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L’inizio della mia fine: Wicked Bay vol. 1
L’inizio della mia fine: Wicked Bay vol. 1
L’inizio della mia fine: Wicked Bay vol. 1
E-book351 pagine4 ore

L’inizio della mia fine: Wicked Bay vol. 1

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Info su questo ebook

Wicked Bay. Stati Uniti d’America.

Eloise “Lois” Stone sapeva che il trasferimento a Wicked Bay avrebbe reso le cose difficili. Lasciare la piccola contea inglese in cui era cresciuta, i ricordi e buona parte della sua vita non era certo facile, soprattutto considerando le prove a cui era stata sottoposta nell’anno appena trascorso. 
Non aveva tuttavia preso in considerazione la possibilità di ritrovarsi faccia a faccia con il ragazzo che, una notte dell’estate precedente, durante la sua vacanza di famiglia a Wicked Bay, l’aveva trascinata nel suo mondo, facendole provare delle emozioni sconosciute.
Maverick Prince, il Principe della scuola, la star della squadra di basket, il ragazzo di cui tutte bramano l’attenzione, si comporta però come se non la conoscesse e, da perfetto stronzo, la tratta come se fosse una fastidiosa sorella minore che è costretto a tenere d’occhio. Lui sembrerebbe intenzionato a ignorarla, a tenerla a distanza, a trattarla come se non esistesse. Almeno, il più delle volte.
Lois ha una sola certezza: Maverick non è pericoloso solo per la sua sanità mentale, ma lo è prima di tutto per il suo cuore.
Il trasferimento a Wicked Bay non è il suo problema più grande e, quando si troverà in balia degli eventi, capirà che quello era solo… l’inizio della sua fine.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9788855312431
L’inizio della mia fine: Wicked Bay vol. 1
Autore

L. A. Cotton

Addictive Romance Author of mature young adult and new adult novels, L A is happiest writing the kind of books she loves to read: addictive stories full of teenage angst, tension, twists and turns. Home is a small town in the middle of England where she currently juggles being a full-time writer with being a mother/referee to two little people. In her spare time (and when she’s not camped out in front of the laptop) you’ll most likely find L A immersed in a book, escaping the chaos that is life.

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    Anteprima del libro

    L’inizio della mia fine - L. A. Cotton

    Capitolo 1

    Rivolsi un sorriso reticente all’ufficiale della dogana mentre scannerizzava la mia foto segnaletica, pregando in silenzio che trovasse un valido motivo per rescindere il visto e mettere fine a quell’incubo. Capii che la mia richiesta non era stata ascoltata quando l’uomo mi indicò di avanzare con un gesto fiacco, evidenziando che lui era entusiasta del suo lavoro tanto quanto io ero felice di essere nel suo Paese.

    Papà era già al nastro del ritiro bagagli ad aspettare che tutti i nostri averi comparissero. «Fatto tutto?» chiese, a malapena in grado di contenere il sollievo per essere tornato su suolo americano. Gli offrii un sorriso gentile, al sicuro dietro alle lenti degli occhiali da sole. Grandi abbastanza da coprirmi metà del viso, celavano una moltitudine di peccati.

    «Tuo zio Gentry dovrebbe attenderci agli arrivi.»

    Ottimo.

    No.

    Papà si fermò, cercando il mio sguardo, e poi sospirò pesantemente. Occhiali da sole enormi UNO, papà ZERO. «Andrà tutto bene, Lois. Gentry è di famiglia. Non vede l’ora di rivederti. Lo so che è un bel cambiamento, ma qui faremo una bella vita tesoro, vedrai.» Si allungò per toccarmi la spalla ma mi scansai, incapace di fare una scenetta padre-figlia nel bel mezzo dell’aeroporto di Los Angeles.

    Se papà si offese non lo diede a vedere, mentre si girava verso il nastro bagagli con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, molto spiegazzati a causa delle sedici ore di viaggio.

    Volevo essere più entusiasta, davvero. Ma prendere tutto, lasciare casa tua e trasferirti dall’altra parte del mondo non era qualcosa su cui ci si poteva passare sopra. Per non parlare dello stress dovuto alla lunghezza del viaggio.

    Lo zio Gentry poteva anche essere di famiglia, ma come si poteva definire famiglia qualcuno che avevi incontrato di sfuggita per la prima volta l’estate precedente? Certo, era il fratello di papà, ma dati gli eventi degli ultimi sette mesi, per me non era nessuno se non un parente lontano che avevo incontrato una volta. Adesso avrei vissuto con lui, con sua moglie Rebecca e con i loro quattro figli.

    Gli Stone-Prince.

    Volevo dare loro un’occasione – l’anno prima erano stati abbastanza gentili quando ero venuta a trovarli – tuttavia non riuscivo a trovare la forza per preoccuparmene. Non quando, a volte, far passare la giornata era un’impresa titanica.

    «Credo che questa sia l’ultima.» La voce di papà mi distolse dai miei pensieri. Alzai lo sguardo e lo vidi dietro a un carrello su cui erano ammassate le nostre valigie. Gli ultimi rimasugli della nostra vita in Inghilterra. Tutto quello che non era stato possibile infilare nel bagaglio, era stato venduto su eBay o donato al negozio di beneficenza locale. Per mia fortuna, ero riuscita a concentrare quasi tutta la mia camera nelle due valigie che papà mi aveva concesso per il trasloco.

    «Sei pronta?»

    Annuii a denti stretti e lo seguii verso la sala d’attesa degli arrivi, e verso la nostra nuova vita.

    «Robert, Eloise, da questa parte.» Un uomo alto con gli occhi identici a quelli di mio padre ci salutò con un sorriso caloroso. Indossava dei pantaloni neri e una polo verde salvia che gli avvolgeva le spalle ampie, i capelli biondo sabbia della scorsa estate ora erano brizzolati. Era la versione più alta e più muscolosa di papà, anche se aveva quattro anni in più.

    «Gentry, è bello vederti.» Papà gli strinse la mano, dandogli un paio di colpetti sulla schiena con l’altra. Li lasciai al loro momento mentre osservavo gli altri passeggeri cercare le loro famiglie tra la gente in attesa; qualsiasi cosa pur di distrarmi dalla quantità di gente che affollava l’aeroporto. Una ragazzina si lanciò tra le braccia di una coppia in lacrime, lasciandosi inglobare in un panino di genitori. Era impossibile non sorridere per il loro incontro, ma nonostante avessi gli angoli della bocca curvati all’insù sentivo il petto compresso, l’aria risucchiata via dai polmoni.

    «El... Lois.» Una mano mi si posò sul braccio e spinsi via mio padre. «Mi dispiace» aggiunse. «Non volevo spaventarti. Tuo zio Gentry vorrebbe salutarti.»

    Deglutii il nodo che mi attanagliava la gola, poi sollevai gli occhiali dal viso sistemandoli sulla testa. «Ciao» dissi allungando una mano, ma lui rise, scostandomi il braccio e avvolgendomi in un abbraccio da orso.

    «È davvero bello rivederti, Eloise.» Mi strinse forte mentre io tenevo le braccia lungo i fianchi. «Mi dispiace molto per la tua perdita.»

    Il mio corpo si tese, e serrai forte gli occhi, contando a ritroso da dieci a zero. Arrivata alla fine, inspirai a fondo, costringendomi ad aprire le palpebre, e mi allontanai dalla sua stretta. «Grazie.» Le parole mi strozzarono, anche dopo sette mesi.

    «Bene, allora, andiamo?» Zio Gentry prese il controllo del carrello e fece segno di incamminarsi verso le grandi porte dell’uscita. E in un attimo, fummo accolti nella sua famiglia.

    Solo che, mi accorsi, lui era l’unico esponente presente lì.

    Papà e zio Gentry sedettero nei posti anteriori della sua elegante Range Rover nera mentre io guardavo la California sfrecciare dal sedile posteriore. Avevo visitato gli Stati Uniti solo una volta, ma avevo dimenticato quanto fosse diversa dalla nostra casa nel Surrey, Inghilterra. Vecchia casa, ricordai a me stessa.

    «Kyle e Summer non vedono l’ora di vederti di nuovo. Mio figlio è entusiasta del fatto che inizierai il terzo anno con lui. Anche Macey. E sono sicuro che Maverick ti farà sentire la benvenuta.»

    Fantastico, ringhiai internamente, lasciando cadere la testa contro il finestrino oscurato. Come se essere un’inglese in un liceo americano non fosse già abbastanza difficile, mi avrebbero messo in mostra come un fenomeno da baraccone.

    Zio Gentry continuò, apparentemente inconsapevole del mio scarso entusiasmo riguardo all’inizio in una nuova scuola. «Ci ha pensato Rebecca. Come prima cosa, lunedì mattina incontrerai il preside.»

    Non solo sarei stata un fenomeno da baraccone inglese, ma avrei dovuto sopportare altri due anni di liceo, mentre nel Regno Unito avrei frequentato il mio ultimo anno: papà e la mia nuova scuola avevano concordato che sarebbe stato meglio farmi ripetere un anno e seguire tutte le lezioni che mi sarebbero servite per prendere il diploma. Per rendere più facile l’ammissione al college, qualcosa di simile. Una parte di me si chiedeva se il mio comportamento avesse influito su tale decisione.

    Fanculo. La. Mia. Vita.

    «Non è fantastico, Lois?» Papà riempì il mio silenzio e riuscii a borbottare qualcosa sull’essere felice di rivederli.

    Non lo ero.

    Ma la vita ti tratta così. Ti strappa il cuore e lo lascia sanguinare sul pavimento, poi aspetta che tu raccolga i pezzi per ricomporli. Andavo avanti, ma stavo solo cercando di salvare le apparenze.

    Come in quel momento, riguardo al trovarmi in un nuovo Paese. Non c’era un crepitio di emozioni nell’aria. Nessun seme di frenesia mi fioriva nel petto alle infinite possibilità e avventure che potevano aspettarmi.

    Ero intorpidita.

    Avevo una cavità vuota intagliata nello stomaco.

    Il mare brillava al sole d’estate. Era bellissimo, e, in un’altra vita, lo avrei apprezzato, ma in quel momento non potevo e basta. E appena il 4x4 superò un segnale che ci dava il benvenuto a Wicked Bay, rabbrividii. Ero già stata qui una volta, avrebbe dovuto essere familiare. Ma tutto ciò che ricordavo erano un paio di occhi intensi, il colore del cioccolato scuro inframmezzato da pagliuzze dorate, e un sorriso spettacolare che poteva affascinare anche le ragazzine più impressionabili.

    Allontanando dalla mente quei pensieri sgradevoli, osservai le grandi case indipendenti che fiancheggiavano la strada su entrambi i lati. Tutte uniche, con muratura elegante, vialetti inclinati e prati perfettamente curati; l’intero posto sembrava uscito da The O.C. Lo zio Gentry guidò fino al termine della strada, prima di girare e immettersi in un viale costeggiato da alberi altissimi dalle fronde ondeggianti. Mi spostai al centro del sedile per osservare con macabra ossessione finché non ci fermammo a uno stop, poco dopo parcheggiammo accanto a un’elegante auto sportiva. Avevo rimosso quanto fosse enorme la loro casa.

    «Benvenuti a casa» disse zio Gentry con una strana nota di esitazione nella voce. Non appena puntai gli occhi sulla mini-magione che mi si parò davanti, non apprezzai la battuta e il suo improvviso cambio d’umore.

    Scendemmo e rimasi all’esterno, a disagio, mentre zio e papà scaricavano i bagagli. Nessuno aveva parlato della mancanza di una festa di benvenuto al nostro arrivo, quindi io non feci domande. Non che avessi fretta di fare delle presentazioni imbarazzanti.

    «Allora, voi starete nella casetta in piscina.» Zio Gentry aprì la porta e mi indicò di passare, ma rimasi indietro, aspettando che entrasse prima lui. «Lo so che c’è solo una camera da letto, ma abbiamo sostituito il vecchio divano con un divano letto. Spero che vada bene.»

    «Gentry, è più che abbastanza. L’agente immobiliare ha lasciato un messaggio. I lavori nella nostra casa dovrebbero essere presto finiti. Prevedono di terminare in uno o due mesi al massimo.»

    Lo zio afferrò la spalla di mio padre. «Non c’è fretta, Robert. Siamo felici di avervi entrambi qui.»

    Continuava a ripeterlo, ma non riuscivo a capire se fosse a suo o a nostro vantaggio.

    Papà annuì e fece segno al fratello di fare strada. Io passai dopo di loro, in quella casa che ricordava una piccola villa. Era davvero qualcosa di diverso. Superammo la scalinata ripida che portava a una balconata, e a quelle che sapevo essere almeno cinque camere da letto situate lungo il corridoio. La cucina era proprio come la ricordavo, spaziosa e moderna, con un’isola centrale e sei sgabelli di pelle nera infilati al di sotto. Delle mensole scure e scintillanti fiancheggiavano le pareti, ospitando vari soprammobili che sembravano tutti nuovi di zecca.

    «Lois?»

    Feci scattare lo sguardo in direzione di papà e dello zio Gentry. Si erano fermati in prossimità della porta finestra, entrambi sorridenti, e mi resi conto di essermi imbambolata. «Anche se ci sono già stata, è come vedere tutto per la prima volta.» Le parole fuoriuscirono prima che potessi fermarle e lo zio si lasciò scappare una morbida risata.

    «Mi assicurerò di dire a Loretta che ne sei rimasta impressionata. Onestamente, non so come faremmo senza quella donna.»

    «Loretta, giusto» borbottai scrollando la testa. Avevano una domestica. L’avevo scordato.

    Questa non era vita o almeno, non la mia vita. Certo, papà se la cavava bene. Avevamo vissuto in una bella casa di campagna e i soldi non erano mai stati un problema, ma questo era... be’, ci sarebbe voluto un po’ per abituarcisi.

    Zio Gentry ci aiutò a sistemarci nella dépendance e poi ci lasciò a disfare i bagagli. Sembrava più un piccolo appartamento indipendente con vista sulla meravigliosa piscina, situata tra bellissimi giardini paesaggistici. Era tutto fastidiosamente perfetto, e volevo odiarlo.

    Papà insistette che prendessi la camera da letto: da lunedì avrebbe iniziato a lavorare alla Stone and Associates e si aspettava di fare spesso tardi per rimettersi in pari con l’attività di famiglia. Il che significava che avrei trascorso molto tempo da sola, o con la mia nuova famiglia, quella talmente eccitata di rivedermi che non si era nemmeno ancora disturbata di venirci ad accogliere.

    Avevo appena finito di sistemare il contenuto di una delle valigie in un piccolo armadio, quando papà infilò la testa oltre lo stipite. «Gentry ci ha preparato qualcosa da mangiare.»

    «Fantastico.»

    I suoi occhi scansionarono la stanza, e mi sorrise. «Sta già iniziando ad assomigliare a casa.»

    Inarcai incredula un sopracciglio. Di sicuro, sapeva che servivano più di un paio di foto incorniciate piazzate in modo strategico e dei ricordi materiali per sentirsi come a casa.

    Tuttavia, invece di iniziare una discussione, dissi: «Andiamo, sto morendo di fame.» Passai sotto al suo braccio e mi avviai verso la casa padronale.

    Trovammo lo zio Gentry che stava posando una ciotola sull’isola della cucina. «Non è molto. Loretta si è presa un giorno libero, ma tornerà domani.»

    «Va bene, vero, Lois?» Papà mi rivolse un sorriso rassicurante, così ringraziai con gentilezza, servendomi un po’ di insalata.

    «Arriveranno presto.» Lo zio controllò di nuovo l’orologio. «Rebecca non vede l’ora di vedervi.»

    Continuava a ripeterlo, ma eravamo qui da almeno un’ora e non avevamo visto nemmeno l’ombra di sua moglie e dei suoi figli. Papà forzò una risata e io continuai a tenere la testa bassa, inforcando le foglie verdi sul piatto.

    «L’hanno promesso» borbottò zio Gentry, così sottovoce che probabilmente non si rese nemmeno conto di averlo detto davvero.

    «Scusate, mi dispiace.» Una donna entrò tranquillamente nella stanza, le braccia spalancate mentre puntava dritta verso il marito. «Sono stata trattenuta.»

    «Va tutto bene» rispose lo zio, alzandosi per salutare la moglie. «Adesso sei qui. Vieni a salutare Robert ed Eloise.»

    «Oh cavolo.» Lanciò un’occhiata nella mia direzione e spalancò gli occhi. «Eloise, che bellissima ragazza sei diventata.»

    Arrossii desiderando che il suolo si aprisse e mi inghiottisse perché, se pensava che fossi bellissima, questo rendeva lei Afrodite. «Grazie, è un piacere rivederti.»

    «Rebecca.» Papà si alzò dallo sgabello. «È bello vederti di nuovo.» La strinse in un abbraccio impacciato che mi fece soffocare una risata.

    «Sono con te?» Lo zio Gentry lanciò un’occhiata alla porta.

    «Non ci sono?»

    Zio Gentry e sua moglie si scambiarono uno strano sguardo, ma il sorriso di Rebecca si allargò quando si lanciò nel gioco delle venti domande. Com’è andato il volo? Avete bisogno di qualcosa? La casetta in piscina è confortevole? Papà era nel bel mezzo del racconto della sua storia non così divertente su un avvocato di Reykjavík, quando una porta si spalancò da qualche parte nella casa e il colpo secco riempì l’aria.

    «Grazie a Dio» borbottò lo zio, e stavo per chiedere cosa intendesse quando un volto familiare balzò nella stanza. Kyle, con lo stesso bell’aspetto del padre e gli stessi capelli color sabbia, sorrise nella mia direzione. «Cugy, stai benissimo!»

    Il calore mi avanzò sulle guance e lo salutai con un piccolo cenno. Sua sorella, Summer, la più piccola degli Stone-Prince, un mix perfetto tra Rebecca e il padre, si avvicinò con un sorriso timido. «È un piacere rivedervi.»

    «Anche per noi, Summer» rispose mio padre. «So che Eloise non vede l’ora di trascorrere del tempo con tutti voi.»

    «Già» mormorai seria.

    Lo zio Gentry scambiò un’occhiata con il figlio e Kyle scrollò le spalle mentre una ragazza alta e slanciata entrava in cucina. Non l’avevo incontrata l’estate precedente – lei e suo fratello erano andati a trovare il padre – ma sapevo che era Macey, la figlia di Rebecca. La somiglianza tra le due era sorprendente, ma da quel poco che sapevo sulla figlia Prince, era l’opposto della madre. Macey non parlò, offrendomi un sorriso a labbra strette. Le concessi il beneficio del dubbio, perché, se l’imbarazzo che provava era anche solo un briciolo di quello che sentivo io, la capivo.

    «Macey» la rimproverò la madre. «Per favore, saluta tuo zio Robert ed Eloise.»

    «Ciao.» Il tono piatto confermò l’espressione, e ricevetti il messaggio forte e chiaro: non saremmo diventate migliori amiche tanto presto.

    Lanciai a papà un’occhiata discreta ma lui non sembrò cogliere la mia preoccupazione, sorridendo in modo rassicurante proprio quando lo zio Gentry annunciò: «E questo gigante qui è Maverick.»

    Sollevai la testa per osservare la persona appena entrata nella stanza. Lo guardai più volte, gli occhi sbarrati per la sorpresa, e per qualcosa di peggio, molto peggio. Il mio stomaco si annodò e sprofondò fino alla punta dei piedi.

    Non poteva essere.

    Non era assolutamente possibile che stesse succedendo.

    Agganciai le dita sul bordo dello sgabello cercando di restare dritta, mentre ero incapace di distogliere lo sguardo da quel viso che pensavo non avrei più rivisto.

    Un volto che non volevo rivedere.

    Capelli scuri e arricciati sulle punte contornavano una mascella squadrata e un naso perfetto, che divideva gli occhi più intensi e imperscrutabili che avessi mai visto. Occhi in cui una volta mi ero quasi persa.

    Cazzo.

    Nessuno sembrò notare il mio stupore mentre zio Gentry stringeva la spalla del figliastro, riportandomi nella stanza. Il maggiore degli Stone-Prince sussultò, e notai la tensione tra loro. La sentii scendere nella cucina; tutti la sentimmo. Si irradiava da Maverick come un muro di calore opprimente. Poi il ragazzo assottigliò lo sguardo, e vidi il lampo di consapevolezza balenargli sul volto. Il suo sguardo si fece glaciale... indifferente, ed esitai. Volevo che il pavimento mi inghiottisse e, se non avesse funzionato, mi sarei accontentata dell’autocombustione. Qualsiasi cosa pur di fuggire da quell’incubo.

    Com’era potuto accadere?

    Come?

    «Ciao.» La sua voce mi gelò il sangue. Si scrollò di dosso la mano del patrigno e incrociò le braccia sul petto, imponente in tutta la sua altezza. Lo zio Gentry non aveva torto, era un gigante. Sicuramente un metro e ottantacinque – almeno una decina di centimetri in più rispetto all’estate precedente – e in lui non c’era più traccia di un ragazzino. Scansionai tutto il suo corpo, muscoli snelli sovrapposti ad altri muscoli snelli. Quando arrivai al volto, vidi le sue labbra contrarsi come se si fosse accorto della mia minuziosa analisi.

    Merda.

    Che diavolo stavo facendo?

    Maverick Prince non era mio cugino di sangue, ma faceva parte della famiglia. Era inoltre il ragazzo a cui mi ero quasi concessa durante una festa in spiaggia, in una calda sera della precedente estate.

    Doppia merda.

    Mi azzardai a sbirciarlo attraverso le ciglia. Il suo sguardo indurito era ancora puntato su di me, ma il suo sorrisetto era svanito, rimpiazzato da un’espressione disgustata. Mi si chiuse lo stomaco mentre artigliavo con più forza lo sgabello, fino a privarmi di tutto il sangue nelle nocche.

    Come diavolo era successo? Com’era possibile che avessi trascorso delle ore a parlare con un ragazzo sulla spiaggia senza sapere chi fosse?

    Come avevo fatto a non capirlo? E lui, come aveva fatto a non fare due più due?

    Lui ricordava, e dallo sguardo che mi stava lanciando, non era nemmeno troppo felice della cosa.

    Non andava bene... per niente.

    Il tintinnare del metallo contro il bicchiere ruppe la situazione di stallo, e mi concentrai sullo zio Gentry che si schiariva la gola. «Ora che tutti sono presenti, vorrei solo dire quanto sono felice di avervi qui.» Mi sorrise con affetto e si rivolse a mio padre, strizzandogli la spalla. «Casa nostra sarà anche la vostra per tutto il tempo di cui ne avrete bisogno. Robert, Eloise, benvenuti in famiglia.»

    Serrai gli occhi, e inspirai a fondo. Quando trovai il coraggio di riaprirli di nuovo, Maverick era sparito.

    Avevo pensato che trasferirmi a Wicked Bay fosse la cosa peggiore che potesse capitarmi, ma avrei scoperto presto che era solo l’inizio.

    Capitolo 2

    «Sei nervosa, tesoro?»

    Lanciai a papà uno sguardo laconico. Stavolta, senza occhiali da sole a proteggerlo dalla mia espressione alla Sei serio?, scrollò la testa scoppiando in una risata. «Troppo?»

    «Giusto un po’.» Presi un altro bagel, piluccandone un pezzetto con le dita. «E non sono sicura che il nervosismo riassuma come mi sento al riguardo.»

    Da quando avevo scoperto chi era Maverick Prince, non avevo provato altro che un nodo allo stomaco. Mi portai alla bocca un dolcetto e mi guardai attorno nella cucina. Erano quasi le sette e trenta e nessun altro si era ancora alzato. Avrei voluto mangiare nella casetta in piscina, ma dopo un difficile fine settimana papà aveva insistito affinché iniziassimo a farlo con il resto della famiglia.

    «Diventerà più semplice. È una cosa nuova, per tutti e due.» Mi rivolse un’occhiata pungente, facendomi intendere che anche lui aveva notato delle strane vibrazioni tra lo zio Gentry e Maverick.

    Dopo le presentazioni non proprio stellari del venerdì, Macey era sparita insieme a suo fratello. Era evidente che non fosse il ragazzo che avevo conosciuto l’estate precedente, tuttavia avrebbe potuto esserlo: forse il Maverick con cui avevo trascorso delle ore a parlare era un’illusione, un tentativo di sedurre la ragazzina timida e impacciata. Ma non aveva comunque senso.

    Vabbè.

    Era andata. E tutto quello che era successo da allora poneva quella notte in una prospettiva diversa.

    Maverick Prince non era nessuno per me. Magari era di famiglia, ma ciò non significava che dovessi interagire con lui.

    Mai.

    Kyle e Summer erano rimasti nei paraggi per un po’ ma alla fine se ne erano andati a fare le loro cose, e io mi ero ritirata nella casetta in piscina. In due giorni era diventata il mio santuario, e ne uscivo solo se necessario. Sfortunatamente per me, il primo giorno nella nuova scuola richiedeva lasciare la stanza e affrontare la realtà.

    «Ahh, Robert, signorina Eloise, buongiorno, è così bello rivedervi.» Una piccola signora paffuta si affrettò in cucina, le braccia colme di sacchetti. «Sono Loretta, ricordate, sì? La governante.»

    «Come se potessimo dimenticare la sua cucina» rispose papà con un ampio sorriso.

    «Oh.» Spalancò gli occhi scuri nella mia direzione. «È così bella, signorina Eloise, ora capisco cosa Gentry volesse dire.»

    Rizzai le orecchie, e mi accigliai in direzione di papà. Lui scrollò le spalle, continuando a mangiare il suo pane tostato.

    «Dove sono tutti?» Bella domanda, pensai tra me e me, sollevata di non essere l’unica persona a chiederselo. «Si torna a scuola oggi, vero?»

    «Loretta, grazie a Dio, ci sei mancata.» Rebecca entrò allegramente in cucina come una dea greca. Quella donna non camminava, si librava nell’aria. «Robert, Eloise, siete in piedi. Eccellente.» Mandò un bacio fluttuante a papà e mi strizzò il braccio prima di raggiungere la macchina del caffè. «Nervosa, tesoro?»

    Fu il mio turno di scrollare le spalle. «Non proprio.» Bugiarda.

    «Andrà tutto bene. Summer e Kyle saranno con te, e sono sicura che Macey ti aiuterà ad ambientarti.»

    Ne dubitavo fortemente, ma pazienza. Non avevo bisogno e non desideravo il loro aiuto se non volevano darmelo. Era solo una scuola, quanto poteva essere dura?

    «Kyle è...?»

    «Kyle è cosa?» Il ragazzo piombò nella stanza fresco come una rosa e mi chiesi dove fossero stati tutti. C’era un’altra cucina in cui si riunivano prima di incontrarsi con noi? Perché di certo non sembravano persone appena scese dal letto. Due caffè, e io ero ancora accasciata sul piatto, cercando di far entrare in azione il mio corpo.

    «Darai un passaggio a scuola a Summer ed Eloise?»

    «Non posso, mamma P, è il primo giorno, e devo fare una buona impressione con il Coach.»

    Rebecca assottigliò lo sguardo con un accenno di frustrazione e io soffocai una risata. «Kyle, cosa ti ho detto?»

    Kyle aprì il frigo e ci infilò dentro la testa. Era uno di quelli americani, enormi, con il distributore di ghiaccio integrato. Quando ricomparve con il succo in mano, sorrise. «Credo che tu abbia detto non chiamarmi mamma P

    «Quindi...» Con la mano piazzata sul fianco, lo guardò in cagnesco, e io ridacchiai di nuovo sotto ai baffi. Kyle aveva l’aria del ragazzino presuntuoso che se ne sbatteva delle regole. Mi piaceva. Mi ricordava molto mio fratello. Mi si strinse il petto, e deglutii la sfoglia bloccata in gola.

    «Colpa mia. Hai ragione, non è molto appropriato.» Inclinò la testa come se fosse assorto tra i pensieri. «Ci sono.» Schioccò le dita. «Mammostro.»

    Rebecca spalancò la bocca, e Kyle mi lanciò un occhiolino divertito

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