Dialoghi: Il convivio dei due sapienti. Più uno
Di Adriano Meis
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di Giuseppe Savagnone
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Anteprima del libro
Dialoghi - Adriano Meis
Indice
Dialoghi
I DUE MAMMASANTISSIMA
DEL DANNO E DEL BINARIO
POSTFAZIONE
Adriano Meis
Dialoghi
Il convivio dei due sapienti. Più uno
Postfazione di Giuseppe Savagnone
Impaginazione e grafica
Salvo Leo Tundesign
Editing e supervisione
Rosa Macaione
Immagine di copertina
e illustrazioni interne
di Giorgio De Michele
Finito di stampare in Palermo
il 30 settembre 2020
per i tipi della tipografia
Fotograph - Palermo
Spazio Cultura Edizioni
Via Marchese di Villabianca, 102 90143 Palermo
Tel. 091 6257426
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Nessuna parte di questo libro
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senza il permesso scritto
dell’autore e dell’editore.
ISBN 978-88-99572-55-6
Ma l’animale che mi porto dentro
Non mi fa vivere felice mai
Si prende tutto, anche il caffè
Mi rende schiavo delle mie passioni
F. Battiato L’animale
Dialoghi
Il convivio dei due sapienti. Più uno
I DUE MAMMASANTISSIMA
Si diedero appuntamento davanti all’ingresso del Teatro Massimo per le tredici; uno avrebbe portato i dolci, l’altro il vino, e da lì avrebbero raggiunto a piedi l’osteria di Pino, il ristoratore più famoso di Palermo, noto per aver fatto mangiare sarde a beccafico ai Savoia e pasta c’anciova¹ al sultano del Brunei.
Barba da hipster, look da harleysta e tatuaggi degni delle più prestigiose maison circondariali, Pino, benché navigato, già a menziuornu² cominciò a taliarisi u ruoggiu³: era agitato, nervoso; quei due ospiti erano pisantuliddi⁴ assai. Come da ordini ricevuti, chiuse il locale al pubblico, mise sul tavolo un mazzetto di citronella e tolse le posate, ché ô zzu Nisio e a don Pollo questa minchiata di mangiare con la ferramenta ci faceva smuovere i nervi.
«Cu tanti locali ca ci su m’Paliermu propriu a mmia avianu a nquitari…⁵» andava blaterando, e passata la lingua sulla ventosa del cartello Oggi chiusi
, l’appiccicò al vetro della porta d’ingresso e andò a fumarsi una sigaretta in veranda.
Niente personale, né in sala né in cucina; Pino doveva essere solo, lui doveva prendere le ordinazioni, lui servire, lui cucinare, lui doveva fare tutto quello che c’era da fare e doveva farlo senza pipitiare⁶: nessuno doveva vedere quei due, né quei due dovevano e potevano vedere anima viva.
Nisio era uno sulla quarantina, alto, moro, fisico prestante e facci î masculu⁷; portava i capelli all’indietro alla mascagna⁸ e vestiva alla Nisio, e cioè come cazzo gli pareva. Risultava kitsch, a volte davvero imbarazzante; ma non c’era femmina che gli resistesse, nonostante i mocassini sotto ai pantaloni di tuta acetati, e maschio che non ne invidiasse quell’aria da dio sceso in terra. Non era storto, non era incapace, ma di regole, famigghia e riscussi piessi⁹ non ne voleva sapere proprio niente, se ad andarci di mezzo erano i suoi amatissimi vizi; se oggi era un pezzo da novanta nessuno gli aveva regalato niente, aveva ottenuto tutto sul campo, ché se è vero che una segnalazione può fare eleggere un papa al posto di un altro, è anche vero che dentro Cosa nostra una raccomandazione vale quantu una canottierina a costine cuontru i rivuorberati¹⁰…
Pollo era il fratello di Nisio, fratello per parte di padre e più grande di un anno, ma niente, né nell’aspetto né benché meno nel carattere, li accomunava; erano esattamente l’uno l’opposto dell’altro, uno il giorno, l’altro la notte. Il padre si era ittatu latino¹¹ con loro in fasce, e a crescerli ci avevano pensato le rispettive madri, le uniche responsabili di sì tanta differenza: l’una, la madre di Pollo, lo aveva sempre spinto al metodo, all’ordine e a ragionare sempre e comunque; l’altra lo aveva lasciato crescere sarbaggiu¹² affidandolo solo alla sua natura forte e ô Signuruzzu¹³. Dal padre avevano ereditato entrambi l’attitudine al comando e la cinica determinazione, e bon’armuzza¹⁴, in fatto di far pisciare addosso chiunque si imbattesse nel suo sguardo, non era secondo a nessuno. Lo chiamavano Pollo per via ru chicchiriddu c’avieva ntiesta quann’era picciriddu¹⁵; era una ‘nciuria¹⁶, e anche se stonava con l’immagine ed il ruolo dell’uomo che era diventato, lui stesso ne andava fiero, e poco importava se quel nome ai più dava l’immagine di un idiota facile da raggirare, perché Pollo faceva invece tremare la terra ogni volta che il suo nome veniva pronunciato.
Nisio all’anagrafe era Dionisio, Pollo era Elio, ed entrambi di cognome facevano Egioco, quello strano cognome, che pur dolce e gioioso nel suono, impietriva chiunque, ricordando il padre Salvatore.
I due mammasantissima dovevano incontrarsi per risolvere la faccenda di Giovanni Mezzatesta, un carrozziere della Guadagna che aveva messo le corna a Maria Centineo, figlia di Gino Centineo capofamiglia di Ganci, un paesino dell’entroterra siciliano. Nisio, al quale lo zio Gino aveva chiesto per primo riparazione del torto, pur avendolo compreso e riconosciuto il fattaccio, aveva derubricato a cose che succedono
, ma un uomo dello spessore criminale come u zzu¹⁷ Gino non poté accettare quella risposta e così aveva bussato alla porta di Pollo per avere soddisfazione del disonore subìto. Don Pollo era unu c’arraggiunava¹⁸;era uno che le regole le conosceva, le rispettava e le faceva rispettare. Era stato Pollo ad invitare il fratello da Piscia e trema
, l’osteria di Pino l’attore, p’assittarisi anticchiedda e discurriri¹⁹, perché di certo, pur non essendoci nessun morto ammazzato di mezzo, quella situazione non si poteva chiudere con un sono cose che capitano
; almeno non con u zzu Gino, che per vendicare la figlia, quella deliziosa figliola alta quantu un vanchitieddu î