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Un chirurgo dal passato: Harmony Bianca
Un chirurgo dal passato: Harmony Bianca
Un chirurgo dal passato: Harmony Bianca
E-book189 pagine2 ore

Un chirurgo dal passato: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Due infermiere in città 1/2
Cosa succede quando due donne forti e indipendenti si innamorano dell'uomo sbagliato?

L'infermiera Grace Gibson ama la sua vita e il proprio lavoro come coordinatrice dell'Unità Trapianti dell'ospedale di Sydney, ma l'arrivo improvviso di un fantasma dal passato stravolge la sua tranquilla routine quotidiana. Quello che durante l'infanzia era semplicemente un vicino di casa, adesso è diventato un uomo attraente e carismatico. No, decisamente Marcus Washington non può essere considerato uno spettro, ma un Adone in carne e ossa, un medico brillante e capace che però porta con sé un pesante fardello di dolore e rabbia. Forse Grace ha la chiave per arrivare al suo cuore, ma a volte aprire uno scrigno senza conoscerne il contenuto può rivelarsi molto pericoloso...
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788830505650
Un chirurgo dal passato: Harmony Bianca
Autore

Emily Forbes

È lo pseudonimo letterario di due sorelle, che con questo romanzo debuttano ufficialmente in Harmony Bianca.

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    Anteprima del libro

    Un chirurgo dal passato - Emily Forbes

    successivo.

    1

    «Cosa? Mi stai dicendo che hai un rene in più?»

    Grace sorrise. Sapeva che Connie Matera sarebbe stata colpita da quella telefonata, ma era certa che lo stupore avrebbe presto lasciato il posto a un gran sollievo una volta che le avrebbe spiegato la situazione. «Sì, ho un rene in più e sarà tuo» ripeté.

    «È morto qualcuno?»

    Come caposala del reparto Trapianti Nefrologici di uno dei più grandi ospedali di Sydney, Grace sapeva bene che la fortuna del destinatario di un trapianto era spesso oscurata dal senso di colpa per la consapevolezza di aver ricevuto un organo da una persona che non ce l'aveva fatta. Ma non era quello il caso. «No, viene da un donatore vivente.»

    «Cosa... perché?» Connie non riusciva a trovare le parole giuste per chiederle quello che desiderava sapere. «Come fai ad avere un rene in più?»

    «Hai mai sentito parlare del programma di donazione Domino?» chiese Grace.

    «Sì. Ma credevo fosse necessario avere un amico o un membro della famiglia disposto a rinunciare a un rene perché qualcuno lo donasse a me. Non è così che funziona?»

    «Di solito sì, ma tu sei stata fortunata.» Grace sapeva che la famiglia di Connie si era detta disposta a cederle un proprio rene, ma sebbene sua madre e sua sorella avessero il suo stesso gruppo sanguigno, non erano risultate compatibili a livello tissutale e di conseguenza non potevano essere tenute in considerazione per il trapianto. Connie si era dovuta sottoporre alla dialisi e iscriversi alla lista d'attesa nella speranza che si trovasse un altro donatore. «È venuto fuori che il rene di uno dei nostri pazienti iscritti al programma Domino è compatibile con quello di un donatore deceduto, per cui non c'è più bisogno per lui di un donatore vivente. Tuttavia il suo parente si è detto comunque disponibile a donare il proprio, e nella lista d'attesa tu sei l'unica paziente compatibile.»

    «Cioè uno sconosciuto ha intenzione di... darmi il suo rene?»

    «Sì.»

    «Ma è mai capitato prima?»

    «Non che io sappia.» Grace non capiva se la nota che percepiva nella voce di Connie fosse paura o scetticismo. Era troppo generoso, troppo bello per essere vero. «È una grande notizia, Connie. È il tuo giorno fortunato.»

    Grace la sentì sospirare profondamente. «Sì, sì. Certo. Ma adesso cosa facciamo?»

    «So che dovresti fare la dialisi domani, ma se potessi venire qui oggi per una visita pre-operatoria sarebbe perfetto. Dobbiamo sottoporti a degli esami e spero di riuscire a fissare l'intervento per la prossima settimana.»

    «Così presto?»

    «Il tuo donatore ha già un appuntamento per mercoledì prossimo. Le sale operatorie e gli ospedali sono tutti al completo, ma se riesco a prenotare un'altra sala operatoria qui e i tuoi esami sono a posto, possiamo procedere.»

    «E niente più dialisi?»

    «Se tutto va come spero, a quest'ora la settimana prossima la dialisi sarà solo un ricordo» le confermò Grace. «Ci vediamo alle due.»

    «Okay.»

    «E... Connie?» aggiunse Grace con un sorriso che traspariva dalla voce, «compra anche un biglietto della lotteria mentre vieni in ospedale.»

    Stava ancora sorridendo quando la salutò e chiuse la telefonata. Adorava quella parte del suo lavoro. Nell'équipe trapianti le belle notizie erano sempre accompagnate da un risvolto triste, ma le donazioni domino come quella costituivano una parte gratificante del suo lavoro e Grace era piuttosto eccitata.

    Alcune giornate erano dure e dare brutte notizie alla gente non era mai facile, ma questa volta era diverso. Aveva un rene da donare. E poi sarebbe stata piuttosto presa. La telefonata a Connie era stata solo l'inizio. Tutti gli altri donatori e destinatari erano stati visitati ed erano pronti. I loro interventi erano fissati per la settimana successiva, ma doveva ancora prenotare un'altra sala operatoria per Connie e pregare che i suoi esami non riservassero brutte sorprese. A quel punto avrebbe dovuto solo incrociare le dita sperando che nessuno si ammalasse fino al giorno fissato. O peggio, che cambiasse idea.

    Aveva dodici sale operatorie da prenotare in cinque diversi ospedali, disseminati in tre città. Sarebbe stato il più grande esperimento di donazione domino mai effettuato in Australia ed era fiera di prendervi parte. Lavorava all'Unità Trapianti da due anni, ma solo di recente era stata promossa al ruolo di coordinatrice. Aveva già seguito delle donazioni incrociate di rene prima di allora, ma niente di quella portata.

    Inserì al computer tutti i dati relativi alle visite nefrologiche di Connie e si assicurò che tutti i documenti necessari fossero allegati, così come i risultati delle analisi, la ricetta per i nuovi esami e i documenti relativi al consenso informato; poi fece una chiamata di cortesia al medico condotto di Connie. Di lì a una settimana, nella migliore delle ipotesi, sei persone avrebbero potuto beneficiare di un nuovo rene funzionante. Era molto importante anche per le loro famiglie. Un tempo lei stessa aveva fatto parte di una di quelle famiglie...

    Ora doveva organizzare una riunione del personale. Aveva già fissato tre dei dodici interventi nel suo ospedale, il Kirribilli General Hospital, ma adesso doveva fissarne un quarto, il che significava trovare quattro squadre chirurgiche, due per il prelievo degli organi e altre due per il trapianto vero e proprio.

    Alla fine, chiamò l'ufficio Pubbliche Relazioni dell'ospedale. Era un evento importante e ottenere una certa visibilità mediatica avrebbe portato grossi benefici alla campagna di incoraggiamento alla donazione di organi. Sempre che tutto fosse andato bene.

    Doveva andare bene, disse a se stessa. C'era troppo in ballo per prendere in considerazione un fallimento. Doveva per forza andare tutto per il meglio.

    Davanti all'ingresso del Kirribilli General Hospital Grace dovette lottare per soffocare le farfalle che sentiva alla bocca dello stomaco. Di fronte a lei c'era uno schieramento di telecamere e troupe televisive. Era partito il conto alla rovescia.

    I trapianti sarebbero iniziati il giorno successivo alle otto del mattino, mancavano solo diciassette ore, ed era arrivato il momento di rilasciare una dichiarazione alla stampa. Non era da sola; accanto a sé aveva molti membri del reparto Trapianti Nefrologici e dell'ufficio di Pubbliche Relazioni dell'ospedale. Era un bel pomeriggio di sole e i giornalisti erano al gran completo. Grace non sapeva se fosse perché erano a corto di notizie o se davvero erano interessati. Se lo augurava. Era un'occasione favolosa per ottenere dell'ottima pubblicità e avere l'opportunità di promuovere l'importanza della donazione di organi.

    Fece un bel respiro per cercare di calmarsi mentre il portavoce dell'ospedale presentava il professor Elliot Martin, il capo dell'Unità Trapianti Nefrologici. Elliot avrebbe presentato a sua volta gli altri membri del reparto, dopodiché sarebbe venuto il turno di Grace. Odiava parlare in pubblico. Non le importava doverlo fare davanti ad altri medici, rapportarsi con gli altri coordinatori e nemmeno parlare con le famiglie dei pazienti. Quello riusciva a gestirlo, ma stare di fronte a una platea di sconosciuti era tutto un'altro paio di maniche. Per non parlare delle telecamere e dei microfoni tesi verso di lei. Aveva seguito qualche lezione in merito e aveva anche imparato diversi trucchi. Conosceva bene l'argomento del discorso e non aveva motivo di essere tanto agitata, ma non riusciva comunque a placare i propri nervi.

    Sbirciando oltre la spalla del giornalista che aveva di fronte, trovò lo sguardo di Lola, la sua amica, collega e coinquilina, che la osservava pochi metri più in là. Le aveva dato qualche consiglio quella mattina. Lola finse di sbottonarsi la camicia della divisa e le fece un occhiolino. Grace rispose con un sorriso. Il consiglio di Lola era di immaginare il pubblico in mutande, in questo modo quella massa di persone le sarebbe parsa meno intimidatoria.

    Distolse lo sguardo da Lola prima che la sua amica la inducesse a fare qualcosa di sconveniente di fronte alle telecamere come scoppiare a ridere. Continuò a osservare la platea, che per lo più era composta da uomini di mezza età, dottori e staff amministrativo dell'ospedale, tutti almeno vent'anni più vecchi di lei, che ne aveva solo ventisette, e nessuno di loro avrebbe fatto bella figura in mutande.

    Wow. Aspetta un momento. I suoi occhi, vagando tra la folla, si erano posati su qualcosa, o meglio, su qualcuno, che aveva catturato la sua attenzione. Distolse lo sguardo immediatamente.

    Proprio davanti a lei c'era un ragazzo che non le sarebbe dispiaciuto affatto vedere in mutande.

    Era alto un metro e ottanta buoni, e aveva spalle larghe e petto solido, anche se sembrava stare in leggero equilibrio sui piedi. Nonostante la sua stazza, aveva l'aria calma e concentrata, sembrava persino rilassato, e lei lo invidiò per la sua compostezza.

    I suoi capelli scuri erano rasati e un accenno di barba gli disegnava l'ovale del volto. Aveva la mascella squadrata e le labbra pronunciate, e la leggera ruga che gli solcava la fronte tra le sopracciglia aggrottate smentiva la sua rilassatezza. I suoi occhi scuri sembravano pensierosi e seri, attenti. Era incredibilmente bello, ma quella non fu l'unica cosa ad attirare l'attenzione di Grace. Era il contrasto fra lui e le persone che lo circondavano a incuriosirla. Era qualcosa che andava oltre la sua altezza e il suo viso perfettamente disegnato. Tutto ciò era messo in evidenza dalla sua pelle color caffè, che lo faceva spiccare tra tutti i presenti.

    Indossava una giacca blu con una camicia bianca, che faceva risaltare la sua carnagione. L'abito, evidentemente su misura, gli cadeva a pennello ed era perfettamente stirato. Aveva l'aria di essere ben consapevole del proprio aspetto. D'altro canto se uno è così bello perché non dovrebbe vantarsene? Era delizioso.

    C'era qualcosa di vagamente famigliare in lui, ma Grace pensò che forse era solo la sua immaginazione. Si sarebbe ricordata se lo avesse incontrato prima, non era di certo un tipo che si dimenticava facilmente. Doveva essere una di quelle esperienze di déjà vu, pensò mentre un'ondata di desiderio le attraversava le membra, unendosi alle farfalle.

    Percorse con lo sguardo il suo abito, notandone anche i fianchi slanciati e i quadricipiti scolpiti. Lo avrebbe visto volentieri in mutande... Per alcuni secondi fantasticò sull'immagine di lui che si sbottonava la camicia, finché non si rese conto di aver dimenticato ogni parola del discorso.

    Concentrati, avanti. Ma era impossibile farlo con quei pensieri che le danzavano nella mente.

    Distolse lo sguardo dall'uomo e tornò a guardare Lola, che le sorrideva con le sopracciglia inarcate. Abbassò gli occhi prima che l'amica potesse farla ridere e si focalizzò sulla respirazione, sperando che nessuno avesse notato la sua espressione sognante per quell'affascinante sconosciuto.

    Marcus faticava a credere di essere stato tanto fortunato. Era arrivato al Kirribilli General Hospital grazie a un programma di scambio dalla Western Australia per lavorare come specialista per un periodo di dodici settimane presso il Reparto Trapianti, e aveva scoperto di essere giunto appena in tempo per prendere parte a un trapianto domino di reni.

    Era stato indeciso se accettare o meno quel posto, ma alla fine aveva capito di non poter fare altrimenti. L'opportunità era troppo buona per essere scartata, dal momento che si stava già dando da fare al Queen Victoria Hospital di Perth affinché gli permettessero di entrare a far parte del programma. Passare un qualche mese a Sydney gli avrebbe permesso di fare un po' di utile esperienza sul campo.

    Si guardò attorno, i giornalisti si erano già riuniti davanti all'ospedale. Era una grande notizia ed era un'ottima opportunità per i PR del nosocomio e per il reparto Trapianti per promuovere le donazioni, tuttavia a lui non piaceva tutto quel trambusto. Non vedeva l'ora di andarsene, di entrare in sala operatoria e iniziare a lavorare. Lì sì che si sentiva sempre sicuro. Ogni imprevisto veniva risolto con calma e in modo scientifico. Sapeva di avere le capacità per gestire ogni cosa che sarebbe potuta accadere durante un intervento. Aveva impiegato anni ad affinare le proprie competenze. Gli piaceva avere la situazione sotto controllo, e fare il chirurgo glielo permetteva. Aveva controllo e rispetto.

    Elliot Martin, il responsabile del reparto Trapianti Nefrologici stava parlando. Marcus sapeva che avrebbe presentato il team di chirurghi e tornò a concentrarsi su quello che sarebbe presto diventato il suo nuovo capo perché non voleva perdersi la propria presentazione.

    Era eccitato. Quella era davvero l'opportunità dopo la quale sperava di poter tornare a Perth e realizzare il proprio sogno.

    Apprezzò la fortuna che gli era capitata e sperò di aver occasione di mettere in pratica le proprie abilità chirurgiche in una delle tante operazioni programmate, anziché limitarsi ad assistere. Fece un bel respiro pensando alla possibilità di poter condurre lui stesso uno di quegli interventi. Sarebbe stato fantastico. Certo, si sarebbe trattato sicuramente di un espianto, ma era sufficiente. Desiderava solo partecipare, avere l'opportunità di dimostrare le proprie capacità. Era una delle poche cose nelle quali sapeva di eccellere. L'espianto era un'operazione più semplice, quasi di routine, i margini di errore erano minimi, ma era comunque una procedura molto delicata.

    Fare un espianto significava rimuovere il rene da una persona sana, il che in genere era in contraddizione con il principio medico del non arrecare danno, ma in quel caso credeva nella causa e in tutto il bene che quell'intervento avrebbe significato. Era convinto che i benefici fossero di gran lunga superiori agli svantaggi. Trovava incredibile che ci fossero persone disposte a sacrificare uno dei propri organi per uno sconosciuto in modo che qualcuno dei loro cari ricevesse lo stesso regalo.

    Non riusciva a immaginare di amare così tanto qualcuno.

    Cercò di riconcentrarsi sul discorso di Elliot, e ci riuscì appena in tempo per la sua presentazione.

    «Vorrei presentare a tutti voi la dottoressa Janet Hoskins e il dottor Marcus Washington, dal Queen Victoria Hospital di Perth che si uniranno alla squadra nefrologica del Kirribilli General per i prossimi tre mesi.»

    Sentendo il proprio nome fece un passo in avanti e il suo sguardo cadde su una bella rossa alla sinistra di Elliot, che però fu subito nascosta alla sua vista dalle spalle di qualcun altro. Lo stava fissando a bocca aperta. Il suo viso a forma di cuore era pallido, aveva la pelle liscia e chiara sulla quale spiccavano le labbra color corallo, quasi della stessa gradazione ramata dei suoi capelli. Aveva visto quella tonalità di rosso solo un'altra volta nella sua vita...

    Non poteva essere. Chissà quante persone al mondo avevano i capelli di quel colore.

    Si stava sbagliando. Erano passati vent'anni, del resto. I ricordi gli stavano facendo un

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