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Alla fine… noi
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E-book357 pagine4 ore

Alla fine… noi

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Info su questo ebook

Dicevo sul serio, Maverick. Non ti perderò.

Lois Stone dovrebbe essersi ormai abituata ai cambiamenti. Sono stati la costante della sua vita nell’ultimo anno, ma quanto può sopportare una ragazza prima che le crepe inizino a mostrarsi?
Sapeva che una relazione con Maverick non sarebbe stata semplice, ma non si aspettava certo che la loro storia diventasse un gioco di inganni e bugie. La testa le impone di tirarsi indietro il più in fretta possibile, ma il cuore non ne vuole sapere di rinunciare a lui, non ora che sa cosa si prova ad averlo solo per sé.

Lo accetto. Accetto tutto. Ma non puoi lasciarmi, London. Hai promesso.

Maverick Prince ha rischiato tutto per Lois, ma ne è valsa la pena perché ha avuto in cambio il suo sorriso. Quando però le cose si complicano a causa di suo padre, Maverick decide di allontanare Lois. Non poterle stare accanto, quando vorrebbe solo stringerla forte, sembra un’impresa titanica, ma, per avere la possibilità di un futuro insieme, certi compromessi vanno accettati, nella speranza che l’oscurità non li travolga del tutto.
Proteggere Lois è l’unica opzione plausibile e per farlo dovrà accettare di giocare secondo le regole.

Anche se alcune regole sono fatte per essere infrante.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2020
ISBN9788855312356
Alla fine… noi
Autore

L. A. Cotton

Addictive Romance Author of mature young adult and new adult novels, L A is happiest writing the kind of books she loves to read: addictive stories full of teenage angst, tension, twists and turns. Home is a small town in the middle of England where she currently juggles being a full-time writer with being a mother/referee to two little people. In her spare time (and when she’s not camped out in front of the laptop) you’ll most likely find L A immersed in a book, escaping the chaos that is life.

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    Anteprima del libro

    Alla fine… noi - L. A. Cotton

    Capitolo 1

    Maverick

    Strinsi il pugno contro la coscia, serrandolo fino a farmi male. Il dolore era una cosa buona. Il dolore mi distraeva dal presente. Quel presente imbarazzante da morire nel giorno di Natale a casa Stone-Prince. Giocavamo alle famiglie felici tentando di ignorare il branco di elefanti nella stanza, ma era tutto una presa in giro.

    Kyle catturò il mio sguardo dall’altro lato del tavolo e mi mostrò un sorriso sornione.

    Bastardo.

    Si divertiva a vedermi contorcere durante il tempo che trascorrevamo in famiglia. Di solito, davo buca, ma era Natale. Persino io ero più tollerante in questo periodo dell’anno. Lanciai un’occhiata in giro, controllando che nessuno stesse guardando, e tirai fuori la mano da sotto il tavolo per fargli il dito medio. Dal petto di Kyle scaturì una risata profonda e tutte le teste scattarono nella sua direzione.

    «Io, ehm…» farfugliò. «Zabaione… ne ho bevuto troppo.»

    Prendi questo, stronzo. Gli sorrisi.

    «Ha tutto un profumo delizioso, Rebecca.» Stella, la donna che lo zio Rob si sbatteva, sorrise inspirando. L’avevo incontrata solo un paio di volte, ma sembrava che ci stesse provando troppo. Preferivo le persone che parlavano meno, come la sua bambina di sei anni, Beth, che se ne stava seduta a giocherellare con la tovaglia, gli occhi che saettavano ovunque, insicura su cosa farsene di tutti noi.

    La mamma era raggiante mentre si agitava al tavolo, raddrizzando le stoviglie e facendo spazio per tutto. «Non posso prendermi tutto il merito. Loretta è venuta ieri per aiutarmi a preparare. Ma ho glassato il prosciutto da sola.»

    Come se bastasse. La nostra famiglia aveva bisogno di qualcosa di più di un prosciutto glassato per ricucire le crepe profonde.

    «Allora, Cugy» disse Kyle e i miei occhi si puntarono su di lei. London era seduta al lato opposto al mio, un posto più in là, ma continuò a concentrarsi sul mio fratellastro, rifiutandosi di guardare nella mia direzione. Strinsi maggiormente i pugni. L’impulso di fuggire era forte: mi scorreva nelle vene, surriscaldandomi il sangue. Ma non potevo lasciarla. Non lo avrei fatto. Anche se pensava di non volermi qui, anche se pianificava di ignorarmi per tutto il giorno, non sarei andato da nessuna parte.

    «Sì, Kyle

    «Cosa ti ha portato il grosso uomo rosso?» Inarcò le sopracciglia divertito. Figlio di put… Soffocai l’impulso di lanciargli addosso lo stufato di piselli della mamma. Sapeva benissimo cosa stava facendo. Dopo che mi aveva chiesto se avessi pianificato di comprare a London un regalo e dopo che gli avevo risposto di no, Kyle mi stava gettando addosso solo merda. «È troppo presto per quello» avevo brontolato. Non sapeva che le avevo già preso qualcosa, ma non volevo che glielo spifferasse con la sua boccaccia, visto che i due avevano sviluppato un forte legame. Tra gli incontri dell’ultimo minuto con l’allenatore, quelli con la consulente scolastica, la signorina Tamson e London che mi tagliava fuori, non avevo ancora avuto tempo di darglielo.

    «Niente di speciale.» Il suo sguardo glaciale si spostò su di me e gemetti sottovoce. Come se essere asfissiato dai finti sorrisi della mamma e dalle stronzate passivo-aggressive di Kyle non fosse abbastanza, l’atteggiamento di London era una miccia per il mio brutto carattere, e mi mancava davvero poco per perdere le staffe.

    «Andiamo, tesoro» disse lo zio Rob. «Hai un mucchio di regali sotto l’albero.»

    Alzò gli occhi al soffitto. «Lo so, papà, è solo che…»

    «È pronto.» La mamma comparve sulla soglia – per una volta il suo tempismo non faceva così schifo – nascosta dietro al prosciutto gigante che teneva tra le mani. «E ha un gusto divino.»

    «Tesoro.» Gentry la raggiunse. «Non dovresti mangiarlo prima di portarlo in tavola.»

    «Sbrigati e fammi spazio. State attenti, la teglia è bollente.»

    Con il prosciutto in posizione sicura sul tavolo, Gentry le tirò fuori la sedia e la mamma si sedette, sorridendogli. Anche dopo tutto quel tempo, era difficile guardarli… una prova di quanto fossi incasinato.

    «Sembra fantastico, Rebecca.» Lo zio Rob fece eco alle parole di Stella, dando un paio di colpetti affettuosi alla mano della compagna, e provai a sbirciare in direzione di London. La sua faccia era impassibile, una maschera di pietra, ma vidi il dolore scintillare nei suoi occhi e sapevo esattamente come si sentisse nel fissare il padre con una nuova donna. Una donna che non era sua madre. Perché lo sapevo bene anch’io che non importava quanto fossero alti i muri che ti costruivi attorno: purtroppo non sarebbero mai stati impenetrabili. E una parte di me voleva lasciare il tavolo, afferrarle la mano e portarla via da quel casino… ma non potevo. In quel momento, non potevo essere chi aveva bisogno che fossi.

    E questo mi uccideva.

    Qualcosa vibrò al mio fianco e Macey sbirciò sotto al tavolo, armeggiando con il cellulare. Le diedi una gomitata e, mentre tutti gli altri si servivano con il cibo, sussurrai: «Se devo sopportare tutto questo, lo farai anche tu.»

    Kyle, come sempre, si era già riempito il piatto. Io ero ben messo, ma lui poteva di gran lunga annientarmi grazie agli allenamenti massacranti a cui il coach Munford sottoponeva la squadra di football.

    «Non appena la cena finisce, me ne vado» sibilò mia sorella a denti stretti, rifiutandosi di guardarmi.

    London non era l’unica ragazza a quel tavolo incazzata con me.

    «Macey, passami i piselli, per favore» le chiese la mamma.

    «Certo» borbottò, passandole il piatto.

    «Robert mi ha detto che vorresti diventare una ballerina professionista?» Stella si girò verso Macey, che si tese al sentir nominare il suo futuro.

    «Forse» rispose secca. «Non ho ancora deciso. L’ultimo anno è ancora lontano.»

    «Non proprio, tesoro» disse la mamma. «Maverick prenderà il diploma prima che te ne accorga, e tu dovrai pensare alle domande del college.»

    Feci un respiro profondo, le dita ad artigliare le posate. Non qui. Non adesso.

    «E tu, Maverick, speri di giocare a basket?»

    Merda.

    Il tavolo si fece silenzioso e la mamma mi lanciò un sorriso di scuse. Troppo tardi, mamma.

    «Io…» Le parole mi restarono incastrate in gola.

    «Maverick sa che riporre tutte le speranze nel basket è un rischio. Le probabilità di essere scelto nell’nba sono... quante?» riprese la mamma continuando a guardarmi. «Cinque giocatori di basket del liceo su diecimila?»

    «Tre» replicai con voce piatta.

    «Già, ma Rick ha tutto ciò che gli serve per andare fino in fondo» si intromise Kyle. «Detiene il record dei tre punti dello Stato.»

    Gli lanciai uno sguardo che diceva "non mi stai aiutando". Non volevo discutere di quello. Non davanti a degli sconosciuti. O a London... Decisamente non davanti a lei, dal momento che non sapeva tutto.

    «È ragionevole avere altre opzioni» intervenne Gentry, sorprendendomi, ma poi Stella proseguì e fece la domanda che temevo.

    «Maverick, cosa vorresti fare a parte giocare a basket?»

    Stavolta, il viso della mamma sbiancò. Una cosa era fingere di tenere aperte delle opzioni, un’altra era dover mentire spudoratamente alle persone che considerava di famiglia.

    «Maverick ha sempre avuto un istinto naturale per gli affari.»

    Non l’avrei mai detto. Deglutii la risposta sarcastica mordendomi la lingua. La mamma stava solo cercando di aiutarmi, l’aveva sempre fatto. Mediare tra me e mio padre, Alec Prince, uno spietato uomo d’affari nonché il diavolo in un completo di Armani.

    Mi sentii trafitto dalla rabbia. Quel sentimento andava a braccetto con lui: bastava solo che qualcuno evocasse il suo nome. Non potevo dimenticare che peso avessero nella mia vita le sue richieste e le sue minacce.

    «Ho un ragazzo.»

    La forchetta della mamma sferragliò sul tavolo mentre fissava Summer con occhi spalancati. «Scusami?»

    «Io, ehm, scusate.» Summer si sistemò i capelli dietro alle orecchie: non era in grado di incontrare lo sguardo severo della mamma. «Sto cercando di dirtelo dall’inizio delle vacanze invernali.»

    «È splendido, tesoro. E questo ragazzo…» Gentry deglutì a fatica, allentandosi il colletto. «Lo incontreremo presto?»

    Gli occhi di Summer sfrecciarono sul tavolo e finirono nella mia direzione, e ci capimmo all’istante. Si stava prendendo la mia patata bollente ed era più di ciò che meritavo dopo il modo con cui avevo trattato lei e Nick. Non l’avrei dimenticato.

    «È un bravo ragazzo» intervenni, infilandomi in bocca delle patate e cercando di mostrarmi disinvolto. Era il minimo che potessi fare.

    «Tu lo sapevi?» La mamma piegò la testa e io scrollai le spalle.

    «Lo sapevamo tutti» aggiunse Kyle. «E per quello che vale, Nick ha la mia approvazione.»

    «Kyle!» Summer e London lo ammonirono nello stesso istante e lui alzò le mani in aria.

    «Che c’è? È una buona cosa.»

    «Ok, ok. Calmiamoci tutti e finiamo di mangiare» disse Gentry. «Summer, sono certo che sia un bravo ragazzo. Io e tua madre non vediamo l’ora di incontrarlo.»

    La faccia della mia sorellina divenne color cremisi e disse: «Bene, perché sarà qui tra un’ora.»

    Quando la cena terminò, London fu la prima ad aiutare la mamma a portar via i piatti. Macey inventò delle scuse e se ne andò. Ultimamente, sembrava odiasse i momenti in famiglia più di me. Di solito, eravamo una squadra, un fronte unito. Ma da quella volta in cui avevo sminuito le cose quando si era confrontata con me su London, era cambiato tutto. Mia sorella non era cieca… o stupida, ma non ero pronto ad avere quella conversazione, e da allora aveva praticamente rinunciato a parlarmi.

    «Laurie?» chiesi a Kyle mentre messaggiava con qualcuno.

    «Già.» Sorrise. «Sto cercando di convincerla a venire qui, ma sua madre è piuttosto fissata con tutta la storia dello stare in famiglia.»

    Udii le sue parole, ma i miei occhi erano troppo occupati a seguire i movimenti di London. Quando uscì dalla cucina e sparì nel corridoio verso il retro della casa, spinsi indietro la sedia.

    Kyle inarcò un sopracciglio. «Credi che sia una buona idea?» Con la testa indicò la direzione presa da London.

    «Se qualcuno chiede, sono di sopra.» Potevo uscire dall’altra porta della sala da pranzo e passare dietro alle scale. Era rischioso, ma non potevo attendere un altro istante senza vederla.

    «Non c’è solo la tua testa in gioco, lo sai.»

    Assottigliai lo sguardo, lanciando allo zio Rob e a Stella un’occhiata di traverso, ma erano troppo occupati a intrattenere Beth. Kyle aveva ragione: non era quello il modo in cui volevo che tutti sapessero di noi, ma dovevo assicurarmi che le cose fossero a posto.

    Scusandomi, lasciai la stanza, lanciandomi in una breve corsetta mentre mi avvicinavo al bagno del piano terra. I rumori del rubinetto che filtravano attraverso la porta mi confermarono che si trovava all’interno. Aspettai, pronto a salire su per le scale, se qualcuno avesse preso quella direzione.

    Quando la porta si aprì e London mi vide lì, in piedi, innalzò i suoi muri. Con le braccia incrociate sul petto, il mento in alto, disse: «Lasciami passare.» Il suo tentativo di rimprovero era troppo adorabile, cazzo, e mi avvicinai, costringendola a indietreggiare.

    «Non finché non mi parli.»

    «Di cosa vuoi parlare? Sono passate due settimane dal Ballo e non è cambiato niente. Non una singola cosa.»

    Non era vero. Per me erano cambiate un sacco di cose, ma non volevo farla arrabbiare ancora di più. Soprattutto perché in quel momento non potevo fare nulla.

    «È complicato, lo sai.»

    Entrai nella stanza e mi chiusi la porta alle spalle, girando la chiave. Lei spalancò gli occhi incredula e io mi passai esasperato una mano sul viso. Non volevo litigare. London era la mia costante, la mia calma; non aveva idea di quanto avessi bisogno di lei. E avevo la sensazione che anche lei avesse bisogno di me, non che lo avrebbe mai ammesso.

    Provò a passarmi di lato, ma le afferrai il polso tirandomela tra le braccia. «Non fare così. Siamo io e te, ok?» Premetti il naso contro la sua guancia posandole un bacio all’angolo della bocca. «Quando glielo diremo, e lo faremo, le cose cambieranno. Ma per un po’ voglio che siamo solo noi due.»

    Non era tutta la verità, ma non era ancora necessario che lo sapesse. Avevo superato un confine ballando con lei, i ragazzi ne stavano già parlando a scuola, ma, quando avevo scoperto ciò che Caitlin aveva organizzato, non ero riuscito a restare a guardare. Inoltre, mi stava uccidendo il vederla a scuola, con Lions che la seguiva come un cazzo di cane smarrito, mentre io non potevo neanche toccarla e mostrare a tutti che era mia.

    Quindi avevo fatto una scelta.

    Avevo scelto lei.

    Lo sapevo che le cose sarebbero esplose, una volta che tutti l’avessero scoperto. Avevo solo bisogno che mi desse del tempo per capire come proteggerla dalle ripercussioni.

    «London, andiamo.» Seppellii il viso nella sua spalla, respirando a fondo.

    «Maverick.» Sospirò e sentii un po’ della sua frustrazione svanire. «Non voglio giocare.»

    Tirai su la testa e appoggiai la fronte sulla sua, costringendola a guardarmi. «Questo non è un gioco. È reale, London. Ho solo bisogno di tempo.»

    L’indecisione le baluginò negli occhi e non potei biasimarla. Ero stato un bastardo della peggior specie, ma la stavo solo proteggendo. Si trattava sempre e solo di lei.

    London arricciò le dita attorno alla mia maglietta e mi tirò più vicino, accendendomi un fuoco nello stomaco. «Cos’è successo a cena? Cos'era quella storia del college?»

    Mi irrigidii. Ovviamente aveva ascoltato tutta la conversazione, ma non volevo parlarne lì. Avrei dovuto dirglielo prima o poi, ma non adesso. Non quando avevo così tanto bisogno di lei. Schiacciai le labbra contro le sue, affamate e possessive, mentre le infilavo le mani nei capelli. Pensavo che London mi avrebbe respinto e allontanato per ottenere delle risposte, ma non lo fece. Mi lasciò entrare, roteando la lingua con la mia, e ringhiai, sentendo crescere l’erezione.

    «Ti voglio» le mormorai contro la bocca, muovendo i fianchi contro i suoi, per dimostrarle quando la desideravo.

    «Non possiamo…»

    «Eloise, tesoro. Tutto bene lì dentro?»

    Si divincolò tra le mie braccia, senza fiato e accaldata. «Arrivo… Vengo subito.»

    Agganciai la mano attorno al suo polso e la tirai di nuovo vicino, la bocca a sfiorarle il padiglione dell’orecchio. «No, non ancora, ma possiamo organizzarci.»

    Tremando nella mia stretta, le si scurirono gli occhi per il desiderio, mentre si mordeva il labbro. Non volevo altro che…

    «Eloise, tesoro?» Un colpetto leggero alla porta echeggiò sulle mattonelle della stanza. «Sei sicura di stare bene?»

    Bloccata tra il mio corpo e il muro, sgattaiolò via, e io barcollai in avanti, il respiro irregolare.

    «Dovremmo uscire prima che mandino una squadra di ricerca» disse London con un sospiro.

    Imprecai piano. Mia madre, la guastafeste.

    «Ok. Ma non finisce qui» sussurrai.

    Non appena gli adulti fossero stati alticci per il famigerato zabaione di Loretta, avremmo portato a termine tutto quello. In quel momento, con ogni probabilità, non mi sarebbe importato di chi ci avrebbe visto.

    «Resta qui, io la distraggo.» London prese un respiro profondo, gli occhi ancora roventi di desiderio.

    Scivolò fuori dalla porta, chiudendola alle sue spalle.

    Sentii la mamma starle addosso, farle delle domande, ma presto le loro voci sparirono.

    Via libera.

    Mi concessi un paio di secondi affinché il mio cuore si calmasse, poi uscii dal bagno e tornai in quello che consideravo il mio personale inferno.

    Capitolo 2

    London

    «Mio Dio, pensavo non mi lasciassero più andare.» Laurie entrò nella casetta in piscina con un’andatura sostenuta e in tutta la sua bellezza, baciata dal sole. Non mi ero ancora abituata a vedere le persone indossare T-shirt e occhiali da sole in dicembre. L’inverno in Inghilterra era freddo, bagnato e cupo; lì, invece, ogni giorno era estate.

    Si bloccò di colpo non appena i suoi occhi si posarono sul piccolo gruppo di persone che stava giocando a Monopoli. Laurie mi afferrò il braccio e mi tirò da parte. «Quello è Maverick Prince?» La cadenza nella sua voce mi fece sorridere. «Maverick Prince che gioca a Monopoli?»

    Scrollai le spalle. «Sono successe cose più strane.»

    «No.» Lanciò di nuovo un’occhiata al gruppo con la fronte aggrottata. «No, non è possibile. Quindi, tu e lui, fate sul serio?»

    «Shhh» sibilai. «Hai promesso di non fare scenate. Sta cercando di non farsi notare. La cena è stata… intensa.»

    «Posso solo immaginare.» Laurie liberò un sospiro esasperato. «Gesù, Lois, di sicuro tu non sei una che fa le cose a metà. Spero che tu sappia in cosa ti sei cacciata.»

    Non era la prima volta che mi offriva un suo consiglio, ma come le avevo già detto, non c’era una scelta da compiere.

    «Volete smetterla di spettegolare e venire qui?» ci redarguì Kyle. «Dovete assistere al momento in cui prenderò a calci il culo di Prince.»

    «Non sai perdere, Stone?»

    «Ci risiamo» sussurrò Laurie ruotando gli occhi. Kyle proseguì borbottando: «Vola basso, Prince. Non ho dato ancora il massimo.»

    «Lo so. Ti sto solo prendendo in giro. Rilassati» incassò Maverick, sentendo la disapprovazione nella voce del fratello. Kyle era ancora sensibile alla parola sconfitta, aveva messo il broncio per due settimane di fila quando la squadra di football non aveva superato le semifinali alle regionali.

    Ci unimmo ai ragazzi, a Summer e a un Nick piuttosto guardingo. Non lo biasimavo, Maverick lo aveva quasi strangolato quando aveva scoperto che era andato a letto con sua sorella, ma le cose adesso sembravano più tranquille. La cena in realtà era stata imbarazzante anche per altri motivi. La conversazione sul college aveva preso una piega inaspettata e avevo come la sensazione che mi mancasse un pezzo del puzzle Prince. Avevo cercato innumerevoli volte di chiedergli del padre, ma lui si trincerava sempre dietro muri impenetrabili, chiudendomi fuori.

    In quel momento, però, mentre i suoi occhi si posavano sul posto accanto al suo, non mi stava affatto tagliando fuori. Inarcai un sopracciglio, schioccando un’occhiata a Nick e Summer, conscia che Kyle e Laurie sapessero già di noi. Quello che era successo durante il ballo si era diffuso a macchia d’olio nei corridoi della scuola, ma non l’avevamo ancora reso pubblico ufficialmente. Non lo avevamo detto nemmeno a Summer o a Macey, anche se, dalla freddezza con cui lo trattava quest’ultima, sospettavo che avesse creduto ai pettegolezzi di corridoio, nonostante Kyle fosse bravissimo a far partire una diceria così come a smorzarla. Avevo sentito più di una storia che dipingeva Maverick come il ragazzo che stravedeva per la mezza cugina: un vero e proprio cavaliere con l’armatura scintillante, piombato a salvarmi – o meglio a salvare la povera e indifesa parente inglese – dalle grinfie della cattiva e stronza Caitlin.

    La maggior parte dei nostri compagni non ci aveva creduto. Soprattutto Caitlin che, negli ultimi giorni di lezione, mi aveva seguito con i suoi occhi, scavandomi dei buchi sulla nuca. Lei conosceva la verità, ma non poteva azzardarsi a discutere con una Stone-Prince. Stranamente, nemmeno Maverick aveva confermato o negato qualcosa, ma aveva solo contribuito ad alimentare il fuoco. In pubblico, lui era tornato a ignorarmi e io a ignorare tutti gli altri: gli sguardi, i sospiri, le dita che mi indicavano e perfino le risate. Potevano credere a ciò che volevano per quello che mi importava: le persone che contavano sapevano la verità. Be’, almeno una parte di loro.

    Non mi interessava che i ragazzi a scuola non sapessero, ma ero rimasta sorpresa che Maverick lo volesse tenere segreto alle nostre famiglie. O forse stavo mentendo a me stessa; insomma, quello era Maverick Prince: il libro più chiuso del mondo. Tuttavia, non volevo fare le cose di nascosto, non quando avevo litigato con papà per la stessa identica cosa.

    «Lois, è il tuo turno.» Summer mi sorrise dal suo posto sicuro al fianco di Nick. Mi allungai per afferrare la mia pedina, sfiorando di proposito il braccio di Maverick; lui si irrigidì, trattenendo il respiro, e io non riuscii ad arrestare il sorriso che mi si dipinse sul viso.

    Voleva giocare? Giusto? Bene, anche io! Ma ciò non voleva dire che avrei giocato in modo corretto.

    La partita durò finché la casa principale non fu immersa nell’oscurità. Rebecca passò più di una volta per controllarci e cercare di persuaderci a stare con loro, e ogni volta se ne andava con gli occhi vitrei, pieni di delusione.

    Toccò a Kyle tirare i dadi, ma ero troppo impegnata a fissare Summer e Nick: erano così carini, premuti l’una contro l’altro, e il modo in cui lui la toccava era così tenero, come se fosse la cosa più importante del mondo. Erano giovani, Summer non aveva nemmeno sedici anni, ma il loro amore era così palese, ed era bello essere qui con loro e vederli sorridere. Nonostante il bizzarro ringhio di Maverick e i commenti inappropriati di Kyle sulle mani di Nick – e su come le avrebbe ridotte se non avesse smesso di palpeggiare la sua sorellina – mi feci un appunto mentale di ringraziare entrambi per come la stavano trattando.

    «Tesoro, sono stanca.» Laurie sbadigliò, stiracchiando le braccia in avanti. Si alzò pulendosi le mani sui jeans. «Forse dovrei andare a casa.»

    «Non esiste.» Kyle saltò su e le strinse le spalle con un braccio, tirandosela accanto. «Tu rimani. Staranno dormendo tutti grazie alla sbornia per il famigerato zabaione di Loretta. Puoi sgattaiolare via domani mattina presto.»

    Fui attraversata da un brivido. Non volevo immaginare papà in una delle loro stanze degli ospiti, accoccolato con Stella, mentre sua figlia dormiva profondamente accanto a loro su un materasso gonfiabile. Non capivo perché Rebecca e zio Gentry avessero insistito tanto per farci restare per la notte, quando potevamo benissimo andare a casa. Supponevo che ci fossero comunque dei vantaggi: i miei occhi furono subito calamitati da Maverick al mio fianco, e il calore iniziò a invadermi lo stomaco. Quando tornai a guardare la mia amica, si stava mangiucchiando nervosa il labbro.

    «Non ne sono sicura,» disse Laurie «non voglio causare problemi.»

    Kyle si sporse e le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendole diventare le guance di un rosso profondo. «Ok» rispose e, nel pronunciare quella singola parola, aveva uno sguardo sognante e non ci voleva un genio per capire che cosa poteva averle promesso, se fosse rimasta.

    «Immagino di dover tornare a casa anch’io» dichiarò Nick. «Grazie per avermi fatto restare con voi.»

    «Gesù, Nick» grugnì Maverick passandosi una mano tra i capelli. «Non siamo così male.»

    Nick spalancò la bocca, ma Kyle intervenne: «Parla per te, Prince.» Lanciò al fratello un sorrisetto presuntuoso che però svanì non appena Laurie gli colpì le costole con il gomito.

    «Ignorali, Nick. È stato divertente stare insieme. Dovremmo rifarlo qualche volta.» Laurie sorrise. «Lois, vieni?» Mi lanciò un’occhiata pungente e assottigliai lo sguardo di rimando.

    «Io ehm…» L’imbarazzo mi scaldò le guance e non fui in grado di incontrare lo sguardo di Summer, mentre Nick l’aiutava ad alzarsi.

    Odiavo mentire all’unica persona che era stata sempre gentile con me da quando ero arrivata a Wicked Bay, quattro mesi prima. E, nonostante fosse stato Maverick a chiedermi del tempo, non potevo negare che il pensiero di tenere quel legame, di tenere noi, segreto, ancora per un po’, fosse oltremodo invitante.

    «Andiamo, tesoro.» Kyle mi venne in soccorso. «È una ragazza cresciuta. Sono sicuro che è

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