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Il circolo Magritte
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E-book73 pagine1 ora

Il circolo Magritte

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Horror - racconto lungo (54 pagine) - I debiti vanno sempre pagati. In un modo o nell’altro…


Mauro non avrebbe mai dovuto giocare a poker con il Duca, e soprattutto non avrebbe dovuto perdere. E ora, nonostante non abbia i soldi per pagare, deve assolutamente onorare il debito. Per fortuna esiste il Circolo Magritte, i cui soci sono ben lieti di tendergli una mano… E per Mauro comincia così l’inesorabile discesa in un incubo di carne e sangue.


Nato a Ferrara nel 1965, Nicola Lombardi esordisce nel 1989 con la raccolta Ombre. Si lega poi al movimento letterario romano Neo Noir e pubblica racconti, articoli e traduzioni per diverse case editrici. Suoi sono i romanzi tratti dai film di Dario Argento Profondo Rosso e Suspiria. Tra le sue raccolte di racconti ricordiamo I racconti della piccola bottega degli orrori, La fiera della paura, Striges e Anime urlanti. Oltre a curare diverse antologie ha pubblicato i romanzi I Ragni Zingari (con il quale nel 2013 ha vinto il Premio Polidori), Madre nera, La notte chiama (scritto con Luigi Boccia, pubblicato da Delos Digital nel 2015) e La Cisterna. È membro dell’Horror Writers Association.

LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2020
ISBN9788825414264
Il circolo Magritte

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    Il circolo Magritte - Nicola Lombardi

    9788825412352

    1

    – Amico, hai da accendere?

    Mauro riconobbe quella voce con tre secondi di ritardo. Camminava lungo un marciapiede pigramente illuminato dal fascio polveroso colante da un lampione; l’istinto lo indusse a fermarsi accanto alla sagoma che gli aveva rivolto la parola, senza neppure guardarla in volto. Infilò una mano nella tasca del cappotto liso, e solo a quel punto sollevò lo sguardo. Tre secondi troppo tardi. In ogni caso, non avrebbe avuto il tempo di scappare.

    Cinque grosse dita si richiusero a morsa sul suo bavero, costringendolo a sollevarsi sulle punte dei piedi e a digrignare i denti. Solo per miracolo non gli rimase l’estremità della lingua fra gli incisivi. Subito dopo, altre cinque dita chiuse a pugno fendettero l’aria della notte e gli si abbatterono contro la bocca dello stomaco. Un rantolo soffocato gli sgorgò dalla gola, mentre tentava invano di ripiegarsi su se stesso. L’aggressore lo spinse poi nel ventre oscuro del vicolo entro il quale si era acquattato in attesa che Mauro uscisse dal bar, e lo premette con forza inaudita contro una parete di mattoni scheggiati.

    C’era anche un’altra persona, lì con loro. Mauro riuscì a coglierne la presenza mentre roteava dal giallore malato della via alla tenebra quasi totale, e tutta la situazione gli apparve chiara nella mente come se qualcuno gliel’avesse appena spiegata, con calma, passo dopo passo. Avrebbe dovuto aspettarselo. Di sicuro, poi, nessun altro gironzolava da quelle parti; non in quel quartiere, non verso l’una di notte. E se anche qualcuno si fosse accorto di ciò che stava accadendo, mai e poi mai si sarebbe intromesso. Ovviamente.

    L’alito caldo e cattivo dell’uomo che lo aveva sorpreso gli venne soffiato in faccia da quei pochi centimetri di distanza garantiti dalla tesa del borsalino, indossato dall’energumeno come un accessorio distintivo della categoria cui apparteneva.

    – Questa sera il Duca ti aspettava. Alle dieci. Al posto convenuto.

    Mauro tentò di rispondere, ma il dolore che gli si andava irradiando nel ventre e nel torace gli rendeva impossibile rendere udibile le poche parole che si ritrovò in bocca. Inoltre, la mano con cui Gandhi continuava a stringergli il colletto rappresentava un ulteriore e non indifferente impedimento. Pensò allora di affidarsi alla gestualità, muovendo le mani in una sequela di rapidi scatti che ottennero il risultato sperato: la presa al bavero si allentò, e gli fu possibile posare di nuovo i talloni a terra.

    Non conosceva il vero nome di Gandhi, ma gli bastava sapere che tutti lo chiamavano così. Era uno degli scagnozzi del Duca, e come tutti i nomignoli spiritosi il suo molto probabilmente gli era stato affibbiato per un palese, assoluto contrasto, sia nel fisico che nella propensione alla non violenza. Non era quel che si definirebbe un colosso (stava sul metro e ottanta, però sovrastava Mauro di quasi una spanna), ma aveva una corporatura che avrebbe indotto chiunque a classificarlo come buttafuori, o come picchiatore. Ciò che in effetti era. E adesso era lì per lui, col suo messaggio da recapitare. Lo aveva aspettato, con la pazienza che solo i latori di pessime notizie sanno dimostrare, e infine lo aveva preso.

    – Lo so, lo so… – tossì Mauro, sollevando gli occhi nel tentativo poco riuscito di leggere l’espressione sul volto dell’altro. Gandhi aveva una gamma molto limitata di espressioni. Anzi, a voler essere onesti ne aveva un paio: quella impassibile, da statua di legno, che non lasciava trasparire il barlume di un pensiero o di un’emozione; e quella vagamente divertita che lo induceva a tirare gli angoli della bocca in una smorfia di soddisfazione ogni volta che aveva occasione di infliggere dolore. Ma qualunque espressione gli stesse modellando i lineamenti in quel momento, non era leggibile per via delle ombre che gli tagliavano oltre metà del viso.

    Lo sai? E cos’è che sai? Che ti sei messo in un mare di rogne? Su questo non ci piove, amico. – Gandhi pareva intenzionato a comprimerlo contro il muro. Mauro rivolse gli occhi all’ingresso del vicolo, come se potesse contare sull’intervento di qualcuno. Rivide allora di spalle l’altro uomo, quello che ora stava facendo il palo. Era magro, con un cappello sulle ventitré di una misura troppo larga, e teneva le mani affondate nelle tasche di un lungo pastrano. Poteva essere chiunque, per quel che ne sapeva. Da quella parte, comunque, non avrebbe dovuto aspettarsi aiuto.

    – Quando qualcuno deve dei soldi al Duca, e poi non si presenta all’appuntamento per restituirglieli – continuava intanto Gandhi – commette un gesto che definire errore è riduttivo. È un’azione che non ha il minimo senso. È come smettere di respirare, e aspettare di scoprire cosa succederà. Capisci cosa intendo?

    Mauro annuì, mentre per la testa gli passava l’assurda considerazione che quel massiccio tirapiedi possedeva un linguaggio articolato e fantasioso, contrariamente a quanto si sarebbe stati portati a pensare giudicando solo dal suo aspetto. Probabilmente il Duca gli aveva mandato lui anche per quello. Poteva contare sui servigi di parecchi picchiatori, ma probabilmente Gandhi era quello che avrebbe saputo meglio trasmettere lo spirito del suo messaggio.

    – Sì, sì… capisco… – gli

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