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La vacanza più bella della mia vita
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E-book285 pagine3 ore

La vacanza più bella della mia vita

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Info su questo ebook

Credeva di non poter più amare... ma si sbagliava

Autrice del bestseller La mia indimenticabile vacanza in Grecia

Dopo aver perso l’uomo che amava in un tragico incidente, Gina ha faticosamente rimesso insieme i pezzi della sua vita, seppellendo i sentimenti in fondo al cuore. L’unica cosa che la fa andare avanti è il suo bed and breakfast tra le colline del Lake District. Con l’arrivo di un nuovo ospite, Fabio Garcia, in Gina sembra riaccendersi una scintilla, dopo tantissimo tempo. E per un momento si sente di nuovo viva. Fabio è alto, bello e affascinante, ma soprattutto riesce a farla ridere. Il senso di colpa non l’abbandona, ma gli amici (e qualche bicchiere di vino) finiscono per spingerla tra le braccia di Fabio. Gina sa che non è niente di serio, ma è convinta che sia esattamente quello di cui ha bisogno. E così, quando Fabio la invita nel suo albergo sul lago di Como, lei accetta. Al suo arrivo trova ad attenderla luoghi meravigliosi, resi ancora più speciali dalle premure di Fabio, che si impegna per farla sentire a proprio agio. Riuscirà ad accettare l’idea di avere il diritto di essere felice o continuerà a fuggire dai sentimenti che prova?

Una storia romantica e commovente 

«Una storia deliziosa che ti fa venire voglia di preparare le valigie.»

«Un mix di romanticismo, ottimo cibo e nuovi inizi... Un libro che si divora!»

«I libri di questa scrittrice sanno sempre metterti di buon umore.»
Sue Roberts
Vive nel Lancashire con il compagno Derek e da sempre coltiva una grande passione per la scrittura. All’età di 11 anni ha vinto un concorso letterario e da allora non ha mai più smesso di riempire le pagine di storie. La Newton Compton ha pubblicato La mia indimenticabile vacanza in Grecia e La vacanza più bella della mia vita.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2019
ISBN9788822734129
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    Anteprima del libro

    La vacanza più bella della mia vita - Sue Roberts

    Capitolo uno

    È un pomeriggio meraviglioso e così decido di sedermi qualche minuto sulla mia panchina preferita e godermi la vista mozzafiato del lago Ullswater. I rigogliosi cespugli di timo selvatico che crescono lungo le rive hanno ormai sostituito le giunchiglie, abbondantissime in primavera.

    Oggi il lago è talmente placido che si rischia di restarne ipnotizzati, se lo si fissa troppo a lungo. Il sole filtra fra gli alberi allineati sulla sponda, creando un incantevole luccichio maculato sull’acqua. Osservo una rondine tuffarsi e volare radente alla superficie, creando delle piccole increspature concentriche. Io e Adam venivamo spesso a passeggiare qui la sera tardi, quando l’unica luce a illuminare la zona era quella prodotta dai fanali delle automobili che, di tanto in tanto, circolavano lentamente sui viottoli di campagna. Ancora mi mancano quelle serate insieme, e avverto una fitta di tristezza se ci ripenso.

    La fine dell’estate è il momento di maggiore affollamento per il Lake District e il perdurare del caldo ha attirato nuove ondate di turisti. Le file per salire sui vaporetti che fanno il giro del lago fermandosi nelle varie località costiere sono interminabili. I ristoranti e i bar di Windermere, il principale punto di partenza, sono presi d’assalto e la gente si accalca nei dehors consumando del buon cibo e qualche drink rinfrescante, mentre i bambini danno da mangiare alle anatre in riva al lago. Sul lungolago, davanti ai chioschetti dei gelati con i tendoni parasole a righe, ci sono delle lunghissime code di villeggianti. E anche il mio bed and breakfast, qui a Glenridding, è sempre al completo. Io sono nata e cresciuta nel Lake District e so di essere fortunata ad aver sempre vissuto in un posto idilliaco come questo.

    Mi sto godendo gli ultimi minuti della pausa quando mi passa davanti una famiglia. Una ragazzina, che avrà al massimo dieci anni, è rimasta qualche metro indietro rispetto agli altri ed è bagnata fradicia. Si tiene le braccia strette intorno al corpo e ha un’espressione incredibilmente torva per un visino così piccolo. Il ragazzino, un biondino di un paio d’anni più grande, avanza a passo spedito davanti a lei, girandosi continuamente per farle le boccacce.

    «Buon pomeriggio». Sorrido. «Gran bella giornata, vero?»

    «Provi lei a farlo capire a questi due», risponde la madre, indicando i bambini con un’alzata di occhi al cielo. «Abbiamo fatto un giro in canoa e mia figlia si è ribaltata. Non se l’aspettava», mi spiega sottovoce.

    «Ah, i bambini», commento io, domandandomi per l’ennesima volta se avrò mai dei figli miei.

    Do un’occhiata all’orologio da polso. È ora di rientrare, così mi alzo dalla panchina e mi avvio nella stessa direzione in cui si dirige la famiglia.

    «È stato lui a spingermi nell’acqua!», esclama la bimbetta paffuta con la folta frangia bionda additando il maschietto.

    «Non è vero, sei tu che ti sei alzata troppo vicino al bordo», ribatte il ragazzino ridendosela sotto i baffi.

    «Mamma, digli di smetterla, mi prende in giro», piagnucola la piccola, battendo il piede a terra.

    Il ragazzino, presumibilmente il fratello, si avvicina la mano alla fronte formando la lettera L di looser e poi schizza via per raggiungere il papà, che ha una canoa sulle spalle e ha distanziato il resto della famiglia di qualche metro.

    «Diglielo anche tu, papà!», strilla la bambina.

    Alla fine, il padre si ferma davanti all’Helvellyn House e spalanca il cancello di legno marrone che conduce alla pensione fronte mare con sei camere da letto molto simile alla mia, se non fosse che questa è dipinta di un rosa pallido. L’uomo dà un’occhiata ai bambini e sbuffa.

    «Vi avverto, se non la piantate subito, stasera non andiamo al cinema di Ambleside».

    La minaccia funziona, perché i due ragazzini tacciono immediatamente, ma il bambino non perde l’occasione per fare un’ultima linguaccia alla sorellina.

    Faccio tappa all’emporio di Val per prendere una rivista da leggere più tardi e torno al Lake View, il mio bed and breakfast. Quello che un tempo era un vecchio edificio grigio e cadente, oggi è un’elegante residenza color panna in stile vittoriano, con le finestre a golfo e gli infissi di legno scuro. Il cortile anteriore, un tempo infestato da ortiche ed erbacce, ora è un ordinato prato verde con un delizioso ciliegio nel mezzo.

    Strappo i fiori morti dai due cesti di peonie sospesi che pendono ai lati del portone laccato di rosso. Mentre frugo nella borsetta alla ricerca delle chiavi, ridò un’occhiata ammirata al batacchio di rame che ho scovato in un mercatino dell’usato a Keswick, una città di mercato qui vicina. Il cartello con su scritto Al completo appeso alla finestra mi riempie di soddisfazione e mi spinge una volta di più a riflettere sulla fortuna di vivere in un posto così speciale e avere un’attività che ha finalmente ingranato. Nemmeno nelle fantasie più sfrenate mi sarei mai immaginata che un giorno avrei gestito un B&B nel Lake District insieme a mia sorella minore, Hannah.

    Sono finalmente riuscita a localizzare la chiave d’ingresso, quando Hannah compare correndo nella sua tenuta da running di lycra nera e rosa, nemmeno un capello fuori posto sulla sua capigliatura corta biondo platino. Mi si ferma accanto e si piega in avanti sorreggendosi sulle ginocchia.

    «Oddio, mi sa che mi conviene tornare alle camminate. Questa cosa del running nuoce alla salute», dice fra gli ansiti.

    «Be’, magari dovresti rimandare il running all’autunno, quando farà un po’ più fresco. Con questo caldo non riuscirei nemmeno a correre dietro l’autobus, figuriamoci intorno al lago».

    «Perché sei molto meno in forma di me. Ti batterei a mani basse, se facessimo una gara», fa lei, prendendomi in giro.

    «Solo perché tu hai un fisico più atletico», replico io con un sorriso, lasciando scivolare la mano lungo le curve armoniose del mio corpo.

    «Stai per caso insinuando che sembro un ragazzo?»

    «Ehilà, belle signore!», esclama Paul Barlow facendoci l’occhiolino mentre ci passa accanto. Paul è convinto di essere l’uomo più irresistibile del pianeta e oggi indossa un paio di jeans e una t-shirt bianca che mette in bella mostra le muscolose braccia tatuate.

    «Se vuoi ti aiuto io a fare una bella sudata, Hannah», sogghigna Paul squadrando il fisico asciutto di Hannah con un’occhiata lasciva.

    «Non ho dubbi. Solo che io sono molto selettiva quando devo decidere con chi allenarmi in orizzontale».

    «Oooh, ma come sei maliziosa. Io pensavo solo a qualche sollevamento pesi nella palestra dell’hotel qui di fronte. Potrei mostrarti qualche esercizio».

    «No, grazie. Non voglio diventare super muscolosa. Non servono due Sylvester Stallone in paese, uno basta e avanza».

    «Ehi, non scherziamo. Quello lì è un vecchietto, non un trentaduenne in perfetta forma come me. Lo prendo comunque come un complimento», ride Paul passandosi una mano fra i capelli scuri.

    Paul è tornato a Glenridding solo di recente dopo la fine di una storia d’amore, ma dopo la scomparsa di sua madre, lo scorso anno, credo che suo padre sia contento di avere Paul nei paraggi. In realtà Paul è un tipo a posto. Ha un cuore d’oro, sotto la scorza di muscoli, ed è disposto a farsi in quattro per chiunque. Solo che gli piace andarsene in giro per il paese facendo il macho, e attirando così soltanto le donne sbagliate.

    «Ci si vede, bellezze», ci saluta lui prima di dirigersi al pub.

    «Non se posso evitarlo», bisbiglia Hannah per non farsi sentire.

    Scoppiamo a ridere tutte e due. Sto per tornare al lavoro quando sento un grido disperato.

    «Aspetta un secondo, Gina», urla Rob, il giardiniere del grande albergo che si trova dall’altra parte della strada.

    Lui e la mia amica Katy, che fa la receptionist in quello stesso hotel, stanno venendo verso di noi trascinandosi dietro una ragazzina dai lunghi capelli scuri con la testa ciondoloni.

    «Gina», dice Katy senza fiato. «Dobbiamo portare Ellie in ospedale».

    «Oh, santo cielo, cos’è successo?», le chiedo rivolgendo un’occhiata alla ragazza. Ci metto un po’ per riconoscerla, ma poi mi rendo conto che è una quindicenne che abita qualche strada più in là.

    «Be’, tanto per cominciare s’è bevuta questa», risponde Katy mostrandomi una bottiglia di vodka vuota. «Ero uscita per fumarmi una sigaretta e l’ho beccata che barcollava in riva al lago. Ho chiamato l’ambulanza ma mi hanno detto che ci metteranno tre quarti d’ora. Per raggiungere l’ospedale ci vogliono solo venti minuti, ma io non posso allontanarmi dalla reception».

    Prima che finisca la frase, apro la portiera dell’auto in modo che Katy e Rob possano sistemare Ellie sul sedile posteriore.

    «Tranquilli», dico mentre prendo posto dietro il volante e avvio il motore.

    «Al Lake View ci penso io, e darò anche un colpo di telefono alla mamma di Ellie», mi rassicura Hannah.

    «Ah, e non so dirti molto di queste», aggiunge Katy allungandomi dal finestrino un blister di paracetamolo vuoto. «Le ho chiesto se ne aveva prese, ma diceva solo cose senza senso. Continuava a farneticare su un certo Mark, ripetendo che non può vivere senza di lui. A quanto pare si tratta di problemi di cuore, poverina».

    Mentre percorriamo le tortuose viuzze di campagna che conducono a Carlisle, cerco di concentrarmi sia sulla strada che su Ellie. E se vomita?, penso, e appoggio sul sedile posteriore un sacchetto di plastica recuperato dal vano piedi, sperando che Ellie abbia la lucidità di capire come usarlo. Dopo un po’ vengo colta dal panico e schiaccio il pedale dell’acceleratore, pregando Dio che Ellie si rimetta.

    Arriviamo all’ospedale di Carlisle venticinque minuti dopo. Parcheggio davanti all’ingresso e faccio di tutto per attirare l’attenzione di qualcuno. Una ragazza gentile sui vent’anni, che stava guardando il cellulare lì fuori, accorre ad aiutarmi.

    «Potrebbe tenere lo sportello aperto? Poi dovremmo sollevarla per le braccia e portarla dentro». Ellie non si regge in piedi ma è cosciente, e quando entriamo nella sala d’aspetto del pronto soccorso i numeri lampeggianti rossi ci informano che il tempo d’attesa stimato è di due ore. Fantastico.

    «Mi scusi, lo so che avete molto da fare, ma ho un problema…», strillo rivolta alla receptionist. Ma prima che finisca la frase, Ellie viene portata in un cubicolo dove la raggiunge un’infermiera di mezza età con una divisa blu navy. La donna pone a Ellie una serie di domande, ma le risposte della ragazza sono soltanto un biascichio incomprensibile.

    «Sa se ha fatto uso soltanto di bevande alcoliche? O ha preso anche qualcos’altro?», domanda l’infermiera.

    «Non ne ho idea. Un’amica l’ha trovata che barcollava in riva al lago con la bottiglia vuota. Per terra ha trovato anche questo», aggiungo, mostrandole il blister.

    L’infermiera allaccia al braccio di Ellie l’apparecchio per la misurazione della pressione, così da valutare le sue condizioni cliniche. Ellie inizia a borbottare.

    «Perché non posso vederti per tutta l’estate, Mark?», mormora prima di ripiombare nel silenzio.

    «Ellie, chi è Mark?», le chiede gentilmente l’infermiera.

    In quel preciso istante, una donna in ciabatte irrompe nel pronto soccorso.

    «Dov’è Ellie?», sbraita, trafelata.

    «Siamo qui», rispondo io alzando la mano per farmi vedere quando mi accorgo che si tratta di Lynn, la mamma di Ellie.

    «Oh, la mia bambina. Cos’è successo?».

    Ellie solleva il volto rigato di mascara. «Ha detto che non potremo vederci per tutta l’estate. Sei settimane intere. Non ce la faccio».

    Detto questo, la ragazza si gira di scatto sulla barella e vomita violentemente sul pavimento.

    «È una cosa positiva», commenta l’infermiera, che poi strappa un lungo pezzo di carta assorbente dal rotolo attaccato alla parete e lo appoggia sullo sporco per terra.

    Quando ci assicurano che Ellie non corre alcun pericolo, io e Lynn la lasciamo nelle mani dell’infermiera e andiamo al bar. Lei è profondamente scossa.

    «Vorrei sapere cosa le sta succedendo. Non so nemmeno chi sia, questo Mark. Una volta le ho proposto di invitarlo per il tè, ma lei mi ha guardato di traverso e mi ha detto di non metterla in imbarazzo. Non mi racconta granché ultimamente», conclude rivolgendomi un’occhiata affranta.

    «È un suo compagno di scuola?», le chiedo.

    «Sì. O almeno credo», replica Lynn, piangendo sul caffè.

    Sono quasi le sette e io e Hannah ci stiamo bevendo una bottiglia di vino nel cortile lastricato davanti alla dépendance, che in pratica è un prolungamento del bed and breakfast. È una serata tiepida con un cielo rosa che promette un’altra giornata di sole per domani.

    «Povera Ellie. Non riesco a credere che fosse pronta a togliersi la vita per un ragazzo».

    «Ma sai qual è la cosa più strana? Lynn non sapeva nemmeno chi fosse il suo fidanzato».

    «Davvero? Che assurdità. L’unico Mark che conosco in paese è Mark Spencer, l’insegnante di storia», dice Hannah, prendendo una manciata di noccioline dalla ciotola.

    «Ma no… non può essere lui, ti pare?». Lascio andare un sospiro e ingollo una bella sorsata di vino bianco.

    «Mi pare che sia sposato, no?», domanda Hannah.

    «Sì, sì. Quindi non può essere lui…».

    «Però so che lui andrà in Francia per tutte le vacanze estive… il che spiegherebbe il motivo per cui Ellie non può vederlo…».

    «Comunque, è evidente che Ellie è infelice. Magari potrebbe darci una mano qui, così si distrarrebbe un po’. Non mi dispiacerebbe avere qualcuno che mi aiutasse con le colazioni, la mattina… al momento devo accontentarmi di te». Le do una spinta sul braccio e scoppiamo a ridere tutte e due.

    «È una buona idea, e forse sarebbe il caso di informare sua mamma. Insomma, se questo Mark non è un compagno di classe… potrebbe essere il professor Spencer?»

    «Bisognerebbe indagare. Se non ha niente da nascondere, non dovrebbe creargli nessun problema, no?»

    «Credo anch’io. Magari è solo una cotta adolescenziale, ma penso che Lynn debba saperlo», conferma Hannah.

    Siamo al completo al momento, il che significa che domani dovremo alzarci presto, perciò finiamo i bicchieri e rientriamo. Se voglio dormire con questo caldo sarà meglio che lasci le finestre aperte stanotte. Ripenso alla giovane Ellie. Spero che riesca a dormire anche lei.

    Capitolo due

    Abbiamo già rassettato tutto dopo le colazioni e sono solo le dieci meno un quarto, perciò non posso certo lamentarmi. Gli ospiti sono stati tutti mattinieri e sono scesi a mangiare alle otto in punto, prima di uscire a godersi il bel tempo. Serviamo la colazione fino alle dieci, ma c’è sempre qualche coppietta che arriva in sala alle dieci meno dieci con gli occhi cerchiati e la faccia da doposbronza, pronta a spazzolare via gli ultimi resti del buffet.

    Una delle ragioni principali per cui adoro l’ariosa sala per le colazioni è perché affaccia sul giardino rivolto verso le splendide montagne. Abbiamo dei tavoli in legno di quercia chiaro che riprendono il pavimento e delle sedie imbottite beige con gli schienali alti. Le portefinestre a piena parete che si aprono sul giardino sono schermate da tende verde chiaro. Le pareti color panna sono decorate con le fotografie in bianco e nero di divi del cinema passati e presenti. Ci è occorso parecchio tempo, a me e a Adam, per trovare il giusto equilibrio, ma adesso questo è uno dei miei ambienti preferiti.

    Dopo le colazioni, mi dedico alle camere degli ospiti. Metto in ordine e sostituisco i fiori nei vasi di tutte e sei le stanze intitolate a poeti famosi. È uno degli aspetti che mi piacciono di più di questo lavoro, dare gli ultimi ritocchi, e una volta finito mi accomodo sul sedile della finestra della Wordsworth e getto lo sguardo verso le rigogliose cime verdeggianti. In fondo al corridoio, Hannah sta canticchiando una canzone di Beyoncé che stanno passando alla radio e prepara la valigia per il weekend che trascorrerà a Liverpool per un addio al nubilato. Io sono molto affezionata a tutte le sue amiche dell’università, ma ogni volta che le rivede temo possa tornarle la voglia di andarsene da questo paesino. Io e Hannah ci assomigliamo in moltissimi modi diversi, ma lei è sempre stata una tipa avventurosa. Siamo cresciute qui tutte e due, ma non posso fare a meno di pensare che questo posto le stia troppo stretto. Dopo aver studiato Letteratura inglese all’università di Lancaster, ha trascorso un periodo in Francia e poi ha viaggiato per l’Europa. Dopodiché ha collaborato per un anno o due con un’organizzazione benefica di Carlisle che si occupa dei bambini, e stava pensando di partire per l’Asia quando la mia vita è andata in frantumi. La morte di Adam ha bloccato tutto il resto.

    Non dovrei pensare a Hannah in maniera così egoistica, mi dico, e proprio in quel momento lei irrompe nella stanza.

    «Sempre a poltrire, eh, sorellina?», mi sfotte tirandomi addosso uno dei cuscini blu e argento disseminati sul letto.

    «Ehi! Li ho appena sprimacciati, quelli! E comunque non sono io quella che sta per andarsene a bighellonare a Liverpool».

    «Io te l’avevo proposto, però. Non ti farebbe male una pausa. Ci avrebbe dato una mano papà».

    «Lo so, ma non voglio abusare della sua generosità… a meno che non si tratti di un’occasione speciale. E barcollare ubriaca per le strade di Liverpool con dei piselli gonfiabili in mano non rientra esattamente nella definizione di occasione speciale».

    «Ah, ha appena chiamato Lynn», dice Hannah. «Oggi dimetteranno Ellie, dopo che avrà fatto una chiacchierata con un’infermiera del reparto psichiatrico».

    «Grazie a Dio si è rimessa. Pensano per caso si sia trattato di tentato suicidio?»

    «Lynn non me l’ha detto. Credo sia la prassi, quando una persona finisce all’ospedale per abuso di alcol. A proposito di alcol… prendo una bottiglia di Chardonnay dalla cantina. Poi la ricomprerò». Mi sorride.

    Hannah scompare al piano di sotto e dopo qualche minuto scendo anch’io i morbidi gradini ricoperti dalla moquette, ma mi blocco di colpo quando sento un gran fracasso provenire dalla cucina, seguito da un’imprecazione.

    Mi dirigo con circospezione in cucina e vedo i cocci della mia zuppiera bianca sparpagliati sul pavimento di pietra. Sento il cuore affondarmi nel petto. Era un regalo di nozze dei genitori di Adam, e anche se non la usavo praticamente mai, è brutto vederla per terra in frantumi.

    «Mi dispiace, sorellina», mi dice Hannah con aria contrita. «Però sii onesta: non la usavi mai. Era sempre lì sulla mensola. E comunque… chi le usa più le zuppiere, a parte la regina?», conclude con una risata.

    Mi rivolge uno di quei sorrisoni alla Julia Roberts che le illuminano tutto il volto e io la perdono all’istante.

    Osservo il disastro sul pavimento. Il mestolo si erge impavidamente intatto in mezzo ai detriti, come un soldato sopravvissuto a una feroce battaglia. Ci sono frammenti di ceramica ovunque.

    «Tranquilla», le dico tentando di mascherare il dispiacere. «Diamo una pulita e andiamo a berci un caffè in giardino».

    Il lungo giardino del B&B è rivolto verso l’Helvellyn, un’alta vetta particolarmente amata dagli escursionisti. Sul prato sono disseminati i tavoli e le sedie in ferro battuto dove serviamo le colazioni quando il tempo lo consente. Dopo aver sistemato tutto, non c’è niente che mi piaccia di più dell’avere quest’angolino tutto per me. E per Hannah, ovviamente.

    I bollenti raggi del sole donano ai fiori e all’erba una magnifica sfumatura dorata. Queste giornate agostane sono lunghe e torride e si concludono con dei cieli rossi che promettono altro sole per l’indomani. Stasera i nostri ospiti più piccoli torneranno stremati dalla stanchezza e con le gote arrossate, portandosi dietro le reti da pesca appese ai bastoncini. Nel tardo pomeriggio mi piace ritagliarmi qualche minuto per scappare sulla mia panchina preferita affacciata sul lago e osservare i nibbi reali e le rondini che volano in

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