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Il tempio perduto dei templari
Il tempio perduto dei templari
Il tempio perduto dei templari
E-book1.011 pagine15 ore

Il tempio perduto dei templari

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Info su questo ebook

La leggenda ha inizio

Un grande romanzo storico

Tra l’Inquisizione e l’ordine è guerra aperta.
Riusciranno i cavalieri a raggiungere la loro terra promessa?

Parigi, venerdì 13 ottobre 1307. È l’alba quando le guardie di Filippo IV il Bello assaltano il tempio durante una funzione religiosa. I cavalieri templari si arrendono senza combattere mentre il Gran Maestro Jacques de Molay viene arrestato insieme al suo stato maggiore. Nel resto della Francia accade lo stesso: la vasta operazione di polizia condotta presso case, fattorie e templi è una resa dei conti contro i membri dell’Ordine del Tempio. Ma più l’Inquisizione colpisce duro più genera atti di eroismo incredibile. Per Bernardo MacDesmond quel venerdì maledetto è l’inizio di una lotta senza quartiere in nome della fede e dei suoi ideali, un disperato tentativo di salvare la famiglia e la sua stessa vita. Braccato e costretto a fuggire alla volta di una nuova Terra Promessa, si troverà suo malgrado a dover scegliere fra i sentimenti di uomo e la fedeltà ai voti che fanno di lui un soldato del Tempio. 

Il giorno in cui cadde il tempio fu l’inizio della leggenda

Un esordio epico che trasporta il lettore nel medioevo dei cavalieri templari

«Un libro ben congegnato che ci riporta indietro di secoli, a quel fatidico venerdì 13.»

«Descrizioni superbe, piene di dettagli realistici.»

«Storia e finzione si legano in modo perfetto. Una lettura che consiglio.»
Esmeralda Batacchi
È nata a Firenze nel 1961. Dopo alcuni anni di studio presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa, ha deciso di dedicarsi all’attività di cavaliere professionista nel settore del Salto Ostacoli. Nel 1987 ha conseguito il diploma di istruttore federale di equitazione. Ha gestito un centro ippico in Italia per dodici anni, poi si è trasferita in Irlanda per un lungo periodo. Dal 2011 vive in Italia dove ha una propria scuderia di cavalli da sella. Ha due figlie, Matilde ed Elena.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2017
ISBN9788822712837
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    Anteprima del libro

    Il tempio perduto dei templari - Esmeralda Batacchi

    nota per la pronuncia dei nomi gaelici

    Ciara = Kira

    Ciaran = Kiran

    Grainne = Gronia

    Roisin = Roscìn

    Prologo

    Tutto è silenzio.

    Il momento prima dell’alba, quando il buio è così fitto da far dubitare che possa essere vinto ancora una volta dalla luce.

    La sagoma scura del castello sembrava emergere direttamente dall’acqua, avvolto nella nebbia, come un antico gigante addormentato che anche nel sonno mantiene comunque un senso di forza e invincibilità.

    Le spesse mura e il possente mastio centrale proteggevano da sempre tutti coloro che nei secoli vi avevano trovato rifugio, nobili e villani, donne, uomini e bambini, umani e animali, tutti insieme come una eterogenea famiglia.

    Nel salone il fuoco del grande caminetto languiva, ormai ridotto a poche braci rossastre sotto la cenere, ma per i due mastini bruni e i tre levrieri grigi era comunque ancora sufficiente a garantire loro un piacevole tepore, mentre dormivano acciambellati sul tappeto orientale.

    Ma quella notte non era stata come tutte le altre, così come il sole che stava per sorgere non avrebbe dato vita a un’alba come tutte le altre. Qualcosa era irrimediabilmente cambiato nel mondo degli uomini, anche se per il momento erano in pochi a saperlo.

    Capitolo 1

    Bernardo aprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto, la mano istintivamente alla ricerca dell’elsa della spada. L’addestramento militare e le numerose battaglie alle quali era sopravvissuto gli avevano fatto sviluppare un sesto senso che lo avvertiva del pericolo anche durante il sonno e che gli garantiva riflessi pronti non appena sveglio. Gli ci vollero, quindi, pochi secondi per rendersi conto che la sua spada si trovava a diverse spanne da lui, elegantemente appoggiata su una cassapanca ai piedi del letto, insieme al suo mantello bianco su cui campeggiava una croce vermiglia. Il resto dei suoi vestiti era su una sedia accanto al camino, escluse la camicia e le braghe che aveva addosso. Questa era una regola che non aveva infranto, pensò: non riusciva ad abituarsi a dormire nudo.

    Una rapida occhiata alla stanza bastò a tranquillizzarlo. La sensazione di pericolo che lo aveva svegliato non derivava dalla presenza di nemici, almeno non in carne e ossa. Si sforzò di pensare che era a casa sua, nel castello della sua famiglia, al sicuro dietro mura impenetrabili, in una stanza in cima al torrione centrale, praticamente inattaccabile. Ma l’inconscia consapevolezza di una minaccia latente non se ne andò, mentre il suo cuore continuava a rimanere accelerato e i sensi all’erta.

    Un sospiro assonnato si levò al suo fianco.

    Avvolta nelle pellicce che la proteggevano dal freddo autunno scozzese, giaceva una donna, i capelli neri come l’ala del corvo sparsi sul cuscino, il braccio e la spalla nuda che sporgevano dalle coperte, la bocca imbronciata come quella di una bambina capricciosa.

    Bernardo si accorse di essersi incantato a guardarla dormire.

    Questa era una regola che aveva decisamente infranto, pensò, o forse piegato. Dopo diciassette anni di matrimonio era ancora innamorato pazzo di lei e sapeva benissimo che se fosse tornato indietro, avrebbe fatto le stesse scelte senza provare il benché minimo rimorso.

    Il Gran Senescalco dell’Ordine del Tempio, uno degli uomini più importanti del mondo conosciuto, cristiano e non, si chinò a baciare dolcemente i capelli di sua moglie e le rimboccò le coperte, prima di alzarsi e di dirigersi verso la stretta finestra.

    A est cominciava ad apparire un leggero chiarore che annunciava l’inizio di un nuovo giorno, l’alba di venerdì 13 ottobre dell’Anno del Signore 1307.

    L’acqua del lago che circondava l’isolotto su cui sorgeva il castello era scura, coperta da un sottile strato di bruma e tutto sembrava tranquillo e immoto.

    Troppo tranquillo!, pensò Bernardo e sentì che i capelli gli si rizzavano alla base della nuca, come un lupo che avverte la presenza del cacciatore. Una scossa lo fece rabbrividire e un gelo tremendo lo avvolse all’improvviso.

    Un grido di aiuto attraversò la sua mente. Era vero o lo aveva solo immaginato?

    Non avrebbe saputo dirlo. Si girò verso il letto, ma Milena dormiva nella stessa posizione, voltandogli le spalle, rannicchiata sotto la pelliccia come una bambina…

    Le bambine!

    In un lampo afferrò la veste dalla sedia e uscì dalla stanza, correndo lungo il corridoio buio mentre si copriva. Non aveva bisogno della luce, conosceva il castello come il palmo della sua mano e gli ci vollero pochi secondi per raggiungere una porta che aprì lentamente, cercando di fare meno rumore possibile e di calmare il battito del suo cuore.

    All’interno la stanza era in penombra, debolmente illuminata da alcune candele che finivano di consumarsi in un candelabro d’oro a sette bracci, un altro dei suoi ricordi portati dalla Palestina. In punta di piedi si avvicinò al letto e scostò le tende che lo avvolgevano, dietro alle quali, come in un bozzolo protettivo, due bambine dormivano il sonno dell’innocenza, assolutamente ignare dell’ansia che attanagliava il loro illustre padre.

    La più grande dimostrava circa quattordici anni, la piccola più o meno la metà, e dormivano abbracciate, i visini che spuntavano da sotto le cuffie nelle quali erano raccolti i capelli. Bernardo restò a guardare le sue figlie, ammaliato come sempre dalla loro bellezza, come stregato dall’intensità dell’amore con cui erano capaci di riempire la sua anima.

    Chiuse gli occhi e pregò: Dio, benedici le mie bambine, proteggile sempre dal Male e in ogni momento prendi la mia vita in cambio della loro. Amen.

    Con la mano destra tracciò il segno della croce e, aprendo gli occhi, si accorse che Eleonora era sveglia e lo guardava in silenzio, con la sua solita espressione a volte troppo seria per una bambina della sua età.

    Aveva i suoi stessi occhi, di un azzurro profondo, quasi blu scuro, che potevano cambiare tonalità in base all’umore, fino a diventare grigio ferro se era veramente arrabbiata. A volte, quando lo fissava, riusciva a metterlo a disagio, gli sembrava di essere osservato da un altro se stesso, la parte migliore di sé che lo giudicava dall’alto della sua innocenza.

    «Padre?!».

    «Tutto a posto, tesoro, dormi! Non è ancora sorto il sole».

    Si inginocchiò accanto al letto e le baciò la fronte, quando sentì due piccole braccia che gli cingevano il collo, mentre il nasino freddo di Isabella cominciava ad accarezzargli la barba.

    «Papà, resti a dormire con noi? Ho sognato il lupo e ho paura che mi mangi!», piagnucolò la bambina.

    «Nessun lupo può entrare nel castello, sciocchina che sei!», la rimproverò l’altra con sicurezza. «È solo un sogno! Quando sarai grande come me capirai che i sogni non sono reali».

    «E quando sarai vecchia come me, saprai che i sogni sono a volte lo specchio segreto della realtà, cara la mia principessa saputella!», la riprese Bernardo.

    «Non temere, bambina mia».

    «Adesso però fate le brave e tornate a dormire».

    «Papà, mi mangi la pancia?», chiese Isabella, come sempre pronta a giocare con suo padre.

    «Non adesso, altrimenti ti metti a ridere e svegli tutto il castello, dalla torre alle stalle, cavalli e cani compresi! Domani, prima di andare a letto, ti mangerò la pancia».

    «Mi dai la tua parola di cavaliere?», chiese allora lei, con espressione seria.

    «Giuro! Ma adesso dormi!», le rispose ridendo.

    Isabella era l’immagine di sua madre e Bernardo trovava molto difficile resistere alla magia dei suoi languidi occhioni neri, così dolci come quelli di un cucciolo, ma che potevano trasformarsi in due carboni ardenti che mandavano fiamme.

    La mia piccola strega!, pensò.

    D’altra parte era una donna e in ogni donna si nasconde una potenziale strega, senza considerare che suo padre era un potente esorcista, studioso dei più profondi arcani e delle cabale più misteriose.

    Ce n’era abbastanza da farlo arrostire in eterno su un rogo della Santa Inquisizione se solo gliene avesse data la possibilità: cosa da cui si era sempre guardato bene, protetto dalla sua intoccabile posizione di templare.

    Ma i tempi stavano cambiando e lui avvertiva una oscura minaccia che incombeva sulla sua vita e su quella dei suoi fratelli!

    Per questo motivo si trovava in Scozia, nel maniero della sua famiglia.

    Un legame a cui aveva rinunciato tanti anni prima, quando era entrato a far parte di un’altra famiglia molto più grande e molto più potente.

    Prendendo i voti dell’Ordine dei Poveri Soldati di Cristo del Tempio di Salomone, aveva infatti perso ogni diritto alla sua eredità e tutti i suoi possedimenti erano passati al fratello minore, Horazio. Era lui adesso il signore del clan, anche se in realtà le redini del feudo erano ancora strettamente nelle mani di sua madre Eilean, essendo il suo vecchio padre ormai completamente invalido da molti anni.

    L’unico membro della famiglia di cui aveva veramente sentito la nostalgia durante la sua lontananza da casa era stata Fiona.

    Un sorriso affiorò sulle labbra di Bernardo al pensiero dell’adorata sorella, tornata a vivere nella casa paterna dopo la morte del marito. Povera Fiona, pensò, così sfortunata. Eppure, nonostante tutto, non aveva mai perso il suo contagioso buonumore e la sua disarmante ingenuità. Lei, infatti, aveva sempre ignorato la regola che vieta a un templare di toccare le donne, siano esse madri o sorelle, sin dalla prima volta che Bernardo era tornato a trovare la sua famiglia, dopo essere stato ordinato cavaliere. Così, quando lui era entrato nel salone, avvolto dal manto candido, simbolo della sua purezza e, purtroppo, anche della sua superbia, Fiona era stata l’unica che gli era corsa incontro gridando con gioia il suo nome e lo aveva abbracciato e baciato sotto gli occhi inorriditi di tutti i presenti! A nulla erano valse le sue proteste e l’indignazione degli altri, per lei, lui era sempre e soltanto il suo fratellone e nessuna veste bianca o croce rossa le avrebbe impedito di saltargli al collo, come aveva sempre fatto fin da bambina.

    Bernardo si ricordava bene di aver provato una punta di gelosia quando gli avevano fatto sapere che avevano concesso la mano di Fiona a un oscuro conte di un’isola sperduta, in un remoto arcipelago del mare di Scozia. Il conte era vedovo e un po’ in là con gli anni, ma la sua famiglia vantava nobilissime origini e l’alleanza con il suo clan avrebbe giovato enormemente agli interessi del clan dei Donan. Inoltre, pensavano tutti, un uomo più anziano avrebbe tenuto a bada l’irruenza un po’ irresponsabile di Fiona, come un padre paziente che, di tanto in tanto, tira le orecchie al figlio indisciplinato.

    Così, quando fosse di nuovo tornato a casa, aveva pensato Bernardo, lei non gli sarebbe più corsa incontro, saltandogli al collo, e la cosa lo aveva rattristato.

    A quel tempo stava per partire per Oltremare, dove contava di coprirsi di gloria combattendo contro gli infedeli, per cui non gli restò molto tempo per pensare al destino di Fiona.

    Dopo cinque anni, durante i quali la sua principale preoccupazione era stata quella di restare vivo, venne a sapere che l’oscuro conte era morto senza lasciare eredi e che sua sorella era tornata a casa. Se fosse riuscito a sopravvivere, un giorno la avrebbe di nuovo sentita gridare il suo nome, mentre gli correva incontro per saltargli al collo.

    Milena si svegliò di soprassalto. Un soffio di vento gelido le sfiorò il viso facendola rabbrividire.

    Accanto a lei il letto era vuoto.

    Allungò una mano e sentì che era ancora caldo. Lui doveva essersi appena alzato. L’istinto fu di rannicchiarsi nell’incavo lasciato dal corpo del marito e affondare il viso nel suo cuscino, per respirarne l’odore. Ma era in ansia.

    Notò che sia la finestra che la porta erano socchiuse e che il saio di Bernardo non era più sulla sedia dove lo aveva lasciato quando si erano coricati. Con un tuffo al cuore si voltò di scatto e con sollievo vide che spada e mantello erano ancora sulla cassapanca.

    Non può essere andato lontano, pensò. Non senza la sua spada!.

    In quell’istante lui entrò e, vedendola seduta sul letto con gli occhi ancora assonnati ma pieni di domande, le sorrise, con quella espressione così dolce e sicura di sé che l’aveva stregata sin dalla prima volta che il suo sguardo si era posato su di lei.

    Milena allora non era altro che una ragazzina spagnola di quindici anni e giaceva paralizzata dal terrore, schiacciata a terra dal corpo sudato e ansimante del suo aggressore, il quale cercava freneticamente con una mano di strapparle i vestiti, mentre con l’altra le serrava la gola, fin quasi a impedirle di respirare…

    «Toglile immediatamente le tue sudice zampe di dosso! Questa è l’unica volta che te lo ordino, poi ti uccido come un cane rognoso!».

    Il bandito si girò di scatto, spostandosi dalla visuale di Milena, che solo allora si rese conto che su di loro torreggiava la figura di un guerriero. Era vestito di bianco, una croce rossa dipinta sul cuore e sul mantello, la spada sguainata e gli occhi, che si intravedevano attraverso la celata dell’elmo, grigi e freddi come l’acciaio di cui era ricoperta ogni parte visibile del suo corpo.

    Lei sapeva benissimo che costui era un templare. Per un attimo pensò che era salva, ma il bandito, con uno scatto felino, la sollevò da terra, ponendola fra sé e la spada sguainata del cavaliere, come uno scudo. Nella mano dello scellerato si materializzò un coltello e Milena sentì la lama gelida premere contro la gola.

    «Un altro passo e la troia muore!», disse il malvivente.

    Gli occhi del guerriero si trasformarono in due fessure di fuoco liquido, ma la punta della lama si abbassò leggermente.

    Al suo fianco apparve un altro uomo, abbigliato come lui, che brandiva una spada e un pugnale grondanti sangue. Fece per lanciarsi in avanti, ma il primo lo fermò con un ordine secco.

    «Fermo, Armand!».

    Il secondo cavaliere si arrestò come se si fosse pietrificato, in attesa di ulteriori ordini.

    «Non hai speranze di uscirne vivo, farabutto», aggiunse il primo, rivolto al bandito.

    «Libera la fanciulla senza farle del male e potrei considerare l’ipotesi di lasciarti vivere!».

    «I tuoi compari sono già a porgere i loro omaggi a Maometto», continuò quello che si chiamava Armand. «Che ne pensi di raggiungerli al più presto, pendaglio da forca? Non vorresti certamente perderti una simile occasione, vero?».

    Negli occhi del criminale si poteva leggere la disperazione, unita alla malevola risolutezza di uccidere comunque la ragazza. Si alzò, sollevando il corpo di lei, trattenendola con un braccio intorno alla vita, il coltello sempre puntato alla gola.

    Milena notò che il primo cavaliere si era avvicinato lentamente al secondo e, una volta che gli fu molto vicino, cominciò a parlare, il tono della sua voce così calmo e sicuro.

    «Non temere», le disse, «andrà tutto bene!». Poi, rivolto al bandito: «Puoi andartene, ma lascia la ragazza. Ti prometto che non ti inseguirò, hai la mia parola». Così dicendo, molto cautamente, si piegò in avanti e appoggiò delicatamente la spada sul terreno. «Guarda, sono disarmato!».

    «Il tuo compare!», disse il malvivente, «lui è ancora armato!».

    Con un cenno del capo invitò il secondo templare a deporre la spada. Per una frazione di secondo, Milena avvertì che la presa si era allentata e che il suo aggressore si guardava intorno, valutando una eventuale via di fuga.

    Il primo templare le parlò sempre con la stessa voce calda e tranquillizzante, ma stavolta in latino.

    «Se riesci a capire quello che ti dico abbassa per un attimo lo sguardo senza muovere la testa».

    Lei obbedì.

    «Quando dirò ora lasciati cadere a terra con tutto il tuo peso, come se tu svenissi. Hai capito?», lei abbassò gli occhi. Poi vide i muscoli dell’uomo tendersi sotto la cotta di maglia e il suo sguardo concentrarsi in un punto preciso dietro alla spalla di lei.

    «ora!».

    Milena lasciò che le sue gambe si piegassero senza forza, sorprendendo il bandito, che perse leggermente l’equilibrio in avanti. Vide qualcosa di luccicante passarle accanto all’orecchio, udì un suono soffocato e la presa alla vita si allentò permettendole di cadere a terra. Mentre tutto si annebbiava e un peso tremendo la schiacciava al suolo, sentì un liquido caldo e appiccicoso colare lungo il collo. Passò un istante che le sembrò un’eternità, durante il quale fu fermamente convinta di essere morta o, se non altro, di stare per morire, poi il peso che la schiacciava svanì e due braccia forti la sollevarono, girandola delicatamente sulla schiena.

    A quel punto si accorse di essere coperta di sangue, ma di non avvertire alcun dolore.

    «Come vi sentite?», le chiese una voce bassa e calma che sembrava venire da molto lontano. La testa le girava e le riusciva difficile fissare lo sguardo sul volto chino su di lei. Lentamente cercò di riacquistare il controllo e si rese conto che il cavaliere dal manto bianco era inginocchiato accanto a lei e si era tolto l’elmo.

    Aveva i capelli castani scuri tagliati corti e una folta barba gli incorniciava il volto, in cui spiccavano due profondi occhi blu. Decisamente non spagnolo, pensò lei.

    Poi tutto divenne buio.

    Quando riaprì gli occhi, qualcuno le stava bagnando la fronte: era Beatrice, la serva di sua madre, che aveva pressappoco la sua stessa età. Fu felice di vedere che fosse viva e che stesse bene, nonostante l’espressione sconvolta. Accanto a lei giaceva il cadavere del bandito che aveva cercato di violentarla, gli occhi sbarrati, il manico del pugnale che sporgeva dalla gola. Cercò con lo sguardo il suo salvatore e lo vide poco lontano, inginocchiato sull’erba al lato della strada, circondato da altri cavalieri in piedi, le spade e gli scudi ancora alzati, come se temessero un ulteriore attacco.

    «Beatrice», disse, «che cosa è successo e chi sono quei gentiluomini?»

    «Sono templari, mia signora, e ci hanno salvate da morte certa. Siamo stati aggrediti da briganti saraceni e non avremmo avuto scampo senza il loro intervento. È stata la grazia di Dio che li ha messi sulla nostra strada!», rispose la ragazzotta, gli occhi ancora sgranati dal terrore.

    «Dove è mia madre?», chiese Milena.

    La serva non rispose, ma abbassò gli occhi e un tremito le scosse le mani che teneva in grembo.

    «Dove è mia madre?!», chiese di nuovo.

    Beatrice indicò con la testa il punto dove il cavaliere vestito di bianco era inginocchiato, ma non proferì parola. Milena cercò di sollevarsi sui gomiti, ma proprio in quel momento vide che tutti i templari chinavano la testa, facendosi il segno della croce, mentre il suo misterioso salvatore si alzava in piedi.

    Solo allora, dietro alle pieghe del suo mantello, intravide la sagoma immobile di un corpo disteso a terra e capì perché Beatrice non aveva risposto alle sue domande. Un nodo le serrò la gola e le lacrime le annebbiarono la vista mentre si lasciava ricadere all’indietro.

    Una calda voce maschile la costrinse a guardare in alto e fra le lacrime vide il volto del cavaliere.

    «Come state?», le chiese.

    Istintivamente cercò di ricomporre il vestito che il bandito le aveva strappato e di assumere un atteggiamento consono al suo lignaggio. Il guerriero torreggiava su di lei facendola sentire piccola e indifesa.

    Un certo rossore le scaldò le guance e abbassò lo sguardo, cercando di schermarsi con i brandelli della veste, quando sentì il contatto della stoffa del mantello che lui le aveva avvolto intorno alle spalle.

    «Tenete, copritevi, comincia a calare il sole e si è alzato il vento».

    «Grazie», fu solo capace di dire con voce rotta e tremante.

    «Sono frate Bernardo, al vostro servizio, madonna. Non avete più nulla da temere, i banditi sono tutti morti. Siete stata molto coraggiosa e avete seguito perfettamente le mie istruzioni. Devo complimentarmi per il vostro sangue freddo».

    La sua voce così calma la avvolgeva e la scaldava più del mantello bianco crociato che aveva sulle spalle. Era maschile, ma molto melodiosa, come ipnotica, la voce di chi, si disse lei, deve essere abituato a cantare le lodi del Signore.

    «Messere, sono la vostra serva. Vi devo la vita», riuscì a dire.

    «È mio dovere proteggere i cristiani ovunque se ne presenti l’occasione. Purtroppo siamo arrivati troppo tardi per evitare una grave tragedia…».

    A quel punto il cavaliere si inginocchiò accanto a lei e fece segno a Beatrice di allontanarsi.

    «Guardatemi, fanciulla, ve ne prego».

    Milena alzò gli occhi e incontrò quelli dell’uomo che trovò colmi di tristezza.

    «Mi duole dovervi comunicare che vostra madre ha reso la sua preziosa anima a Dio e che io stesso ne ho raccolto la confessione».

    Una lacrima scese lungo la guancia della ragazza.

    «Non ho nessun altro al mondo», disse con un filo di voce. «Mio padre morì prima che nascessi combattendo in Terrasanta e mia madre non si è mai risposata. Non sono ricca di famiglia. Forse sarebbe stato meglio se fossi morta anch’io!».

    «Capisco il vostro dolore, ma non dovreste dire simili sciocchezze. Non avete comunque di che preoccuparvi, perché ho giurato a vostra madre in punto di morte che mi sarei preso cura di voi, almeno fino a quando non sarà possibile trovare una sistemazione degna del vostro rango».

    «Vi prego, non rinchiudetemi in un convento! Vi scongiuro!», esclamò. A quel punto non riuscì più a frenare le lacrime e nascose il volto tra le mani, le spalle scosse dai singhiozzi.

    «Vi prego», aggiunse debolmente.

    «Vi ho già detto di non preoccuparvi. Non è certo mia intenzione rinchiudervi in convento contro la vostra volontà. Ovviamente, vista la situazione, non posso tenervi con me, dato che una commenda templare non è il posto ideale per una ragazzina. Troverò una sistemazione consona per voi e per la vostra ancella. Il tempo ci porterà consiglio. Ma adesso dovete seguirmi».

    Lei alzò gli occhi arrossati. Quelli di lui erano tristi, ma la guardavano con profonda dolcezza.

    «Potete alzarvi?», e le porse una mano.

    Lei accettò il suo aiuto. La mano di lui era calda e forte, callosa e ruvida per l’uso frequente delle armi.

    Certo non la mano di un monaco dedito alla preghiera, pensò.

    Lui la condusse verso il luogo dove il corpo di sua madre giaceva immobile. Milena sentì le gambe cedere, ma il cavaliere la sostenne cingendole la vita con un braccio.

    «Fatevi coraggio», le sussurrò all’orecchio, «e che Dio e la Santa Vergine possano aiutarvi in questo difficile momento».

    Così si era inginocchiata accanto a colei che era stata il suo unico sostegno e che adesso l’aveva lasciata senza nemmeno un saluto! Si era poi chinata a baciarle la fronte pallida e fredda come il marmo.

    «Addio, mamma, che il Signore sia con te».

    Si alzò e si voltò verso colui che da quel giorno sarebbe stato la sua salvezza e la sua sopravvivenza.

    Frate Bernardo le sorrise e disse: «I miei fratelli provvederanno a che vostra madre riceva una onorata sepoltura. Noi adesso dobbiamo andare. Sapete cavalcare?». Milena annuì.

    Erano passati molti anni, pensò, da quel tragico giorno in Spagna, diciannove per l’esattezza, ma lei riusciva ancora a ricordare ogni singolo particolare. Quel giorno la ragazzina che conosceva era morta in quel bosco e una nuova se stessa si era affacciata alla vita.

    Così sorrise a suo marito: «Che cosa succede? Qualcosa non va?»

    «Tutto a posto, amore», rispose lui. «Rimani a letto, è ancora presto».

    E, così dicendo, la raggiunse sotto le coperte.

    Lei si rannicchiò tra le sue braccia e lo baciò sulla barba, come era sua abitudine quando era ancora soltanto la sua protetta e lo amava segretamente, pur sapendo che il suo amore era senza speranza.

    Lui le accarezzò i capelli e la baciò sulle labbra che si schiusero sotto la pressione del bacio, invitandolo a un più intimo contatto. Milena si strinse a quel corpo e sentì la mano di Bernardo accarezzarle la schiena, mentre le sue braccia la cingevano.

    «Vorrei tanto darti un altro figlio, magari un maschio questa volta», gli sussurrò, mentre continuavano a baciarsi.

    «Continueremo a provarci finché non ci riusciremo!», replicò lui sorridendole.

    Lei era così bella, nuda, avvolta dalle pellicce che facevano risaltare la sua pelle come se fosse di madreperla, i capelli neri sciolti sul cuscino e gli occhi di ossidiana in cui Bernardo poteva leggere una passione e un desiderio che non si erano mai spenti.

    «Non posso che inchinarmi al vostro volere, mio signore», si schernì lei fingendo di arrossire. «Non è certo mia intenzione disobbedirvi!». E, così dicendo, gli slacciò la camicia, sfilandogliela poi dalla testa. Bernardo la lasciò fare e non si oppose neanche quando lei, con estrema grazia, gli tolse le braghe, lasciandolo completamente nudo, incapace di nascondere la prova evidente di quanto la desiderasse.

    Milena si distese sulla pelliccia, allargò le braccia, aprì leggermente le gambe e il suo sguardo, velato dalle lunghe ciglia scure, non poté essere più esplicito.

    Bernardo si ritrovò come sempre travolto da una passione che era incapace di controllare, in cui però non era mai riuscito a trovare niente di impuro. Amava sua moglie con tutta l’anima e nondimeno la desiderava con ogni fibra del suo corpo di uomo, perché lei sapeva essere così femmina, così voluttuosa e, nello stesso tempo, pura e casta come un gioiello da ammirare senza toccare.

    Sotto il suo peso la donna si schiuse come un fiore accarezzato dalla luce del sole, lasciando che lui entrasse dentro di lei e i loro corpi si fondessero nell’amore. Un solo corpo e un solo spirito.

    Horazio non aveva chiuso occhio. Si era girato e rigirato nel letto senza posa, disturbando sua moglie che era andata a rannicchiarsi in un angolo del giaciglio.

    Alle prime luci dell’alba si alzò in preda a un’inspiegabile irrequietezza che lo portò a vagare per i corridoi bui del castello.

    Scese le scale che portavano dai suoi appartamenti, situati all’ultimo piano della torre, a quelli riservati ai suoi familiari, ai piani inferiori. Passando davanti alla camera del fratello, notò che la porta era socchiusa. Incuriosito, sbirciò attraverso lo spiraglio e vide che Bernardo non c’era. In compenso i suoi occhi si posarono sul volto della donna addormentata, appena illuminato dalla pallida luce dell’alba.

    Milena!, pronunciò il nome nella sua mente e un sentimento di rabbia e di invidia lo avvolse come un sudario.

    Non riusciva ad accettare che suo fratello, un dannato frate, avesse nel letto un simile gioiello, mentre lui, Horazio MacDesmond, signore del clan dei Donan e nobile possidente, dovesse accontentarsi di quella vecchia cornacchia, secca e acida di sua moglie.

    Roisin era la figlia di un signorotto locale, molto ansioso di stabilire solidi legami con la famiglia di un potente templare. Così, costui aveva versato una ricca dote per far sposare la figlia con l’unico maschio disponibile del clan. Horazio aveva accettato la cosa di buon grado, anche perché si era sentito importante e ansioso di procreare il tanto atteso erede. Almeno in quello avrebbe alfine superato il fratello, il cui voto di castità gli proibiva di avere figli. Ma la fragile costituzione di Roisin non le aveva permesso di mettere al mondo un bambino sano abbastanza da superare il primo anno di vita. Così, dopo tre tentativi seguiti da premature morti, con devastanti ripercussioni sulla psiche di sua moglie, avevano desistito. Adesso era lui che, suo malgrado, si era votato alla castità, escludendo qualche rapido incontro con contadinotte compiacenti, giusto per sfogare i suoi istinti più bassi.

    Ma aveva imparato ad accettare la sgradevole situazione, almeno finché Bernardo non era tornato inaspettatamente a casa e, mostrando il rispetto dovuto al signore del clan, gli aveva chiesto protezione per la sua famiglia.

    Ebbene sì, quel monaco presuntuoso, paludato nel suo manto bianco, aveva moglie e due figlie, e una più bella e devota dell’altra!

    In questo mondo non c’è giustizia!, pensò.

    Un rumore di passi lo riportò alla realtà e fece appena in tempo a nascondersi in una nicchia scavata nello spesso muro del torrione, quando vide la sagoma di suo fratello avvicinarsi allo spiraglio di luce che filtrava dalla porta. L’uomo si fermò per un istante e guardò nella sua direzione, come se il suo istinto di guerriero lo avesse avvertito della presenza di qualcuno. Horazio trattenne il fiato: non aveva voglia di confrontarsi con Bernardo, non adesso che aveva ancora la mente piena di lascivi pensieri su Milena. Con sollievo, lo vide scuotere pensosamente la testa ed entrare in camera, chiudendo la porta dietro di sé.

    Aspettò qualche minuto prima di muoversi, poi, avvicinandosi con cautela, appoggiò l’orecchio alla fessura dello stipite. Quello che riuscì a sentire non fece che aumentare la sua rabbia e, quando alle parole si sostituirono languidi sospiri che non lasciavano molto all’immaginazione, un brivido di lussuria gli corse lungo la spina dorsale, fino a infiammargli i lombi.

    Si allontanò bruscamente dalla porta, come se avesse toccato qualcosa di incandescente e, maledicendo la sua sorte, si avviò lungo il corridoio buio e giù per le scale, verso i quartieri della servitù.

    Al piano di sotto era alloggiato il seguito di Bernardo, i servi e la scorta personale, fra cui il suo compagno d’armi, frate Armand. E fu proprio dalla stanza a lui riservata che Horazio vide uscire una figuretta minuta, avvolta in una veste da camera scura! Il corridoio era debolmente illuminato dalla luce fioca di alcune torce che languivano nei supporti infissi nel muro e la donna si fermò un attimo sulla soglia. Da dietro la porta apparve il braccio nudo di un uomo che la attirò di nuovo dentro la stanza.

    La donna, ridacchiando sommessamente, cercò di liberarsi dalla stretta, ma senza troppa convinzione.

    «Messere, lasciatemi!», sussurrò. «È già l’alba e devo assolutamente andare!».

    «Un ultimo bacio», disse una voce maschile e sulla porta si stagliò la figura muscolosa di Armand, coperta soltanto dalla cappa bianca che i templari portano sopra l’armatura. I capelli biondi spettinati e la barba arruffata dell’uomo la dicevano lunga sul genere di battaglia che era stata ingaggiata durante la notte.

    Horazio riconobbe Beatrice, la serva personale di Milena, una donna minuta dai capelli castani che seguiva la sua padrona come un’ombra e che si comportava più come una cara amica che come una serva.

    «Dannati templari!», imprecò. «Altro che frati! Questi bastardi fottono più del Diavolo in persona! Altro che vita di preghiera e penitenza. Ricchi sfondati, circondati da meretrici, sodomiti e adoratori di Satana. Questo sono!».

    E le voci che avevano raggiunto anche quello sperduto angolo di mondo erano sicuramente vere, pensò dentro di sé, allontanandosi nel buio.

    Eilean congedò l’ancella che la aveva aiutata a vestirsi e le aveva pettinato e intrecciato i lunghi capelli che, con l’età, erano diventati una cascata di oro pallido. Le lentiggini che ancora coprivano la sua pelle candida e gli occhi verdi come smeraldi tradivano la sua origine irlandese.

    Aveva lasciato la sua isola molto giovane, praticamente una bambina, promessa sposa a un nobile scozzese del clan dei Donan, che all’epoca neppure conosceva. Desmond si era rivelato un buon marito, così lei aveva imparato ad amarlo e Dio l’aveva benedetta con la nascita di tre figli, due maschi e una femmina, tutti sani e robusti.

    Bernardo, il primogenito, era nato in Palestina. Desmond si era dovuto recare laggiù per amministrare alcuni suoi possedimenti in Oltremare, lasciatigli da un parente che aveva combattuto nella prima crociata. Lei, ovviamente, lo aveva seguito, pur essendo incinta e così il suo primo figlio aveva visto la luce nelle piane assolate e sabbiose della Terrasanta. Le sembrava soltanto ieri, sebbene fossero passati ben quarantasei anni.

    Come sono vecchia!, pensò.

    A sessantatré anni non aveva perso niente del vigore che l’aveva sempre caratterizzata e tutt’oggi continuava ad amministrare i beni di famiglia. Avrebbe dovuto essere compito del suo secondogenito Horazio, che purtroppo era ben lontano dall’aver ereditato la sua determinazione. Bernardo sì che sarebbe stato un grande signore per il clan dei Donan, ma appena tredicenne aveva preferito entrare come sergente nell’Ordine religioso dei Cavalieri del Tempio, rinunciando così a ogni diritto di successione.

    Lei, come madre, aveva sofferto molto, dovendo accontentarsi di vederlo solo raramente, ma era felice che lui avesse seguito la sua vera vocazione.

    Bernardo era sempre stato un bambino tranquillo e riflessivo, manifestando sin da piccolo una fede incrollabile e, poiché aveva il dono di possedere una bellissima voce, amava passare ore e ore in chiesa a cantare le lodi del Signore.

    L’altra sua grande passione erano i cavalli. Una vera e propria malattia, un dono naturale che permetteva al ragazzo di aver ragione di qualunque destriero, non importa quanto riottoso o incontrollabile.

    Nessuno si meravigliò, dunque, quando espresse il desiderio di diventare un cavaliere di Cristo.

    Da quel lontano giorno lo aveva visto solo occasionalmente e per brevi periodi di tempo. La prima volta che Bernardo era tornato a casa, dopo la sua investitura, Eilean si era sentita così orgogliosa di lui. Quando era entrato nella sala d’armi del castello, uno splendido diciottenne, avvolto nel suo mantello candido, con la croce rosso sangue sul petto, lei aveva pensato: Come è bello! Mio figlio!.

    Si era poi avvicinata per abbracciarlo, ma lui le aveva fatto cenno, sollevando appena una mano, di rimanere a distanza e lei, anche se con la morte nel cuore, aveva rispettato il suo volere.

    Era tornato una seconda volta prima di partire per Acri. A quel tempo aveva solo vent’anni e l’animo infiammato da sogni di gloria e la speranza del martirio nel nome di Dio.

    Per cinque lunghi anni lei aveva pregato giorno e notte perché potesse rivederlo ancora in questa vita. Per quante notti aveva pianto, pensandolo ferito o decapitato da qualche scimitarra saracena. Ma le sue preghiere erano state esaudite e lui era tornato e questa volta l’aveva abbracciata e aveva pianto di gioia. Era così cambiato! Un uomo, ormai, consapevole del prezzo pagato per mantenere fede ai propri principi.

    Era stato, quindi, inviato in Spagna come Magister Equorum, a occuparsi di ciò che più amava al mondo dopo Dio, i suoi cavalli!

    Dopo quattro anni, durante i quali si erano visti molto saltuariamente, aveva saputo che era stato richiamato urgentemente in Oltremare per un incarico importante.

    Le aveva scritto prima di partire, ma era stato molto vago, come se avesse avuto qualcosa che lo turbava, qualcosa da nascondere.

    Era stato lontano per ben dieci anni, uno ad Acri, prima della sua caduta, nove a Cipro, per poi trasferirsi a Parigi, ricoprendo la carica di Gran Senescalco dell’Ordine, posizione seconda solo a quella del Gran Maestro Giacomo de Molay, suo amico fraterno e mentore.

    Negli ultimi sei anni che aveva trascorso a Parigi, le aveva scritto, ma non aveva mai trovato il tempo per andare a trovarla.

    Eilean non credette ai suoi occhi quando una lettera del figlio le annunciò che sarebbe presto arrivato in Scozia e che si sarebbe fermato al castello per alcuni giorni! Non lo vedeva da sedici anni e si domandò tristemente se lo avrebbe riconosciuto. Chissà come era cambiato, sia fisicamente che nell’anima.

    Ma nulla avrebbe potuto prepararla alla novità che la aspettava! Bernardo arrivò poco prima del tramonto, alla testa di un nutrito gruppo di cavalieri e scudieri che costituivano il suo seguito.

    Lei lo vide dall’alto del bastione. Lo avrebbe potuto riconoscere tra mille, il mantello bianco che si gonfiava al vento, mentre spingeva il cavallo al trotto per superare il ponte, che univa l’isola su cui sorgeva il castello alla terraferma.

    Nonostante la non più verde età, volò le rampe di scale che la dividevano dal cortile in cui la comitiva si era intanto fermata. Uscì sul piazzale ancora affannata e lo vide che la cercava con gli occhi. Madre e figlio corsero l’uno verso l’altra, l’una nelle braccia dell’altro e lei coprì il suo viso di baci. Nessuna regola le avrebbe impedito di toccare il suo bambino e non le importava che lui fosse ormai un uomo di quarantasei anni, un imponente guerriero che doveva controllare la sua forza, mentre la stringeva, per non spezzarla in due!

    «Madre!», le disse, la voce rotta dalla commozione.

    «Bernardo, bambino mio! Lasciati guardare, come sei cresciuto!».

    Lui rise e, indicando i capelli grigi che gli striavano le tempie e la barba brizzolata, disse: «Vorrete dire, invecchiato!».

    «Ciò significa che trovate invecchiata anche me?!».

    «No, madre, siete bella come sempre ed è come se il tempo si fosse fermato per voi!».

    Lei sorrise, con una punta di civetteria e aggiunse: «Sarete tutti stanchi. Ho fatto preparare la tua solita stanza nella torre e diversi alloggi per il tuo seguito. Potrai salutare tuo padre più tardi. Horazio, Roisin e Fiona sono andati a trovare una cugina che ha partorito un bel figlio maschio, ma torneranno domani e…».

    Lui le prese una mano fra le sue ancora coperte dagli spessi guanti di cuoio.

    «Madre, devo parlarvi in privato. È importante e vorrei farlo subito, se ciò vi aggrada. Aspettatemi nelle vostre stanze e procurate di essere sola. Il tempo di provvedere alla sistemazione dei cavalli e dei servi e vi raggiungo».

    Eilean annuì senza aggiungere niente e, incuriosita dallo strano comportamento del figlio, si incamminò verso i suoi appartamenti, sedendosi ad aspettarlo nel suo salotto privato.

    Non dovette attendere a lungo prima di udire un bussare discreto alla porta.

    «Avanti!», disse.

    Bernardo si affacciò, le sorrise ed entrò nella stanza, seguito da tre figure incappucciate, coperte da mantelli scuri: un adulto e due bambini.

    «Madre, vi devo presentare qualcuno molto importante per me».

    I tre personaggi abbassarono i cappucci, rivelando volti femminili!

    La donna aveva i capelli corvini e si inchinò rispettosamente, abbassando la testa, le due bambine, circa quattordici e sei anni, invece, restarono a fissarla con occhi sgranati e, soprattutto la piccola, arrossati dal sonno. Non ci volle molto a Eilean per capire ciò che stava succedendo e chi fossero quelle persone!

    Gli occhi della ragazzina più grande erano gli stessi di Bernardo, mentre la piccola la squadrò con lo stesso sguardo di giaietto della madre: aveva davanti sua nuora e le sue nipotine ed era rimasta senza parole!

    «Madre, questa è lady Milena, mia moglie e queste sono Eleonora e Isabella, le nostre figlie. Spero che la loro presenza non vi rechi offesa».

    Beatrice corse a perdifiato su per le scale, avvolgendosi nella veste da camera. Sotto era nuda e la sua pelle era ancora calda d’amore per i baci e le carezze di Armand. Raggiunse la sua stanza, ed entrò velocemente, appoggiandosi con la schiena alla porta, che chiuse dietro di sé. Tirò finalmente un sospiro di sollievo! Nessuno l’aveva vista, ne era sicura, ma questa volta aveva rischiato troppo! D’altra parte era difficile rinunciare anche a un singolo momento che poteva passare insieme al suo amante e lui era stato così poco ragionevole: ogni volta che lei aveva cercato di alzarsi e rivestirsi, Armand la aveva attirata di nuovo nel letto e la aveva amata con tutta la passione di cui era capace.

    Beatrice non era particolarmente bella e lo sapeva: bassa e un po’ rotondetta, capelli di un banale castano chiaro e occhi nocciola, non attirava certo l’attenzione degli uomini, specialmente di nobili cavalieri!

    Milena la aveva sempre trattata come una sorella, ma alla fine rimaneva una serva e la sua unica prospettiva sarebbe stata quella di sposare qualche sguattero e mettere al mondo una scarica di marmocchi moccicosi.

    Ma da quel terribile giorno lungo la strada per San Pedro, quando la comitiva con cui viaggiava era stata aggredita da briganti saraceni, il suo destino era cambiato drasticamente, non certo in peggio!

    Non si poteva dire altrettanto per donna Maria, così brutalmente uccisa, insieme a tutti i componenti maschili del loro seguito.

    Ma sia Milena, la sua padroncina, che lei erano giovani abbastanza da rappresentare un gustoso bocconcino, nonché strappare un buon prezzo al mercato degli schiavi di Algeri. Beatrice ricordava vagamente, in preda al terrore più assoluto, di essere stata brutalmente trascinata da uno dei banditi verso un cespuglio a lato del sentiero, mentre ascoltava impotente le urla di Milena che stava subendo la stessa sorte, poco lontano.

    Ma, prima che il suo assalitore potesse soltanto sfiorarla con un dito, fu distratto dal rumore di cavalli lanciati al galoppo. Da dietro una macchia di alberi che fiancheggiavano il sentiero, apparve un gruppo di cavalieri, le spade sguainate e i destrieri di gran carriera, le bocche schiumanti sul morso.

    I primi due che sembravano guidare l’attacco, erano in completo assetto da guerra, la cotta di maglia che riluceva al sole, avvolti da un bianco mantello e protetti da un altrettanto bianco scudo, su cui campeggiava la croce rossa dei templari!

    Per Beatrice fu come se avesse visto l’Arcangelo Michele e l’Arcangelo Gabriele in persona materializzarsi davanti ai suoi occhi!

    Rimase pietrificata sul posto e non si mosse neanche quando la testa del suo aggressore le rotolò ai piedi, spiccata di netto dal corpo, gli occhi sbarrati fissi nei suoi. Il gruppo di cavalieri le passò davanti, continuando in direzione dei malviventi, che stavano cercando di organizzare una improbabile difesa. Beatrice vide i due guerrieri in bianco smontare velocemente dai loro cavalli e, mentre uno veniva ingaggiato in uno scontro diretto, l’altro correva verso la direzione in cui era sparita Milena.

    Passarono solo pochi minuti prima che tutto fosse finito e non restasse neanche un bandito vivo, ma per Beatrice fu come se il tempo si fosse fermato e rimase lì in piedi, accanto al cadavere decapitato del suo aggressore, le braccia stese lungo i fianchi e lo sguardo perso nel nulla.

    Armand si avvicinò alla ragazza con una certa cautela, domandandosi cosa facesse lì impalata. Era forse ferita?, si chiese tra sé e sé. Lei non si mosse, né dimostrò di essersi resa conto che qualcuno le si stesse avvicinando. Lui si fermò a pochi passi di distanza, sfilandosi l’elmo e i guanti di pesante maglia di ferro, così era sicuro di farle meno paura. Si passò una mano tra i folti capelli biondi appiccicati dal sudore e si riordinò con le dita la barba tagliata corta, gesto che tradiva una certa civetteria e indulgenza nella cura della sua persona, non così diffusa tra i suoi confratelli.

    «Madonna?!», disse con il tono di voce più gentile possibile.

    Nessuna risposta né movimento che dimostrasse che la ragazza lo avesse udito. Armand avanzò di qualche passo, fino a porsi davanti alla giovanetta che superava in altezza di ben due teste.

    «Señorita?!», disse in spagnolo, marcato da uno spiccato accento francese.

    «Que pasa?».

    A quel punto lei sembrò scuotersi come da una trance e alzò il visetto pallido, fissandolo senza però vederlo. Lui azzardò un movimento lento e le appoggiò le mani sulle spalle, scuotendola leggermente, il più delicatamente possibile: «Mademoiselle?!», disse provando con il francese, riservandosi l’arabo come ultima chance.

    Gli occhi della ragazza erano di un caldo color nocciola, leggermente piegati all’ingiù come quelli di un cucciolo in cerca di tenerezza, sentimento che ispirarono immediatamente in Armand e che lo portò istintivamente ad abbracciare la fanciulla, come per darle di nuovo la vita che sembrava esserle sfuggita.

    A quel punto lei urlò. Con tutto il fiato che aveva nel suo corpo minuto, urlò.

    Poi, come posseduta da mille diavoli, iniziò a dibattersi, schiaffeggiandolo e colpendolo con inutili pugni sul petto.

    Armand provò a difendersi come poteva da quella piccola furia scatenata, cercando di non farle del male. Riuscì finalmente ad afferrarle i polsi, ma lei cominciò a prenderlo a calci, mirando a parti decisamente vulnerabili per un uomo. Così fu costretto a girarla su se stessa e abbrancarla da dietro, mentre stringendole le braccia intorno alla vita, la sollevò da terra, tenendola stretta contro il suo corpo.

    «Fratello Armand!», tuonò la voce di Bernardo. «Che cosa state facendo, nel nome di Dio?»

    «Sto lottando per la mia vita, fratello!», rispose, mentre la ragazza continuava a dibattersi.

    «A me sembra che stiate lottando per la vostra anima, piuttosto!», lo corresse Bernardo che, resosi conto della situazione grottesca, riusciva a stento a trattenere il riso. Gli occhi celesti di Armand si abbuiarono, malcelando la vergogna di essere stato colto in una situazione così poco decorosa!

    «Aiutatemi, dannazione! Invece di prendervi giuoco di me!».

    Il suo orgoglio francese doveva essere stato ferito, pensò Bernardo, ma ciò non guastava di certo.

    «Credo che siate decisamente in grado di cavarvela da solo», replicò, andandosene.

    «A proposito», aggiunse, senza girarsi, «la fanciulla viaggerà con voi sul vostro cavallo!», e si allontanò sorridendo, seguito dalle imprecazioni del francese.

    Capitolo 2

    Due cavalli uscirono dalla porta del castello e vennero lanciati al galoppo, spinti dai loro cavalieri. Gli zoccoli ferrati risuonavano sull’acciottolato della strada, mandando occasionali scintille che brillavano nel buio impenetrabile della notte. Pioveva a dirotto e i due uomini si strinsero lungo il collo delle loro cavalcature, calandosi il più possibile il cappuccio del mantello sugli occhi. Ben presto uscirono dalla strada maestra, per inoltrarsi lungo un sentiero secondario, che si addentrava tra le impervie gole delle Highlands scozzesi.

    Una volta in aperta campagna, dovettero rallentare l’andatura, riportando i cavalli al passo o al piccolo trotto per non rischiare di spezzarsi l’osso del collo, cadendo in qualche burrone. La notte era senza luna e la pioggia si era trasformata in nevischio che il vento gelido spruzzava loro in faccia. Ma i due uomini sembravano determinati ad andare avanti a qualunque costo.

    Dopo diverse ore di estenuante viaggio, in parte in sella e in parte a piedi per far riposare i cavalli, una pallida luce cominciò a filtrare tra le spesse nuvole alle loro spalle. L’alba di un nuovo giorno illuminò le figure dei due viandanti, coperti dai ruvidi mantelli marroni che si appiccicavano, fradici di pioggia, ai loro corpi infreddoliti e doloranti per la stanchezza.

    Armand si asciugò il viso con la manica del saio di iuta che indossava, aguzzando la vista con gli occhi che bruciavano per lo sforzo di vedere nel buio, poi si girò per aspettare il suo compagno che lo seguiva trascinando il cavallo per la briglia. Bernardo era più vecchio di circa sei anni e il peso della fatica cominciava a vedersi sul suo viso, le guance scavate sotto la barba, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Anche lui indossava un ruvido saio da frate e ai piedi portava sandali fasciati da stracci per proteggersi dai morsi del freddo. Chiunque li avesse incontrati non avrebbe riconosciuto in loro due cavalieri templari, ma semplicemente due poveri frati pellegrini.

    Ed era ciò che volevano, non essere riconosciuti, dato che Bernardo era l’essere vivente più ricercato del creato! La loro unica speranza era quella di arrivare alla costa il più presto possibile, imbarcarsi e attraversare lo stretto tratto di mare che li divideva dall’Irlanda, dove avrebbero potuto trovare aiuto presso i loro confratelli irlandesi, e da lì decidere poi il da farsi.

    La notizia della tragedia aveva impiegato due giorni per raggiungere il remoto castello in Scozia, dove Bernardo si trovava con la sua famiglia e il suo seguito. Una efficiente rete di piccioni viaggiatori univa tutte le commende e i possedimenti del Tempio e così, la mattina di domenica 15 ottobre 1307, un messaggero dell’ordine era arrivato al castello, il cavallo coperto di schiuma bianca, e aveva chiesto, senza fiato, di essere ammesso immediatamente alla presenza del Senescalco.

    Bernardo si trovava nella cappella e pregava, inginocchiato davanti all’altare. Con la fronte appoggiata sulle mani giunte, era completamente assorto nell’astrazione mistica che lo avvolgeva ogni volta che parlava con Dio, quando la porta della chiesa si aprì di schianto, facendolo trasalire e riportandolo bruscamente alla realtà!

    Girandosi, vide Armand precipitarsi dentro correndo, il volto sconvolto! Fece per andargli incontro, ma si fermò impietrito alla vista del suo compagno che, in lacrime, cadendo in ginocchio in mezzo alla navata centrale, si prostrava al suolo, toccando il pavimento con la fronte come se stesse chiedendo a Dio una grazia impossibile.

    «Fratello!», gridò Bernardo, «amico mio, che cosa vi accade?!», e si affrettò lungo il corridoio.

    Armand si sollevò, ma rimase in ginocchio e alzò su di lui uno sguardo così colmo di angoscia e di dolore da non poter essere descritto.

    «Li hanno uccisi tutti!», balbettò.

    «Chi? Chi hanno ucciso?!», replicò Bernardo, a questo punto convinto che stesse succedendo qualcosa di veramente grave.

    «Hanno ucciso i nostri fratelli. È stata una carneficina! Li hanno ammazzati come cani, nella notte, senza preavviso!», continuava a farneticare Armand, dondolando il corpo avanti e indietro come per esorcizzare una pena troppo grossa da sopportare. Torcendosi le mani, teneva il volto rigato di lacrime rivolto verso la croce di legno che torreggiava in fondo all’abside.

    «Cristo, aiutaci!», aggiunse.

    «Armand, torna in te, ti prego, spiegami che cosa sta succedendo?!», lo esortò di nuovo Bernardo.

    «È arrivato un messaggero dal Tempio di Londra! Il Tempio di Parigi è stato assalito dai soldati del re: sono stati tutti arrestati, compreso il Gran Maestro!».

    «Giacomo è stato arrestato? Non è possibile e con quale accusa?»

    «L’accusa è di eresia, idolatria, sodomia e non so che altro, ma è stato sufficiente a scatenare una sorta di follia collettiva attraverso tutta la Francia, tanto che in alcune regioni i nostri fratelli sono stati passati a fil di spada, mentre giacevano nelle loro brande, senza misericordia né possibilità di difendersi!».

    Armand stava lentamente riprendendo il controllo di sé e l’espressione nei suoi occhi passò dalla disperazione a una fredda determinazione. Piangere non sarebbe servito a riportare in vita i suoi amici, né a difendere il suo ordine da accuse così ingiuste e oltraggiose.

    Guardò il suo maestro, compagno d’armi e amico e si rese conto di una realtà che gli ghiacciò il sangue nelle vene.

    «Bernardo», disse, «fratello mio! Voi siete la loro prossima vittima!».

    Eilean si trovava nella stanza del marito e, come di consueto, lo stava lavando, prima di vestirlo. Desmond era invalido da molti anni, muto e semiparalizzato, ma lei non aveva mai permesso a nessuno di occuparsi di lui. Era sua moglie nel bene e nel male, e lo sarebbe sempre stata fino alla morte. Non avrebbe mai costretto il suo uomo, una volta un vigoroso guerriero, a sottostare alla umiliazione di essere maneggiato come un infante imbelle da qualche estraneo che avrebbe potuto burlarsi della sua infermità.

    E ogni volta che aveva finito e lo aiutava a sedersi, veniva ripagata dallo sguardo di profonda gratitudine che leggeva nell’unico occhio che Desmond riusciva ancora a tenere aperto.

    Stava asciugando con un panno morbido il rivoletto di saliva che colava dall’angolo paralizzato della bocca del marito, quando un concitato bussare alla porta la fece trasalire.

    «Chi è?», chiese.

    «Madre, sono io, con il vostro permesso», rispose Bernardo, la voce che tradiva l’ansia.

    «Avanti figliolo!», disse domandandosi il perché di tanta furia.

    Lui entrò nella stanza e si diresse verso il padre, si inchinò e lo baciò sulla fronte, poi si rivolse alla madre e solo allora lei lesse nel suo volto, di solito così calmo e sereno, una pena immensa, mista alla rabbia che ribolliva come la lava di un vulcano pronto a esplodere.

    «Ho appena ricevuto brutte notizie, madre!».

    Si guardò intorno con sospetto assicurandosi che nella camera non ci fosse nessun altro che potesse sentire.

    Lei capì. «Siamo soli», lo rassicurò.

    L’atteggiamento di Bernardo era quello di un leone braccato da una muta di cani, indeciso se darsi alla fuga o fermarsi e combattere per la propria vita e il proprio onore.

    «Il Tempio di Parigi è stato attaccato la notte di venerdì dalle guardie del re di Francia», disse. «Tutti coloro che si trovavano all’interno delle mura sono stati arrestati, compreso il Gran Maestro. Nessuno ha opposto resistenza!».

    Eilean era pietrificata, incapace di proferire parola. Desmond si agitò sulla sedia.

    «L’ordine di arresto dei templari riguarda tutti i territori francesi sotto il controllo di Filippo il Bello», proseguì Bernardo. «In alcune regioni del regno, i miei confratelli sono stati trucidati dalla folla imbestialita! Sono morti come agnelli, senza difendersi».

    I suoi profondi occhi blu si erano trasformati in due pozze di piombo fuso che la spaventavano e immaginò come dovesse apparire ai suoi nemici quando, armato fino ai denti, si lanciava in battaglia disposto a uccidere o farsi uccidere!

    «Che cosa conti di fare?», chiese lei. Poi aggiunse: «Quassù sei al sicuro, nessuno verrà a cercarti in questo remoto angolo della terra. Puoi prendere tempo e decidere come reagire, magari rivolgerti al maestro del Tempio di Londra e…».

    «Madre, loro mi stanno cercando e certamente in questo momento sanno già dove mi trovo. Molti a Parigi erano al corrente che mi sarei recato a visitare la mia famiglia».

    «E perché, di grazia, vogliono proprio te?»

    «Non è me personalmente che vogliono, ma quello che rappresento e, soprattutto, quello che so!».

    Il suo volto appariva pallido e tirato.

    «Il Segreto del Tempio!», aggiunse poi, come se pensasse a voce alta.

    «Ci sono solo due persone su questa terra a esserne al corrente: uno è il Gran Maestro, l’altro sono io!».

    Eilean fu solo capace di dire: «Come posso aiutarti?»

    «Milena e le bambine!», disse Bernardo. «Nessuno conosce la vera natura del loro legame con me, escluso voi e pochi amici che non mi tradirebbero mai. Date loro protezione, spacciatele per lontane parenti in disgrazia a cui offrite ospitalità per misericordia. Non lasciate mai trapelare la verità! In fondo siamo appena arrivati e nessuno dei vostri servi può immaginarsi come stiano veramente le cose».

    «Sono fidati e non parlerebbero neanche se minacciati».

    «Se fossi in voi non sottovaluterei i metodi di convincimento dell’Inquisizione!».

    Eilean sentì il sangue gelarsi nelle vene. «L’Inquisizione?!», balbettò. «Ma che cosa c’entra con voi? Siete un ordine religioso!».

    «Le accuse che il re di Francia muove contro il Tempio parlano di idolatria, commercio col Diavolo, eresia…».

    «Basta, nel nome di Dio!», esclamò Eilean, le mani sul volto come per non vedere qualcosa che la spaventava troppo.

    «Farò tutto quello che mi chiedi, figlio, ma cosa ne sarà di te?»

    «Partirò al calare della notte e porterò solo Armand con me. La nostra speranza è di raggiungere l’Irlanda il prima possibile. Posso contare su amici fidati laggiù che mi nasconderanno, almeno finché le acque non si saranno un po’ calmate e non riuscirò a capire fino a che punto il re è disposto a spingersi. Sapevamo che stava macchinando qualcosa di pericoloso, per cui avevamo già preso le nostre precauzioni. Ma non pensavamo certo che quel demonio di Nogaret, il Guardasigilli del re, arrivasse a tanto. Giacomo aveva sempre confidato nell’appoggio del papa e non sono mai riuscito a convincerlo che costui non è altro che un buffone che il re manovra a suo piacimento. Adesso, con il Gran Maestro in prigione, io rimango l’ufficiale con il grado più alto ancora in libertà ed è mio dovere fare tutto quello che è in mio potere per aiutare i miei fratelli e l’ordine a cui ho giurato fedeltà a prezzo della mia vita!».

    «Conta su di me e non dimenticare che ho ancora parenti in Irlanda che saranno, in ogni momento, disposti a darti una mano. I nostri clan sono molto legati», disse lei.

    Bernardo la baciò sulla fronte e i loro sguardi si incontrarono, cercando l’uno negli occhi dell’altra la certezza che prima o poi, si sarebbero rivisti anche se non sapevano né dove né quando!

    Poi lui si precipitò fuori dalla stanza.

    Era ancora presto e Milena si stava preparando per andare in chiesa, dove avrebbe raggiunto suo marito che, da prima dell’alba, si trovava là, raccolto in preghiera.

    Non era riuscita a trovare Beatrice e la cosa la aveva un po’ contrariata dato che non era abituata a vestirsi e pettinarsi i lunghi capelli da sola.

    Dove sarà finita quella stupidina, pensò. Vuoi vedere che sta ancora dormendo nel letto di Armand! È capace di far scoppiare uno scandalo e…, ma non riuscì a seguire oltre il filo dei suoi pensieri, che Beatrice entrò di corsa nella camera e si buttò in ginocchio ai suoi piedi, nascondendole il viso nel grembo e singhiozzando vistosamente.

    «Ho visto che sei in ritardo e immagino anche perché, ma non è il caso di farla così tragica!», disse cercando di consolare la sua amica da quella che pensava fosse la solita crisi per il senso di colpa, che a volte la assaliva dopo una notte passata con il suo bel cavaliere francese. Ma, quando Beatrice alzò la faccia, Milena capì che c’era qualcosa di veramente serio che la turbava!

    «È successa una disgrazia», balbettò. «Armand si sta preparando a partire. È venuto a salutarmi, se ne andranno al calare della notte!».

    «Non capisco?! Quale disgrazia e chi si sta preparando a partire oltre ad Armand?!».

    «Io!», disse suo marito, che la guardava dalla soglia della camera. «Beatrice, per favore, lasciateci!», aggiunse. Bernardo chiuse la porta alle spalle della servente e si girò lentamente verso sua moglie.

    Milena non lo aveva mai visto così, neanche prima o dopo una battaglia! C’era qualcosa nel suo sguardo, un tale conflitto di emozioni da non riuscire a capire quale per prima avrebbe preso il sopravvento sulle altre.

    «Beatrice ha parlato di una disgrazia», disse. «Le bambine?! Tutto a posto, vero?», aggiunse, cercando negli occhi di lui un segno affermativo.

    «Non temete, amore mio, loro stanno bene!».

    Milena emise un sospiro di sollievo, ma rimase in attesa di sapere a quale disgrazia si riferisse Beatrice.

    «Ascoltatemi, Milena», disse Bernardo con voce grave, un tono che non aveva più usato con lei sin dal giorno in cui aveva dovuto annunciarle che sua madre era morta, uccisa dai banditi in quell’assolato pomeriggio spagnolo di tanti anni fa.

    «L’Ordine del Tempio è stato attaccato da una forza molto potente e rischia di venire distrutto, cancellato dalla faccia della terra!

    Il mio maestro e amico Giacomo è al momento ospite delle prigioni di re Filippo e io sarei destinato a seguirlo quanto prima. Non mi piace scappare, ma è mio dovere salvaguardare la mia vita nella speranza che ciò possa rivelarsi utile per la nostra causa, la mia e di tutti i miei fratelli. Sulle mie spalle grava una grande responsabilità ed è mio compito cercare di esserne all’altezza. Sapete che vi amo più di ogni altra cosa al mondo. Voi, anima mia, e le nostre meravigliose bambine siete la luce dei miei occhi».

    Milena sentì una vena di commozione spezzargli la voce, come se facesse fatica a trattenere le lacrime.

    Bernardo si schiarì la gola e proseguì.

    «Devo lasciarvi! E non so per quanto. Partirò al calare della notte e per la vostra stessa incolumità non posso dirvi dove sono diretto, ma vi giuro sul Santo Vangelo che ritornerò da voi non appena mi sarà possibile, non appena avrò assolto il mio compito! Tornerò a prendervi tutte e tre e vi porterò via, in qualche posto sicuro dove vivremo felici e vedremo le nostre figlie farsi donne». Fece una pausa poi, guardandola negli occhi, continuò. «Voglio invecchiare con te, amore mio e, quando Dio vorrà, morire sereno fra le tue braccia! Ma il disegno divino a volte ci è oscuro e non sta a noi giudicare il suo operato. Possiamo solo accettarlo con umiltà».

    Milena non si era mossa. Un gelo improvviso lungo la schiena la fece rabbrividire.

    Guardò suo marito, osservando attentamente il suo volto dai lineamenti severi, incorniciato dalla barba scura che cominciava a macchiarsi di grigio. Si soffermò sulla bocca e si ricordò quante volte nei suoi sogni di ragazzina avesse desiderato baciarla, di quanto dolce e ammaliante fosse il suo sorriso. Lo guardò negli occhi, blu come l’oceano in cui avrebbe voluto affogare per sempre!

    Voleva imprimersi nella mente ogni piccolo particolare del volto amato, pensando che questo l’avrebbe aiutata a vincere l’angoscia della lontananza. Si alzò lentamente e gli si avvicinò, gli accarezzò il viso, gli cinse il collo con le braccia delicate e, alzandosi sulla punta dei piedi, lo baciò sulla barba. Lui la strinse a sé con tanta forza da farle male, ma lei non si lamentò. Sollevandola da terra, le baciò gli occhi, le guance e la bocca, come se volesse divorarla.

    «Ti amo Milena, come non ho mai amato niente e nessuno!».

    «Anch’io ti amo e ti aspetterò non importa per quanto, anche per tutta l’eternità perché so che tu tornerai! Prima o poi, tornerai a prendermi!».

    «Anche se dovessi cercarti all’inferno!», aggiunse lui.

    «Adesso va’, amore, va’ a salutare le bambine e che Dio ti protegga sempre ovunque andrai!».

    Bernardo la benedisse sulla fronte, la guardò un’ultima volta, si girò

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