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Studio d'amore: Harmony History
Studio d'amore: Harmony History
Studio d'amore: Harmony History
E-book235 pagine3 ore

Studio d'amore: Harmony History

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Info su questo ebook

Liberated Ladies 3
Inghilterra, 1818
Prudence Scott è una giovane di rara intelligenza e profonda cultura, ma poco o nulla conosce dell'amore. È quindi una facile preda per un lord perdigiorno e libertino, che l'abbandona dopo averla sedotta, e ora che la sua reputazione è rovinata la sua unica speranza è sposare Lord Ross Vincent, Marchese di Cranford. Lui le dichiara senza mezzi termini che intende sposarla solo per dare una nuova madre al figlio nato da poco e, in cambio, le garantirà la protezione del proprio nome. Il loro legame, le assicura, non avrà nulla di romantico, e lei non sarà tenuta neppure ad assolvere ai doveri coniugali. Ma Prudence avverte qualcosa tra loro, un sentimento che, avida di sapere e di conoscenza, desidera ardentemente esplorare...
LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2021
ISBN9788830526280
Studio d'amore: Harmony History
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Studio d'amore - Louise Allen

    successivo.

    1

    Little Gransdon House, Hertfordshire

    1 maggio 1815

    Il profumo dei fiori di serra aleggiava ancora pesante nell'aria calda della sera. La luna brillava iridescente tra le foglie, mentre il suono distante della musica della sala da ballo continuava a tessere la sua magia nella notte. E poi l'incanto svanì, la musica tacque, e solo lo sciabordio dell'acqua della fontana rimase a infrangere il silenzio.

    Prue si mise a sedere. La panchina che fino a pochi istanti prima le era sembrata imbottita di piuma d'oca, adesso era dura e fredda sotto le sue gambe. Le girava la testa, il profumo dei fiori era troppo dolce. Non era abituata a bere, quella coppa di champagne le aveva dato la nausea. «Charles?»

    L'uomo che l'aveva adagiata dolcemente sulla panchina, l'uomo splendido che amava e dal quale era riamata, sollevò gli occhi, mentre si infilava la camicia nei pantaloni. «Sì?» Sembrava spazientito. «Per l'amor del cielo, datti una sistemata. Guarda in che stato sei ridotta.» Riprese a sistemarsi i pantaloni.

    Prue abbassò lo sguardo e sussultò. Aveva la gonna sollevata fino alla cintola, una calza attorcigliata intorno alla caviglia, i seni scoperti. Insomma, sembrava che avesse appena fatto... quello che aveva fatto.

    Si sistemò il corpetto, sospingendo le curve generose nelle pieghe del tessuto. C'erano segni rossastri, sulla sua pelle diafana. Presto sarebbero comparsi i lividi. Soffocò un singhiozzo.

    «Oh, sta' zitta, razza di sciocca. Te la sei voluta. Smettila di frignare, adesso che è successo.» Charles le voltò le spalle, e la luna gli illuminò i capelli, ma non prima che Prue si accorgesse del sorrisetto che gli distendeva le labbra.

    «Charles? Dove vai?»

    Lui si girò a rivolgerle un'occhiata di scherno, mentre si allontanava. Il sorriso si tramutò in un ghigno beffardo. E finalmente il velo roseo le cadde dagli occhi, consentendole di vedere la realtà per quella che era.

    «Mi hai detto che mi amavi. Mi hai detto che...»

    «Sei davvero un'ingenua.» Charles strappò un bocciolo dal cespuglio e ne sparse i petali in terra. «Chi avrebbe mai immaginato che l'intellettuale Miss Scott fosse tanto stupida? Credevo fossi intelligente. Cosa ti fa pensare che il figlio di un nobile possa innamorarsi di una nullità la cui unica dote è il seno generoso? Volevo metterci sopra le mani, ecco tutto. Peccato che non ne sia nemmeno valsa la pena. Per fortuna mi hai fatto guadagnare cinquanta ghinee.»

    Prue agghiacciò, l'orrore le mozzò il fiato in gola. «Avevi scommesso sul fatto che mi avresti sedotta?» Una rabbia improvvisa la fece balzare in piedi, nonostante le tremassero ancora le gambe, nonostante il dolore che provava nel punto in cui lui... be', l'aveva posseduta. «Sei un bastardo, un codardo, la miserabile imitazione di un uomo! Io...»

    «Tu cosa, piccola Miss Imprudenza?» la incalzò lui. «Vuoi andare a piangere da papà? Io non lo farei, se fossi in te, a meno che tu non voglia far sapere a tutti che sei pronta ad aprire le gambe a chiunque.» Le volse le spalle, poi si allontanò. «Tieni la bocca chiusa» si girò infine a dirle, «e i miei amici e io manterremo il tuo piccolo segreto. Mi sembra un accordo più che corretto, non ti pare?»

    Residenza del Duca di Aylsham

    Grosvenor Square, Londra, 3 maggio 1815

    «Intendo castrare quel rospo con le mie mani. Voglio strappargli i testicoli con un cucchiaio, friggerli nel grasso rancido e poi costringerlo a mangiarli!» Melissa Taverner piroettò davanti al fuoco spento del camino e trasse un profondo respiro, preparandosi a un'altra sfuriata.

    «Se lo meriterebbe davvero, anche se in questo momento non sarebbe di grande aiuto» le fece notare Verity, Duchessa di Aylsham, rivolgendo un sorriso comprensivo a Prue, che le stava seduta accanto sul divano. Si appoggiò una mano sulla curva arrotondata del ventre. «La vendetta può aspettare. In questo momento Prue ha preoccupazioni di natura più pratica. Ti ha fatto male, mia cara? Sappi che conosco il medico più discreto e indulgente del mondo. Potrei chiedergli di venire qui, se decidessi di consultarlo.»

    Prue scosse il capo. «Grazie, Verity, ma non è necessario. Sono tornata subito in camera mia e mi sono fatta preparare un bagno caldo. Mi è stato di aiuto e, anche se sono ancora un po' indolenzita, sembra che fisicamente sia tutto a posto.» Un sorriso triste accompagnò quelle parole. «Purtroppo non sapevo cosa fare, mentre Charles era ancora alla festa. Poi ho ripensato alla tua lettera, che mi era stata consegnata quel mattino, e il giorno dopo, cioè ieri, ho detto alla zia che avevi bisogno del mio aiuto per via della gravidanza. Si è quasi commossa, ha detto che sono una brava ragazza, mi ha permesso di usare la sua carrozza e mi ha promesso di scrivere a mia madre per informarla del mio cambiamento di programmi.»

    «Quanto tempo avevi programmato di restare da tua zia?» si informò Lucy Lambert, la più taciturna del gruppo.

    «Alcuni mesi. Mia zia è solita organizzare almeno tre ricevimenti, durante la Stagione, e mia madre pensava che sarebbe stata una buona occasione per trovare un buon partito.»

    «Quindi, se io scrivessi a tua madre per chiederle di lasciarti qui da me, promettendole di condurti a ricevimenti, balli e picnic, Mrs. Scott non troverebbe niente da obiettare?»

    «Sei una duchessa, Verity» rispose Prue con un guizzo di umorismo. «Mia madre non troverebbe niente da obiettare neppure se avessi due teste.»

    «Bene. In tal caso la pregherò di lasciarti restare con me. Le dirò che godo di ottima salute, ma che ho bisogno di compagnia femminile, e che prometto di presentarti alla migliore società.»

    «Questo permetterà a Prue di restare alla larga da quel vigliacco, ma non risolverà l'altro problema, dico bene?» Melissa non aveva ancora abbandonato l'aria belligerante.

    «Quale problema?» domandò Lucy con fare innocente.

    «Potrei essere incinta» rispose Prue. «E se non lo fossi, non saprei cosa dire al mio futuro marito, se mai dovessi trovarne uno.»

    «Quando dovresti avere il prossimo ciclo?» domandò Verity con il consueto pragmatismo.

    «Tra due settimane.»

    «Sembreranno più lunghe di due mesi» si lamentò Melissa. «E cosa pensi di fare, se dovessi essere incinta?»

    «Non potrei mai disfarmi del bambino.» Prue ci aveva riflettuto a lungo e si era sentita assalire dal panico. «Potrei dirlo a mia madre, farmi mandare via per qualche tempo e poi trovare qualcuno che si occupi del bambino.»

    «Oppure potresti convincere Charles Harlby a sposarti» suggerì Lucy.

    «Preferirei sposare una serpe!» esclamò Prue, disgustata. «E dire che pensavo di essermene innamorata.» Rabbrividì. «Dovevo essere fuori di me.»

    «Sotto incantesimo» commentò Jane, Contessa di Kendall, massaggiando con aria assente una macchia di pittura a olio che aveva sul dorso della mano. «È davvero un giovane affascinante, dai modi seducenti. Scommetto che non è la prima volta che fa una cosa simile a una giovane rispettabile.» Rifletté qualche istante. «Potrei chiedere a Ivo di dargli una bella lezione» suggerì infine con un sorrisetto diabolico. «Mio marito è in gamba, nelle scazzottate, e questo orribile Charles Harlby non è tipo da meritare un confronto onorevole come un duello. Chi diavolo è, comunque?»

    «Il figlio del Visconte Rolson» rispose Prue. «E ti prego, non dirlo a nessuno, neppure a Ivo. Penso che Charles terrà la bocca chiusa, se non gli causo problemi.»

    «Questo è un ricatto bello e buono!» borbottò Melissa dal canto suo.

    «Senza dubbio, ma in questo momento non abbiamo gli strumenti per sconfiggerlo» le fece notare Verity. «Prue, a ragione, non vuole sposarlo, quindi dobbiamo preoccuparci dei problemi più immediati: il rischio che sia incinta e lo scandalo che Harlby potrebbe causare. È vero che ha promesso di tacere, ma non mi fido di lui.»

    «A te chi piacerebbe sposare, Prue? Che genere di uomo?» Lei si strinse nelle spalle. «Non volevo sposarmi affatto, prima di conoscere Charles, e adesso l'idea del matrimonio mi piace ancora meno, anche se è un passo che prima o poi dovrò fare, se voglio che mamma e papà mi diano tregua. Mi piacerebbe un uomo dall'animo gentile, un uomo che mi lasci proseguire gli studi e che non sia infastidito dalle mie propensioni intellettuali. Un uomo con una biblioteca ben fornita» aggiunse con aria sognante.

    Poi guardò le amiche, tutte preoccupate per lei, tutte ansiose di darle una mano, e si scosse dalle proprie fantasticherie, consapevole che la situazione richiedeva un approccio più pragmatico. «Mi piacerebbe avere un padre per mio figlio, se dovessi essere incinta e quindi, quanto prima mi sposerò, tanto più ragionevole sembrerà la coincidenza delle date. Ma quale uomo potrebbe mai sposarmi, conoscendo la situazione? Perché è chiaro che non potrei mai mentire, al riguardo.»

    «Cosa pensi dei bambini?» le chiese Verity, senza rispondere alla sua domanda.

    «Oh, non è che non voglia averne. I bambini mi piacciono. È solo che prima di Charles non ci avevo mai pensato.»

    «E per te sarebbe essenziale l'aspetto fisico?» insistette Verity. «Di Harlby si potrà anche dire che è un farabutto, però è senza dubbio un bell'uomo.»

    Prue depose il blocco da disegno che non abbandonava mai e guardò intenta l'amica. «Hai in mente qualcuno?»

    «Può darsi. Pensavo a un incontro che ho fatto qualche sera fa, e mi è venuta un'idea. Prue, ti dispiacerebbe molto se parlassi a qualcuno? Senza fare il tuo nome, si intende, ma descrivendo la tua situazione.»

    Prue sospirò. Verity era sempre piena di idee, alcune delle quali sufficienti a procurare le palpitazioni alle patronesse di Almack's, tuttavia, avendo sposato un esemplare di perfezione qual era il Duca di Aylsham, poteva permettersi di ignorare tutte le critiche che le venivano rivolte. «Te ne sarei grata» rispose.

    «In questo caso, me ne occuperò subito dopo pranzo. Meglio battere il ferro finché è caldo.» Quindi, Verity mise i piedi per terra e si rizzò a sedere. «Ecco, adesso siete tutte mie testimoni e potrete affermare che ho riposato quanto basta a soddisfare anche il futuro padre più ansioso. In quanto a te, Prue, non preoccuparti. Qualsiasi cosa accada, di te ci occuperemo noi.»

    «Ne sono certa, Verity, e ve ne sono riconoscente» replicò lei, sforzandosi di sorridere. Sapeva di poter contare sull'aiuto delle amiche. Le sarebbe semplicemente piaciuto evitare di commettere la sciocchezza di innamorarsi di un farabutto come Charles.

    Avevano tutti un bel dire che era un'ingenua innocente, che non avrebbe potuto intuire la malvagità di un individuo come Charles. La verità era che invece qualche sospetto lo aveva nutrito ma, anziché seguire l'istinto, si era lasciata abbagliare dalle lusinghe di lui. Era stata una stupida. E adesso avrebbe fatto bene a dedicarsi agli studi classici e ai libri. In quelli non avrebbe trovato niente di più pericoloso di polvere e ragni morti.

    Affacciato alla balaustra della terrazza, Ross Vincent osservava il figlio Jon, che nel prato sottostante balbettava allegramente e agitava un sonaglio sotto lo sguardo divertito della bambinaia. Era una scenetta incantevole, quella che si svolgeva sotto il terso cielo primaverile, con il bambino sano e sorridente, e la giovane domestica altrettanto gioviale. Quella ragazza era perfetta, per un poppante orfano, ma rimaneva pur sempre una bambinaia, non una madre.

    La società avrebbe gridato allo scandalo, se lui avesse pensato di risposarsi soltanto sei mesi dopo la morte della moglie, ma Jon cresceva in fretta, era già capace di stare seduto e riconosceva tutti i personaggi che animavano il suo piccolo mondo felice. Le ultime parole che aveva pronunciato erano papa, pama, gugu, anche se le rivolgeva indiscriminatamente al padre, alla bambinaia e al cagnolino giocattolo.

    Ross doveva trovare una madre per Jon, e doveva trovarla prima che il bambino si rendesse conto di essere orfano. Come riuscirci, però, se tutte le possibili candidate sarebbero rimaste allibite dal suo proposito di risposarsi mentre era ancora in lutto? E poi, come riuscire a giudicare il carattere della futura moglie? Non ne era stato capace neppure la prima volta, quando aveva sposato Lady Honoria Gracewell, figlia del Conte di Falhaven. Giovane, bella, istruita, ricca, in apparenza Lady Honoria era stata felicissima di sposare un marchese con il suo passato e il suo aspetto. In apparenza.

    Eppure non tutte le speranze erano perdute. La sera prima, al ricevimento degli Henderson, si era lasciato andare a qualche confidenza di troppo con l'eccentrica Duchessa di Aylsham. Gli erano bastate solo tre coppe di champagne – solo tre, a lui che era abituato a bere rum con un intero equipaggio di corsari – per rivelarle il proprio, disperato bisogno di trovare una madre per Jon.

    Ed ecco che il giorno prima, nel pomeriggio, la duchessa si era presentata a casa sua, bella come il sole e, senza perdersi in convenevoli, gli aveva annunciato di aver trovato la moglie giusta per lui. A condizione, naturalmente, che fosse pronto ad accettare la possibilità di un secondo figlio che non fosse suo. Non avendo ottenuto subito una risposta, lo aveva informato con freddezza che la probabile gravidanza non dipendeva dalla dama in questione, una donna dalla morale e dal comportamento ineccepibili, la cui unica colpa era quella di essersi fidata di un farabutto, che l'aveva ingannata e tradita.

    La Duchessa di Aylsham era una forza della natura. Opporsi a lei sarebbe stato come opporsi a un uragano. E anche se adesso Ross cominciava ad avere dei ripensamenti sulla decisione presa, era troppo tardi per tornare indietro. Aveva dato la sua parola, e a breve avrebbe conosciuto l'amica della duchessa.

    «La dama che attendevate, milord» annunciò Finedon, il nuovo maggiordomo. Finedon era un gran miglioramento rispetto al suo predecessore, Hodges, che non era mai riuscito a superare il trauma provato nello scoprire che il nipote del padrone era un corsaro.

    «Fatela accomodare qui fuori, per cortesia» gli rispose, raddrizzandosi, ma senza girarsi del tutto verso la giovane che in quel momento si stava dirigendo verso di lui sulla terrazza. Non aveva intenzione di spaventarla prima ancora di essersi presentato. Non è una gran bellezza fu il suo primo pensiero, ma in fondo non lo era neppure lui. Aveva un volto aperto e piacevole, l'espressione di una donna più avvezza al sorriso che al broncio, grandi occhi grigiazzurri e capelli biondi. Camminava con compostezza, nonostante la lunga distanza che ancora li separava. E aveva un bel fisico, a giudicare da ciò che se ne poteva scorgere sotto l'abito che indossava.

    Era snella, a eccezione del seno generoso che adesso, a mano a mano che si avvicinava, Ross vedeva sollevarsi in un respiro reso affannoso dall'agitazione. Deglutì. Sì, il petto era senza dubbio la sua caratteristica migliore, si disse mentre cercava di controllare l'immaginazione e aspettava.

    «Milord.» La riverenza di lei fu perfetta, la voce dolce e musicale.

    Lui si sforzò di guardare i suoi occhi, invece del suo décolleté. «Madame.»

    Soltanto allora si girò del tutto, e la vide spalancare gli occhi. E conservare intatta la compostezza.

    L'ha fatto apposta per vedere come avrei reagito.

    La cicatrice era orribile. Era come se una fiera gli avesse affondato gli artigli nel viso, sfregiandone tutto il lato destro fino alla bocca.

    Quell'uomo l'aveva messa in agitazione sin dal primo sguardo, quando lo aveva visto osservare il giardino sotto la terrazza. Forse era per via della sua prestanza fisica, della statura imponente, delle spalle larghe e del petto muscoloso.

    Poi aveva scoperto che non era bello, il che l'aveva in qualche modo rassicurata. Capelli castani, colorito insolitamente abbronzato, un naso importante ammaccato da un paio di fratture, sopracciglia folte e una bocca troppo seria. Se Verity era andata alla ricerca dell'opposto di Charles, non sarebbe potuta riuscire meglio nel suo intento.

    Di lui le aveva detto che era rimasto vedovo di recente, niente di più, quindi Prue non si stupì del fatto che non avesse niente di cui sorridere. Gli occhi marroni di lui, intanto, incrociarono i suoi e li incatenarono, come se volesse valutarla.

    Non è crudele, pensò lei. Non è scortese. Soltanto imperscrutabile. Freddo.

    Prue sapeva bene cosa significasse essere giudicati sulla base del proprio aspetto. Gli uomini non facevano che fissarle il seno. Era evidente che ogni volta si leccassero mentalmente le labbra, e non importava quanto sobriamente lei si vestisse. Le donne erano convinte che fosse un'ammaliatrice, gli uomini che si sentisse lusingata dai loro sguardi lascivi, ed erano pronti a trattarla con sgarbo quando capivano che così non era. E tuttavia, avere un seno generoso non era niente, al cospetto di ciò che doveva aver sopportato l'uomo che le stava di fronte. Il dolore doveva essere stato terribile, il terrore di perdere l'occhio agghiacciante.

    Com'era possibile che un nobile si fosse procurato una simile ferita? E che genere di aristocratico era? Verity era stata esageratamente discreta, al riguardo, e Prue aveva appreso che aveva un titolo soltanto quando il maggiordomo aveva annunciato il suo arrivo.

    Il padrone di casa si aspettava di vederla sussultare, gridare inorridita, invece lei si limitò a intrecciare le mani sul ventre e ad aspettare. Lui serrò gli occhi, e la sua espressione si fece addirittura sinistra. Poi nel giardino sottostante risuonò un gorgoglio infantile, e un sorriso immediato disperse la sua cupezza.

    «È vostro figlio?» domandò Prue, sollevata dal diversivo. Spostarono entrambi lo sguardo verso il prato, dove il piccino rideva beatamente, battendo una manina contro un giocattolo.

    «Sì» confermò lui. «Jon.»

    «Sembra felice» commentò lei. «E a quanto pare gli avete trovato un'ottima bambinaia.»

    «Vi intendete di simili faccende?»

    «Niente affatto, ma sono

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