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Vado al massimo (eLit): eLit
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E-book183 pagine2 ore

Vado al massimo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Kelsi Reid non avrebbe accettato di passare la giornata con lo spericolato Jack Green se non lo avesse investito. Vuole accertarsi che non si sia fatto male, e a giudicare dalla temperatura che raggiunge il loro incontro, grazie all'abilità di sexy Jack, si direbbe proprio che lui stia bene. Quando un mese dopo si incontrano di nuovo, la scintilla si riaccende. Ma sulla loro calda passione incombe una bella doccia fredda.
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2017
ISBN9788858979525
Vado al massimo (eLit): eLit
Autore

Natalie Anderson

Tra le autrici più amate e lette dal publico italiano.

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    Anteprima del libro

    Vado al massimo (eLit) - Natalie Anderson

    successivo.

    1

    L'ennesimo semaforo rosso. Kelsi Reid frenò per la quarta volta, bofonchiando qualcosa mentre allungava la mano per recuperare il pettine che aveva lanciato sul sedile del passeggero.

    Probabilmente le altre clienti entravano nel centro benessere come se fossero appena uscite da un altro istituto di bellezza, come le modelle delle riviste, perfettamente pettinate, profumate, impeccabili. Kelsi aveva i capelli in disordine e neppure un filo di trucco. Aveva fatto in tempo a mettersi soltanto le lenti a contatto e a infilarsi in fretta e furia un vestito sul corpo ancora umido dopo la doccia.

    Se solo la sera prima non si fosse addormentata alla scrivania, cercando disperatamente di finire tutto il lavoro per potersi concedere un giorno di vacanza! Se solo non si fosse svegliata con i capelli tutti appiccicati, dopo aver rovesciato sul piano della scrivania la bevanda iper-energetica che aveva accanto! Se solo non avesse esagerato con lo shampoo e non ci avesse messo una vita per togliere dal piano della doccia quella massa di schiuma biancastra...

    Se solo non fosse dovuta andarci, in quel centro benessere.

    Con le tempie che le pulsavano per la mancanza di un caffè, aveva trovato tutti i semafori rossi fino a Merivale, l'elegante quartiere di Christchurch dove si trovava l'Essence Spa e dove l'aspettava un appuntamento che non aveva avuto il coraggio di cancellare.

    Se solo non si fosse sentita così a disagio.

    I suoi colleghi e il capo avevano prenotato per lei. E avevano anche pagato, per lei. Un regalo di compleanno abbinato a una sorta di ricompensa per aver lavorato così tanto. Un pensiero gentile, certo, ma l'ultima cosa che avrebbe desiderato. Odiava mescolarsi a tutte quelle donne bellissime, perché lei non era una di loro. Con quei suoi capelli anonimi, piccola di statura e con le curve appena accennate, sufficienti solo per non farla sembrare un maschio, da ragazzina aveva dovuto sopportare le pesanti prese in giro degli amici.

    La sua sensazione di inadeguatezza era arrivata a un punto tale che aveva permesso al suo ex ragazzo di portarla da un parrucchiere e poi in giro per negozi, in modo da poterle rifare il guardaroba e addirittura il look, ma nonostante tutto non era diventata abbastanza bella per lui. Erano passati alcuni anni e ancora non riusciva a credere di aver lasciato che un uomo potesse manipolare fino a quel punto la sua vita.

    Alla fine si era ribellata. La gente pensava che fosse un po' bizzarra? Sarebbe stata bizzarra. Si vestiva in modo strano, coprendo il più possibile la pelle pallidissima, quasi innaturale. Tendeva a coprire le sue forme inesistenti, a nascondere gli occhi e i capelli. A nascondere se stessa. Se un uomo l'avesse mai desiderata, sarebbe stato per la sua testa, per il suo senso dell'umorismo, per la sua forte personalità o qualcosa del genere.

    Erano anni che non usciva con qualcuno, ma in ogni caso era troppo impegnata con il lavoro. E di certo non era di grande aiuto l'aver scoperto che i suoi colleghi, le uniche persone che conosceva in quella città, si innamoravano sempre e soltanto delle ragazze con i fianchi torniti e il seno florido, in pratica le eroine dei videogiochi che per loro erano diventati una specie di droga. In altre parole, donne finte.

    Kelsi non avrebbe mai potuto competere con le affascinanti creature in carne e ossa di questo mondo, figuriamoci con le fantasie maschili. Quindi non ci provava neppure.

    Ma i suoi colleghi, ed erano tutti uomini, avevano pensato che potesse essere un regalo molto apprezzato da qualsiasi donna: un'intera giornata dedicata alla propria bellezza. Kelsi sapeva che avevano agito in buona fede. Non potevano sapere dell'ex fidanzato che era rimasto lì in piedi a osservare le forbici del parrucchiere mentre cercavano di trasformarla in qualcosa che lui potesse trovare maggiormente attraente.

    Non aveva avuto il coraggio di dire che non voleva quel regalo. Sapeva quanto fosse costoso ed esclusivo quel centro e si rendeva conto che i suoi colleghi erano animati dalle migliori intenzioni. E poi c'erano tante altre proposte, oltre al taglio dei capelli e alle lampade abbronzanti. Un massaggio rilassante sarebbe stato perfetto, magari seguito da una ceretta eseguita da una brava estetista.

    Non aveva scelta. Doveva andarci. Ma anche se si era sforzata di scegliere l'abbigliamento più adatto, era comunque un disastro, con quei capelli arruffati e tinti in casa. Ed era anche in ritardo.

    Percorse gli ultimi cento metri fino al semaforo successivo. Ed era di nuovo rosso. Ovviamente.

    Alzò un braccio e armeggiò con alcune ciocche piene di nodi, all'altezza della nuca. La massa di riccioli ribelli avrebbe ceduto di lì a poco, non appena si fosse esaurito l'effetto del prodotto districante che usava con religiosa dedizione per domare la chioma. Ne aveva un tubetto in borsa e lo avrebbe applicato volentieri se solo fosse riuscita a passare il pettine fra i capelli. Ma quel giorno sembrava un'impresa impossibile. Piegò la testa in avanti e provò a infilare il pettine fra le ciocche arruffate, chiudendo gli occhi non appena avvertì la prima fitta di dolore. Il suo carattere impulsivo non era sicuramente un bene per quei poveri capelli, ma non sapeva che cosa farci. Quando tirò con forza una ciocca, l'intero corpo ebbe un sussulto. Anche il piede, che mollò il pedale. L'automobile slittò di circa mezzo metro.

    E finì diritta contro un passante che stava attraversando la strada.

    Kelsi udì il tonfo.

    Udì l'imprecazione soffocata che le uscì dalle labbra.

    E udì il proprio urlo.

    Premette con forza il piede sul freno e l'auto si bloccò. Afferrò il volante con entrambe le mani, rimanendo immobile per un attimo, con il terrore che la inchiodava al sedile.

    Aveva lo stomaco in subbuglio. Tremava violentemente e sembrava che quanto ingerito quella mattina non volesse saperne di rimanere al suo posto. Spalancò la portiera e cercò di uscire. La cintura le diede uno strattone incollandola allo schienale e lei dovette armeggiare con le dita tremanti per sganciarla. Finalmente riuscì a liberarsi. Scese sbattendo con forza la portiera e si precipitò davanti all'auto, terrorizzata all'idea di quello che avrebbe visto. Non sentiva le gambe, non riusciva neppure a pensare, a ragionare. E se avesse ucciso qualcuno?

    «Tutto a posto? Sta bene? Oh, mio dio.» Non riusciva quasi a respirare. «Sta bene?»

    «Tutto a posto.»

    Era un uomo decisamente alto, e si stava rialzando in piedi. Era sicuramente ancora vivo perché aveva gli occhi aperti; occhi di un azzurro straordinariamente vivace e stava respirando. Il che era molto più di quanto lei potesse sperare in quel momento.

    Pietrificata, Kelsi scosse la testa, incapace di credere a quanto era accaduto. «Non l'ho vista.»

    «Il semaforo pedonale era verde» sbottò lui freddamente.

    «Ma è sbucato dal nulla.» Avrebbe dovuto vederlo prima? Era alto più di un metro e ottanta. Diamine, se l'aveva mancato, non è che magari aveva investito qualcun altro? C'era qualcuno incastrato sotto la macchina? Si piegò per controllare sotto le ruote.

    «La macchina è a posto.»

    «Non mi interessa» disse lei continuando a cercare freneticamente. «Era da solo? Non ho investito qualcun altro?»

    Allungò il collo per guardarlo di nuovo in faccia.

    «C'ero solo io.»

    «Oh, grazie al cielo. Voglio dire...» Trattenne per un attimo il fiato, con il cuore che batteva all'impazzata. «Davvero... sta bene?»

    «Tutto a posto, davvero.» Lui stava ridendo. «Senta, forse è meglio spostare l'auto. Sta bloccando il traffico.»

    Confusa, si voltò per osservare la fila di macchine dietro di lei. Molti si stavano spostando sull'altra corsia per superarla. Tutto a posto. E poi che importanza poteva avere qualche minuto di ritardo? C'era stato un incidente. Si voltò verso di lui. «È sicuro di stare bene?»

    Lui indicò il marciapiede. «Andiamo lì a parlare.»

    Come intontita, lei mosse qualche passo incerto ma subito si bloccò, spaventata quando lo vide camminare. «Oh, no! Sta zoppicando. Perché cammina così? Dove l'ho colpita? Dove le fa male?»

    «Non è niente, è solo il ginocchio, è...»

    «Il ginocchio?» Il tono di voce salì di altre tre ottave. «L'ho presa sul ginocchio? Oh, mi lasci controllare.» Si accovacciò a terra, allungando la mano per alzare l'orlo dei pantaloni grigi che indossava l'uomo e controllare il guaio che aveva combinato. Temeva di vedere rivoli di sangue che scorrevano lungo la tibia. Ma non c'era nulla. Notò invece un polpaccio abbronzato e muscoloso. Rimase per un attimo con la mano alzata, ma un attimo dopo lui si era spostato.

    «È a posto.» La prese delicatamente per un braccio e l'aiutò a rialzarsi, con incredibile gentilezza.

    Lei si alzò, seppure riluttante. «È sicuro?» Lo aveva davvero investito? Non riusciva a capacitarsi. Rabbrividì mentre riviveva l'attimo dello schianto. Non aveva mai avuto un incidente. Mai, mai! E ora aveva addirittura investito un uomo.

    «Non le serve un medico? La prego, lasci che la porti da un medico. Secondo me dovrebbe farsi vedere da qualcuno.»

    «Non occorre un medico» rispose lui deciso. «In compenso lei mi sembra ancora più pallida.»

    Lo stomaco di Kelsi ebbe un violento sussulto. Si mise una mano davanti alla bocca. «Avrei potuto ucciderla.»

    «Avrebbe potuto, ma non l'ha fatto.»

    Lui l'afferrò per le spalle con entrambe le mani. Fermo e risoluto. «È tutto okay. Non è successo niente.» E mentre scandiva ogni singola parola, sorrise annuendo con la testa.

    «Aveva fretta di arrivare da qualche parte?» le chiese.

    «Che cosa? Oh, sì.» Guardò l'ora e lasciò cadere le braccia. «Oh, no.» Ormai era decisamente troppo tardi.

    «Dove?»

    «Non importa. Dico davvero, non ha nessuna importanza.» Ed era vero. «Lasci almeno che l'accompagni, ovunque debba andare.» Si voltò e aprì la portiera del passeggero, invitandolo a salire. «Mi spiace davvero tanto. E poi sta zoppicando. Posso portarla da un medico?»

    «No.»

    Ma lei non lo stava neppure ascoltando. Anzi, lo spinse con forza, cercando di farlo salire in macchina, fermamente intenzionata ad accompagnarlo, anche solo per maggiore sicurezza. Ma era come tentare di spostare una montagna. Un'impresa impossibile. Eppure quella montagna non era fredda. Era calda e imponente, e molto, molto solida. Davvero massiccia. Fece scorrere le mani sul possente torace, avvertendo una solidità che si faceva sempre più invitante, fino a quando i muscoli ebbero un guizzo improvviso.

    Il suo scatto la riportò in un attimo alla realtà. Oh santo cielo! Aveva ancora le mani appoggiate sul suo torace.

    «Mi dispiace.» Turbata e agitata, alzò la testa e il suo sguardo fu subito catturato dagli occhi di quell'uomo. Erano limpidi e azzurri come il cielo e il suo sorriso caldo e luminoso come un raggio di sole. La realtà parve svanire di nuovo mentre Kelsi si perdeva nel calore e nell'intensità di quello sguardo magnetico. Azzurro, il colore del paradiso. Forse era davvero in paradiso.

    Rimase come paralizzata. Non riusciva più neppure a respirare, a pensare. Dentro di lei solo il caldo sole dell'estate e la voglia di abbandonarsi a quel sogno...

    Strizzò gli occhi. Era pura follia. Lo aveva quasi investito. Perché se ne stava lì a fissarlo come se non avesse mai visto un uomo prima di allora?

    In realtà non ne aveva mai visti, per lo meno non con quel fisico. Davvero mai. Gli unici uomini che aveva modo di frequentare erano i suoi colleghi, ma erano tutti allampanati o appesantiti. Per quanto potesse sembrare solo uno stereotipo, nel mondo di Kelsi corrispondeva alla realtà: i maghi del computer erano goffi e imbranati, decisamente poco attraenti.

    L'uomo che aveva davanti non era sicuramente un genio dell'informatica. Sicuramente trascorreva molte ore all'aperto per essere così abbronzato e per avere quei muscoli, per non parlare delle ciocche schiarite dal sole in mezzo a una massa di capelli scuri. Quegli stessi capelli che gli ricadevano morbidi e scomposti sulla fronte, e che sembravano quasi implorare di essere accarezzati dalle sue dita nervose.

    Era la bellezza allo stato puro. O forse no, forse erano semplicemente le lenti a contatto che glielo facevano sembrare così straordinariamente affascinante. Che colore aveva messo, quella mattina? Non se lo ricordava. Magari ne aveva persa una? Batté nuovamente le palpebre, cercando di riordinare i pensieri, che sembravano ormai volati chissà dove.

    «Adesso che ci penso, non è il caso che guidi io?»

    «Mi scusi?» chiese lei tremando.

    Lui alzò una mano per sfiorarle la spalla e con il pollice le accarezzò la pelle, molto lentamente. Kelsi si rese conto di avere la testa vuota, come se le parole di quell'uomo fossero volate via. Fu percorsa di nuovo da un brivido, ma non aveva di certo freddo.

    «Ho intenzione di guidare io» disse lui scandendo bene le parole.

    Voleva fare che cosa? Lei sapeva soltanto che le stava sorridendo e che il mondo era diventato improvvisamente di mille colori.

    «Andiamo!»

    Sembrava che lui volesse calmarla, ma lei non ne aveva bisogno. Stava bene, giusto? Eppure si mosse, guidata verso il sedile del passeggero dalla mano calda e decisa di quell'uomo.

    Si sedette.

    «Mmh...» Era inutile discutere, a quel punto. Lui chiuse la portiera e girò attorno alla macchina per raggiungere il posto di guida. Kelsi trasalì quando lo vide zoppicare. Era pazzesco. Doveva cercare di controllarsi e scusarsi

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