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Confessioni di Natale: Harmony Destiny
Confessioni di Natale: Harmony Destiny
Confessioni di Natale: Harmony Destiny
E-book151 pagine2 ore

Confessioni di Natale: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Lui non può vederla in viso, ma è riuscito a guardarla nel profondo come nessuno prima di quel momento.

Dopo averci riflettuto un po’, l’ex modella Lynne DeVane decide che un uomo affascinante e sexy come Brendan Reilly merita di essere conosciuto meglio. Lei si metterà in gioco e per una volta sfrutterà solo se stessa e non il suo aspetto.

Brendan ha tutte le intenzioni di portarsi a letto la bella Lynne, ma sente che lei non è come le altre. Dev’essere conquistata piano piano, con ogni mezzo. Decide perciò di farle uno speciale regalo di Natale: l’aspetterà davanti all’albero con una proposta a cui non saprà resistere.
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2016
ISBN9788858958209
Confessioni di Natale: Harmony Destiny
Autore

Anne Marie Winston

Nata in Pennsylvania, ha iniziato a leggere romanzi rosa tanto, tanto tempo fa e ancora stenta a credere che ora qualcuno la paghi per leggerli e scriverli!

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    Anteprima del libro

    Confessioni di Natale - Anne Marie Winston

    successivo.

    1

    Lynne DeVane stava portando fuori del suo appartamento alcuni scatoloni utilizzati per il trasloco quando sentì un forte rumore, seguito da un rosario di imprecazioni alquanto colorite e innovative. Accidenti! Aveva visitato un sacco di posti frequentati dalle persone più disparate, eppure non aveva mai ascoltato una combinazione così vivace di parole.

    Lasciò cadere a terra gli scatoloni che reggeva tra le braccia e uscì di corsa dalla porta lasciata aperta per raggiungere il corridoio del bel palazzo di mattoni rossi in cui aveva affittato un appartamento a Gettysburg, in Pennsylvania. Gli scatoloni, che aveva già sistemato nel corridoio, erano disseminati tutti attorno e un uomo... un uomo grande e grosso, come ebbe modo di notare, si stava rialzando in piedi e si stava spazzolando i pantaloni del completo scuro. Un cane, razza golden retriever, stava annusando l'uomo con atteggiamento chiaramente inquieto.

    «Oh, mio Dio! Mi dispiace immensamente!» iniziò a dire Lynne.

    «Be', mi sembra il minimo» ribatté aspro l'uomo, tagliando corto, gli occhi azzurri fissi sul cane invece che su di lei. «I corridoi non sono depositi della spazzatura.»

    Lynne rimase così sbalordita da quella frase secca che non seppe come rispondere. Poi, prima che riuscisse a trovare le parole adatte, l'uomo tese impaziente la mano verso l'intelaiatura della porta dell'appartamento di fronte a quello di lei. «Feather, vieni» ordinò al cane. Non si guardò indietro. Lynne lo osservò armeggiare maldestramente per qualche secondo con la maniglia della porta e si preoccupò.

    «Ehi, aspetti! È sicuro che vada tutto bene? Non è che per caso ha sbattuto la testa...»

    L'uomo si voltò lentamente verso di lei, mentre il cane gli rimaneva accanto. «No, non ho sbattuto la testa. Ho preso un colpo al ginocchio e mi sono scorticato il palmo della mano. Ma lei non deve preoccuparsi: non è mia intenzione denunciarla.»

    «Io non... ma non è per questo che...» cominciò a protestare Lynne, sempre più sconvolta dalle maniere brutali di lui. «È solo che mi sembrava che... fosse stordito o... disorientato... e così mi sono preoccupata.»

    «Sto bene» rispose lui. Ora la sua voce aveva un tono meno teso. «La ringrazio per la sua premura.»

    L'uomo si voltò cercando di nuovo a tastoni la maniglia. Mentre lo guardava girare il pomello per aprire la porta, Lynne venne colpita da una subitanea rivelazione.

    Il suo nuovo vicino di casa era cieco. O, per lo meno, gravemente impedito nella vista.

    L'uomo svanì dentro casa insieme al cane e la porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo deciso.

    Be', un bel pasticcio, quello non era decisamente il piede giusto con il quale iniziare i rapporti con il vicinato, si disse Lynne. Cominciò a trascinare gli scatoloni incriminati verso le scale di servizio, per portarli nell'apposito deposito, che si trovava sul retro dell'edificio. Lì c'erano i cassonetti adibiti alla raccolta di carta e cartone da riciclare. Se solo avesse avuto idea di avere come vicino un cieco, si sarebbe ben guardata dal lasciare incustoditi quegli ingombranti contenitori nel corridoio...

    Nonostante la sensazione di disagio per l'accaduto, non poteva fare a meno di ricordare quanto lo avesse trovato attraente. Alto, bruno, i capelli ondulati, un volto dai tratti decisi, la mascella quadrata e una fossetta sul mento. Il cane le era sembrato decisamente agitato per l'accaduto: Lynne si chiese se non si trattasse di un cane guida per non vedenti. Ma se così era, perché non lo aveva aiutato? E in caso contrario, come mai quell'uomo non aveva con sé un cane guida? Ma forse si stava sbagliando e quell'uomo, dopo tutto, non era per niente cieco, ma solo goffo.

    Non aveva alcuna importanza. Gli doveva comunque delle scuse. Gliele avrebbe portate insieme ad alcuni biscotti, decise. Pochi uomini riuscivano a mantenere il broncio davanti ai famosi biscotti al burro di arachidi e cioccolato della nonna, una ricetta di famiglia che lei aveva ereditato il giorno in cui si era diplomata al liceo. Né Lynne né la nonna si sarebbero mai immaginate che lei non avrebbe più potuto assaggiare quei biscotti nei dieci anni successivi.

    Sistemò i cartoni nel cassonetto e tornò nell'appartamento per effettuare un secondo viaggio. Magari il suo nuovo vicino sarebbe uscito e lei avrebbe avuto occasione di scusarsi. Ma la porta di fronte alla sua rimase chiusa e fu chiaro che l'uomo non aveva alcuna intenzione di affacciarsi sulla soglia.

    Dopo il quarto viaggio, Lynne si fermò un attimo per riprendere fiato e ne approfittò per appendere sopra la credenza, in sala da pranzo, il grande specchio dalla cornice in ebano, anch'esso ereditato dalla nonna. Guardò il proprio riflesso nello specchio mentre si allontanava di qualche passo per ammirare l'effetto. Per un attimo rimase sorpresa dall'immagine di quella sconosciuta che si trovò davanti.

    Quella che vide era una donna bionda e sottile, i lunghi capelli raccolti in un nodo disordinato. Nel suo subconscio si era aspettata di vedere ancora una massa di capelli rossi, con la permanente, e una figura molto magra. Non solo sottile, ma magrissima, quasi scheletrica. E di sicuro non vestita con un paio di jeans vecchi e sdruciti e una maglietta, ma fasciata in un modello all'ultima moda della collezione autunnale di una griffe molto esclusiva.

    Era trascorso più di un anno da quando aveva abbandonato definitivamente la carriera di modella. Lo aveva fatto con una scelta di tempi che si era rivelata un suicidio a livello professionale. Anche se avesse voluto tornare indietro, si era bruciata completamente tutti i ponti alle spalle. Aveva appena finito di posare per la prima edizione di costumi da bagno della Sports Illustrated quando aveva preso la decisione. Sarebbe potuta salire ancora di più nel settore e invece aveva deciso di uscire.

    «Ma perché?» le aveva chiesto in preda alla frustrazione il suo agente, Edwin. «Sei la modella più richiesta dopo Ellie McPherson, tesoro. Il tuo nome potrebbe apparire a caratteri cubitali ovunque e diventare il più famoso di tutti. Pensaci.» Aveva mimato con le mani un immaginario cartellone pubblicitario nell'aria. «A'Lynne. Solo il nome. Il volto di... Clinique. O Victoria's Secrets. O quello che ti pare. Ma come puoi persino prendere in considerazione l'idea di lasciare tutto questo?»

    «Non sono felice, Ed» aveva risposto calma. Ed era vero. Era stanca di saltare su e giù da un aereo all'altro per raggiungere le destinazioni più disparate e farsi scattare foto negli scenari più diversi. Era stanca di dover controllare anche il più minuscolo boccone di cibo che metteva in bocca per evitare di prendere peso. Non ne poteva più di dover partecipare a tutte le feste che seguivano le manifestazioni di moda a cui prendeva parte.

    Quando uno dei produttori di una delle principali riviste di moda del paese le aveva lanciato uno sguardo critico e aveva dichiarato: Ragazza mia, dovresti perdere almeno un paio di chili, qualcosa era scattato dentro di lei. Quel che era troppo era troppo. Era già abbastanza magra per la sua statura di quasi un metro e ottanta. E non era nemmeno sicura di ricordare quale fosse il vero colore dei suoi capelli. Come la maggior parte delle sue colleghe, Lynne aveva un taglio e un colore di capelli distintivo del suo stato di personaggio pubblico. A differenza loro, però, non doveva fare ricorso ai trucchi delle ragazze bulimiche per mantenere il suo peso. Era forse anoressica? Non pensava. Se non fosse stata una modella, era certa che non si sarebbe sentita costretta a mangiare così poco.

    Ma aveva ogni intenzione di scoprirlo.

    «Forse non sarai felice, però sei famosa» le aveva ricordato Ed. «E anche ben pagata. Chi ha bisogno di essere felice quando si è milionari?»

    Il pensiero che un giorno sarebbe potuta diventare così cinica era quello che la spaventava più di tutto. La sua voce era diventata ancora più determinata. «Non voglio più vivere in questo modo. Non voglio fare altri servizi. Concluderò quello per cui ho firmato un contratto, poi ho chiuso.»

    «Ma che cosa diavolo farai?» le aveva chiesto Ed, assolutamente basito. Nel suo mondo, la vita era fondata solo sulla fama e sulla ricchezza.

    «Sarò felice» aveva risposto con semplicità. «Ogni giorno sarò una persona qualunque con i problemi e le occupazioni normali di una persona qualunque. Mangerò quello che mi piace. Farò lavoro di volontariato. Andrò in chiesa. Sarò qualcuno che conta per quello che fa di buono al mondo e non una persona che vale solo perché indossa divinamente quegli assurdi capi disegnati dalle case di moda.»

    Sì, si era decisamente bruciata i ponti alle spalle. Aveva tolto quella bizzarra A che sua madre aveva pensato fosse originale mettere davanti al comune nome di Lynne e aveva iniziato a usare il suo vero cognome e non quello della nonna materna da nubile. A'Lynne Frasier era morta, ma Lynne DeVane era viva e vegeta.

    Era tornata a casa in Virginia, da sua madre, e aveva riacquistato quei pochi chili necessari a non farla apparire appena uscita da un campo di concentramento. Poi aveva lasciato ricrescere i capelli della sua vera tinta, senza più fare la permanente, pur continuando a tenerli raccolti per la maggior parte del tempo. Senza trucco, bionda naturale, era riuscita a rendersi meno riconoscibile alla stampa che senza dubbio era pronta a darle la caccia.

    Dopo un anno, però, aveva cominciato a sentire il desiderio di trovare una casa tutta sua. Aveva optato per Gettysburg che distava meno di un'ora di auto da casa di sua sorella. Con un po' di fortuna, nascosta in una cittadina tra le montagne della Pennsylvania, presto si sarebbe fatta dimenticare dal pubblico.

    Incrociò per scaramanzia le dita e sollevò un'altra bracciata di cartoni per portarli nel cassonetto. A meno di non incontrare qualche fan sfegatato, era sicura di farcela.

    Dopo sette viaggi cominciò a essere stanca, così si avviò verso l'ingresso e indugiò sui gradini per qualche istante, per godersi l'atmosfera della piccola città che aveva scelto come residenza. Accidenti. Aveva pensato di essere abbastanza in forma, ma quelle dannate scale sembravano divenire più ripide a ogni viaggio. Arrivata al piccolo portico in mattoni rossi che si trovava dinnanzi all'ingresso, tirò un paio di profondi respiri. Sotto voce, borbottò: «Ma quei dannati scatoloni si stanno clonando da soli? Non mi sembrava di aver portato via tante cose».

    «Per caso corro il rischio di inciampare ancora sulla sua roba?»

    Sorpresa da quella voce profonda, Lynne si voltò di scatto. Il suo burbero vicino aveva appena aperto la porta di ingresso. Nella mano sinistra stringeva l'estremità di un guinzaglio di cuoio, ma il cane che conduceva non era il golden retriever che Lynne aveva visto la volta prima. Quel cane era grosso, nero e decisamente più tarchiato di quell'altro. La maniglia del guinzaglio era in pelle e metallo e l'uomo la stringeva con forza nella sinistra. Lynne aveva indovinato: il suo vicino era cieco.

    Lynne trasalì, poi aprì la bocca per scusarsi di nuovo. E notò

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