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L equazione della passione: Harmony Destiny
L equazione della passione: Harmony Destiny
L equazione della passione: Harmony Destiny
E-book172 pagine2 ore

L equazione della passione: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Le regole dell'attrazione.
Justice St. John, scienziato e milionario, crede che ogni cosa possa essere risolta ricorrendo alla sua amata matematica. Grazie a una formula di sua invenzione, infatti, è convinto di riuscire a trovare la donna perfetta per lui.
Peccato che nessuna equazione potesse prevedere l'arrivo di Daisy.

E l'attrazione senza regole.
Daisy Marcellus, artista eccentrica e spirito libero per eccellenza, è allergica a ogni costrizione e logica. Porta con sé un bagaglio di musica e colori a cui niente può resistere, e neppure un uomo freddo e calcolatore come Justice potrà rimanere indifferente a quelle scintille di passione.
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788858983768
L equazione della passione: Harmony Destiny
Autore

Day Leclaire

Autrice americana creativa e versatile, ha scoperto in tenera età la sua passione per la scrittura.

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    Anteprima del libro

    L equazione della passione - Day Leclaire

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Nothing Short of Perfect

    Harlequin Desire

    © 2011 Day Totton Smith

    Traduzione di Giuseppe Biemmi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-376-8

    Prologo

    «Mi sente, signore? Può dirci il suo nome?»

    Era tutto un dolore. Gli facevano male la testa, il braccio e il torace. Gli era accaduto qualcosa, ma non sapeva cosa. Avvertì del trambusto e udì il suono di una sirena. Cosa diamine stava succedendo? Era a bordo di un’ambulanza?

    «Signore? Come si chiama?»

    «St. John. Jus... Jus...» Le parole gli uscirono dalle labbra, suonando strascicate e innaturali alle sue stesse orecchie. Per qualche ragione, non riusciva a coordinare la lingua quanto bastava per declinare le sue generalità, e la cosa lo costringeva a una vaga approssimazione. «Jus St. John. Cosa mi è...?»

    L’uomo sembrò comprendere la semplice domanda. «È rimasto coinvolto in un incidente stradale, signor St. John. Io sono un paramedico. La stiamo portando in ospedale dove potranno intervenire sulle sue lesioni.»

    «Aspettate» disse un’altra voce, stavolta appartenente a una donna. Una voce dolce e delicata. «Ha detto St. John? Justice St. John? Quello vero?»

    «Conosci questo signore?»

    «Ne ho sentito parlare. È un famoso inventore. Robotica. Dirige una grossa società, la Sinjin. È una specie di eremita, ma con un conto in banca così.»

    L’infermiere si lasciò sfuggire un’imprecazione. «Il che significa che se commettiamo il minimo errore procedurale avremo addosso fior di avvocati. Sarà meglio avvisare che stiamo arrivando con un VIP a bordo. La direttrice sanitaria vorrà organizzarsi per fronteggiare l’assalto del circo mediatico.»

    Qualcuno gli fece un’altra domanda. Domande infinite. Perché diavolo non lo lasciavano in pace? «Soffre di qualche allergia o intolleranza, signor St. John?» Poi, più forte: «Ha qualche patologia di cui dovremmo essere informati?».

    «No. Mi sento semplicemente bloccato.»

    «L’abbiamo immobilizzata per precauzione, signor St. John.» Di nuovo la suadente voce femminile. «È per questo che non riesce a muoversi.»

    «La pressione sanguigna sta scendendo. Dobbiamo stabilizzarlo. St. John, ricorda com’è avvenuto l’incidente?»

    Certo che se lo ricordava. Un idiota al volante stava digitando messaggini al cellulare e aveva perso il controllo dell’auto. Dio, aveva male dappertutto. Justice aprì un occhio con fare esitante per sbirciarsi attorno. Il mondo gli apparve sfocato e fu colpito da una luce violenta che lo fece sussultare.

    «Spegnetela, maledizione» ringhiò. Okay, così andava meglio.

    «Pupille reattive. Flebo inserita. Ripetete la rilevazione dei parametri vitali. Avvisate che serve subito un neurologo. Chiedete di Forrest. Non è il caso di correre rischi. Signor St. John, riesce a sentirmi?»

    Justice imprecò. «Smettetela di strillare.»

    «La stiamo portando al Lost Valley Memorial Hospital. C’è qualcuno che vuole che sia avvertito?»

    Pretorius. In testa gli balenò l’immagine di un paio di occhi castani tipici dei St. John incastonati in un viso da segugio e di due spalle larghe piegate sopra la tastiera di un computer. Sì, potevano chiamare suo zio. Avrebbero avuto bisogno del numero, visto che non era sull’elenco ma, al momento, Justice non riusciva proprio a ricordarlo in preda com’era ad atroci dolori. Cercò di spiegare il problema, ma scoprì che la lingua si rifiutava di collaborare.

    E poi si rese conto che, se anche fosse riuscito a spiegarsi, Pretorius non sarebbe venuto. Oh, avrebbe voluto farlo, non c’era alcun dubbio. Ma così come un impenetrabile muro impediva a Justice di fornire ai suoi soccorritori il necessario numero di telefono, una barriera parimenti insormontabile impediva a Pretorius di lasciare il loro quartier generale. Era una paura troppo grande perché potesse superarla, anche sapendo di dover accorrere al suo capezzale.

    E fu allora che la realizzazione lo colpì con accecante evidenza. Non aveva nessuno. Nessuno a cui interessasse se sopravviveva o moriva. Nessuno che avrebbe potuto prendersi cura di suo zio se non fosse riuscito a sfangarla. Nessuno che potesse portare avanti il suo nome o beneficiare di tutto ciò che aveva messo insieme. Come aveva potuto accadere? Perché aveva permesso che accadesse? Quando si era tagliato fuori dal mondo così completamente?

    Negli ultimi anni, aveva vissuto in un dorato isolamento, tenendosi ben lontano da qualsiasi legame sentimentale e dai dolori che la vita aveva l’abitudine di infliggere alle persone. E adesso sarebbe morto solo come un cane e nessuno l’avrebbe pianto, a parte quelli che lo stimavano per le sue capacità professionali. Aveva voluto tenersi alla larga dal resto del mondo, agognando la solitudine. Aveva voluto semplicemente essere lasciato in pace. E c’era riuscito. Ma a che prezzo? Adesso lo capiva, capiva chiaramente come anno dopo anno, inverno dopo inverno, una coltre di gelo aveva rivestito il suo cuore al punto che adesso dubitava che si sarebbe più riscaldato.

    Una volta aveva conosciuto cos’era la primavera, il calore di un giorno estivo e l’amore di una donna. Donna? Accidenti, non era stata niente più di una ragazzina. Una ragazzina il cui nome aveva cercato di seppellire nei recessi della sua mente in modo che svanisse dalla memoria, ma che era rimasta impressa suo malgrado in ogni fibra del suo essere. Daisy. Era lei che gli aveva dimostrato una volta per tutte che le emozioni erano un male inutile.

    E guarda un po’ com’era finito.

    «Signor St. John? C’è qualcuno che dobbiamo avvisare?»

    «No.» Si rassegnò alla cruda realtà, lasciandosi inghiottire dall’oscurità. Lasciando che i dolorosi ricordi tornassero a scivolare in un posto buio e nebuloso.

    Non c’era nessuno.

    1

    «Qual è l’esito della tua ultima indagine informatica?» chiese Justice.

    Pretorius fece una smorfia, adocchiando lo schermo da dietro le lenti degli spessi occhiali dalla montatura nera che utilizzava per il computer da vent’anni a questa parte. «In base ai parametri che mi hai fornito, ho trovato una mezza dozzina di potenziali candidate con una compatibilità che tocca o supera l’ottanta percento.»

    «Diamine, appena?»

    «Considerata la lista dei requisiti che hai preparato, possiamo già dirci fortunati di aver trovato tutte quelle donne. Voglio dire, niente amore? Ma cosa ti dice il cervello?»

    Justice fece una smorfia. Non aveva intenzione di spiegare alcuna delle condizioni essenziali che aveva dettato. «Be’, se la scelta è limitata a sei, dovrò arrangiarmi.»

    «Arrangiarti?» Pretorius ruotò di centottanta gradi la sedia su cui si trovava, gli occhi della stessa particolare tonalità dorata di quelli di Justice che scintillavano indignati. «Ma sei matto? Stai parlando del futuro della Sinjin Incorporated, qui.»

    Justice congedò la cosa con un gesto eloquente. «Passiamo alla questione successiva. Sono una mezza dozzina di candidate… Pensi che potresti sopportare di averle qui fra i piedi? Perché non c’è modo per cui tu possa evitare di imbatterti in loro di quando in quando. Non posso certo chiuderle sottochiave per tenerle fuori dalla tua vista. Qualcosa mi dice che non accetterebbero una simile condizione.»

    Pretorius sbuffò. «Be’, basta che tu le faccia venire una alla volta e non tutte insieme. Non potrei mai sopportare un’orda di femmine a caccia di marito.» Facendo viaggiare la sedia attraverso il pavimento grazie alle rotelle, suo zio gli si avvicinò. «Justice, sei sicuro di voler andare fino in fondo in questa faccenda?»

    «Assolutamente.»

    «È per via di quell’incidente d’auto, non è vero? Ti ha lasciato molto più che dei vuoti di memoria. Ti ha cambiato. Ha cambiato i tuoi obiettivi a lungo termine. Ha cambiato il modo in cui guardi il mondo.»

    Justice si ritirò dietro la sua gelida facciata, che riusciva sempre a smontare anche le persone più intraprendenti. Non che intimidisse suo zio. Questo no. Ma Jus avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare questa conversazione, probabilmente perché si avvicinava troppo al nocciolo della questione.

    Senza una parola, attraversò la spaziosa sala informatica e raccolse una sfera d’argento composta da piccole sezioni che andavano a incastrarsi insieme, ciascuna con inciso un simbolo matematico. Era una delle sue invenzioni, una di quelle che non aveva reso di pubblico dominio. La chiamava Rumi, abbreviazione per ruminare nel senso di elucubrare, dato che ci giocava ogni qualvolta doveva risolvere un problema... vale a dire, la maggior parte del suo tempo.

    Forse avrebbe dovuto chiamarla Oss, da ossessione.

    Pretorius si spinse con la punta del mocassino e riportò a tutta velocità la sedia alla sua postazione di lavoro. «Non puoi evitare questa discussione, Justice. Se hai in programma di andare avanti con il tuo piano, ho il diritto di conoscere la verità.»

    «Lo so.» Le dita di Justice si spostavano incessantemente sulla superficie di Rumi e, tirando e spingendo le varie sezioni, trasformarono la sfera in un cilindro. Invece che fluida e liscia, però, la figura geometrica risultava irregolare e sconnessa, i simboli disposti in una caotica accozzaglia. In quei giorni le forme erano sempre una caotica accozzaglia. Era così da più di un anno, già sei mesi prima dell’incidente.

    Justice cambiò discorso, sperando di distrarre lo zio. «Tutte le donne che hai selezionato saranno presenti al simposio L’Engineering nel Prossimo Millennio

    «Che titolo dozzinale» borbottò Pretorius.

    «Sottoscrivo. Ma non divaghiamo. Ci saranno?»

    «Sì. Me ne assicurerò io stesso. Due non avevano in programma di partecipare, ma...» Lui esitò. «Diciamo semplicemente che sono riuscito a fare in modo che cambiassero idea.»

    «Eccellente.»

    «Senti. Confidati con me, ragazzo. Perché? Perché fai questo?»

    Justice scosse il capo. Non era certo di poter esternare ciò che aveva dentro. Tentò di convincere con le buone il cilindro a diventare una doppia elica, mentre si sforzava di dar voce alla realizzazione fatta durante l’incidente. Come spiegare il nulla che era diventata la sua vita negli ultimi anni? Diamine, non ricordava l’ultima volta che aveva provato un’emozione, che fosse rabbia, felicità o anche solo una via di mezzo.

    Ogni giorno che passava i suoi sentimenti, la spinta a inventare, perfino l’ambizione non facevano che raffreddarsi lentamente. Mentre ogni singolo minuto scorreva inesorabile, tutto ciò che faceva di lui un normale essere vivente e pensante si affievoliva. Presto di lui sarebbe rimasto solo un guscio freddo e vuoto con le sembianze di un essere umano, pensò Jus, gettando da parte Rumi, frustrato dal suo ostinato rifiuto ad assumere una qualsiasi forma ben delineata.

    «Non so spiegartelo. Devi solo accettarlo» disse alla fine Justice. «Per il mio bene.»

    «Oh, chiama e annulla tutto» lo esortò Pretorius. «Prima di combinare qualcosa di cui finiremo per pentirci entrambi.»

    «Non posso. Sono l’oratore principale.»

    Pretorius cambiò approccio. «Cosa diamine pensi di dire riguardo all’engineering nel prossimo millennio? Guarda che si tratta di mille dannatissimi anni. Porca vacca, è impossibile prevedere anche solo se esisterà ancora la razza umana fra mille anni, figurati cosa ne possiamo sapere dell’evoluzione dell’engineering lungo un simile arco di tempo.»

    «Per fortuna, sono io quello che parla colorito.»

    «Cosa vuoi farci? Stai trasmettendomi i tuoi vizi. Justice, tu non fai un’apparizione in pubblico da cinque anni. Non è questo il momento di cambiare rotta.»

    «Non faccio apparizioni pubbliche da cinque anni perché non ho avuto nulla da dire negli ultimi cinque anni. Quando avrò qualcosa da dire, ricomincerò a farmi vedere in pubblico. Fino a quel momento, mi accontenterò di partecipare a questo piccolo simposio senza correre il rischio di far figuracce.»

    «Guarda che i media saranno tutti presenti a questo piccolo simposio ora che il tuo nome è stato messo in relazione allo stesso. Dopo un’assenza così prolungata si aspetteranno un contributo di vitale importanza da parte tua. Ma ho come la sensazione che tu non abbia niente di vitale importanza da dire, o sbaglio?»

    «Non temere per il mio discorso, vecchio mio. Qualcosa inventerò... anche se, obiettivamente, mi pare dura, considerato che è un anno abbondante che non invento un accidente di niente.»

    «La tua creatività è solo bloccata. Possiamo sbloccarla senza ricorrere a simili estremi rimedi.»

    «Non vedo come sia possibile che la mia creatività sia bloccata, visto che non sono un creativo. Sono un ingegnere e un matematico, l’avevi dimenticato?»

    Pretorius sospirò. «Ingegnere e inventore, e gli

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