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Risvegliata da un bacio: Harmony Collezione
Risvegliata da un bacio: Harmony Collezione
Risvegliata da un bacio: Harmony Collezione
E-book165 pagine3 ore

Risvegliata da un bacio: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

C'era una volta 2/3

Qualsiasi donna farebbe i salti di gioia scoprendo di essere una principessa, ma non Briar Harcourt. Sottratta al proprio destino regale e costretta a condurre una vita ordinaria per sfuggire al matrimonio combinato con un anziano e malvagio re, Briar sente di essere stata ingannata e che la sua vita non è altro che una menzogna. Adesso, il figlio del re a cui era stata promessa l'ha trovata ed è deciso a farne la sua sposa.

Il principe Felipe sa che il matrimonio con Briar gli assicurerà tutto il potere di cui ha bisogno. È necessario quindi che quella principessa riottosa collabori, a ogni costo. E se il proprio fascino servirà a raggiungere lo scopo, lui non si farà scrupoli a usarlo.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2018
ISBN9788858986004
Risvegliata da un bacio: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Risvegliata da un bacio - Maisey Yates

    successivo.

    1

    C'era una volta...

    Briar Harcourt camminava velocemente, tenendosi stretto il cappotto per proteggersi dalla brezza autunnale che soffiava in Madison Avenue e pareva penetrarle nelle ossa.

    Era un autunno freddo, non che gliene importasse. Amava la città in quel periodo dell'anno. Ma misto all'aria fresca c'era sempre un senso di nostalgia e di perdita, e non riusciva a capirne il motivo.

    Sarebbe rimasto sospeso lì, ai margini della coscienza solo per qualche attimo, poi sarebbe volato via, come una foglia al vento.

    Sapeva che aveva a che fare con qualcosa che riguardava la sua vita prima che venisse a New York. Ma quando era stata adottata aveva solo tre anni, e non ricordava la vita precedente. Non proprio. Si trattava solo d'impressioni, di sensazioni e di uno strano dolore che la attanagliava allo stomaco.

    Strano, perché voleva bene ai genitori. E amava la sua città. Non sarebbe dovuto esserci alcun dolore. Non poteva mancare qualcosa che neppure si ricordava.

    Eppure, talvolta succedeva.

    Briar si fermò un attimo, uno strano pizzicore che l'aveva colta alla base della nuca. Non si trattava di freddo. Era protetta da uno scialle. E comunque era qualcosa di diverso. Diverso da qualsiasi cosa avesse provato in precedenza.

    Si fermò per guardarsi intorno. La folla si diradò un attimo e scorse un uomo. Intuì subito che fosse lui il motivo di quella fastidiosa sensazione. La stava fissando. E quando lo sconosciuto si rese conto che anche lei lo fissava, il viso si distese in un sorriso.

    Era come se il sole fosse comparso improvvisamente tra le nubi.

    Era splendido, lo poteva notare anche da quella distanza. I capelli neri che gli lasciavano libera la fronte, come se il vento li avesse scostati. Sulla mascella l'ombra della barba e qualcosa nell'espressione degli occhi che lasciava intendere dei segreti che lei non avrebbe potuto scoprire.

    Era... be', era un uomo. Per niente simile ai ragazzi che aveva frequentato all'università o ai vari party dei suoi genitori. Feste di Natale nella casa di città, riunioni estive a Hampton.

    Non era tipo da andare a zonzo, vantandosi di conquiste o del miglior punteggio ottenuto a ping-pong. E, naturalmente, non le sarebbe stato permesso parlare con lui.

    Dire che il dottor Robert Harcourt e sua moglie Nell fossero una coppia vecchia maniera sarebbe stato minimizzare. D'altra parte lei era la loro unica figlia, arrivata quando erano già in tarda età. Non solo appartenevano a una generazione diversa rispetto alla maggior parte dei genitori dei suoi amici, ma lei era anche un dono inaspettato che non avevano mai sperato di ricevere.

    Questo la faceva sempre sorridere, le spazzava via quel senso di ansia.

    Per Briar non era che un motivo per comportarsi bene, riconoscente per tutto ciò che facevano per lei. Aveva sempre fatto del proprio meglio per far sì che fossero felici di aver preso quella decisione. Aveva cercato con tutte le proprie forze di essere perfetta.

    Aveva preso lezioni di comportamento e di etichetta. Aveva partecipato al ballo delle debuttanti, anche se non ne aveva avuto alcuna voglia. Aveva frequentato una scuola vicino a casa, aveva trascorso ogni weekend con i genitori in modo che non si preoccupassero. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di ribellarsi. E come avrebbe potuto, con persone che avevano scelto proprio lei?

    Salvo che, in quel momento, provò il desiderio d'ignorare le loro raccomandazioni e avvicinarsi a quell'uomo che continuava a fissarla con quello sguardo intenso.

    Sbatté le palpebre e lui, com'era improvvisamente apparso, scomparve inghiottito dalla folla di cappotti grigi o neri. Provò un curioso senso di perdita, la sensazione di aver perso qualcosa d'importante. Qualcosa di straordinario.

    Non puoi dire che sarebbe stato straordinario. Non hai mai baciato un uomo.

    No. Probabilmente un effetto collaterale di quel comportamento iperprotettivo nei suoi confronti. Ma, del resto, non aveva mai avuto il desiderio di baciare Tommy Beer Pong, o quella cricca dei suoi amici idioti.

    Uomini alti, sofisticati, in strade affollate erano un altro discorso. Apparentemente.

    Sbatté le palpebre e si guardò intorno, riprendendo la direzione che aveva deciso in precedenza. Era un giorno di vacanza e restare a casa sorvegliata dai genitori ansiosi non era una prospettiva allettante, così aveva deciso di recarsi al museo perché non si stancava mai di girovagare per quelle sale.

    Ma all'improvviso il museo con tutte le sue opere d'arte le parve insignificante. Almeno paragonato all'uomo che aveva appena visto.

    Ridicolo.

    Scosse il capo e proseguì.

    «Sta scappando da me?»

    Lei si bloccò, il cuore che le batteva all'impazzata. Poi si girò e per poco non urtò l'oggetto di quelle stupide emozioni. «No» rispose d'un fiato.

    «Sembra decisa ad andare da qualche parte.»

    Oh, la sua voce. Aveva un accento spagnolo o qualcosa di simile. Sexy e del tipo che la sua mente avrebbe registrato per farla riaffiorare quando fosse stata sul punto di addormentarsi, facendo sì che si cullasse nell'appuntamento misterioso che non ci sarebbe mai stato.

    Visto da vicino era ancora più attraente. Affascinante, senza dubbio. Lui sorrise, rivelando denti perfetti.

    «No...» cominciò, «sto solo...» Qualcuno, camminando velocemente, la urtò. «Mi scusi, non volevo intralciare il suo cammino» si giustificò lei.

    «È successo perché si è fermata» le venne in soccorso lui. «Per guardarmi?»

    «A dire il vero era lei che guardava me

    «Di certo dev'esserci abituata.»

    Difficile. Almeno non nel senso che intendeva lo sconosciuto. A nessuno piaceva apparire diverso. E lei era diversa sotto molti aspetti. Prima di tutto era molto alta; il che, per lui, doveva essere una novità. Lui svettava su di lei di una dozzina di centimetri e questo era qualcosa di raro e di difficile da trovare.

    Ma Briar era così. Alta, magra, tutta braccia e gambe; inoltre i capelli non sarebbero mai scesi in onde morbide sulle spalle come a molte delle sue amiche. Serviva un salone di bellezza per stirarli e spesso si domandava se ne valesse la pena, benché sua madre insistesse che sì, ne valeva la pena.

    Era l'opposto della tipica bellezza bionda del giro delle sue amiche o delle compagne di scuola.

    Le sovrastava tutte, e quando si era adolescenti era l'ultima cosa che si desiderava.

    Benché adesso, a poco più di vent'anni, cominciasse a venire a patti con il proprio aspetto.

    «Non proprio...» mormorò in tutta onestà.

    «Non ci credo» obiettò lui. «È troppo bella perché gli uomini non si voltino per guardarla.»

    Lei arrossì. «Non... non dovrei parlare con uno sconosciuto.»

    Il giovane rise. «Allora dobbiamo conoscerci.»

    Lei esitò un attimo.

    «Briar. Mi chiamo Briar.»

    Una strana espressione gli attraversò il viso. «Un bel nome. Particolare.»

    «Immagino di sì.» Lo sapeva. Ecco un'altra cosa che la differenziava.

    «José» si presentò lui porgendo la mano.

    Per un attimo lei si limitò a fissarlo come se non sapesse cosa lui intendesse fare. Ma ovviamente lo sapeva. Voleva stringerle la mano. Non era strano. Era ciò che faceva la gente quando s'incontrava. Trasse un profondo respiro poi gli permise di stringergliela.

    Fu come se fosse stata percorsa da una scossa elettrica. La sensazione era così acuta, così sconosciuta che lasciò cadere subito la mano e arretrò di un passo. Non aveva mai provato niente del genere, e non sapeva se volesse provarlo di nuovo.

    «Devo andare.»

    «No» insistette lui.

    «Sì, stavo andando... Ho un appuntamento dal parrucchiere.» Una bugia, perché si era appena fatta sistemare i capelli. Ma non poteva dirgli che stava andando al museo. Avrebbe potuto proporle di accompagnarla. D'altra parte, rifletté Briar, anche dal parrucchiere avrebbe potuto proporle di accompagnarla.

    «Ah...»

    «Devo proprio andare.» Si voltò allontanandosi velocemente da lui.

    «Aspetti! Non so neppure come rintracciarla. Mi dia almeno il suo numero di telefono.»

    «Non posso.» Per diversi motivi, ma soprattutto per quella strana sensazione che ancora le aleggiava sulla mano.

    Si voltò di nuovo accelerando il passo.

    «Aspetti!» ripeté lui.

    Lei non lo ascoltò, continuando a camminare di fretta e l'ultima cosa che vide fu un taxi giallo che le veniva incontro a velocità sostenuta.

    Un'ondata di calore. Aveva la sensazione di essere ricolma di ossigeno, le estremità che formicolavano. Aveva l'impressione di essere priva di corpo, come se fluttuasse in uno spazio oscuro.

    Salvo che non era così buio. C'era luce. Pareti bianche. Con fregi dorati. Era molto chiaro. Un luogo che non aveva mai visto prima... eppure avrebbe dovuto.

    Lentamente ebbe l'impressione di ritrovare se stessa.

    Innanzitutto poteva muovere le dita. E poi fu consapevole di altre cose. Di quella fonte di calore.

    Labbra contro le sue. Qualcuno la stava baciando.

    Socchiuse gli occhi e in quell'istante riconobbe il viso della persona china su di lei.

    L'uomo della strada.

    La strada. Stava attraversando la strada.

    Era di nuovo lì? Non ricordava di essersene andata. Ma si sentiva... bloccata.

    Aprì gli occhi del tutto e si guardò intorno. C'era una luce fluorescente sopra di lei e dei monitor al suo fianco.

    Ed era collegata a qualcosa.

    Osservò il braccio e si rese conto di avere una flebo.

    Poi riportò l'attenzione al fatto che lui la stava ancora baciando. In un letto d'ospedale, presumibilmente.

    Sfiorò la sua guancia e ritrasse subito la mano.

    «Querida, sei sveglia.» Pareva sollevato. E poi la stava baciando.

    «Sì. Quanto... quanto ho dormito?» Briar lo domandò all'infermiera, che era alle spalle del giovane. Era ben strano che l'avesse baciata, e se ne chiedeva il motivo. Ma prima doveva venire a patti con quel senso di disorientamento.

    «Per un paio d'ore sei stata priva di coscienza.»

    «Oh...» Cercò di sollevarsi ma ricadde sul materasso.

    «Fai attenzione» la avvertì lui, «potresti avere una commozione cerebrale.»

    «Cos'è successo?»

    «Hai attraversato la strada mentre arrivava un taxi. Non sono stato in grado di fermarti.»

    Ricordò vagamente che lui l'aveva chiamata e che lei, un poco sconvolta, aveva continuato a camminare. Sapeva bene che i suoi genitori erano iperprotettivi, l'avevano sempre messa in guardia contro i rischi che avrebbe potuto correre e Briar l'aveva accettato, pur sapendo che era un po' un'esagerazione.

    Le avevano spiegato che doveva stare attenta perché Robert era un medico di chiara fama, che spesso collaborava con i politici per redigere leggi sul sistema sanitario, e questo lo rendeva un obiettivo. Quindi doveva stare ben attenta, sia per questo, sia perché erano molto ricchi.

    Così, da bambina, aveva visto l'uomo nero in ogni sconosciuto che passava per strada, ma probabilmente questo l'aveva tenuta lontana dai pericoli.

    Finché non aveva incontrato lui ed era andata a sbattere contro un taxi.

    I suoi genitori. Si domandò se qualcuno li avesse avvertiti. Non l'aspettavano a casa fino a sera.

    «Scusi...» Ma l'infermiera era corsa via. Forse era andata in cerca di un medico. Non riusciva a capire perché non avesse controllato prima i monitor.

    «Mio padre è medico» disse guardando José. Questo era il suo nome. O, almeno, aveva detto di chiamarsi così.

    «Buono a sapersi» ribatté lui, una punta di asprezza nella voce che non gli aveva ancora sentito.

    «Se non è stato ancora avvertito, qualcuno dovrebbe farlo. Verrà subito a controllare le mie condizioni.»

    «Mi dispiace» mormorò José raddrizzandosi.

    All'improvviso il suo volto le parve diverso. Più aspro, più duro e provò un improvviso timore.

    «Ti dispiace per cosa?» Senza accorgersi aveva preso a dargli del tu a sua volta.

    «Non è attuabile che tuo padre dia le direttive per le tue cure, perché sarai portata via da qui.»

    «Cosa?»

    «Sì, sembra che le tue condizioni siano stabili e la mia infermiera l'ha confermato.»

    «La tua infermiera?»

    Lui sospirò mentre controllava l'orologio. Poi si sistemò i polsini. «Sì, la mia infermiera» ribadì, dando l'impressione di essere esasperato, come se stesse spiegando qualcosa a un bambino piccolo. «Non devi preoccuparti. Una volta giunti a Santa Milagro, sarai affidata al mio medico.»

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