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Colpo di fulmine (eLit): eLit
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Colpo di fulmine (eLit): eLit
E-book188 pagine2 ore

Colpo di fulmine (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Tutti sembrano aver scordato la data del suo compleanno così Jane, per scacciare la tristezza, decide di darsi alla pazza gioia e di festeggiare degnamente in compagnia di Mitch, il bel moro che appena incontrato. Dopo una giornata fantastica, l'attrazione tra loro divampa, ma entrambi non sono in cerca di una relazione, vogliono vivere il qui e ora senza pensare al domani. Così, trascorrono una notte dove tutto sembra perfetto, finché lei...



Natale sexy:

1)La luce della stelle

2)Colpo di fulmine

3)Il regalo più sexy
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2016
ISBN9788858962480
Colpo di fulmine (eLit): eLit
Autore

Kate Hardy

Autrice inglese, consulta spesso riviste scientifiche per verificare i dettagli tecnici dei suoi romanzi.

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    Anteprima del libro

    Colpo di fulmine (eLit) - Kate Hardy

    successivo.

    1

    Perfetto.

    Assolutamente perfetto.

    Se ne stava appoggiato a una delle colonne del porticato esterno di un edificio di uffici, la testa appena piegata all'indietro e sorretta dalle mani intrecciate, e guardava il Tamigi. Aveva piegato un ginocchio per appoggiare il piede contro il muro. I capelli scuri e appena mossi erano scompigliati, come se ci si fosse passato le dita. Per non parlare della camicia immacolata e dei pantaloni scuri che indossava. Niente cravatta, niente giacca, il primo bottone del colletto sbottonato... Era alto, bruno, bellissimo. E pericoloso.

    Esattamente ciò che cercava Jane.

    Ma allora perché se ne stava in disparte? Perché non gli si avvicinava?

    «Perché sei una codarda, ecco perché» si rimproverò ad alta voce.

    Charlie, la sua compagna di appartamento, lo avrebbe fatto. Lo avrebbe baciato, gli avrebbe sorriso e poi se ne sarebbe andata ancheggiando. Charlie, però, era una che aveva fegato. Sarebbe riuscita a fare qualsiasi cosa. Jane no.

    E comunque era un'idea balzana. Chi si sarebbe mai azzardata ad avvicinarsi a un uomo tanto bello, e per di più un perfetto sconosciuto, per baciarlo sulle labbra?

    Però era davvero stupendo.

    Seguendo l'impulso, prese il cellulare dalla borsa. D'accordo, non era abbastanza coraggiosa da baciarlo, ma almeno gli avrebbe scattato una foto, quanto bastava per mostrare alle sue amiche l'uomo dei suoi sogni. L'obiettivo del cellulare non era dei migliori, quindi dovette avvicinarsi per inquadrarlo meglio.

    E proprio mentre scattava, lui si girò dalla sua parte e vide ciò che stava facendo.

    «Ehi!»

    Oh, no! No, no, no!

    Jane arretrò, ma non abbastanza in fretta, perché lui la raggiunse e le afferrò il polso. «Che stai facendo?»

    «Niente.»

    «Mi hai appena scattato una foto!» Dio, che situazione imbarazzante! Avrebbe voluto che le si spalancasse la terra sotto i piedi. Lui, intanto, la stava fissando con gli occhi grigioverdi più belli che avesse mai visto, anche se in quel momento non c'era alcuna traccia di dolcezza, in quello sguardo. «Allora?» la sollecitò.

    Lei scosse la testa.

    «Ti chiedo scusa.» No! Non era così che doveva andare! «Ti dispiace lasciarmi andare, adesso?»

    Jane cercò di divincolarsi dalla sua presa.

    «Lasciarti andare? Non mi hai ancora spiegato cosa stavi facendo.»

    «Mi dispiace. È stato un impulso. Un impulso stupido.» Spense il cellulare e se lo infilò in borsa. «E in questo momento mi piacerebbe tanto andarmi a nascondere dietro quell'albero, prima che qualcun altro incominci a fissarmi come... come stai facendo tu.»

    Con sua somma sorpresa, lui le scoccò un sorriso.

    Un sorriso che gli trasformò tutto il viso, rendendolo più accessibile. Jane fu quasi contenta che le tenesse ancora stretto il polso, perché non era convinta che le gambe l'avrebbero retta a lungo alla vista di tanta bellezza.

    Quell'uomo era miglia e miglia fuori della sua portata.

    «Io ho un'idea migliore» commentò in quel momento il meraviglioso sconosciuto. «Ti andrebbe un caffè.»

    «Un caffè?» ripeté lei, sbigottita.

    «Immagino che avrai da raccontarmi una lunga storia, quindi sarebbe meglio ascoltarla mentre prendiamo un caffè.»

    «Ma...» Jane era sempre più perplessa. «Non eri in pausa dal lavoro? Da un appuntamento?»

    «Già. Un incontro di lavoro particolarmente noioso.» Lo sconosciuto si strinse nelle spalle nel gesto più elegante che Jane avesse mai visto. «Può occuparsene il mio agente al mio posto.»

    Un agente? Ma allora era famoso! Oppure molto importante.

    E di tutti gli uomini che erano in giro per la città, proprio su di lui doveva mettere gli occhi?

    «E non hai bisogno di tornare a prendere la giacca?»

    «Non ho la giacca» obiettò lui allontanandosi a passo svelto, e obbligandola a seguirlo di corsa. «Ma se la cosa ti fa sentire meglio, posso chiamare Harry.»

    «Harry?»

    «Il mio agente. Hai ragione, è giusto avvisarli che non torno. Scusami un attimo.» Lo sconosciuto estrasse un cellulare sottile dalla tasca e con la mano libera digitò un numero. «Harry? Sì. No. Mi dispiace. Ti chiamo più tardi, d'accordo? Grazie.»

    E nel frattempo erano arrivati a un bar. Lui si fermò alla cassa, pronto a ordinare.

    «Un espresso? Un cappuccino?» le chiese.

    «Del latte scremato, per cortesia.»

    «Due bicchieri di latte scremato» ordinò lui al barista con un sorriso.

    Jane tossicchiò mentre gli guardava la mano che ancora le serrava il polso, ma lui si limitò a pagare, quindi la scortò verso un tavolo che si affacciava sul fiume.

    «Allora, un passo alla volta. Come ti chiami?»

    «Jane.»

    «Jane e poi?»

    «Jane Redmond.»

    «Mitch Holland.»

    Mitch. Un diminutivo di Mitchell, forse? Non era un nome tipico inglese, anche se il suo accento lo era. Mitch bevve un sorso di latte e si rilassò contro lo schienale della sedia. «Allora? Ti dispiace raccontarmi come sono andate le cose?»

    «Mi spiace. È solo che...» Jane represse un sospiro. «So che ti sembrerà ridicolo. Infantile. Stupido.»

    «Racconta lo stesso.»

    «Il fatto è che oggi compio venticinque anni.»

    «Buon compleanno! E questo cosa c'entra?»

    Dio, era davvero inarrestabile. Il tipo che non lasciava perdere niente. Per non correre il rischio di piagnucolare, Jane esplose in un fiume di parole.

    «Non se n'è ricordato nessuno. I miei genitori, mio fratello, le mie compagne di appartamento. Nemmeno i colleghi al lavoro!» Sollevò gli occhi verso di lui. «Avevo già preso un giorno di ferie, così mi sono ritrovata di fronte a una scelta. O restare a casa a compiangermi, oppure trascorrere la giornata facendo le cose che ho sempre voluto fare e che non sono mai riuscita a fare. Ho deciso di godermi la giornata.»

    «Facendo le cose che hai sempre voluto fare.»

    Un improvviso calore le salì alle guance.

    «Cose che la maggior parte delle donne ha già fatto, a venticinque anni di età.» Sapeva cosa stava pensando lui, così decise di non farlo penare oltre. «Se proprio vuoi saperlo, in cima alla lista c'era il coraggio di baciare uno sconosciuto alto, bruno e bello. Alla fine, però, mi è mancato il coraggio e così ti ho fatto una foto.»

    Un sorrisetto gli sollevò le labbra. «Avevi deciso di baciarmi?» Lei gli scoccò un'occhiataccia. Era un'umiliazione tremenda. «Interessante.»

    E prima che Jane avesse capito quali erano le sue intenzioni, se l'era fatta sedere in grembo, le aveva fatto scivolare una mano dietro la nuca e la stava baciando.

    Mmh...

    La sua bocca si muoveva su quella di lei stuzzicandola, assaporandola, con piccoli baci leggeri che la spinsero a socchiudere la bocca per lasciargli approfondire il bacio.

    Quando lo fece, Mitch le accarezzò la lingua con la sua facendole capire che la desiderava... e anche lei lo desiderava.

    Il panorama di Londra parve svanire alle loro spalle. Svanì anche il rumore di sottofondo del bar, il chiacchiericcio dei clienti, il tintinnio di piatti e tazzine. Svanì tutto.

    Niente più suoni, niente più luci. Tutti i suoi sensi erano concentrati su Mitch, sulla sensazione che le dava la bocca di lui posata sulla sua.

    Fu solo quando il bacio ebbe termine che Jane si accorse che lui le aveva messo l'altra mano dietro la schiena per tenerla vicina e che lei stessa gli aveva affondato le dita tra i capelli.

    Oh, cielo!

    Non faceva cose del genere, lei.

    Non era mai stata baciata con tanta intensità da dimenticare anche dove si trovava.

    E per giunta, non era mai stata baciata da un perfetto sconosciuto.

    «Buon compleanno» le disse di nuovo lui, questa volta con tono molto più dolce.

    «Grazie. Almeno credo.» Jane tornò a sedersi sulla sua sedia, cercando di recuperare un po' di dignità, anche se temeva che la maglietta che indossava non avrebbe fatto niente per nascondere lo stato dei suoi capezzoli.

    «E dunque, cosa pensi di fare oggi? Andartene in giro tutta la giornata a baciare sconosciuti?»

    C'era una nota divertita, nella sua voce. «No. Quella era soltanto una voce dal mio elenco.»

    «E cos'altro c'è scritto, nel tuo elenco?»

    Una levata di spalle. «Qualche altra cosetta.» Cose alle quali un uomo come Mitch Holland non sarebbe mai stato interessato.

    Fino a dieci minuti prima, Mitch non sapeva nemmeno che Jane Redmond esistesse e adesso l'aveva addirittura baciata. Come si deve. In pubblico. E abbastanza da eccitarsi.

    Era una follia.

    Avrebbe dovuto chiudere il becco, finire il latte e poi svignarsela. Non c'era nessuna necessità di essere educato. Poteva andarsene in qualsiasi momento.

    Era il fatto di non averne affatto voglia che lo impensieriva.

    Il fatto di volere scoprire quanto più possibile sul conto di Jane Redmond.

    E dire che non aveva rapporti in programma! Ma allora perché le sue labbra si muovevano come spinte da una volontà tutta loro? Perché non obbedivano agli ordini del suo cervello e gli facevano chiedere: «Che genere di cose?».

    Lei aggrottò la fronte.

    «Perché vuoi saperlo?»

    Si sarebbe dovuto tagliare la lingua. «Tanto per incominciare, perché ero coinvolto nella prima voce in elenco.» Un bacio. Un bacio, si rese conto sconvolto, che avrebbe tanto voluto ripetere. «E poi perché ci sono cose che è più divertente fare in compagnia.»

    «Ti stai autoinvitando?»

    Assolutamente no! No, no e poi no!

    «Sì.»

    Jane scosse la testa. «Non avresti mai voglia di fare le cose che ho voglia di fare io.»

    Gli aveva dato il la: cosa aspettava? Quella era la battuta che gli serviva per filarsela. Non doveva fare altro che rispondere: «Hai ragione, Jane. Buon compleanno», e poi battere in ritirata.

    Però erano anni che qualcuno non lo sfidava in quel modo, che qualcuno non suscitava un simile interesse in lui. Non se la sentiva di perdere quella sensazione, così si ritrovò a dirle: «Perché non mi metti alla prova?».

    A quelle parole, lei sollevò il mento con aria di sfida.

    «D'accordo. Tanto per incominciare, vorrei nuotare nella fontana di Trafalgar Square.»

    «Va benissimo, anche se dovremo prima sfuggire ai controllori della fontana.»

    Il viso di Jane era uno di quei visi aperti che riflettono esattamente i pensieri dei loro proprietari, e in quel momento i suoi pensieri erano colmi di perplessità.

    «Quali controllori?» domandò.

    «Quelle persone il cui lavoro consiste nell'assicurarsi che nessuno infili nemmeno un dito nell'acqua della fontana. Certo, puoi sederti sul bordo e farti scattare una foto, ma nuotare è vietato.»

    «Oh!» La delusione sul suo volto fu evidente, ma la mascherò con un cenno della mano. «Va bene, un'altra voce da cancellare.»

    «Non è detto» obiettò lui. «Potrei occuparmi dei controllori e distrarli mentre tu nuoti nella fontana. Oppure...» Mitch si bloccò all'improvviso. Avrebbe dovuto tacere, davvero, ma quella era la sua unica possibilità di trascorrere una giornata facendo cose assurde con una perfetta estranea, senza nessuno che lo giudicasse, senza nessuno che gli ricordasse i suoi doveri.

    «Oppure?» lo esortò lei.

    «C'è un'altra fontana lungo la riva sud, non molto distante da qui. Ci si può stare in piedi nel mezzo con una cascata d'acqua che ti cade tutto intorno.»

    Jane lo guardò con aria di rimprovero. «Non faresti mai una cosa del genere.»

    «Cosa te lo fa credere?»

    «Hai una camicia molto costosa» obiettò lei senza battere ciglio, «e delle scarpe italiane cucite a mano.»

    «E con questo?»

    «Con questo? Non sei vestito per fare il genere di cose che voglio fare io.»

    Perché? Lei cosa indossava, oltre la magliettina di un colore pastello che le vedeva addosso? Mitch non l'aveva notato, mentre la trascinava con sé. Era stato troppo preso a guardarle quegli incredibili occhi azzurri e i capelli castano chiaro tagliati a caschetto, per accorgersi dell'abbigliamento. Sapeva soltanto che era un quindici centimetri buoni più bassa del suo metro e ottanta e che aveva tutta l'aria della brava ragazza della porta accanto.

    Esattamente il tipo di donna con cui lui non avrebbe mai voluto avere nessun genere di coinvolgimento.

    E non significava niente che l'avesse baciata in pubblico.

    Incuriosito, chinò la testa sotto il tavolo per scoprire come era vestita. «Mmh! Pantaloni di lino e mocassini. Neanche tu conti di fare niente di troppo avventato, a quanto pare.»

    «Sono abiti comodi e appropriati per camminare per la città in una giornata di aprile.»

    Mitch si toccò la camicia. «E chi ti dice che non sia comoda anche questa?»

    Jane scosse la testa. «Le scarpe sono un altro discorso. Non ti bagneresti mai le tue in una fontana.»

    «Sta' a guardare» la sfidò lui, alzandosi. «Siamo d'accordo. La fontana è al primo punto. E poi cosa c'è?»

    «Salire in cima alla cattedrale di St. Paul e bisbigliare nella Galleria dei Sospiri.»

    Questa volta lui non riuscì a soffocare una risatina. «Si può sapere quanti anni avevi quando hai scritto questo elenco di desideri?»

    «Non te lo dico.»

    «Quindici?» azzardò lui.

    Doveva avere azzeccato, perché lei arrossì violentemente fino alla radice

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