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Alla mercé del milionario: Harmony Collezione
Alla mercé del milionario: Harmony Collezione
Alla mercé del milionario: Harmony Collezione
E-book177 pagine1 ora

Alla mercé del milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Gracie James ha scelto le rive del Lago di Como per lasciarsi il passato alle spalle e guardare al futuro con fiducia. Ma quando viene sorpresa a vagare nei giardini della villa del potente uomo d'affari Rafael Vitale, tutta la sicurezza viene meno e il suo corpo si scioglie di fronte a quegli occhi ardenti.
Rafael ha imparato sulla propria pelle che il denaro non compra ogni cosa: grazie ai soldi ha ottenuto ciò che voleva, ma i fantasmi che lo tormentano non sembrano averlo abbandonato. Soltanto lo sguardo di quella sconosciuta è in grado di fargli provare qualcosa, e lui ha intenzione di saperne di più...
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2020
ISBN9788830516816
Alla mercé del milionario: Harmony Collezione
Autore

Natalie Anderson

Tra le autrici più amate e lette dal publico italiano.

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    Anteprima del libro

    Alla mercé del milionario - Natalie Anderson

    successivo.

    1

    Scostandosi una ciocca di capelli, Gracie James inserì le ultime tre cifre nell'apposita tastiera e si fermò in attesa. Risuonò un bip e il pesante cancello in ferro arretrò. Entrò spingendo la bicicletta e l'appoggiò contro uno degli alberi secolari che correvano per tutta la lunghezza del vialetto, simili a una sorta di guardia d'onore. Proseguì, cercando di rilassarsi e godere, lungo il tragitto, della vista di uno dei più lussuosi ritiri del Lago di Como. I giardini erano sbalorditivi, ma quando il palazzo le apparve davanti, rimase letteralmente senza fiato. Da ormai quattro mesi Gracie viveva nella bellissima cittadina italiana di Bellagio e aveva pensato di essere ormai immune alla meravigliosa architettura che l'Italia offriva ovunque si volgesse lo sguardo. Quanto si sbagliava! Villa Rosetta, risalente al diciottesimo secolo, era uno straordinario capolavoro di simmetrie e stile con i suoi archi perfettamente distanziati, i tre piani in pietra dai caldi colori, le grandi finestre luccicanti e la torretta posizionata sulla sommità. Il sole che tramontava con la sua luce dorata, sembrava gettare un'aurea magica su tutto quel lusso. «Meraviglioso» sussurrò, dirigendosi verso il patio per avere una visione ancora migliore. «Meraviglioso, meraviglioso, meraviglioso.»

    La villa era stata a lungo una casa per vacanze esclusive, frequentata da ricche famiglie in cerca di privacy nelle calde estati italiane, ma nell'ultimo mese era rimasta chiusa. Sembrava che il nuovo proprietario avesse iniziato radicali lavori di ristrutturazione, vietandovi l'accesso e affidandosi a imprese esterne, sconvolgendo così la gente del posto. Nessuno a Bellagio sapeva cos'avesse in programma ora che i lavori erano stati completati, ma a Gracie era giunta voce che probabilmente la casa non era più in affitto e questo preoccupava molto gli abitanti del paese, perché la bella gente amava spendere e questo era di enorme beneficio per la comunità. I pettegolezzi sostenevano che Rafael Vitale, mediatore multimilionario e impenitente playboy, avesse in programma di usare la villa per le sue orge. Gracie ridacchiò a quell'assurdità, sebbene fosse innegabile che quella casa così lussuosa possedesse tutta la privacy richiesta da piaceri peccaminosi. Non che lei sapesse molto a riguardo, ma non le sembrava giusto che solo una persona godesse di tanta meraviglia. Si sarebbe sentita come una nocciolina che sbatacchiava dentro una scatola di scarpe vivendo lì da sola. Vide la spiaggia privata e, dietro una parete dell'edificio, lo stretto canale attraverso il quale le barche potevano accedere alla sontuosa rimessa. Infine, si voltò verso i giardini, la ragione della sua visita. Sulla prima terrazza una piscina e una spa erano incastonate in prati ben curati, con una mezza dozzina di lettini da spiaggia sistemati lungo i lati. L'acqua azzurra era una forte tentazione, nessuno lo avrebbe mai saputo se avesse fatto un tuffo. Guardò l'orologio e riluttante passò oltre quel prato lussureggiante. Nascosto dietro le siepi della terrazza successiva, c'era il famoso roseto, con dozzine e dozzine di rose, veri e propri cimeli di famiglia. Sembravano piantate in modo ingannevolmente disattento e formavano una massa dal dolce profumo, romantica e soprattutto bellissima. Non c'era da stupirsi che Alex Peterson, il suo anziano vicino, fosse stato ansioso che le controllasse. Aveva conosciuto l'austero vedovo appena arrivata a Bellagio. Lui viveva a pianterreno nel piccolo condominio dove Gracie aveva affittato un appartamentino. Si era fermata ad annusare le rose che crescevano nella fioriera accanto al cancello e avevano iniziato a parlare in inglese, una vera fortuna, visto il suo orribile italiano. Come lei, Alex arrivava da fuori. Aveva sposato una donna italiana e avevano vissuto insieme lì sulla sponda del lago per cinquant'anni, finché lei undici mesi prima era morta. Suo figlio viveva a Milano, mentre la figlia e i nipotini abitavano a Londra. La sua vita ora ruotava tutta attorno alle sue rose ibride e lui si dedicava a creare fiori profumati dalle morbide masse di petali, evitando strenuamente i tentativi di metà del paese di combinargli incontri. Era divenuta abitudine di Gracie portargli sempre un dolcetto, quando faceva la sua pausa pomeridiana al bar dove lavorava, il Bar Pasticceria Zullo. Nonostante fosse piena estate, ora Alex si era preso una brutta influenza e data la sua età, era preoccupata. Lui era agitatissimo per i fiori preziosi che da decenni accudiva. Nonostante la vendita della villa, Alex si era rifiutato di abbandonare il roseto, di cui si sentiva responsabile e, vedendolo ora in piena fioritura, lei lo capiva. Con tutto il lavoro che vi aveva dedicato, sapeva che Alex le voleva perfette per il nuovo proprietario ed era ansioso che lei si assicurasse che non stessero appassendo a causa dell'intenso calore. Gracie cercò il tubo per innaffiare e passò cinque minuti per capire come attaccarlo al rubinetto. Non aveva talento come giardiniera, ma infine ci riuscì. Poi telefonò al suo anziano amico. «Alex, sono io Gracie. Sono qui alla villa, le rose sono stupende. Le innaffio e torno.»

    «Come ti sembrano?»

    «Splendide. Le fotograferò per te.»

    «Non preoccuparti di portarmi le foto, poi vai direttamente in paese.»

    «Non voglio lasciarti solo, non stai ancora bene.»

    «Non sono solo. Sofia è arrivata dieci minuti fa con una zuppiera di minestrone e pare che non se ne andrà finché non l'avrò mangiata tutta. Non so perché si agiti tanto, non sto poi così male!»

    Sofia era la cugina di Francesca, la padrona della pasticceria dove lavorava Gracie ed era una persona straordinaria. «Nascondine un po' nelle rose» rise lei. Il suo stomaco brontolò indignato, ricordandole che non aveva più mangiato da quando era iniziato il solito assalto al negozio. Il minestrone di Sofia le sembrò fantastico.

    «Sei pazza?» brontolò Alex.

    Gracie rise. «Farò...»

    «Vai in paese» la interruppe lui. «Goditi il festival. È il primo per te, i fuochi artificiali sono belli.»

    Lei esitò, le sarebbe piaciuto andarci, visto che aveva trascorso tutto il giorno a cuocere dolci e Francesca aveva insistito che non lavorasse durante il turno serale, ma lei sapeva quanto fosse terribile essere soli, specie quando si stava male. «Sei sicuro?»

    «Certo» sospirò Alex. «Sofia si è sistemata qui e non mi sbarazzerò di lei tanto presto.»

    «Ebbene, verrò a trovarti domani in mattinata.»

    «Non troppo presto» rispose lui burbero. «Tu ti alzi ancora prima di me.»

    Gracie sospirò. Questo era lo scotto da pagare, lavorando nei turni del mattino e della sera al bar pasticceria, ma valeva la pena faticare tanto per guadagnarsi rispetto e una solida sistemazione e Gracie era più felice che mai. «Ci vediamo domani, allora.»

    «Non vedo l'ora. Grazie Gracie.»

    «Di nulla.»

    Sollevata che Alex stesse meglio, scattò una foto da mostrargli la mattina seguente. Appena arrivata in paese, sarebbe andata alla pasticceria a dare manforte. Quella sera c'era il festival annuale di Bellagio, con lanterne sull'acqua, musica e balli, oltre a fuochi d'artificio e leccornie. Divertimento insomma. Tutte cose che lei non aveva mai provato. Ci sarebbero stati un sacco di turisti, ma Gracie rifiutava di considerarsi tale. Ormai lei era una residente con una casa propria ed era ben decisa a rimanere. Dopo un'infanzia burrascosa e in continuo movimento, la sua anima era felice di avere un luogo tutto suo. Se anche non aveva una propria famiglia, aveva un buon amico che aveva bisogno di lei e questo le piaceva. Finalmente, riuscì ad aprire la manichetta e il getto la colse di sorpresa investendola, con una risata lo strinse più forte e iniziò a dare a ogni cespuglio di rose abbondante acqua. Improvvisamente, da dietro, una mano le atterrò sulla spalla, dura e pesante e così inaspettata che lei gridò e si voltò, brandendo il tubo come una mitragliatrice. Tutto ciò che riuscì a distinguere tra gli spruzzi, fu una possente sagoma maschile e questo la rese ancora più attenta. «Che cosa fa?» gli urlò.

    «Cosa fa lei?» urlò il tipo di rimando, adeguandosi al suo inglese, ma con un forte accento americano. Poi le strappò il tubo di mano, spruzzandole un getto gelido sullo stomaco che la lasciò senza fiato e infine riuscì a gettarlo a terra. Ansimando, Gracie fissò il suo aggressore. Era splendido, furioso e bagnato. Lo smoking che indossava era fradicio. Smoking? Il suo cervello confuso tentò di funzionare.

    «Perché la lancia?» Lui si passò una mano sul viso e l'altra sulla fronte, rivoli d'acqua gli ricaddero dalle dita. Il suo smoking era zuppo e certo lui non era un intruso. Istintivamente, senza riflettere, Gracie allungò la mano per togliergli l'acqua dall'abito. Lo spazzolò freneticamente, ma l'uomo stava lì immobile e infine anche lei si bloccò, travolta dalla mortificazione. Riluttante, alzò lo sguardo e incontrò due occhi scuri, orlati da ciglia lunghissime e superlative come tutto il resto di lui. In quanto agli zigomi? Alti, cesellati e, oh mamma mia...

    «Scusi.» Gracie nascose le mani dietro la schiena e si sentì più accaldata che mai. Fissò il magnifico essere che torreggiava sopra di lei, sapeva chi fosse. Francesca le aveva mostrato una sua foto, quando le aveva detto della vendita della villa e la rapida occhiata a quel viso era stata indimenticabile. Rafael Vitale, il famigerato ricchissimo playboy. «Lei non avrebbe dovuto trovarsi qui» osservò tremante.

    «Credo che dovrei essere io a dirlo» replicò gelido l'uomo. «Questa è casa mia. È lei l'intrusa.»

    «Mi spiace, pensavo non ci fosse» rispose Gracie.

    «Evidentemente.» Lui non sorrise, non riusciva proprio a vedere il lato divertente dell'accaduto. Gracie si sentiva morire ed era attonita. Rafael Vitale era davvero molto più di chiunque lei avesse mai incontrato, più alto, più di bell'aspetto, più elegante... «Lei è fradicio, mi spiace così tanto.» Guardò l'acqua che ancora gli grondava dal corpo. «Va...tutto bene?»

    «No» replicò lui e si tolse la giacca inzuppata.

    Paralizzata Gracie lo guardò a bocca aperta. La camicia gli si era attaccata alla pelle, letteralmente incollata e i suoi muscoli possenti sembravano guizzare. Quel bellissimo playboy era il più vigoroso degli uomini, ma sembrava così ostile che ridacchiò nervosa. Lui alzò lo sguardo dalla giacca e le lanciò un'altra occhiata penetrante. Gracie avrebbe dovuto smettere di fissarlo, ma non riusciva. Era questo lo scherzo che giocava l'attrazione istantanea? Desiderio a prima vista? Si sentì imbarazzata alla propria reazione, non c'era da stupirsi che lui fosse un dongiovanni se tutte le donne vedendolo reagivano in quel modo. Doveva averne un'ampia scelta e chiaramente pensava che lei fosse una perfetta stupida ma, del resto, doveva essere abituato a quel genere di reazione. Diavolo, doveva riprendersi! Rapidamente, fece per allontanarsi, ma scivolò sull'erba umida e cadde goffamente, picchiando con violenza il ginocchio. Una mano forte le si infilò sotto al gomito e, senza alcuno sforzo, la trascinò in piedi. Solo che lei scivolò di nuovo a causa dei suoi stupidi sandali fradici, sentì un'imprecazione e si ritrovò contro il corpo dell'uomo che in quel momento fu come un pilastro di sostegno. Lui le aveva fatto passare un braccio saldo attorno alla vita, serrandola troppo vicino. Quei muscoli erano ancora più possenti di quanto pensasse. Sentendosi ardere per l'imbarazzo, Gracie non riuscì a sopportare di guardarlo. Realizzò vagamente che il ginocchio le faceva molto male, ma la vicinanza a una simile perfezione fisica le stava fornendo il più fantastico degli anestetici. Il pensiero che quel suo profumo speziato dovesse essere imbottigliato e usato in ogni sala operatoria per gli interventi chirurgici, le attraversò la mente. Un'altra imprecazione la fece sussultare. «Si è fatta male?» le chiese.

    Probabilmente pensava che fosse una sempliciotta e un'inetta. Gracie cercò di mettere il peso sul piede, ma vacillò e un secondo dopo si sentì volare in aria tra le sue braccia e poi schiacciare contro il suo solido torace. Fortunatamente quel contatto diede il via a pensieri razionali. «Mi metta giù» gli ordinò.

    «Così scivolerà di nuovo e si romperà il collo?» sbraitò lui, dirigendosi verso la villa. «Lei è un peso e non solo per se stessa, prima uscirà dalla mia proprietà e meglio sarà.»

    «Ha intenzione di portarmi fino al cancello?»

    Probabilmente era abbastanza forte per farlo. Gracie riusciva a sentire il calore dei suoi muscoli attraverso la stoffa gelida e bagnata. L'uomo sembrava scolpito, ma era anche ovviamente indifferente, soffocò un brivido di apprezzamento del tutto inopportuno. Non aveva intenzione di far parte della mischia di femmine che gli cadevano ai piedi, ma mentre lui attraversava i prati verso il magnifico edificio, non riuscì a trattenere una risatina.

    «È isterica?»

    «No» inspirò e si calmò. «Sono in imbarazzo, ridere è la mia reazione nervosa. Mi dispiace, ma sarebbe peggio se piangessi.»

    «Questo è vero» rispose lui. «Dio non voglia che abbia tra le braccia un trasgressore in lacrime.» Salì l'ampia gradinata e, attraverso la porta spalancata, entrò nello stupendo salone. «Io sono Rafael Vitale.»

    «Lo immaginavo.»

    «E lei è?»

    Ora Gracie era dentro la villa e di colpo capì che il modo migliore per minimizzare il folle effetto che quel tipo aveva su di lei, fosse

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