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Una nuova famiglia per il chirurgo
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E-book157 pagine1 ora

Una nuova famiglia per il chirurgo

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Info su questo ebook

Quando la passione per la medicina incontra le ragioni del cuore, la famiglia diventa il posto in cui sentirsi a casa
Il dottor William Cooper è decisamente nei guai! La sorellastra di undici mesi è stata affidata alle sue cure e lui non ha assolutamente idea di come si faccia il padre. Ha bisogno di imparare e anche in fretta! Quindi, quando l'infermiera Hannah Reeves si offre di aiutarlo, non potrebbe esserle più grato. Ma non appena Hannah entra nella sua vita, William si ritrova a desiderare con tutto se stesso che lei sia l'ultimo tassello di quella inaspettata famiglia!
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2021
ISBN9788830533325
Una nuova famiglia per il chirurgo

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    Anteprima del libro

    Una nuova famiglia per il chirurgo - Deanne Anders

    1

    Hannah Reeves vide l'uomo che cercava nell'istante in cui uscì dalla stanza della sua paziente. A neanche due metri da lei, la figura alta del dottor William Cooper era appoggiata contro il muro. Il Principe di Ghiaccio di neurochirurgia oggi era di turno, il che voleva dire che la signora Nabors sarebbe stata nelle mani migliori.

    Solo che questo non era lo stesso dottore la cui imperturbabilità lo aveva reso una leggenda in sala operatoria. I suoi occhi azzurri erano cerchiati da ombre scure e la bocca era serrata in una linea stanca, dal che lei capì che qualcosa non andava. Era per la TAC della signora Nabors? Hannah aveva capito che le notizie non erano buone dallo sguardo che le aveva rivolto il radiologo quando avevano riportato la donna nella sua stanza.

    «Shelley, mi dispiace. È un'emergenza.» Lui si passò una mano tra i folti capelli scuri, sparandoli in tutte le direzioni. «Lo so... Farò qualche telefonata. Dammi solo qualche minuto, okay?»

    Hannah stava per interromperlo quando lui concluse la chiamata. Cercando di non dare l'impressione che stesse origliando, fece un passo avanti e si scoprì ancor più preoccupata quando notò il camice spiegazzato. E cos'era quella macchia sulla camicia? Di sicuro qualcosa non andava, ma di qualunque cosa si trattasse avrebbe dovuto aspettare.

    «Ha ricevuto il referto della TAC della signora Nabors?» chiese Hannah. Benché avesse assicurato alla figlia della paziente che la madre stava bene, il recente manifestarsi di uno stato confusionale nella donna e la reazione dei radiologi l'avevano preoccupata.

    «Ho parlato con il radiologo prima di venire su. L'ictus è sfociato in un'emorragia, come sospettavi. Devo portarla in sala operatoria. Adesso vado a parlare con la sua famiglia. Puoi preparare il consenso informato?» le chiese.

    «Certo. Torno subito.» Hannah si diresse alla postazione della caposala per ritirare il modulo. Quindici minuti dopo, osservò i barellieri che trasferivano la signora Nabors in sala operatoria.

    Finalmente poteva dedicarsi al passaggio delle consegne a fine turno. Aveva già finito il giro dei pazienti, ma voleva ricontrollare le cartelle cliniche per accertarsi che non vi fossero disposizioni dell'ultimo momento da riferire al turno di notte.

    Per qualche minuto, si concesse un po' di relax sulla sedia imbottita dell'ufficio mentre ricontrollava le cartelle. I suoi piedi gridavano pietà da almeno un'ora, così si tolse le scarpe e arricciò le dita. Trattenne un gemito di piacere. Soddisfatta delle sue scartoffie, chiuse le cartelle. Ancora mezz'ora e avrebbe finito.

    La sua mente cominciò a spuntare tutte le cose da fare quella sera. La cena, i compiti di Lindsey da controllare... ultimamente era diventata una gara tra loro a chi avesse più compiti ogni sera. E poi c'era la mail di ieri del suo docente per ricordarle che non si era ancora trovata un medico che la accettasse come tirocinante per quel semestre. Forse aveva messo troppa carne al fuoco?

    Almeno il temuto progetto di Storia era stato completato la sera prima. Il ricordo di Lindsey che era arrivata con il suo modello in cartapesta di Alamo quella mattina le fece venire le lacrime agli occhi. Era stata a un passo dal perderla... Disse una preghiera silenziosa per la famiglia di chi aveva donato il cuore a Lindsey, poi mentalmente aggiunse l'appuntamento con il cardiologo alla lista di cose da fare in settimana.

    Hannah guardò l'orologio. Aveva abbastanza tempo per controllare ancora una volta i suoi pazienti prima che arrivasse l'infermiera del turno di notte e le desse il cambio. Scusandosi con i suoi poveri piedi, li costrinse a rientrare nelle scarpe, promettendo un lungo riposo non appena la sua vita avesse rallentato.

    «Sì, capisco che è tardi, ma se riuscisse a trovarmi qualcuno... è solo una bambina. Pagherò il doppio, il triplo. So che è una richiesta in extremis. È così che funziona la chirurgia di emergenza. Non è programmata... No, non voglio essere scortese... Okay, lo capisco. Può almeno dirmi se ha avuto la fortuna di trovare qualcuno a tempo pieno...? Certo. La richiamerò domani durante le ore d'ufficio. Grazie.»

    Hannah si fermò sulla soglia della sala medici dove adesso sedeva il suo neurochirurgo preferito. Aveva sentito bene? Una bambina?

    In aggiunta ai pochi indizi dedotti dalla telefonata che aveva sentito prima, adesso si era fatta un'idea di ciò che affliggeva il dottore. Non si era forse trovata molte volte in preda al panico per lo stesso motivo in passato? Solo che non aveva senso che un medico single potesse avere gli stessi problemi a trovare una babysitter. Sapeva per certo che quell'uomo non aveva figli. Altrimenti, se li avessi avuti, di certo ne avrebbe parlato prima.

    Pensò alla grossa pila di libri che la attendeva a casa. Avrebbe dovuto fingere di non aver ascoltato la sua conversazione e allontanarsi, ma ci era passata lei stessa troppe volte.

    «Salve, dottor Cooper, abbiamo sentito la sua mancanza ieri sera alla festa di pensionamento di Marjorie» disse Hannah mentre entrava nella stanza, cercando di trovare un modo per affrontare l'argomento. Non voleva fare la figura dell'impicciona, ma non c'era davvero modo di girarci intorno.

    «Era ieri sera?»

    «Il volantino è rimasto appeso alla porta della sala ristoro per le ultime due settimane» disse lei. Marjorie era una delle sue infermiere preferite: era stata una sorpresa che non si fosse presentato.

    Lui si accasciò sulla sedia e scosse la testa. Aveva l'espressione di un uomo che si era svegliato all'improvviso e non sapeva più dove si trovava. Era chiaro come il sole che aveva bisogno di aiuto.

    «Mi scusi, dottor Cooper, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la sua telefonata. Posso fare qualcosa per aiutarla?» gli chiese Hannah.

    «Hai avuto gli stessi problemi a trovare qualcuno che badasse a tua figlia Lindsey mentre lavoravi?»

    «Certo, prima o poi succede a ogni genitore. C'è qualcosa che non va?»

    «Sì, ho un problema davvero grosso in questo momento. Ho bisogno di qualcuno che badi a una bambina. Pensavo che la persona che ho assunto capisse che avevo bisogno di qualcuno con orari flessibili. Adesso ho la signora Nabors in fase pre-operatoria e non ho nessuno che possa badare a questa bambina.»

    Hannah non poté fare a meno di provare compassione per il poveretto. Aveva avuto le sue difficoltà per sistemare la figlia mentre lavorava e studiava, anche se Lindsey aveva passato quasi metà della sua vita in ospedale prima di ricevere il trapianto. Hannah ricordava quei giorni fin troppo bene, soprattutto quando lei e Lindsey si erano trasferite a Houston.

    Era impossibile non offrirsi di aiutarlo.

    Non farlo! Farsi coinvolgere nella vita delle altre persone è andare in cerca di guai, intonò una voce dentro di lei.

    Come al solito Hannah ignorò quell'affermazione, che riconobbe come imputabile a sua madre... una voce radicata in lei di cui temeva non si sarebbe mai liberata, nonostante tutti i suoi sforzi.

    «Ascolti, ci sono passata anch'io. È uno schifo. In moltissime occasioni sono stata salvata da un'amica che si è offerta di badare a Lindsey. Perlopiù, si trattava di madri single come me e ho potuto ricambiare il favore.»

    Magari è un errore, ma che altro posso fare? Quell'uomo doveva eseguire un intervento e non aveva bisogno di altre preoccupazioni prima di aprire il cranio della povera signora Nabors.

    «Sarei felice di aiutarla» gli disse. «Siamo quasi a fine turno, e devo passare a prendere Lindsey al doposcuola, ma è solo a cinque minuti da qui.»

    «Davvero, non sarebbe un disturbo?»

    Perché la sua offerta era un tale choc per lui? Certo, era un neurochirurgo di fama mondiale. Probabilmente non si era mai trovato nella posizione di aver bisogno dell'aiuto di qualcun altro.

    «Come ho detto, ci sono passata. Come si chiama?» chiese Hannah. Quando lui la guardò con uno sguardo assente, aggiunse: «La bambina. Come si chiama? Quanti anni ha? E il suo indirizzo?».

    Il suo viso si irrigidì per un istante prima che il cervello registrasse le domande e ripartisse. C'era decisamente qualcos'altro a impensierirlo a parte il bisogno di una babysitter.

    «Si chiama Avery. Ha undici mesi... no, credo che sia ancora nei dieci. Sinceramente non ne sono sicuro. Dovrei saperlo, non è vero?» disse, più a se stesso che a lei.

    «Immagino che sia a casa sua» proseguì Hannah, staccando un post-it dal blocchetto più vicino e porgendoglielo. Gli squillò il telefono.

    Lui scarabocchiò l'indirizzo mentre rispondeva. Leggendo il bigliettino, Hannah riconobbe una delle zone più ricche di Houston.

    «Arrivo subito» disse lui prima di chiudere la telefonata. «Era la sala operatoria. È tutto pronto. Ascolta, Hannah, non so come ringraziarti.»

    «Non c'è problema, dottor Cooper. Come ho detto prima, ci sono passata. Per quanto tempo crede di restare in sala operatoria?» gli chiese, pensando che avrebbe dovuto organizzarsi per la cena se lui avesse fatto tardi. Avrebbe anche voluto chiedergli che cosa mangiava la bambina, se prendeva ancora gli omogeneizzati o aveva iniziato a mangiare cibi solidi, ma Hannah sapeva che non aveva tempo di rispondere a tutte le sue domande. Avrebbe dovuto chiedere alla babysitter.

    «Non dovrei fare troppo tardi. Spero non più di due ore, ma non lo saprò finché non vedrò l'entità dell'emorragia» disse mentre si alzava per andarsene.

    Lei scorse l'esitazione nei suoi occhi. «Non si preoccupi per Avery. Avrò buona cura di lei» disse con lo stesso tono che usava con i pazienti quando erano in ansia.

    «Okay. Arriverò il prima possibile» disse prima di andare in sala operatoria.

    Hannah lo aveva sempre considerato un mistero e adesso era ancora più curiosa. Aveva una bambina di dieci mesi a casa sua. Dov'era la madre della bambina? E lui era il padre? Forse avevano dei problemi per la custodia...

    Sentì di nuovo quella vocina che le diceva di farsi gli affari suoi e di tenersi alla larga dai problemi altrui, e stavolta dovette ammettere che si trattava di un ottimo consiglio. Ma Hannah viveva la vita a modo suo da molto tempo ormai. Prendeva da sola le sue decisioni e aiutare un collega era la cosa giusta da fare.

    «Wow!» sospirò Lindsey mentre si avvicinavano all'enorme casa rivestita di pietra e legno scuro. Al primo piano c'erano due terrazze in ferro battuto, che davano all'edificio l'aspetto di un antico castello.

    «Già. Wow!» disse Hannah parcheggiando davanti all'ingresso.

    Mentre Lindsey correva verso la porta, Hannah scese lentamente dalla macchina. Il grande giardino, notò, era curato alla perfezione, le azalee in piena fioritura nei loro boccioli rosa e viola, e cespugli tagliati in angoli precisi. Era il perfetto complemento per la residenza impressionante.

    Hannah progettava di comprare una casa per lei e Lindsey non appena avesse concluso gli studi e si fosse assicurata un impiego in pianta stabile con uno dei neurochirurghi. Ma persino nei suoi sogni più sfrenati sapeva che tutto ciò che sarebbe riuscita a permettersi nel mercato immobiliare di Houston era una casetta in periferia con un francobollo di giardino.

    Seguendo la figlia fino alla porta, passò una mano tra i capelli di Lindsey mentre la bambina saltellava eccitata da un piede all'altro. A undici anni, aveva passato gran parte della sua vita in attesa di un trapianto cardiaco che le permettesse di sperimentare tutto ciò che gli altri bambini davano per scontato, e adesso sembrava che si tuffasse a capofitto in ogni situazione... proprio come oggi aveva fatto anche Hannah.

    La pesante porta di legno e il lampadario in ferro battuto che pendeva sotto il portico gridavano denaro. Sentendosi come il topolino di campagna appena arrivato in città, Hannah suonò il campanello e attese.

    «E lei chi è?» le chiese la ragazza

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