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Il Cacciatore di Draghi e il Mago: Gli Squarci Nel Cielo, #1
Il Cacciatore di Draghi e il Mago: Gli Squarci Nel Cielo, #1
Il Cacciatore di Draghi e il Mago: Gli Squarci Nel Cielo, #1
E-book621 pagine8 ore

Il Cacciatore di Draghi e il Mago: Gli Squarci Nel Cielo, #1

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Info su questo ebook

La Magia ti rende invincibile…

… se prima non ti uccide.

Lo chiamano il Mezzo Principe e ha sempre sentito ghignare alle proprie spalle. Essere il figliastro dell’Imperatore non è facile: relegato nell’ala della servitù, ad Aric è raramente permesso di vedere la madre, l’Imperatrice, e mai, in nessun caso, può incontrare il fratellastro, il Principe. Mentre il resto della famiglia imperiale festeggia nelle grandi sale del palazzo, Aric li osserva da lontano, sognando la vita che avrebbe potuto avere.

Se solo avesse il potere di liberarsi…

L'oggetto era atterrato ai suoi piedi con un tonfo, ma era caduto dal nulla e Aric aveva capito cosa fosse ancor prima di sfogliarlo: un Manuale di Magia. Ora la domanda che lo affligge di più è se possiede o meno il Talento della Magia. Cercare solamente di scoprirlo vorrebbe dire rischiare la prigione e, nella Cittadella imperiale, c’è sempre qualcuno che osserva.

Se ti piacciono gli sviluppi imprevisti, gli intrecci del mondo magico e l’avventura, allora ti appassionerai a questa storia avvincente.

LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2021
ISBN9781071593820
Il Cacciatore di Draghi e il Mago: Gli Squarci Nel Cielo, #1

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    Anteprima del libro

    Il Cacciatore di Draghi e il Mago - V.R. Cardoso

    Indice

    L’Epurazione

    Il Mezzo Principe

    Il Libro Proibito

    Il Traditore

    L'Incontro Segreto

    La Sentenza

    I Cacciatori di Draghi di Lamash

    La Festa da Ballo dell’Imperatrice

    La Zona Gelata

    Il Distretto delle Darsene

    Il Cercatore di Tracce

    Gli Estranei

    Il Fiore del Deserto

    Le Lezioni

    I Portatori di Sangue

    Le Spie

    La Battaglia di Nish

    L’Infiltrazione

    La Fortezza Vuota

    L’Incursione

    Il Segreto

    Il Salvataggio

    Il Dio Dormiente

    La Fuga

    La Tempesta Incombente

    Prologo

    L’Epurazione

    ––––––––

    Tre colpi al portone.

    Pherlam, aprite le porte!

    Altri tre colpi: veloci, secchi, esigenti.

    Pherlam, è una follia. Aprite le porte.

    Dalle vicinanze giungevano delle grida: prima di sorpresa, poi di paura e dolore.

    «Pherlam, se vi arrendete ora sarete trattati con imparzialità».

    Con imparzialità?! Come hanno trattato gli Illusionisti di Augusta? Di Vittoria?

    All’interno del cortile, Pherlam si muoveva con furia da un lato all’altro come se tentasse di tracciare un sentiero sul selciato. All’esterno delle mura della scuola, dalla città si levavano tre colonne di fumo.

    Come hanno trattato chiunque nella scuola di Saggad? proseguì. Eh, Tigern? Ogni membro della scuola. Persino gli apprendisti, Tigern. Bambini!

    Così fu in principio. L’Imperatore era nervoso, timoroso. Le cose ora sono molto più tranquille.

    Più tranquille?! Pherlam esplose. Guardatevi intorno, Tigern. L’intera città è in rivolta.

    Sì, è vero. E sta per rivoltarsi contro di voi, vecchio pazzo! Aprite il portone. Non posso promettervi che saranno tutti salvati, ma lo saranno almeno i più giovani, quelli non iniziati.

    Pherlam rallentò sino a fermarsi e respirò profondamente mentre si guardava intorno. Il cortile era tranquillo. Dalle finestre non si notavano sguardi nervosi e raggelanti, nessun movimento salvo le tende scosse dal vento, nessun suono salvo i rumori provenienti dall’esterno, dalla città.

    Tersia fece un passo avanti e appoggiò una mano sulla spalla di Pherlam. Portava il cappuccio del mantello grigio sul capo come a volersi proteggere da ciò che accadeva.

    Dovremmo prepararci, disse lei.

    Pherlam sentì rizzarsi i capelli dietro la nuca. Tersia era una donna vanitosa e gli incantesimi che la avvolgevano erano facilmente percepibili.

    Ci furono altri tre colpi al portone.

    Pherlam, aprite i cancelli. Pherlam... siete lì?

    Sono qui, vecchio amico.... Fece una pausa. E qui io rimarrò.

    Ci fu un momento di silenzio.

    Ho capito... mi dispiace

    Anche a me.

    Il silenzio fu interrotto: da qualche parte nella città si scatenarono le grida della folla. Tigern si voltò e fissò da lontano i portoni robusti ma non riuscì a congedarsi.

    Dalla finestra in cima alla torre degli studenti la città sembrava quasi bella. Eliran era consapevole che ciò che guardava era frutto di violenza, che c’erano pena e sofferenza in ogni strada. Eppure, era come osservare una versione animata dei dipinti della sala centrale. I fuochi creavano alte colonne sinuose di fumo nero che si dissolvevano nel cielo. La devastazione aveva imbrattato le piazze vuote con colori che non vi appartenevano. Lungo le strade intasate dalla rivolta, le guardie di turno e la folla danzavano avanti e indietro con movimenti ipnotizzanti mentre, fuori dalle mura della città, i Legionari dell’Imperatore marciavano in formazione serrata, come blocchi di ferro che si assemblavano da soli pezzo a pezzo. Dietro di loro, le catapulte lanciavano palle di fuoco che lasciavano scie di fumo a forma di arco lungo tutto il percorso sino a precipitare e imbrattare la città, come fossero dei secchi di vernice rossa e arancione. Eliran si domandò se fosse questo ciò che accadeva quando un Drago sputava fuoco.

    All’interno del suo dormitorio, nessuna delle studentesse fece un minimo rumore o movimento. Si erano tutte rannicchiate nei letti, com’era stato loro ordinato, con gli occhi spalancati e le braccia strette al corpo. Eliran era altrettanto impaurita o ansiosa ma non riusciva a stare stesa sul letto. Soprattutto perché aveva a pochi centimetri da lei una finestra, l’unico modo per evadere dopo due settimane di reclusione nella scuola.

    La porta del dormitorio si spalancò e ogni allieva si voltò in direzione della Grande Maga in tunica verde che incedeva silenziosa.

    Dovete tutte urgentemente recarvi nel cortile. Indossate i vostri abiti civili. Lasciate le tuniche della scuola e gli accessori qui.

    La Grande Maga si ritirò passando dalla porta. Per un momento le apprendiste non riuscirono a fare altro che scambiarsi degli sguardi nervosi, sino a che Eliran non si tuffò nel baule. Lo aprì e rovistò all’interno in cerca di vestiti. Le sue compagne la seguirono. Ci furono dei sospiri e qualche singhiozzo, ma nessuna proferì parola. Eliran vide diverse mani agitarsi e persino una lacrima cadere dalle gote pallide di una Novizia.

    Il pavimento si ricoprì di tuniche bianche e azzurre, poi Eliran si diresse verso la porta e le altre ragazze la seguirono fuori nel corridoio. Svoltarono il primo angolo e un gruppo di dieci Iniziati si presentò dal corridoio dei maschi. Il delegato del dormitorio che li guidava aveva un aspetto così pallido che Eliran si aspettava dovesse svenire prima di raggiungere la tromba delle scale.

    Ciò non accadde. Al contrario, scese con passo svelto, apatico e adatto a una persona avvezza.

    Gli apprendisti dei venti dormitori – Novizi e Iniziati – arrivarono nel cortile quasi all’unisono, organizzandosi in schiere com’era loro consuetudine durante le valutazioni settimanali. Eliran, tuttavia, non ricordava lo avessero mai fatto in modo così efficiente.

    Al centro del cortile, l’Arci Maga Tersia li fronteggiava con le braccia incrociate, imponente nella statura come uno dei pilastri che sorreggevano l’edificio scolastico. Un altro Mago la affiancava. Dietro di loro, come se fosse una consuetudine, Arci Maghi e Gran Maghi portavano botti, sedie e credenze, e li disponevano contro il portone centrale della scuola. Eliran era sicura di non averli mai visti trasportare niente di più pesante di una forchetta.

    Ciò che sta accadendo non è un segreto per nessuno di voi. La voce di Tersia tuonò per tutto il cortile mentre parlava. Avete sentito le notizie, ascoltato le voci. Sono tutte vere. Non c’è motivo di far finta di...

    Da qualche parte, tra gli apprendisti, un grido irruppe.

    Guira, fermati! comandò Tersia. Non presterò ascolto a nessun pianto. Attese che la ragazza trattenesse i propri singhiozzi. È stato deciso che, entro il tramonto, tutti gli apprendisti abbandoneranno la scuola. Nascondetevi. Non vi palesate. Non provate a confondervi tra la folla. Le Legioni dovrebbero lasciare l’accampamento intorno alla cittadella in pochi giorni. Solo allora potrete provare a fuggire da Niveh.

    Tersia si fermò un attimo per esaminare gli astanti: più di duecento giovani Maghi, impauriti e confusi. Che cosa sarebbe successo? Quanti sarebbero sopravvissuti, e, per questi ultimi, che tipo di vita si prospettava?

    Ogni dormitorio deve rimare unito e seguire le istruzioni del proprio delegato. In ogni caso, se incontrate un altro dormitorio, abbandonatelo. Non aggregatevi. Cercheranno grandi gruppi di giovani ragazzi e ragazze.

    Il Mago accanto a Tersia distese le braccia e parlò.

    Delegati, un passo avanti per raccogliere l’equipaggiamento e per ricevere le istruzioni finali.

    Eliran e gli altri diciannove delegati del dormitorio si fecero avanti. Dietro Tersia vi era una pila di zaini: vi si raccolsero intorno, ognuno prelevandone uno a caso.

    Fate attenzione. Potete analizzarne il contenuto dopo. Ovviamente, non possiamo tirarvi fuori dalla scuola da nessuno dei portoni. C’è un tunnel, però, che attraversa la scuola. Un tunnel di raccolta...

    Volete dire una fogna? chiese Eliran.

    Una fogna, confermò il Mago. Il tunnel sfocia fuori sul fiume, tra Piazza della Frutta e Via del Ferro. Ogni dormitorio partirà con intervalli di trenta minuti. Prestate molta attenzione quando lasciate il tunnel. Se uno di voi è localizzato, tutti quelli dietro di lui saranno condannati. Cercate velocemente un luogo dove trascorrere la notte e, qualsiasi cosa accada, non partite sino al sorgere del sole. Capito?

    Il Mago attese un cenno collettivo di approvazione e augurò a tutti loro buona fortuna. Ogni delegato ritornò al proprio gruppo. Eliran infilò un braccio nello zaino e provò a fare una lista mentale del contenuto. Fu contenta di aver trovato una fiala di Runium. C’erano anche biscotti, monete e una daga. Eliran la prelevò e ispezionò la lama.

    Cos’è?

    Rissa era una Novizia e non aveva ancora terminato i suoi dieci anni di età. Era stata sorprendentemente calma sino al quel momento, ma ora fissava la daga con gli occhi talmente sbarrati che le sarebbero potuti schizzare fuori dalle orbite.

    Potremmo averne bisogno per forzare una serratura.

    La bambina sembrava soddisfatta della risposta, e, sebbene Eliran sapesse di aver mentito, la verità era che non riusciva a immaginarsi un utilizzo della daga da parte sua in un modo diverso.

    Tigern scendeva lungo la strada acciottolata ignorando i rottami sotto i piedi. Il piccolo raggio di sole che si affacciava dalle mura di Niveh stava scomparendo e rendeva il vicolo ancora più buio. Poteva ancora sentire le grida sporadiche e almeno due incendi erano abbastanza vicini da percepirne l’odore del fumo.

    La figura che lo attendeva era in piedi accanto a un cavallo che teneva per le redini. Dietro di lui vi erano una barricata distrutta e mezza dozzina di cadaveri maleodoranti, due dei quali indossavano l’uniforme delle guardie della città.

    Ho fatto ciò che ho potuto, Tigern disse. I cancelli della scuola resteranno chiusi.

    No. No, non lo saranno.

    No, non lo saranno, concordò Tigern. C’è una dozzina di Arci Maghi in quella scuola. Più trenta Gran Maghi e poco più di un centinaio di Maghi Iniziati. Molto sangue scorrerà prima che tutto questo finisca.

    Intila ha più soldati di quanto possa perderne. Tutto ciò di cui ha bisogno è entrare nella Cittadella.

    Intila è qui?

    È arrivato questo pomeriggio.

    L’Imperatore deve essere veramente sicuro che è tutto finito se permette al suo cane da guardia di venire a giocare così lontano dalla capitale, disse Tigern. Si voltò verso la spia e provò a non fissare l’orribile cicatrice che gli sfigurava l’angolo della bocca. Tolse un pezzo arrotolato di pergamena dalla giacca e glielo passò. Quando il tempio scoccherà la mezzanotte ogni striscione lungo il muro della città sarà rimosso. In quel momento la guardia cittadina abbandonerà le mura e aprirà i portoni.

    E il Duca?

    Nessuno lo sa.

    La spia afferrò la pergamena arrotolata che Tigern gli aveva passato e montò a cavallo con un sorriso soddisfatto che gli deformava ulteriormente la cicatrice.

    Vi auguro buona notte, tesoriere. Dopo un simile incidente è prudente supporre che l’Imperatore dichiarerà la fine del Ducato di Niveh. Dopotutto, l’intera famiglia del Duca è dispersa... la sua voce svanì mentre il cavallo trottava impazientemente al passo con lui. Se dovessi scommettere, direi che vorrà trasformare Niveh in una provincia imperiale. Queste terre ereditarie non hanno un posto nel moderno Impero. Quindi, come se si fosse ricordato di qualcosa all’improvviso, aggiunse: Voi credete ci sia un cittadino illustre a Niveh che possa ricoprire la carica di Governatore?

    Tigern non rispose.

    No? Bene... secondo me, dovrebbe essere qualcuno con esperienza che conosce le questioni della città.

    Hamur... disse Tigern. "Gli uomini come me pagano gli uomini come voi per non avere un’opinione".

    La luna era piena e luminosa per cui nessuno si era ricordato di accendere le torce nel cortile. Tuttavia, Eliran ne era contenta. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto o dove sarebbe andata, ma almeno non avrebbero dovuto trovare la via nei vicoli. Tutto il Dormitorio numero diciotto era seduto in cerchio e cantava soavemente. Guardò le ragazze del proprio dormitorio e si domandò se loro avrebbero dovuto fare lo stesso, se cantare potesse in qualche modo distrarle. Si guardavano intorno, gli occhi persi nell’attesa vana di vedere una persona. Forse credevano ancora che qualcuno sarebbe venuto a dir loro che era stato tutto un grande sbaglio, che ogni cosa sarebbe tornata alla normalità.

    Un Mago con una tunica blu scura entrò dalla porta che conduceva alle cucine, ai bagni e alle latrine.

    Dormitorio numero diciotto, venite con me.

    Il canto dei dodici ragazzi si spense goffamente e si alzarono in piedi. Allard, il loro delegato, lanciò un’occhiata a Eliran. C’era paura nei suoi grandi occhi blu, tuttavia il ragazzo trovò il coraggio di sorriderle.

    NEL NOME DI TARSUS V, APRITE IL PORTONE!

    Tersia spinse i ragazzi del Dormitorio diciotto nel corridoio e una dozzina di Maghi si affrettò al portone centrale. Sentirono lo schianto di un ariete contro il legno ed Eliran vide Pherlam rivolgersi agli apprendisti che erano rimasti. Lo aveva sempre considerato di aspetto troppo giovane per essere un Preside, ma la scuola di Niveh era famosa per gli incantesimi di illusione e sospettava che le sue sembianze non fossero del tutto veritiere.

    La voce dall’esterno parlava con l’autorità di chi legge delle istruzioni: Aprite il portone, arrendetevi, e sarete trattati secondo la legge!

    Che cosa stanno facendo ancora qui questi apprendisti? chiese Pherlam.

    Non riusciamo a farli uscire tutti in una volta, replicò Tersia.

    Beh, non possiamo più tenerli qui, perciò falli uscire. Ora.

    Ancora una volta il suono fragoroso dell’ariete riecheggiò per tutto il cortile e Pherlam ritornò alla postazione. Tersia chiamò i restanti due dormitori, guardò preoccupata i Maghi che si radunavano davanti al portone centrale e gli apprendisti le si strinsero intorno.

    Non possiamo attendere un’altra mezz’ora, disse.

    Il cuore di Eliran si fece improvvisamente greve.

    Dobbiamo farvi uscire tutti insieme. Cercate di separarvi appena raggiungerete il fiume. Il Dormitorio diciannove vada in una direzione, il dormitorio venti nell’altra.

    Appena terminò la frase, una palla rovente andò a schiantarsi nel cortile, si frantumò spargendo ovunque il proprio contenuto. Alcuni Maghi spensero i fuochi agitando la mano come se li volessero respingere e, nel frattempo, la mobilia che bloccava l’uscita saltò in aria con un altro colpo d’ariete.

    Tersia posò dolcemente la mano sul volto di Eliran ed ebbe un fremito.

    Ora, vai.

    Il Mago con la tunica blu fece loro segno di seguirlo ed Eliran sentì la mano di Tersia che la tirava via. L’Arci Mago fece cadere un rotolo di pergamena nella sua mano.

    Questo è per te, e solo per te, le disse Tersia.

    Eliran non ebbe il tempo di farle domande. Tersia la fece voltare e la spinse verso le ragazze del suo dormitorio. In quel momento il cuore si dimenticò di battere, ne fu certa, tuttavia proseguì.

    Furono inghiottiti da un corridoio buio e improvvisamente apparvero tante tremolanti lucette blu. I Maghi di rango inferiore erano schierati lungo i bordi del muro, ognuno con una sfera di luce in mano. Eliran conosceva quell’incantesimo.

    Proseguite, piccoli, li incoraggiò uno dei Maghi.

    Passarono per due corridoi, superarono l’accesso alla cantina e, una volta arrivati alle latrine, il corridoio divenne definitivamente una fogna.  Scesero da una scala a pioli e finirono in un tunnel il cui pavimento era un corso d’acqua profondo sino alle ginocchia, con un odore tossico sempre più asfissiante. C’era un unico Mago rimasto là sotto a indicare la direzione.

    Andate da quella parte, disse. L’uscita per il fiume è proprio sotto il ponte, dovrete immergervi in acqua e nuotare sino alla sponda opposta. Là troverete un piccolo molo.

    Il delegato del Dormitorio venti fece un passo avanti con grinta e i suoi ragazzi lo seguirono, ma Eliran esitò. Si voltò verso il Mago e comprese che non doveva essere tanto più grande di lei. Due o tre anni al massimo. Eliran stessa si sarebbe diplomata nell’arco di un anno.

    Dovrei rimanere e lottare al tuo fianco.

    Il Mago attese un po' prima di rispondere. Non c’era disperazione nei suoi occhi, ma nemmeno speranza.

    Non puoi aiutarci... ma puoi aiutare loro.

    Flara, una Novizia di nove anni, afferrò la manica di Eliran e tirò in modo brusco.

    Eli, ti prego...

    Eli, vieni con noi, singhiozzò Rissa.

    Eliran sospirò. Sorrise e disse loro di non preoccuparsi. Prese Flara e Rissa per mano e le portò via, poi si voltò verso il Mago e lo vide risalire le scale verso la scuola. Non c’era nessuno lassù a costringerlo a tornare indietro. Nessuno a impedirgli di seguirla, di salvarsi.

    Il palazzo del Duca era stato saccheggiato. Quasi tutto ciò che aveva valore era andato. Arazzi e dipinti erano stati lacerati, rotti o in qualche modo deformati. Le poche porte che ancora si tenevano avevano le serrature rotte e la maggior parte della mobilia era schiacciata o mancante. Tigern camminò lungo diversi corridoi sotto gli occhi inespressivi dei Legionari sino alla porta dello studio del Duca. All’interno vide il Maresciallo Imperiale rovesciare una sedia con un calcio, svelando così una giara d’argento dimenticata.

    Ah, Tigern, finalmente.

    Il Maresciallo Intila era un uomo alto e possente. L’armatura dorata riportava scolpito sul petto il leone imperiale e la cappa che gli ricadeva morbida sulla schiena era dello stesso celeste della Legione di Augusta.

    Ho bisogno di nomi, Tigern.

    Nomi? Di cosa?

    Intila sospirò e si diresse allo scrittoio del Duca: un blocco di ebano troppo robusto e pesante per soccombere alle angherie di chi aveva saccheggiato il palazzo.

    Gli ordini dell’Imperatore sono stati rigettati. Gli inviati imperiali sono stati arrestati: cercavano di difendere gli ordini. E alla fine, quando sono giunte le mie Legioni, la città è stata chiusa. Ho dovuto improntare un assedio.

    E il Signore della città, il Duca, non si trova da nessuna parte, replicò Tigern.

    La città è di nuovo vostra. Di quali altri nomi avete bisogno?

    Non posso tornare ad Augusta con le mani vuote. Qualcuno deve pagare, disse Intila. Non mi convincerete del fatto che il Duca abbia fatto tutto da solo.

    Naturalmente no. Alcuni l’hanno difeso sino all’arrivo dei Legionari. Tigern puntò il dito contro Intila. Mi è stato garantito che voi sareste stato ragionevole se qualcuno si fosse preso cura della questione.

    Non siete dietro le sbarre, costatò Intila. Anche se voi siete un membro del governo della città. Direi che questa parte dell’accordo è stata mantenuta.

    Tigern fece una pausa. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Come ritenete possibile che io prenda i comandi della città se non ho la fiducia delle famiglie nobili?

    Ascoltatemi, disse Intila. L’Imperatore non può permettersi di non punire le famiglie che lo hanno affrontato apertamente. Io sono qui, Tigern. Io, non gli altri. Voi sapete che ci sono altri assai meno ragionevoli di me.

    Che l’hanno affrontato apertamente? Tigern voleva urlare. Quelle famiglie avevano fatto solo ciò che qualsiasi persona decente avrebbe dovuto fare. Tarsus era un tiranno e la sua Epurazione era stata un crimine imperdonabile. Se Tigern fosse stato un uomo coraggioso, lo avrebbe sostenuto.

    Quanti nomi? chiese al contrario. Due sono sufficienti? Voglio la vostra parola che le loro famiglie saranno risparmiate.

    Intila disse di no scuotendo la testa. Non vi era ironia o malizia nella sua espressione, solo il pragmatismo di un soldato.

    Tigern, i Ribelli sono come i Draghi. I problemi che non causano oggi diventeranno due volte più seri domani. Ecco perché andiamo a caccia di Draghi ed ecco perché mi direte tutti i nomi. Nessuno escluso.

    Erano rimaste nascoste dentro una baracca per tre ore e i loro vestiti erano ancora bagnati. Avevano impiegato troppo tempo a cercare un posto dove nascondersi e per due volte si erano quasi imbattute nei pattugliamenti dei Legionari. In una piazza, dove Eliran credeva fosse il mercato della frutta, aveva visto il corpo di Allard che giaceva sopra una pozza di sangue scuro con gli occhi che fissavano l’infinito. Era l’unica ad averlo visto perché, riconoscendolo, aveva fatto voltare le ragazze ed erano scappate in un vicolo, lì si erano accovacciate al buio in attesa che i passi metallici dell’ispezione si dileguassero.

    Non sapeva esattamene cosa fosse quel posto, ma sembrava abbandonato e, almeno, le proteggeva dal vento tagliente. Per scaldarsi si accucciarono l’una accanto all’altra, ma Eliran si assicurò di essere l’unica a osservare la collina dove si ergeva la scuola.

    L’edificio era visibile attraverso la feritoia di una finestra chiusa, ma lo scenario era terrificante. Fiamme rosse, fumo nero, luci verdi, esplosioni blu e i rumori più sinistri che Eliran avesse mai sentito. Tutto ciò andava avanti da ore.

    Flara aveva pianto ininterrottamente per un’ora intera, così Sarina, Lassira e Tajiha. Ora dormivano sopraffatte dallo sfinimento. Eliran stessa si sforzò di rimanere sveglia come se lo spettacolo macabro fosse una vigilia la cui partecipazione era obbligatoria.

    Improvvisamente un rumore la distrasse. Fu solamente un crepitio, ma era vicino e fu sufficiente perché lo stomaco s’irrigidisse. Poi la porta si spalancò e un uomo con la barba grigia e incolta entrò nella baracca. Il volto assunse un’espressione confusa per un attimo.

    Cos’è questo? Cosa ci fate qui?

    Eliran scattò in piedi e così fecero le altre ragazze.

    Mi dispiace tanto. Pensavamo fosse abbandonata.

    Abbandonata? La mia casa?

    M... mi scusi, balbettò Eliran. Non volevo dire questo.

    L’uomo tirò a sé una ragazza, Rissa, per il braccio e la fece strillare.

    Chi siete? chiese.

    Eliran sentì il pericolo attraversarle il corpo, ma la prospettiva di tornare indietro sulle strade piene di Legionari non la entusiasmava.

    Abbiamo bisogno solo di trascorre qui la notte. Non vi procureremo nessun problema...

    Nessun problema? L’uomo avvicinò Rissa a sé e lei si contorse. Da chi vi state nascondendo? I soldati?

    Da nessuno. Eliran aveva gli occhi fissi su Rissa. L’uomo le stava chiaramente facendo male. Per favore, lasciatela andare.

    Dai soldati, non è vero? L’uomo sorrise. Sì... Voi siete piccole Streghe, vero? E se i Legionari vi cattureranno, vi spezzeranno il collo. A dimostrazione, prese il collo di Rissa e lo strinse.

    Lasciatela andare, ora! Eliran infilò la mano nello zaino e vi rovistò a caso, cercando la fiala di Runium. Ne avrebbe avuto bisogno per lanciare un incantesimo, per farlo addormentare, qualsiasi cosa.

    Zitta, piccola maga. Vuoi che i soldati ti sentano?

    Eliran armeggiava nello zaino. Afferrò monete, biscotti, altre monete.

    Starete molto buone se non volete fare la fine dei vostri insegnanti. Una volta ancora strinse il collo di Rissa sino a che non divenne violacea. Poi puntò Lassira. Tu, togliti la casacca.

    Come uno stormo di uccelli, ogni ragazza indietreggiò.

    Eliran stava per arrendersi e lanciare una manciata di monete sul volto dell’uomo, dov’era quella dannata fiala? Quando percepì qualcosa di freddo. Afferrò con le dita l’oggetto e sentì il metallo della lama. Disperata, lo estrasse e lo tenne davanti a sé in modo goffo.

    Gli occhi dell’uomo si spalancarono e solo allora capì che era ubriaco. Lasciò andare Rissa e avanzò verso Eliran. Puntava il coltello contro di lui, sfidandolo.

    Cosa credi di fare con quello?

    Era un uomo grosso e il naso portava i segni delle tante risse nelle taverne. Si avvicinò a lei con la mano pronta ad afferrarle il polso. Sulle prime Eliran indietreggiò in preda alla paura, poi contro la sua volontà. L’uomo la inseguì e la intrappolò in un angolo con le spalle al muro. All’ultimo momento Eliran avanzò anziché indietreggiare.

    Colto alla sprovvista, l’uomo non vide Eliran afferrare il coltello con entrambe le mani e maldestramente sollevarlo sino a che la lama non gli penetrò mento e bocca. Urlò dal dolore, afferrò il manico del coltello e lo estrasse. Uno zampillo di sangue fuoriuscì.

    Le apprendiste della maga furono colte dal panico e urlarono istericamente. Eliran stessa non riuscì a evitarlo.

    Terrorizzato dal dolore e dal sangue copioso, confuso dalle grida, l’uomo scappò via all’impazzata, andò a sbattere contro una finestra e vi cadde.

    Eliran afferrò lo zaino con fermezza, prese Rissa per mano e si affrettò fuori dalla porta. Le altre ragazze non ebbero bisogno di ricevere ulteriori istruzioni.

    Non fu difficile capire perché gli Incantatori si erano tanto raccomandati di uscire dai covi soltanto al sorgere del sole: le strade si riempirono rapidamente di persone e di vita. Eccetto i segni fisici della violenza dei giorni precedenti, ogni cosa sembrava essere tornata alla normalità. Un gruppo di bambini che scorrazzava per strada era un evento del tutto usuale. Comunque sia, la città era piena di Legionari ed Eliran ritenne opportuno lasciare le ragazze dietro un banco del pesce che, apparentemente, aveva perso il proprietario durante la rivolta.

    Accompagnata da Flara soltanto, Eliran cercò il modo per lasciare la città. Parlò con i mercanti che organizzavano il rifornimento da qualche parte al sud e chiese il prezzo per potersi nascondere sui carri di patate a un paio di contadini di un villaggio limitrofo. Aveva scoperto che c’erano carovane di spezie che si dirigevano a Saggad fra due giorni. Da ultimo arrivarono alla piazza di Fyria da dove si risaliva la Via del Mago: la strada che conduceva alla scuola di Magia. Flara era spaventata a morte e rimase accanto all’entrata di una locanda, ma Eliran camminò sino al centro della piazza. 

    Prima, fece finta di esaminare la statua al centro, dove cinque Cacciatori di Draghi avevano sconfitto un colossale Codacorta orientale. Poi, trovò il coraggio di raggiungere la direzione verso la Strada del Mago. Già da quella distanza era evidente che poco era rimasto del maestoso edificio. Soltanto una delle cinque torri si ergeva, ma ne mancava un terzo dell’altezza originale. Dalle rovine ancora si levavano colonne di fumo, e ciò che una volta era stato l’ingresso principale ora era polvere sotto gli stivali di una dozzina di Legionari. Erano schierati rigidamente e bloccavano l’accesso all’edificio che emetteva fumo.

    Eliran voleva vederlo, cercare i sopravvissuti nella struttura. E se ci fossero persone intrappolate nel basamento o nei tunnel sotterranei? Avrebbe potuto fare il giro sul retro, usare un incantesimo di distrazione o forse attendere il calare della notte...

    I suoi piani furono interrotti da Flara in panico.

    Per favore, usciamo da qui, implorò la bambina.

    Sospirando, Eliran fece quanto richiesto. Due di loro parlavano con una coppia riguardo ipotetici passaggi per uscire da Niveh e alla fine decisero di unirsi alle altre ragazze. Stavano esattamente come Eliran le aveva lasciate e apparivano persino più impaurite della notte precedente. Eliran si domandava se non fosse così anche per lei. Dopotutto, cosa stava per fare? Dove sarebbe potuta andare? Era sicuro tornare dalla sua famiglia a Ragara? E se l’Imperatore li avesse arrestati perché genitori di una ragazza con il talento?  Come si sarebbe guadagnata da vivere se fosse veramente rimasta da sola? Come avrebbe celato che era un’Illusionista per il resto della sua vita?

    Dove andremo? Eliran chiese alle ragazze.

    Dai loro sguardi si capiva che non si erano per niente poste tale domanda. Erano state tutte troppo grate di lasciare che Eliran si prendesse carico di tutte le loro decisioni. Non avrebbe potuto decidere anche questo?

    Non posso stabilire dove ognuna di noi deve andare, spiegò.

    Ma... non staremo insieme? chiese Rissa.

    Non possiamo, disse Flara Voglio andare a casa, dai miei genitori. Dovremmo tutte cercare le nostre famiglie.

    Sarina era d’accordo.

    La mia famiglia è stata arrestata, disse Tajiha con lo sguardo a terra.

    Dovremmo dirigerci a ovest, disse Larissa. Dicono che la scuola in Awam funziona ancora.

    È una bugia, replicò Flara. Nessuna scuola è sopravvissuta.

    Le venti apprendiste intrapresero una discussione sul fatto se fossero rimaste o no attive delle scuole, fino a che Eliran non le ridusse al silenzio con un urlo.

    Andremo a nord. Per evitare le Legioni, la via migliore per uscire dalla città è attraverso il fiume e il fiume va sia a nord sia verso le Montagne del Shamissai, perciò andremo a nord. Dopo, chiunque voglia andare per una direzione diversa potrà farlo. Chiunque voglia cercare i propri genitori potrà farlo. Chiunque voglia cercare la scuola ad Awam potrà farlo altrettanto.

    Furono tutte d’accordo e subito dopo si diressero verso le banchine. C’era un barcaiolo che intendeva trasportare barili di vino ad Augusta e la sua chiatta aveva spazio necessario per tutte loro e oltre.

    Venticinque corone dorate, eccole.

    Il barcaiolo prese le monete e le soppesò.

    Sì, ma ora fa cinquanta.

    Cinquanta? Eliran non ci poteva credere. Eravamo d’accordo per ventiquattro, due per ogni persona, e vi sto offrendo una moneta extra.

    Sì, ma quello era prima di sapere che eravate tutte bambine.

    Eliran sentì lo stomaco torcersi e il volto le divenne rosso come un peperone. Che differenza fa?

    Fa tanta differenza, replicò il barcaiolo. Non so se, per qualche ragione, state scappando dalle autorità... A dimostrazione di quanto diceva, fissò insistentemente i due Legionari che erano appoggiati al muro vicino.

    Eliran avrebbe voluto gettare l’idiota in acqua e guardarlo annegare. Invece, si voltò e infilò una mano nello zaino.

    Vediamo quanto denaro ho ancora, disse dandogli le spalle.

    Il barcaiolo sorrise.

    Eliran cercò per un po' e alla fine scovò la fiala di Runium che aveva disperatamente sperato di trovare la notte precedente. La aprì e ne bevve un sorso. Confusa, Rissa aprì la bocca, ma Flara gliela tappò prima che avesse il tempo di lasciarsi sfuggire qualcosa.

    Eliran tornò indietro per affrontare il barcaiolo.

    Ho esattamente ciò di cui avete bisogno.

    Tirò fuori la mano e il barcaiolo la guardò incuriosito. Quando Eliran aprì la mano, tutto ciò che l’uomo vide fu un flash di luce, più rapido di un battito di ciglia. Il barcaiolo era in estasi.

    Oh, mia signora. Per questo denaro vi porterò verso il sud di Aletia, se devo. Con un sorriso grande quanto il mondo, fece loro strada sulla chiatta. Di qua, per favore. Andate avanti, piccole signore. Attente al gradino. Bene. Sentitevi come a casa vostra.

    S’imbarcarono e si sedettero sul ponte. Tutte eccetto Eliran che rimase sul molo.

    Eli? Flara era confusa.

    Buona fortuna, ragazze. Spero di incontrarvi tutte un giorno.

    Il barcaiolo saltò sulla chiatta ancora sorridendo e si posizionò a poppa.

    Rissa sembrava stesse per piangere. Eli, dove andrai? Cosa c’è che non va?

    Prenditi cura di loro, Flara, disse Eliran, poi schioccò le dita e il barcaiolo sciolse l’ormeggio e condusse l’imbarcazione lontana dal molo.

    Eli, ti prego! implorò Rissa. Flara dovette tenerla.

    Eliran le salutò mentre la chiatta salpava, ma non fu capace di sostenere a lungo lo sguardo triste delle ragazze.

    Si voltò e se ne andò.

    Capitolo 1

    Il Mezzo Principe

    Aric poteva vedere l’interno del cortile, cinque livelli sotto di lui. Due uomini si aggiravano con le spade in alto, i corpi in tensione, pronti a entrare in azione. All’improvviso, il più basso colpì direttamente la testa dell’avversario. Il resto fu una confusione di spade di legno che sbatacchiavano l’una contro l’altra sino a che la finta lama di uno di loro non colpì il polso dell’avversario. Aric sentì un’altra serie di sferzate, ma questa volta erano proprio accanto a lui.

    La vostra classe è quassù, Principe mio. Il Vecchio Macael era forse l’unica persona che lo chiamava così.

    Il professore indicò la pergamena piena di figure geometriche e numeri. Aric osservò le dita a ramoscello ed esaminò i valori di fronte a lui, aggiunse alcuni numeri mentalmente, mosse alcuni pezzi sul proprio abaco, poi terminò con un sospiro, sconfitto.

    Macael gli diede un’occhiata molto espressiva, ma Aric non gli prestò attenzione. Giù sotto nel cortile interno assisteva a una piroetta che terminava con la spada che andava a scagliarsi invano contro uno scudo. Cosa gli importava dell’altezza del triangolo? E se era così importante, perché non poteva semplicemente misurarlo con un righello?

    Voi potete stare lì a sospirare tutto il pomeriggio, ma dovrò comunque farvi la lezione e, Principe mio, dovrete in ogni caso ascoltarla. Potreste prestare attenzione e imparare qualcosa.

    Perché non posso imparare come combattere invece? chiese Aric.

    Temo sia qualcosa che io non posso insegnarvi, replicò Macael.

    Aric sprofondò nella sedia con in braccio l’abaco.

    Non volevo dire questo, disse Aric mentre fissava il combattimento nel cortile.

    Lo so..., replicò Macael. La Dea dà a tutti noi un diverso ruolo da svolgere. Sta a noi apprezzarlo quanto più possiamo. Non bisogna invidiare ciò che fanno gli altri.

    In quel momento una spada colpì in pieno la testa di uno dei guerrieri nel cortile facendolo cadere a terra con l’elmo che gli sfuggiva via. Aric rise.

    La Dea avrebbe dovuto dotare Fadan di gambe più veloci.

    Questa volta fu Macael ad arrendersi e ad avvolgere la pergamena insieme ai cerchi, i triangoli e gli esagoni.

    Bene, credo di averne avuto abbastanza oggi di competere con la vostra attenzione. Potete andare.

    Il volto di Aric s’illuminò. Gettò l’abaco sul tavolo e volò verso la porta.

    Principe mio! chiamò Macael. Aric si fermò a metà strada dalla soglia. Sarebbe meglio che voi non vi avvicinaste troppo al cortile.

    Il volto di Aric si fece di nuovo cupo. Annuì e si dileguò.

    Intila, l’Alto Maresciallo delle Legioni dell’Imperatore, osservava la luce che penetrava dalla vetrata colorata alle spalle del massiccio tavolo di quercia dove il consiglio si riuniva. Il capolavoro di vetro consisteva in un dipinto assai colorato dell’assedio di Vittoria. Intila era sicuro che chiunque avesse vissuto l’esperienza dell’evento doveva aver visto solo questi colori: un arrido marrone e un rosso sangue. Eppure, sulla vetrata a tre piani l’ultima grande battaglia dell’unificazione dell’Impero sembrava più un tributo alla primavera che una rappresentazione fedele dell’assedio storico.

    Come consueto il Cancelliere Vigild lesse una lista interminabile di rapporti, missive, e documenti correlati, e così il Maresciallo colse l’opportunità per esaminare i frammenti che formavano la vetrata colorata, ognuno meticolosamente tagliato per ottenere una particolare forma. Calcolò che era la milionesima volta che lo faceva.

    Accanto all’Imperatore c’erano altre cinque persone che partecipavano alla riunione. Fressia, il Segretario dell’Imperatore, prendeva furiosamente nota di ogni cosa che accadeva. Scava, il Tesoriere, dormiva in silenzio. Il Siniscalco Daria organizzava diverse pile di documenti per preparare il verbale del consiglio. E, infine, vi erano l’Ammiraglio Cassen e la Guardia Fervus, due creature che Intila considerava più utili esattamente com’erano in quel preciso momento: l’espressione assente, lo sguardo perso e la bocca aperta.

    A quanto pare i nostri agenti in Imuria non sono impazziti. C’è veramente un re o un Capitano o in qualunque modo lo chiamino, che ha raccolto più di quindici tribù sotto la propria bandiera. Vigild lanciò il pezzo di pergamena sul tavolo come se stesse per sbadigliare.

    Naturalmente, gli Aletini sono in preda al panico. Afferrò un altro documento, ma fu interrotto all’improvviso. 

    Beh, sembra importante... disse Cassena, in modo insicuro. Forse dovrei allertare la Flotta Orientale? L’Ammiraglio fronteggiò Intila e cercò aiuto, ma non ottenne di rimando nemmeno uno sguardo, e si ritrovò invece a faccia a faccia con gli occhi penetranti dell’Imperatore.

    Tarsus era un uomo alto la cui carne era stata consumata dalle preoccupazioni ed erano rimaste solo ossa sotto la pelle pallida. I lunghi capelli, appena sotto le spalle, non erano più neri ma striati di grigio, proprio come la barba.

    Allerta? chiese Tarsus. A causa di mezza dozzina di selvaggi?

    L’Ammiraglio tremò e cercò di tirare fuori un: Cioè... è risaputo che, voglio dire, storicamente parlando, le unificazioni... Infatti, durante il vostro bis-bis nonno... no, prima di lui...

    Fu Intila che lo tolse dall’impaccio poggiandogli una mano sulla spalla per quietarlo. Il pover’uomo si afflosciò.

    Andiamo avanti... disse Vigild. Abbiamo la questione della riscossione delle tasse in Ake del Sud.

    Questione? chiese l’Imperatore.

    Ci sono stati problemi con la riscossione delle tasse tra i contadini in Ake del Sud, spiegò Vigild. Non vi è nulla di strano. Tali situazioni si possono verificare dopo un aumento delle imposte.

    Abbiamo aumentato le tasse? Quando?

    Due mesi fa, vostra Maestà, rispose Vigild.

    Da dove viene tale rapporto? chiese Intila.

    Non è un rapporto. È una lettera dal Duca di Ashan. Vigild ritornò al documento e lo lesse ad alta voce: Tumulti lungo l’altopiano, ecc. ecc. ecc... sono stato obbligato a mobilizzare le mie guardie ecc. ecc. che hanno marciato contro i contadini in rivolta...

    Il Duca di Ashan con un’armata? Che marciava? L’Imperatore all’improvviso impallidì.

    Per pacificare una rivolta, vostra Maestà, disse Intila.

    Scuse! Tarsus sbatté il pugno così forte sul tavolo che Intila era sicuro che l’Imperatore avesse del sangue sulle nocche. Il Duca Amrul è un traditore. Ha sostenuto e protetto apertamente i Maghi durante l’Epurazione. È una dimostrazione di forza. Si fermò un momento, con gli occhi puntati ossessivamente verso l’orizzonte. L’aumento delle tasse non è altro che una scusa. Probabilmente, intende sollevare la popolazione contro di me.

    I membri del consiglio si scambiarono delle occhiate. Non sicuro su cosa scrivere sulla minuta, Fressia chiese: Maestà... cosa... come dovrei verbalizzarlo?

    Tarsus V, Imperatore di Arrel, fece una pausa e studiò il volto di ognuno dei suoi consiglieri.

    È inaccettabile! disse alla fine. Non posso concedere a un Lord, che detiene qualche mezza dozzina di acri di terra, il diritto di comandare forze militari proprie.

    Il tavolo rimase in silenzio. Intila sentì la spina dorsale irrigidirsi e vide Vigild inarcare un sopracciglio.

    Maestà... è la distribuzione dei poteri. È sempre stato così... disse Intila.

    Che il fuoco si porti via la distribuzione dei poteri! esplose Tarsus. "Può esserci solo un potere nell’Impero. Quello dell’Imperatore. Distribuzione... ghignò. Che cosa vogliono i duchi e i conti con un esercito? Stanno pianificando di invadere un paese straniero? Intila si accinse a spiegare, ma Tarsus non lo permise. Vogliono sfidare il loro Imperatore! Ecco la distribuzione che cercano".

    Nessuno ebbe il coraggio di replicare e Vigild non ne aveva per nulla intenzione, ma Intila non riuscì a trattenersi.

    Maestà... abbiamo avuto questa discussione dozzine di volte. Vogliono proteggersi. Cercano una garanzia che l’Imperatore non esiga tutto per se stesso.

    "Avranno la mia garanzia che ciò non accadrà", argomentò Tarsus.

    Con rispetto, mio signore, ma dopo l’Epurazione... Intila improvvisamente sentì il bisogno di scegliere le parole con cura. Dopo la messa al bando della Magia... non capiranno.

    Tarsus diede un pugno sul tavolo una volta ancora. Sono passati dieci anni! L’Epurazione non è altro che un ricordo.

    Un ricordo di Ribellione e insurrezione, vostra Maestà. Migliaia di morti. Dozzine di casate nobili annientate. Per non menzionare... Intila s’interruppe per un istante, ma non fu per codardia. Per non parlare delle centinaia di Maghi che sono stati giustiziati.

    Traditori, tutti loro! Tarsus si voltò verso Vigild con uno sguardo infuriato. Voglio un abbozzo di legge entro un mese.

    Il Cancelliere annuì in segno di rispetto.

    Temo di dover protestare, vostra Maestà. Intila fece un respiro profondo e si apprestò a precisare, ma Vigild tagliò corto.

    Esempio di scenario peggiore: ogni conte e ogni duca sollevano le proprie armate contro l’Imperatore. Tarsus s’irrigidì appena lo sentì e Vigild continuò. Le Legioni non dovrebbero essere in grado di contenerli?

    Se non fosse un uomo tanto orgoglioso, il Maresciallo si sarebbe risentito per una simile domanda.

    Se le Legioni si mettessero in marcia nessun esercito le fermerebbe, dichiarò il Maresciallo. Scaleremmo le Montagne Phermian con le mani nude, le attraverseremmo a piedi, distruggeremmo le forze combinate degli Imuriti e degli Aletini e occuperemmo l’intera Arkhemia, se l’Imperatore lo volesse. Ma questo è...

    Allora siamo perfettamente preparati per l’esito peggiore. Vigild sorrise. Fece un cortese inchino all’Imperatore. Farò preparare la bozza di legge che avete ordinato, vostra Maestà.

    Tarsus apparve sollevato e Intila si abbandonò sulla sedia con un sospiro. Si voltò verso le vetrate colorate alle proprie spalle, dove la battaglia di Vittoria ancora infuriava in modo pittoresco. La sua mente era piena d’innumerevoli cadaveri che pendevano dalle forche dell’Imperatore, oceani di fiamme che inghiottivano intere città e fiumi di sangue che ricoprivano le strade.

    Aric corse giù per le scale a spirale della Torre Verde. I Maghi dell’Imperatore l’avevano definita la loro casa in passato, ma soltanto una dozzina d’istruttori ora ci vivevano, tutti non Maghi. Appena giunse alla base della torre, corse verso il cortile del Palazzo Centrale e s’intrufolò in uno dei corridoi che alimentavano le centinaia di stanze dell’edificio. Salì due piani e raggiunse il corridoio più lontano dell’ala ovest. Il sole era così basso che era quasi impossibile fissarlo dritto dalle finestre, e lunghi i muri erano disposte delle statue di pietra raffiguranti persone dalle dimensioni reali.

    Aric attraversò il corridoio. Superò un generale con il leone imperiale che gli ruggiva sul petto, un cancelliere che leggeva una pergamena, un Cacciatore di Draghi con una lancia sopra la spalla e, alla fine della fila, si fermò davanti a un contadino che brandiva una forca con una mano e la bandiera di Arrel con l’altra. Non si preoccupò per nulla di controllare che non lo stesse guardando nessuno prima di rimuovere la bandiera dalla mano del contadino, sciolse la stoffa con lo stemma di Arrel e corse indietro verso le scale con l’asta della bandiera in mano.

    Saltò giù per le scale volteggiando precipitosamente mentre faceva oscillare l’asta da un lato all’altro. Sferzò l’aria, la schivò e si fece largo, abbattendo una dozzina di nemici, sino a che non atterrò di nuovo nella grande sala. In quel momento, la porta cigolò e Fadan, tutto bardato da soldato, si fece avanti seguito dal suo istruttore di combattimento. La testa era avvolta in bende insanguinate.

    Aric! lo chiamò con un sorriso. Ho subìto una bella batosta oggi.

    Aric contraccambiò il sorriso. No, sei stato grande.

    Hai guardato?

    Ero a lezione con il vecchio Macael.

    L’istruttore di Fadan si mosse a disagio, ma non ebbe il coraggio di interromperli.

    Oh, allora devi aver visto tutto il mio allenamento. I due risero. Fadan indicò con il mento l’asta della bandiera. Stavi facendo pratica?

    Aric nascose l’asta dietro la schiena. No... certo che no. Arrossì.

    Fadan non fu capace di replicare e tra loro calò un silenzio spiacevole, una voce approfittò del momento di silenzio.

    Il Principe dovrebbe lavarsi. La cena sarà servita a breve.

    Fadan alzò gli occhi al cielo. Talvolta, avrebbe giurato che Sagun stesse spiando ogni sua mossa.  Si congedò da Aric e uscì seguito dal proprio istruttore. Quest’ultimo fu fermato da uno sguardo penetrante di Sagun.

    La prossima volta non permettete che le loro conversazioni durino così a lungo. Additò Aric come a volerlo mettere da parte. Afferra il ragazzo e trascinalo via se ce n’è bisogno. Si congedò dall’istruttore e si voltò verso Aric. Non è opportuno che tu ti attardi con il Principe. L’Imperatore è molto puntuale.

    Non è altrettanto opportuno parlare di qualcuno come se non fosse presente al momento quando invece lo è.

    Gli occhi del Castellano si socchiusero. La tua cena sarà pronta nelle cucine. Puoi andare non appena... abbassò lo sguardo sull’asta della bandiera di Aric ...avrai finito l’addestramento con quell’arma.

    Sagun si voltò facendo volteggiare la treccia nera mentre si allontanava.

    Aric lo seguì con gli occhi immaginandosi un migliaio di modi su come utilizzare il proprio addestramento con quell’arma contro Sagun.

    Il sole si attardava a tramontare, perciò Aric vagò in giro per il castello. Girovagò tra i corridoi e le trombe delle scale, visitò le sale vuote e sbirciò dalle serrature delle porte inamovibili. Era un rituale familiare: lo faceva durante quasi tutto il suo tempo libero. A volte avrebbe voluto lasciare il Palazzo Centrale e andare a visitare uno dei palazzi più piccoli della Cittadella. Quelli vuoti erano i suoi preferiti.

    Si sedette su un bastione e osservò il sole scomparire dietro le innumerevoli torri della città di Augusta. Poi considerò di fare visita a sua madre, ma probabilmente lei si stava preparando per la cena. L’Imperatore esigeva che lei fosse sempre incantevole. A volte però lei si congedava dal pasto, affermando di non star bene, poi cercava un modo di dirlo ad Aric: a quel punto lui si sarebbe introdotto furtivamente nella sua stanza e avrebbero desinato

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