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Un ereditiera in corsia: Harmony Bianca
Un ereditiera in corsia: Harmony Bianca
Un ereditiera in corsia: Harmony Bianca
E-book154 pagine2 ore

Un ereditiera in corsia: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Può una ragazza dell'alta società abbandonare gli abiti griffati e indossare il camice?

A Firenze Dante Corsi conosce una ragazza e insieme a lei passa una settimana da sogno. Alla fine di quei sette giorni però lei scompare nel nulla.
Esattamente un anno dopo, durante un ballo di beneficenza, Dante riconosce la donna che gli ha cambiato la vita e che ha rubato il suo cuore. Lei è Lady Alice Granville, elegante, sexy, sofisticata e ricca. Furioso con Alice perché gli ha mentito e lo ha lasciato senza una parola, Dante la sfida ad accompagnarlo in Africa a lavorare in un campo profughi.
Alice accetta e acconsente anche a scalare una montagna per dimostrare la propria forza di volontà. Ci riuscirà, ma impresa ben più difficile si rivelerà conquistare il cuore dell'uomo che ama.
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788858983942
Un ereditiera in corsia: Harmony Bianca
Autore

Anne Fraser

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un ereditiera in corsia - Anne Fraser

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Doctor And The Debutante

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2011 Anne Fraser

    Traduzione di Silvia Calandra

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-394-2

    Prologo

    Alice prese la matita e schizzò ancora qualche tratto sul foglio dell’album. Il David di Michelangelo non stava venendo come avrebbe voluto. Assomigliava più all’Incredibile Hulk che a un capolavoro mondiale.

    Si era recata in Piazza della Signoria alle prime luci dell’alba per evitare la folla dei turisti. Firenze pullulava di visitatori e non vi era da stupirsi che la città italiana fosse così famosa. Era il sogno di qualsiasi amante dell’arte. Ovunque voltasse lo sguardo, Alice vedeva statue, incredibili opere architettoniche e d’arte di cui fino ad allora aveva unicamente letto nei libri. Solo il giorno prima aveva visto il David originale di Michelangelo e si era commossa. E adesso era lì nella piazza a farne lo schizzo.

    Già alle otto del mattino la piazza si stava riempiendo e così decise di fermarsi solo un’altra ora e poi se ne sarebbe andata.

    Riprese la matita e sospirò di piacere quando il sole iniziò a scaldarle la pelle. Non stava così bene da molto tempo. A Firenze nessuno sapeva chi fosse e si sentiva libera. Non c’erano paparazzi appostati ovunque, sempre pronti a scattare foto da pubblicare sui giornali scandalistici né cene ufficiali e neppure cerimonie a cui presenziare.

    Per quelle tre, troppo brevi, settimane era semplicemente Alice Granville.

    Distese il braccio allontanando l’album e osservò il disegno con aria critica. Non era un’artista e non lo sarebbe mai diventata, ma si stancava di ballonzolare tutto il giorno nel giardino della villa e aveva voglia di fissare alcune delle belle cose che vedeva.

    Non appena avesse terminato, sarebbe andata al bar a prendere un caffè con una di quelle meravigliose paste. Un piccolo premio che si concedeva tutti i giorni. Era una buongustaia. Ogni volta che passava davanti a una pasticceria, Alice fissava gli invitanti dolci esposti in vetrina. Sfortunatamente, a Firenze c’era una pasticceria ad ogni angolo e lei adocchiava subito un dolce nuovo che doveva assolutamente assaggiare.

    Anche gli italiani amavano molto la buona cucina, ma Alice doveva stare attenta. Le bastava uno sguardo a certi piatti deliziosi per sentirsi allargare i fianchi. Non era sovrappeso. Solo un po’ più formosa di quanto avrebbe voluto.

    Stava per raccogliere le sue cose quando il suo sguardo venne attratto da una figura seduta su una panchina davanti a lei. L’uomo, dall’aspetto aitante, indossava un paio di jeans aderenti e scoloriti e una maglietta bianca con le maniche tagliate. Il viso era rivolto verso l’alto, come per bere i raggi del sole. I bicipiti gli si gonfiarono quando alzò le braccia per sfilarsi la maglia. Alice inspirò profondamente. Era la copia vivente della statua di Michelangelo. Il petto e le braccia erano abbronzati.

    Iniziò a fare uno schizzo del viso. I capelli scuri, quasi neri, gli ricadevano sulla fronte ampia. Aveva un lungo naso romano e la mascella forte.

    Si spostò verso la bocca. Le labbra erano piene, gli angoli leggermente all’insù, come di chi è abituato a sorridere spesso.

    Quasi le avesse letto nel pensiero, lui sorrise, si stirò e aprì gli occhi incorniciati da lunghe ciglia scure. Erano castani con una luce che li rendeva quasi ambrati. I denti erano perfetti e bianchi. Ovviamente. Quell’uomo non poteva avere alcuna imperfezione. Era sicuramente il più bello che avesse mai visto in tutta la vita. E questo la diceva lunga.

    Scorrendo con lo sguardo sul petto, la matita che scivolava freneticamente sulla carta, si accorse di un’imperfezione. Una cicatrice di qualche decina di centimetri gli scendeva da una spalla sull’addome, deturpandogli il petto.

    Alice bevve un sorso di acqua. Le si era seccata la bocca.

    L’uomo si spostò leggermente prima di prendere la maglietta dalla panchina. Alzò le braccia per infilarla nuovamente delineando nuovamente i muscoli.

    Alice si fece aria con l’album. Faceva caldo a Firenze in estate.

    Ancora dieci giorni e sarebbe tornata alla sua vita a Londra. Sospirò. Perché il solo pensiero la terrorizzava? La maggior parte delle donne avrebbe dato un occhio della testa per fare la sua vita. Ma per lei era vuota, quasi inutile. D’altro canto, da quando era in Italia, avvertiva la strana sensazione di essere a casa. Era pazzesco. Conosceva poco la lingua e, per quanto ne sapeva, non c’erano italiani tra i suoi antenati. Forse perché lì poteva essere solo Alice e non Lady Alice Granville, figlia di uno dei più ricchi uomini di Londra.

    Per una volta nella vita, Alice non era sotto le luci della ribalta e voleva godersi quella libertà. Tutte le mattine lasciava la villa e girava per Firenze, abbeverandosi di arte e architettura, allungando continuamente il collo per timore di perdersi qualche incantevole scultura. Aveva detto a Peter che avrebbe riflettuto sulla sua proposta. Era l’uomo giusto per lei. Sarebbe stato un marito perfetto. Ricco, sofisticato, aristocratico e, ancora più importante dal punto di vista di suo padre, con un brillante futuro nella sua azienda. Ma, ed era un grosso ma, non faceva nulla per fare battere il cuore ad Alice. Noioso era l’aggettivo che meglio lo descriveva. Aveva deciso di venire a Firenze per prendersi tempo e spazio per riflettere sulla sua proposta, ma era già convinta che non l’avrebbe mai sposato. Dirglielo sarebbe stato orrendo, ma era la prima cosa che avrebbe fatto al suo ritorno a casa.

    Negli ultimi dieci giorni Alice si era concessa il lusso di sognare di essere italiana, una donna normale con una vita normale e le piaceva quella sensazione. Per il resto della sua permanenza a Firenze sarebbe stata Alice Granville, studentessa universitaria, che doveva portarsi il pranzo in città per risparmiare. Anche se quel pranzo era stato preparato dallo chef che lavorava presso la dimora di campagna dell’amico di suo padre.

    Uno stridio di freni e un grido di terrore colmarono l’aria, catapultandola nella realtà. Per un istante sulla piazza cadde il silenzio e il mondo parve fermarsi. Alice balzò in piedi, lasciando tutte le sue cose sul gradino e corse verso il punto da cui era venuto il rumore.

    All’inizio non si capiva cosa fosse accaduto. Per terra, dov’era stata travolta una bancarella dei venditori di borse di cuoio, c’era un mucchio di metallo e vestiti. Un motorino, le ruote accartocciate, la lamiera piegata e deforme. Un’auto era uscita di strada e l’uomo alla guida stava scendendo. Barcollava e si appoggiò al cofano per reggersi in piedi.

    «Dio mio!» esclamò, turbato e confuso. «Dio mio!»

    Alice scorse la bambina per terra, immobile. A pochi passi da lei, una donna gemeva e cercava di alzarsi.

    Anche l’uomo seduto sulla panchina si alzò di scatto e corse sul luogo dell’incidente.

    «Chiamate un’ambulanza!» gridò alle persone che si erano fermate a guardare e s’inginocchiò accanto alla bambina ferita. Una donna subito compose un numero al telefono. Tutti osservavano la scena in silenzio. Poi alcuni cominciarono ad allontanarsi.

    «Serve aiuto?» chiese Alice, inginocchiandosi accanto all’uomo al quale fino a pochi minuti prima stava facendo il ritratto.

    «Si occupi della donna» replicò lui in un inglese con forte accento straniero. «La faccia restare ferma e che nessuno cerchi di muoverla.» Probabilmente notò l’esitazione di Alice. «La prego, vada!» la incalzò. «Sono un medico. Tra un attimo la raggiungo.»

    Il cuore le batteva forte, ma si avvicinò alla donna. Sperava non fosse ferita gravemente. L’unica esperienza di pronto soccorso che aveva Alice era un corso frequentato a scuola quattro anni prima. Per fortuna la donna respirava ed era vigile. Rammaricandosi di non parlare bene italiano, si rivolse alla signora dai capelli grigi, sperando, se non altro, che la sua presenza potesse rassicurarla. Lei borbottò qualcosa che Alice non comprese. Per fortuna la donna che aveva chiamato l’ambulanza si fermò a tradurre. «Vuol sapere se la sua nipotina sta bene» spiegò ad Alice.

    «Le dica che un medico la sta visitando ora.»

    L’anziana signora iniziò ad alzarsi lentamente, ma Alice la convinse con gentilezza a restare ferma. «Non deve muoversi finché non l’avrà vista il medico.» E mentre l’altra donna traduceva le sue parole, Alice si accorse che la signora aveva la caviglia gonfia. «L’ambulanza è in arrivo.»

    La nonna lanciò un’altra occhiata alla nipote e mormorò un altro torrente di parole in un incomprensibile italiano.

    «Una preghiera» spiegò la donna che traduceva.

    Alice si alzò per vedere se poteva essere d’aiuto all’autista dell’auto. La fronte gli sanguinava abbondantemente ma, a parte la ferita e l’espressione stranita, non sembrava grave. «Non le ho viste. Parlavo al telefono.»

    «Hanno già chiamato l’ambulanza» lo rassicurò Alice. «Tra poco sarà qui.»

    «Può restare lei qui con questo signore?» chiese Alice alla signora che aveva tradotto. «Torno tra un attimo. Vedo se il medico ha bisogno di aiuto.»

    Con il cuore che le martellava ancora nel petto, raggiunse in fretta l’uomo. La bambina era pallida, ma la cosa peggiore era che un pezzo di metallo le usciva da appena sotto lo sterno. Alice, terrorizzata, trattenne il fiato. L’uomo si era sfilato la maglietta e l’aveva usata per bloccare il flusso di sangue che scorreva dalla ferita. Benché fosse concentrato sulla paziente, dovette percepire la sua presenza.

    «Gli altri due stanno bene?» le chiese.

    «L’automobilista sì, ma la nonna dev’essersi fratturata la caviglia.»

    «Come ti chiami?»

    «Alice.»

    «Io sono Dante. Devi darmi una mano, in modo che possa controllare gli altri pazienti» le chiese, prendendole la mano e posandola sulla ferita. «Devi tenere premuto con forza. Non devi mollare assolutamente.»

    Alice premette con cautela. Non voleva fare male alla bambina. E il sanguinamento aumentò.

    Subito una mano si posò sulla sua con impazienza, premendo il tampone sulla ferita. «Dio mio, ho detto con forza!» grugnì lui. «Dobbiamo fermare l’emorragia, non tamponare il sangue!»

    «Va bene, ho capito.»

    Lui la fissò per un istante, poi le lasciò la mano e si allontanò. Sopra il vocio degli astanti e il rumore del traffico, Alice sentì la voce della nonna che chiamava la nipotina. E anche la bambina dovette percepirla perché aprì gli occhi.

    Alice si chinò su di lei e le parlò dolcemente, sorridendo. «Va tutto bene, piccola. Devi restare ferma più che puoi.»

    Dante avvicinò il capo al petto della piccola paziente. «Peccato che non abbia lo stetoscopio. Finché riesco a sentire il respiro va bene, ma deve andare al più presto in ospedale.»

    «Non dovremmo sfilarle questa sbarra di metallo dalla spalla?» chiese Alice.

    «Assolutamente no. Peggioreremmo la situazione.»

    «Davvero?» Ormai la maglietta che avevano usato per tamponare era fradicia di sangue.

    «Davvero» ripeté lui. «Resta con la piccola mentre controllo la nonna. Devi parlarle, ma senza smettere di premere sulla ferita. Torno appena posso.»

    Alice si limitò ad annuire. Il cuore le batteva così forte nel petto che quasi le doleva. Non voleva avere la responsabilità della bambina. E se

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