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Allarme... rossa: Harmony Destiny
Allarme... rossa: Harmony Destiny
Allarme... rossa: Harmony Destiny
E-book139 pagine1 ora

Allarme... rossa: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Regina Flynn lavora per una ditta che garantisce la sicurezza e la cura di abitazioni temporaneamente disabitate. le sembra del tutto naturale, quindi, di trasferirsi nella casa di Clint Whitfield, cliente dell'agenzia, dopo aver perso la propria abitazione in un incendio. Il signor Whitfield fa il veterinario in Africa!Sarà soltanto contento che qualcuno gli curi casa così da vicino. Ma l'affascinante sconosciuto che si trova inaspettatamente alla porta non sembra tanto felice!
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2016
ISBN9788858955581
Allarme... rossa: Harmony Destiny
Autore

Ashley Summers

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Allarme... rossa - Ashley Summers

    successivo.

    1

    Regina Flynn entrò nel grande, elegante atrio, con una circospezione che sfiorava l'assurdo. Nonostante come dipendente della Lamar's Home Maintenance and Security Agency avesse tutto il diritto di trovarsi in quella casa disabitata, le sembrava che il rumore dei suoi tacchi rimbombasse in modo sinistro sul pavimento di marmo bianco e nero. Il cuore le batteva così forte da farle girare la testa.

    Si fermò subito oltre la soglia, il vasetto blu delle violette africane stretto al petto come un talismano. Nemmeno il caldo d'agosto le impediva di sentire uno strano freddo dentro di sé.

    Con un sospiro richiuse la porta e vi appoggiò contro la schiena. «L'ho fatto» sussurrò. «Ho rubato una casa!»

    No, non aveva rubato niente, si corresse subito dopo. Come assistente del direttore della Lamar's, la fantastica casa del dottor Clint Whitfield faceva parte del suo portfolio e lei aveva tutto il diritto di trovarsi lì. In qualità di custode.

    Con la coscienza comunque poco tranquilla, premette l'interruttore. Se nell'ultima luce del tramonto gli scatoloni che contenevano i suoi averi le erano sembrati pochi e patetici, quando il lampadario si accese, illuminando a giorno l'ambiente, le parvero ancora più miseri. Un improvviso senso di tristezza le serrò la gola. Tutto ciò che possedeva al mondo stava dentro sei scatoloni di cartone. Dopo ventinove anni di vita non era molto, pensò sconsolata.

    Vedendosi riflessa in uno specchio sulla parete, si scostò dal viso i capelli di un rosso dorato e disse all'immagine dagli occhi verdi che la stava guardando: «Sei un disastro, Regina Flynn!».

    Aggirando gli scatoloni, avanzò lungo il corridoio. Mobili ricoperti di teli bianchi occupavano come fantasmi le stanze buie.

    Si fermò sotto un arco che si apriva su un'ala della casa che comprendeva un grande soggiorno separato dalla cucina da una mezza parete, la sala da pranzo e, subito oltre la parete trasparente sul fondo, una serra.

    Si sentì improvvisamente ridicola all'idea di aver portato la sua piantina di violette africane in tutta quell'opulenza. Quando poco dopo la posò sul davanzale interno della finestra della cucina le sussurrò: «Qui starai benissimo, piccola. Sei proprio nata per stare in un castello».

    Accese un'altra luce, e davanti alla bellezza che rivelò rimase senza fiato. Decisamente, il dottor Clint Whitfield aveva costruito qualcosa di speciale...

    Perché aveva abbandonato quella casa così a lungo?

    La sua era una domanda destinata a non avere risposta. Non conosceva Clint Whitfield perché quando aveva firmato il contratto con la Lamar's lei lavorava in un altro dipartimento. Solo in seguito, una promozione l'aveva resa responsabile di quella zona e di quella bellissima dimora dalle colonne bianche, nella quale era già stata altre volte per le solite ispezioni di routine.

    Mese dopo mese erano passati due anni. Poi, il giugno precedente, c'era stato l'incendio. L'incendio che le aveva bruciato la casa con tutto ciò che conteneva. In quel disastro l'unica sua fortuna era stata che Katie, la sorella di quindici anni, non fosse presente perché si trovava alla scuola speciale cui lei l'aveva mandata.

    Era stata comunque un'esperienza traumatica anche per la ragazzina. Nonostante fosse mentalmente handicappata, era dotata di una grande sensibilità. Quando aveva saputo, infatti, della distruzione della casa della sua infanzia, aveva pianto disperata.

    Anche Regina aveva pianto, ma poi, come sempre nei momenti più neri, aveva raddrizzato le spalle e deciso di ricominciare tutto da capo e di rimettere insieme i pezzi della propria vita.

    Nonostante avesse un ottimo stipendio, il fatto di dover pagare l'affitto di un monolocale le pesava, perché le spese della scuola di Katie erano altissime.

    E a sua disposizione c'era la meravigliosa casa di Clint Whitfield, magnificamente arredata e disabitata da anni, perché il proprietario si era trasferito in Africa.

    Regina sospirò. Se prima che l'incendio divorasse il suo cottage trovava una simile indifferenza irritante, adesso ne era indignata. Possedere un simile tesoro e non curarsene!

    Era stato dopo molte riflessioni e ripensamenti che aveva deciso di trasferirsi lì. Dopo che Whitfield aveva rinnovato il suo contratto per un altro anno, lei e Lamar avevano deciso di dotare la casa di un custode.

    A quel punto Regina aveva pensato che assumersi quel ruolo le sarebbe stato incredibilmente comodo. Aveva mandato una lettera al proprietario per informarlo della decisione, e il fatto che lui non avesse risposto per dare il suo consenso non l'aveva preoccupata. Per quel particolare cliente non rispondere alle comunicazioni dell'agenzia era infatti un'abitudine radicata.

    Sospirò di nuovo e si guardò intorno. Nonostante fosse arredata in modo elegante, la casa aveva le pareti completamente nude. Nessun quadro, nessuna fotografia di famiglia e nessun oggetto personale.

    Regina non sapeva niente del proprietario, a parte i dati che aveva fornito per il contratto. Sapeva solo che era un altro dei ricchi clienti della Lamar's che consideravano le loro stupende case intercambiabili come le lenzuola del letto. Come del resto le loro stupende donne, aggiunse fra sé non senza una certa amarezza. Quel cliente particolare, poi, era solo, come aveva dichiarato nella scheda contrattuale. E sarebbe stato via un altro anno.

    Rilassandosi per la prima volta da che era entrata, Regina si tolse le forcine che le trattenevano i lunghi capelli e se li pettinò con le dita. Non aveva niente di cui preoccuparsi. Quando il signor Whitfield si fosse deciso a tornare, avrebbe avvisato l'agenzia e lei se ne sarebbe andata in un battibaleno; ma fino a quel momento sarebbe stata a...

    «Casa!» esclamò a voce alta con un tono di sfida. «Sono a casa.»

    Erano le sei passate di un pomeriggio di fine settembre, quando Clint Whitfield tornò a casa. Aveva seguito un impulso irrazionale, dovette riconoscere, ma dal momento che quella notte avrebbe dovuto fermarsi in città, sarebbe stato assurdo passarla in un albergo invece che nel suo letto.

    Dopo aver parcheggiato di fronte all'entrata, non si mosse per scendere. Houston gli stava offrendo uno dei suoi rari, teneri tramonti, e il prato vellutato davanti alla costruzione era immerso in una luce d'oro.

    Ma quella dolcezza, invece di rallegrarlo, lo ferì. Clint si sentì invadere da una tensione improvvisa. Quello era sempre stato il momento preferito delle sue giornate, e adesso lo detestava. E detestava ancor di più il fatto che fosse settembre. Era stato proprio in una nera serata di settembre che aveva perso l'unica cosa per cui valeva la pena di vivere...

    Rimase ancora seduto in macchina per qualche minuto, gli occhi fissi alla sua bella dimora, stagliata contro il grande cielo ormai rossastro del Texas. La casa che aveva costruito per l'adorata moglie.

    Lo stomaco gli si contrasse al pensiero di quello che avrebbe dovuto affrontare entrando. Clint strinse i denti. Santo cielo, tornare a casa non sarebbe dovuto essere così difficile! Ormai erano passati quasi tre anni, da quando era partito. Scappato, si corresse con un mezzo sorriso. Ma per quanto velocemente, per quanto lontano un uomo potesse scappare, per i ricordi dolorosi non era mai abbastanza. E i suoi incubi ne erano una prova.

    Notò il letto di rose sulla destra della costruzione e gli occhi gli divennero due fessure. Il fatto che avessero continuato a fiorire gloriose anche dopo la scomparsa della donna che le aveva piantate gli sembrò un oltraggio.

    Barbara era stata un ottimo chirurgo pediatrico, mentre lui era un veterinario. Lei era morta, mentre lui era ancora vivo.

    Con un sospiro si decise a scendere dalla macchina che aveva noleggiato all'aeroporto. Finalmente sarebbe rientrato in possesso del suo furgone, pensò mentre richiudeva la portiera. Un attimo dopo la riaprì e prese il prezioso Stetson, il suo vecchio cappello, una volta scuro e ormai scolorito dal sole della giungla, che lo aveva accompagnato in mezzo mondo. Se lo mise in testa e richiuse la portiera con forza esagerata. Perché diavolo era tornato? Lì non c'era più niente per lui. Non certo quella maledetta casa, che per quanto lo riguardava avrebbe anche potuto non rivedere mai più.

    Percorse in fretta il viottolo di mattoni e salì gli scalini che portavano all'ingresso. L'avrebbe venduta, decise. Si sarebbe liberato di tutto. Così facendo non si aspettava di poter essere di nuovo felice, ma forse avrebbe potuto trovare una certa tranquillità psicologica.

    Nell'aria immobile i suoi passi risuonarono cupi. Sarebbero riecheggiati anche nella casa, si disse mentre poco dopo apriva la porta. Sicuramente, grazie all'agenzia, l'interno sarebbe stato in perfetto ordine, ma l'idea di ritrovarsi dentro quelle stanze deserte e ammuffite gli faceva paura. I mobili ricoperti da teli bianchi le avrebbero fatte sembrare ancora più squallide e vuote. Al pari del suo cuore.

    Come fu entrato, si bloccò di colpo. C'erano delle piante e dei fiori freschi che non sarebbero dovuti esserci, dal momento che non aveva comunicato a nessuno il suo arrivo. Ma quello che lo lasciò ancora più sconcertato fu il delizioso profumo che lo accolse al posto dell'odore di chiuso che si era aspettato.

    Qualcuno stava cucinando del cibo italiano!

    Aglio, pomodoro, basilico... Il tipo di cucina che lui preferiva.

    Una sensazione di déjà vu lo colpì come un pugno. Per un attimo lo riportò al passato, quando aromi simili a quelli lo accoglievano al ritorno dal lavoro, poi un rumore proveniente dalla cucina lo ricatapultò nel presente.

    No, non c'era più nessuno ad aspettare che lui ritornasse dal lavoro, e non ci sarebbe mai più stato.

    Dopo aver scosso la testa come per schiarirsi le idee, si tolse il cappello e se lo rigirò fra le mani. No, non stava avendo le traveggole. Qualcuno stava davvero cucinando.

    Chiuse un attimo gli occhi e strinse i denti. Cos'era quella faccenda? Uno scherzo?

    Avanzò cauto fino al soggiorno, e la sorpresa lo bloccò di nuovo. Davanti alle alte finestre palladiane c'erano adesso delle piante. Accanto alla sua poltrona preferita la lampada era accesa, su un cuscino del divano c'era un libro aperto a faccia in giù, e per terra c'era un paio di pantofole di seta rosa, come se qualcuno se le fosse appena sfilate.

    «Ma cosa diavolo...» borbottò fra i denti.

    Posò il cappello su un tavolino. Solo una mezza

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