro, e lei se ne sentiva inesorabilmente attratta.

    Non appena lo sguardo di lui ebbe incrociato il suo, il diverbio con Teresa, il risentimento per quel suo modo sbrigativo e inurbano di liquidare le sue idee e il timore di un’imminente lettera di licenziamento furono presto dimenticati.

    Jane si sorresse saldamente alla poltroncina mentre la terra le tremava sotto i piedi.

    Reid abbozzò un sorriso nella sua direzione e il sangue prese a fluirle a fiotti nelle vene, mentre lo stomaco le precipitava in caduta libera.

    Le sarebbe bastato socchiudere le palpebre per sentire le mani di lui che le accarezzavano la schiena, la bocca fresca e profumata di menta che premeva contro la sua, il bacio vorace, impaziente...

    Smettila, si ordinò, determinata a scacciare dalla mente quei fotogrammi. Troppo tardi. Tutti nella stanza la fissavano in trepidante attesa.

    Qualcuno doveva averle rivolto una domanda, ma lei non aveva la più pallida idea di cosa le avessero chiesto. Ancora una volta, si era eclissata sulla sua nuvoletta e vi si era smarrita inseguendo erotici vagheggiamenti. Un’ondata di calore le arroventò le guance non meno di quanto la fantasia le avesse acceso altri intimi distretti corporei.

    Aprì la bocca per parlare. Centinaia di risposte le si rincorrevano nella mente, ma non una riuscì ad aprirsi un varco nell’inamovibile apparato vocale in dotazione.

    Teresa sfoderò un sorriso e fece cenno agli astanti di accomodarsi.

    «Che ne direste di cominciare?» annunciò.

    Per quanto glielo avesse visto fare centinaia di volte, Jane non riusciva a restare indifferente dinanzi all’abilità della collega di catturare e tener viva l’attenzione di chiunque avesse intorno.

    Con le spalle

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