Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'ombra della menzogna
L'ombra della menzogna
L'ombra della menzogna
E-book721 pagine10 ore

L'ombra della menzogna

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Non sempre è la vecchiaia a raccontare il crepuscolo della vita e, in merito a questa verità, Lisa aveva presto acquisito profonda consapevolezza a proprie spese.
Polverosa e oscura sapeva essere anche la piena giovinezza poiché, dopo aver conosciuto e amato i seducenti fasti della gloria in anni ancora acerbi quale plaudita protagonista adolescente di un celebre programma televisivo seriale, alla conclusione dello stesso la fortuna e la fama erano fuggite veloci come lo scorrere delle sabbie del tempo che ne avevano decretato il passaggio all’infelice e anonima età di donna.
Un incontro con due persone apparentemente comuni e gentili, marito e moglie, sembra tuttavia offrirle una via d’uscita, una seconda possibilità per reclamare e riprendersi ciò che oramai considerava le spettasse e per sempre le fosse dovuto ma, dopo un felice e incoraggiante principiare, la realtà non tarda a presentare il caro prezzo della sua iniziale e fugace benevolenza.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2021
ISBN9791220805155
L'ombra della menzogna

Correlato a L'ombra della menzogna

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'ombra della menzogna

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'ombra della menzogna - Alessandro Rubini

    fine.

    L'OMBRA DELLA MENZOGNA

    © 2021 di Alessandro Rubini

    Tutti i diritti riservati

    Ogni riferimento a persone esistenti e/o decedute e/o a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

    Tutto ciò contenuto in questo libro è frutto esclusivo della fantasia dell’autore.

    Menzogna: alterazione della verità perseguita con piena consapevolezza e determinazione.

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    Questo all’incirca sarebbe potuto essere il dialogo intercorso in quella manciata di secondi tra i due giovani attori in quella vecchia ma ancora verde serie comedy degli anni ottanta, questo o un qualsiasi altro possibile tra le infinite combinazioni di parole generate dalle lettere dell’alfabeto.

    Tuttavia Lisa tutto ciò non aveva modo di saperlo perché l’apparecchio televisivo non emetteva alcuna voce, mostrando in luogo di ciò l’icona lampeggiante dell’altoparlante sbarrato da una linea obliqua rossa sul margine alto a sinistra dello schermo alimentato dal voluminoso tubo catodico che gli stava alle spalle.

    L’elettrodomestico però non si trovava in quella particolare condizione di silenzio in quanto la donna fosse impegnata in una qualche attività fisica o mansione che richiedesse una completa attenzione da cui il mezzo di intrattenimento avrebbe potuto distoglierla.

    Ella poi non era nemmeno immersa in una qualsivoglia discussione con altre persone presenti nel salottino ben arredato per cui questo avrebbe coperto il loro colloquiare dato che si trovava sola in quella piccola stanza a parte la vivace Lulu, una femmina di fox terrier di sette anni dal pelo corto e dal perenne appetito la quale, per quanto fosse intelligente e interessata alla sua persona, non le poteva certo rispondere a tono in un’amabile chiacchierata.

    In ultimo, neppure il telefono cellulare in stand-by sul mobiletto rettangolare davanti alle sue gambe accavallate era la ragione per cui era stato premuto il tasto nero del muto sul telecomando ma, molto più semplicemente, lei stava pensando.

    In realtà dire che cosa in quel momento catturasse la sua totale concentrazione era impossibile tanto quanto provare a indovinare esattamente le parole di poc’anzi e, soprattutto, ne valeva ancora meno la pena.

    Ciò che al contrario diventava fondamentale era comprendere l’orrore e la bestialità, mascherati da una maggior comprensibile superficialità figlia dell’ignoranza, da cui scaturiva il recondito errore nell’affermare che stesse unicamente limitandosi a una banale attività intellettiva comune alla specie di appartenenza, troppo spesso sottovalutata per il suo intimo palcoscenico e per l’immensa platea dei suoi interpreti talvolta non pienamente all’altezza di tale oneroso compito.

    Ma per Lisa non era andata sempre così, c’era stato un tempo in cui aveva vissuto felice e spensierata, un tempo molto lontano che quasi si faceva fatica a credere che fosse realmente trascorso se a ricordarglielo non ci pensassero alcuni album fotografici dalla carta ingiallita e, soprattutto, svariate vecchie videocassette VHS e giusto un paio di rare Betamax infilate una al fianco dell’altra assieme ai primi.

    Il tutto era contornato da molte e vecchie riviste e pochi libri, più che altro testi scolastici e di viaggi, oltre a qualche ninnolo di vetro e metallo di dubbio gusto e originalità nella polverosa libreria in legno truciolare rivestito di carta melamminica che si trovava proprio sul lato destro rispetto a un importante divano Chesterfield three seater brown, abbinato a un’affine poltrona queen Anne antique green leather, sopra il quale era seduta durante quegli infernali momenti.

    I lunghi nastri neri da mezzo pollice, tutti quanti ordinatamente arrotolati fino all’ultimo centimetro sulle rispettive bobine debitrici dopo infiniti benché lontani passaggi in direzione delle raccoglitrici, oltre a mostrare segni di usura da funzionamento data da quest’azione di strisciamento davanti le testine dei lettori a cui si associava l’inevitabile e incontrollabile processo di decadimento qualitativo promosso dall’inarrestabile e irreversibile correre del tempo, palesavano in alcuni tra essi anche un principio di incollatura della fettuccia magnetica.

    Questi elementi di supporto, protetti dalla sovrascrittura per mezzo del dispositivo meccanico attivato dall’apposito posizionamento della linguetta scorrevole presente sui loro involucri di materiale plastico scatolato, raccontavano in puntuali registrazioni pubbliche a puntate da trenta minuti l’una stralci della sua invidiabile vita di mirabile e prodigiosa adolescente, impegnata nella complessa ma ottimamente eseguita interpretazione del ruolo di una giovane coetanea alle prese con i piccoli e grandi problemi di quell’età così particolare e a tratti difficoltosa.

    A essi si sommava la staticità delle numerose immagini, specialmente fotografie istantanee Polaroid dalle caratteristiche misure dei riquadri interni delle stampe alquanto sbiaditi dagli anni e, per il quale trascorrere, certuni avevano acquisito singolari venature tendenti alla cromia bluastra.

    Gli scatti, appiccicati tramite l’esigua ma sufficiente quantità di una leggera pressione di colla stick esattamente nel centro del loro bianco retro a sottili supporti cartacei trattenuti insieme da rilegature con copertine rigide cartonate e sovraccoperte, incorniciavano silenziosamente sopra quell’affaccio di cellulosa dal sipario abbassato la triste storia della parabola percorsa dalla sua vita che, ora apparentemente giunta nella ripida e ultima fase di disperata discesa, sembrava non poter usufruire di manifesti appigli o freni capaci di rallentare la propria solitaria corsa in picchiata.

    Erano passati precisamente undici anni, undici lunghi anni di esistenza e fatti volati nella percezione di un attimo da quel lontano settembre del millenovecentosettantaquattro in cui era stato trasmesso per la prima volta l’episodio pilota di ciò che poi, nelle otto brillanti e seguitissime stagioni successive che da questo si svilupparono, si era dimostrato essere uno dei telefilm più appassionanti e amati di quel periodo e che tuttora contava una moltitudine di estimatori e affezionati i quali, entusiasti, guardavano con nostalgia le repliche ciclicamente ritrasmesse dalle reti di molti Paesi seppure oramai ne conoscessero quasi a memoria trame e battute.

    Alla prima messa in onda ella aveva da poco compiuto tredici anni, i suoi primi e forse tra i più bei tredici anni fra i multipli a venire, ed era poco più che una bambina, una bellissima giovane ragazza dal corpo ancora acerbo e dal viso angelico incorniciato da graziosi ricci castani e impreziosito da profondi occhi azzurri grandi come due finestre che regalavano un piccolo e affascinante scorcio sulla purezza e la pulizia del suo animo.

    Cionondimeno era anche dotata di un talento cristallino, già allora ampiamente palese, capace di lasciar intravedere fin da subito il potenziale di cui era dotata per diventare una neonata stella dall’immaginabile roseo futuro di successo.

    Tutto quanto all’inizio aveva rappresentato qualcosa di nuovo e fantastico; lo sceneggiato era incentrato sulla straordinaria ordinarietà di una famiglia media e contemporanea dell’epoca composta da un padre impiegato in un’azienda alimentare, una madre casalinga che dava lezioni di matematica per arrotondare lo stipendio del marito e, a completare il nucleo domestico, due figli.

    Il più grande, un maschio appena maggiorenne che impacciato si affacciava all’universo degli adulti e del lavoro e lei, la piccola di casa, in piena età scolare ma non per questo con una quotidianità meno impegnativa o banale e che infatti dava la possibilità al suo personaggio di mettersi spesso in luce per intere puntate con parti da comprimaria.

    Nel prosieguo delle stagioni aveva imparato a conoscere meglio nonostante la verde generazione alcuni dei meccanismi che stavano dietro alle telecamere e la realtà, talora non sempre così fiabesca, celata da quella patinata finzione.

    Ciò però non aveva guastato il suo divertimento e la passione per quel mondo, certo, l’entusiasmo per la novità un poco si era perso com’è ovvio che fosse col passare del tempo, ma non il piacere di fare un mestiere sicuramente speciale e fonte d’interesse e ammirazione da parte del grande pubblico.

    Probabilmente in ragione del suo aspetto dolce e carino e del sentimento di tenerezza conseguenza di questo in grado di renderla amabile, o forse per via dell’idea di ingenuità e candore che riusciva a trasmettere allo spettatore, fatto sta che Janet, questo il nome della carezzevole adolescente da lei interpretata, era senza ombra di dubbio una delle starring più apprezzate fra tutti gli elementi di quella rappresentazione seriale.

    Tuttavia la notorietà che l’aveva investita dal giorno del debutto a seguire era come una gigantesca bolla infrangibile che la circondava trattenendola al suo interno e da cui non riusciva mai ad allontanarsi per vivere la normalità di una qualunque coscritta, lei difatti per tutti quanti rimaneva sempre l’incredibile Janet della televisione, a scuola con i compagni di classe e fuori con gli amici.

    Anche i parenti tendevano a confondere le due cose e avere un occhio di riguardo verso la celebre congiunta, senza contare gli impegni pubblici a cui era chiamata a presenziare per incontrare ammiratori, fare promozioni e firmare autografi che amplificavano in lei la percezione della sua eccezionalità riconosciuta come tale dall’intera comunità artistica e non solo.

    A Lisa comunque non dispiaceva per nulla essere associata continuamente e senza distinzioni a quel soggetto di fantasia, questo infatti le consentiva di venir coccolata e viziata come una prima donna seppure non ne avesse mai avuto gli sgraditi e altezzosi atteggiamenti poiché, in verità, non le appartenevano per indole.

    Nondimeno dunque la considerazione e le premure nei suoi confronti umanamente solleticavano il suo amor proprio e il compiacimento innocente di sé e delle rispettive abilità personali, esattamente per la moderazione attraverso la quale codesti sentimenti si manifestavano, non potevano con assennato criterio erroneamente definirsi riconducibili alla colpa capitale di un’espressione di superbia.

    Anche con i colleghi aveva una buona comunicazione, in generale si percepiva una bella atmosfera e, addirittura, il suo primo vero e timido bacio avvenne proprio sul set davanti alle telecamere con un altro attore di fronte a quello che doveva essere l’ingresso del garage di casa.

    Non esistevano nei riguardi di alcuno grosse invidie, non evidenti almeno e, probabilmente, ciò accadeva perché nessuno aveva la capacità di primeggiare sugli altri.

    Dunque il loro lavorare in sinergia si poteva quasi definire pari a quella di una vera famiglia sebbene, fra i membri del cast, non esistessero nemmanco alla lontana legami di consanguineità.

    L’endogamia pertanto non rappresentò un ostacolo quando sul finire del sesto anno dalla messa in onda Lisa si fidanzò in modo ufficiale, dopo molti mesi di voci di corridoio prontamente smentite da entrambe le parti, con l’attore più grande di lei di quasi nove anni che impersonava suo fratello.

    Il legame tra la coppia si protrasse da quel momento per circa un biennio, l’equivalente delle ultime due stagioni delle riprese, e fu una storia intensa oltre che felice.

    Un periodo ricco di giorni splendidi e spensierati in cui, giovani, belli e famosi, credevano di avere l’ossequiante mondo intero alla base di quei piedistalli dorati sopra i quali erano stati posti da quella medesima collettività.

    La fine di quel sogno d’amore si dimostrò però essere un colpo duro da incassare per la ragazza la quale, davvero, aveva messo tutta se stessa in quella relazione.

    Se da un lato il fatto di non pagare lo scotto di trovarsi quotidianamente davanti l’ex fidanzato, giacché infatti non dovevano più registrare insieme alcun episodio essendo la serie giunta alla fine del suo naturale ciclo non avendo più nient’altro da raccontare, dall’altro il non disporre dello sfogo dell’attività lavorativa a cui dedicare le proprie energie e pensieri per provare a cercare di distrarsi si rivelò cosa assai nefasta per la sua salute psicofisica.

    Si sentiva incredibilmente persa, dopo otto anni di quella invidiabile routine il non recarsi agli studi, non rivedere gli altri colleghi e i numerosi addetti ai lavori che si adoperavano silenziosi e solerti dietro le quinte permettendo il regolare svolgimento di quello spettacolo e con molti dei quali aveva stretto un sincero rapporto di stima e amicizia fu, realmente, un trauma non indifferente per la giovane artista.

    Le mancava terribilmente non potersi più affidare alle sapienti mani di parrucchieri, truccatori e stilisti capaci di valorizzare al massimo quelle sue doti che il pubblico tanto apprezzava e, persino, il non dover più spendere ore a memorizzare la sceneggiatura sapendo quanto fosse importante cercare di commettere il minor numero di errori possibile affinché, come veniva loro costantemente rammentato dalla produzione, non si sprecasse in inutile girato la pellicola cinematografica caratterizzata da un elevato costo di gestione.

    Un compito che, appunto, non considerava gravoso o noioso avendo scoperto la passione per la lettura e lo studio in genere e, soprattutto, reso ancora più leggero dall’importante onorificenza raffigurata dalla vittoria del Primetime Emmy Award assegnato loro per la migliore sceneggiatura prima dell’inizio della terza stagione e, grazie al quale, tutti gli sforzi profusi del gruppo di lavoro erano stati ampiamente ripagati motivandone ulteriormente l’applicazione.

    Nutriva nostalgia per le telecamere e i riflettori, le spiegazioni del regista e le relative discussioni talvolta lunghe ma spesso costruttive su come interpretare al meglio una scena, i ciak delle azioni e, finanche, il buon odore del caffè e delle ciambelle calde sempre presenti in abbondanza negli studi grazie alle costanti forniture degli scattanti stagisti per quanto, in verità, neppure ne usufruisse.

    Avvertiva inoltre l’assenza del caloroso e partecipe pubblico che a partire dal quarto anno aveva sostituito con la sua viva e cangiante presenza le risate e tutti gli altri effetti registrati e utilizzati di prassi come sottofondo nelle serie di quel periodo per rimarcare con effetti a dir poco sorprendenti passaggi pregni di significato e sottolineare battute o situazioni buffe, insomma, aveva nostalgia di ogni cosa che le rammentasse lo stare al centro dell’attenzione.

    Aveva cercato fin da subito di procurarsi altri ingaggi bussando finanche di proprio pugno a molte porte di direttori di casting, cineasti e produttori ma, sebbene si fosse anche dichiarata disponibile a ridurre fortemente il suo cachet, non ottenne alcun riscontro positivo.

    Il suo agente, uno dei più quotati in circolazione al tempo e il quale gestiva l’immagine e gli interessi di molti tra i suoi colleghi trovandosi sulla breccia da decenni prima di cadere successivamente anch’egli in disgrazia per problemi finanziari legati a debiti di gioco, andava ripetendole, perlomeno all’inizio, di non preoccuparsi troppo e che l’occasione giusta prima o poi sarebbe giunta.

    In cuor suo invece Lisa temeva che le stesse succedendo ciò che prima che a lei era capitato anche ad altri attori, ovvero recitando per interi anni la stessa parte lo spettatore medio tendeva ad associare indissolubilmente la persona al personaggio e, di conseguenza, non accordava al suo interprete di esprimersi in altre esecuzioni dacché indesiderate e quindi prevenuto sul giudizio delle stesse.

    Questo costringeva la vittima di tale involontaria crudeltà, per il solo peccato di aver a lungo incarnato un ruolo, alla perenne testimonianza di una condizione di forzato esilio dall’amata professione, intrappolato senza uscita nell’aurea prigione di un reliquiario sopra una lucida e fredda mensola eburnea di alabastro gessoso.

    D’altro canto non aveva altre opzioni di cui disporre, aveva tentato di percorrere la coraggiosa e abbastanza insolita via dell’autonomia come quella di maggior consuetudine dell’interposto soggetto attraverso il procuratore ma, entrambe le scelte, non avevano portato a nessun risultato concreto.

    Solamente si erano alimentate inutili attese focolai di logoranti ansie, false speranze contraddistinte da una tangibilità più fisica di un contratto scritto a cui, tuttavia, non era forse in grado di ottemperare fino in fondo con l’esaustività e la risolutezza di cui necessitavano.

    Non le rimaneva comunque che attendere sforzandosi di riporre fiducia verso il destino che fino a quel momento aveva risposto solamente con al momento non sono previsti ruoli adatti a una figura come la sua, ma terremo senz’altro in considerazione la candidatura nell’eventualità si prospetti l’evenienza e grazie della cortese disponibilità, le faremo sapere qualcosa al più presto, o altre variabili poco o nulla disuguali dalle precedenti, tanto nelle forme quanto segnatamente nei contenuti.

    A questo riguardo ricordava tutt’oggi le belle parole di conforto e ottimismo che un collega le aveva rivolto all’ultimo giorno delle registrazioni per cercare di consolarla, quando sul finire delle riprese i suoi occhi e quelli di molti altri lasciavano trapelare il velo umido della commozione per l’epilogo della serie.

    Un’osservazione che in buona sostanza cercava di rincuorarla spronandola a guardare quella congiuntura non come il momento che decretava la conclusione di un capitolo ma, viceversa, l’inizio di una nuova storia ancora tutta da scrivere con il medesimo impegno ed entusiasmo che aveva finora impiegato in quel bellissimo lavoro.

    Malauguratamente però quel signore più grande di lei, il quale nello sceneggiato televisivo incarnava il posato e saggio padre, per quanto con questa onesta dichiarazione aveva mostrato un affetto nei suoi riguardi pari a quello recitato sul set nella parte di amorevole genitore, non poteva sapere di essere terribilmente in errore e, oramai, neanche lei più capiva per quale motivo si ostinasse a voler continuare a sbattere la testa contro un muro di rifiuto e indifferenza con la certezza che prima o poi se la sarebbe rotta.

    Forse perché credeva fosse meglio battere il ferro fintantoché questo ancora fosse stato caldo ma, al di là del consunto modo di dire, le appariva innegabile che solamente quando si perde qualcosa ci si rende veramente conto di quanto sia importante per noi giacché, soltanto mentre interpretava la sua arte, aveva l’impressione di essere al proprio posto.

    Al contrario adesso tutto quel tempo trascorso a non fare nulla all’infuori di tenere gli occhi aperti e poi dormire in un’infinita alternanza l’aveva fiaccata e stremata più di scavare diamanti nelle profondità delle antiche miniere di Golconda, tant’è che si percepiva svuotata e logora, come un cavallo vecchio buono solo per far colla.

    Da qualche parte si doveva però pur ricominciare, si sentiva nata per suonare quella musica che aveva dentro ed era troppo forte per fingere di non udirla, fosse essa una melodia felice oppure triste, un vivace o un adagio questo non aveva nessuna importanza, ciò che veramente contava era esprimerla con tutta se stessa e che le sue dita snelle ritrovassero l’amato strumento per poter di nuovo imprimere il loro talentuoso movimento ritmico e leggiadro.

    Oltretutto sussisteva in lei l’obbligo morale di non ritenere la propizia e fausta circostanza una chimera poiché, anche il suo oramai lontano esordio, era stato caratterizzato da un’inaspettata sorte collaborativa.

    Il giorno seguente al suo compleanno il padre, che lavorava da trent’anni come ragioniere per l’azienda che si occupava di fare le pulizie negli studi e negli uffici della rete televisiva, l’aveva portata in visita agli stessi per sottoporla ai serrati provini in corso per selezionare i protagonisti di una nuova serie in produzione.

    Verosimilmente si era trattato più di una sua personale curiosità nei confronti dei meccanismi di quel mondo che conosceva unicamente attraverso l’inchiostro dei timbri sulle intestazioni degli assegni e sulle fatture di pagamento, anzichenò per una concreta speranza di vedere la sua secondogenita diventare famosa.

    Difatti, anche il solo pensare di riuscire a superare lo scoglio di quella durissima selezione a cui partecipavano migliaia di coetanee e molte delle quali sulla carta pure decisamente favorite rispetto alla figlia, era quantomeno definibile velleitario.

    Ad ogni modo, al contempo, non poteva nemmeno pretendere nulla dal destino, non si doveva da esso esigere una seconda occasione dopo che già una prima volta era stato benevolo nei suoi riguardi donandole molto, forse anche in quantità eccessiva se rapportato a ciò che invece avrebbe merito.

    Oltretutto aveva l’impressione che questo, con una punta di ironia dalla quale purtroppo talora è contrassegnato, come un creditore stanco di aspettare si fosse già mosso per recuperare parte di ciò che gli spettasse in cambio dei suo favori, andando a prendersi proprio quel genitore che ne aveva accompagnato i primi tentennanti passi lungo quel sentiero lastricato dello stesso successo che ora pareva sgretolarsi e sollevarsi come le lastre rocciose di un porfido malamente messo in posa.

    Precisamente all’avvio della penultima stagione l’uomo si era ammalato gravemente e nel giro di meno di due mesi scomparve all’effetto dei suoi cari, lasciando nel cuore della ragazza oltre a un grande dolore anche una preoccupante sensazione a cui contribuì in maniera decisiva un altro accadimento il quale si era innescato diverso tempo prima, ma che era però giunto alla sua temuta ed evidente espressione esattamente in concomitanza con la triste dipartita.

    Nello specifico poco in precedenza agli inizi delle riprese di quell’anno era stata contattata dalla dirigenza del programma che le propose di lasciare la serie, la quale godeva comunque ancora di buona salute sebbene gli ascolti oramai non raggiungessero più i picchi dei del primo quinquennio, per incominciare un’avventura tutta nuova prendendo parte a uno spin-off assieme a un suo giovane collega.

    La sua controparte televisiva a questo punto era cresciuta, non solo di fama, ma anche in termini di anni, e la storia narrava di come una volta raggiunta la maggiore età si era sposata con un musicista e trasferita in un’altra città dove i due vivevano la loro fresca vita di coppia cercando nel frattempo di emergere nelle corrispettive e rampanti carriere.

    Onestamente ricevuta la notizia le era parsa una cosa bella anzi, a seguire fu letteralmente entusiasta della novità.

    Forse in modo un po’ vanitoso si era convinta di essere stata scelta in quanto riteneva che la sua figura sullo schermo meritasse un programma appositamente dedicato in cui garantirle maggiore attenzione e tutto da sviluppare ma, se con ogni probabilità non si stava sbagliando nel reputare fossero queste le motivazioni che avevano spinto gli autori a intraprendere quella strada, ciò che invece fu certamente ingenuo e arrogante fu considerare a priori una sicura affermazione l’esito di un progetto nuovo prima ancora che lo stesso dovesse venir prodotto.

    Vennero registrati quattordici episodi ma, già dopo i primi quattro o cinque, si era capito che qualcosa non funzionava a dovere.

    Il programma non decollava, non comprendeva se fosse dovuto a lei o all’altro coprotagonista oppure la causa risiedesse nella sceneggiatura non all’altezza ovvero piuttosto sussistessero differenti motivazioni che non coglieva, fatto sta che lo show non aveva il seguito che ci si aspettava e i telespettatori andavano rapidamente scemando tant’è che, decisione a quel punto oramai largamente prevedibile, le ultime quattro puntate non vennero nemmeno mandate in onda e la serie venne cancellata dal palinsesto.

    Per lei fu una grandissima delusione, un fallimento professionale ma anche umano e, se la produzione non le fece pesare apertamente la cosa muovendole alcun genere di critica, recepì in ogni caso una celata disapprovazione nei suoi riguardi.

    Del resto anch’ella faceva parte dell’equipaggio di quella barca appena varata e non poteva esimersi dall’assumersi le sue responsabilità per il deprecabile e inglorioso affondamento, un naufragio avvenuto quando ancora il porto dal quale avevano preso la via delle acque rimaneva a portata di vista dalla loro poppa mentre questa rapida e per ultima s’inabissava.

    L’infelice accaduto non la fece però rimanere disoccupata, non da subito almeno.

    Diversamente dal suo partner di scena che fu licenziato anzi, come preferivano esprimersi i responsabili del casting lasciato libero, la ragazza venne invece nuovamente spostata e fatta rientrare con una futile ragione per la trama nella serie principale la quale, comunque, si apprestava anch’essa a chiudere i battenti con l’ottava e ultima, nonché francamente insipida, stagione.

    Lisa reputò la cosa una magra consolazione, la morte del padre e l’insuccesso lavorativo furono come una micidiale sveglia la quale, d’improvviso, la destò dal torpore del sogno che stava vivendo dalla sua torre d’avorio.

    Non aveva mai avuto la prosopopea di pensare di essere perfetta o invincibile o intoccabile e, ovviamente, ben sapeva come tutto ciò che era terreno fosse corruttibile e destinato per tale natura ad avere presto o tardi una fine.

    Cionondimeno la forza e la durezza abbinate alla rapidità con cui venne richiamata alla cruda realtà ebbero la facoltà di annichilire il suo spirito, spingendola a temere che ciò che stava subendo altro non fosse solamente che il preludio, il timido ma tenace inizio dell’indelebile e ultima parola fine a tutto quanto lei amava e per il quale, con grande sacrificio, si era impegnata fino a quei dolorosi e sventurati giorni.

    Era sempre stata una bella ragazza e, fondamentalmente, lo era tuttora.

    Crescendo, tuttavia, sembrava si stesse guastando come talvolta avviene a un bel frutto in procinto di raggiungere la piena maturazione, negando la speranza e tradendo le aspettative di chi ha coltivato il terreno sopra il quale la drupa si è nutrita e che si è adoperato curandone lo sviluppo e proteggendola dal male degli infestanti e dei parassiti.

    Le fattezze fanciullesche capaci di fare breccia nel cuore di centinaia di migliaia di fan si stavano perdendo alle sue spalle come gli anni migliori, il tutto per lasciare spazio ai lineamenti decisamente più marcati e meno soavi dell’età adulta.

    Il naso, la bocca, le guance e il viso tutto avevano cambiato fisionomia smarrendo quell’espressione di genuina tenerezza che ispiravano, i capelli si erano scuriti perdendo le sbarazzine ciocche di tonalità castano chiaro e perfino gli occhi, che ora necessitavano di due spesse lenti per garantire la loro completa funzionalità, anziché gioia e spensieratezza tradivano allo sguardo la tristezza del presente e la malcelata paura e sfiducia verso il futuro.

    A questi cambiamenti del suo corpo, che seppure fossero indesiderati facevano parte del fisiologico divenire e in quanto tali doveva limitare se stessa al silente accoglimento, se ne sommavano altri non intrinseci al susseguirsi degli autunni ma, appunto, esulanti dal diretto trascorrere del tempo.

    Essi consistevano nei riflessi nocivi e deleteri causati dall’impatto del lutto familiare e dal declino della sua professione artistica, in aggiunta alla pesante solitudine per la fine della relazione sentimentale, che gravavano in triade nei confronti di una mente indifesa ed espugnata.

    Lo stress la divorava, ne consumava forze e anima al pari di una malattia maligna a cui non vi è rimedio avvizzendola come un fiore reciso e separato dal suo apparato radicale e, purtroppo, pareva che il pigro e sofferente succedersi dei mesi non allontanasse l’ingombrante presenza raffigurante le origini di quel male.

    Questa, piuttosto, viveva un’esuberante recrudescenza la quale, in special modo, interessava il cupo tramonto della sua carriera nell’ambito di quel cinico e dimentico palcoscenico dello spettacolo che in passato l’aveva erta a suo piccolo portento.

    Oramai in tal senso aveva deposto ogni pavida attesa dato che, ora, le possibilità erano definitivamente e incontrovertibilmente cangiante in concrete illusioni.

    Anche le affettate blandizie delle lusinghe del suo agente, le quali avevano gradualmente smarrito ogni residua capacità di produrre un benché minimo moto di spirito nella sua persona che non fosse il puro fastidio, avevano cessato di esistere.

    L’uomo, infatti, colto che la vena aurifera si era prosciugata aveva cessato di scavare in quella adesso nuda roccia e, tacitamente, si era messo in disparte abbandonandola al suo destino di oblio.

    Tutto ciò che le era rimasto di quegli anni erano gli abituali appuntamenti delle reunion, adunanze periodiche con i vecchi colleghi nelle quali, al piacere di rivedere e riabbracciare i compagni della squadra che fu, sistematicamente si sostituiva un sentimento di malinconia e desolazione datole dall’acquisire coscienza della vecchiaia e della decadenza che progressivamente si aprivano un varco su volti e corpi a lei sempre meno familiari e più lontani.

    In aggiunta a questo trovava estremamente squallido incontrare ammiratori con cui barattare un autografo per cinque dollari o una fotografia per dieci, la trovava una condotta sminuente e declassante alla quale però, per necessità di adeguamento alla convenzione comune, era costretta ad aderire con un sorriso talmente ampio e stirato da non vedersi quasi più il resto del volto.

    Transitoria è la natura della fama, essa aveva perduto il suo momento al sole e, dal canto suo, a distanza di due anni Lisa si era completamente arresa.

    Si sentiva esacerbata e stanca, non le importava più di ciò che era stato e ancora meno di ciò che sarebbe accaduto, rimaneva semplicemente in attesa, malgrado non sapesse di cosa o chi e fosse all’oscuro anche di quanto duraturo sarebbe risultato quel lungo e inerte intervallo.

    Se la sua mente era apatica e letargica giacendo in una condizione pressoché di stasi emotiva, al contrario il corpo fluttuava tra gli opposti di una situazione di feroce magrezza, compatibile a dei prolungati momenti di quasi totale inappetenza da cui ne generava un inquietante aspetto cachettico, a un frangente di corpulenza dovuta a un’alimentazione compulsiva e priva di consoni criteri salutistici e, più in generale, di buon senso.

    Poteva con ogni tranquillità arrivare a contare fino a tre giorni consecutivi senza assolutamente toccare cibo prima di imporre alla sua volontà di inghiottire qualcosa di solido per consentirsi di rimanere in piedi, viceversa altre volte ingurgitava migliaia di calorie vuote nei continui spuntini in piedi davanti alla fredda luce del frigorifero aperto, introducendo senza distinguo malsane crudità che di quando in quando si riproponevano poco più tardi alla sua vista sulla ceramica del lavandino.

    Viveva una noia sfiancante, similmente a quella vissuta da una parrucchiera per signore in una giornata terribilmente ventosa.

    E intanto la piccola ma graziosa villetta che aveva acquistato con i primi soldi guadagnati per coronare la sua voglia di emancipazione e in cui viveva da sola, dato che non aveva avuto frattanto occasioni e più di tutto desiderio di imbastire nuove relazioni sociali, le pareva enorme e odiosamente silenziosa.

    Tuttavia non se la sentiva di tornare a casa della madre e questo non era dovuto al fatto che non avesse un buon rapporto con lei, diversamente vi andava d’accordo, soltanto le sembrava con quel gesto di manifestare platealmente una sconfitta di fronte a un avversario che, seppure vivesse di immagini fittizie ed eteree parole, fosse di un’estrema concretezza.

    Nel concreto poi si sarebbe trattato di battere in ritirata proprio da quella persona la quale, per quanto l’avesse sempre appoggiata nelle sue scelte, si era al contempo anche adoperata cercando di frenare i suoi spontanei entusiasmi giovanili per quel volubile surrogato di realtà, all’opposto di un padre dall’ingenuo e facile fervore portato invece a stimolarla senza mai remora di sorta.

    Oltre a questo bisognava considerare che Lisa non era figlia unica ma aveva una sorella maggiore di un solo anno e un fratello più giovane di due accomunati tra loro, oltre al fatto di abitare allora ancora ambedue nella casa genitoriale, anche dal nutrire un non troppo nascosto fastidio verso la sua figura.

    Non conosceva con esattezza le motivazioni del malanimo perché nessuno dei tre aveva mai affrontato di petto la questione, supponeva però, visto che tali attriti avevano cominciato a verificarsi agli inizi del suo percorso nel mondo dello spettacolo, che fossero generati dal constatare le soddisfazioni che si stava togliendo, l’apprezzamento ricevuto su larga scala e, non da meno, la prosperità economica di cui ora godeva e beneficiava.

    Anziché felicitarsi con lei per i risultati ottenuti, in virtù del normale rapporto di affetto che dovrebbe svilupparsi da tutti quei momenti di compartecipazione inevitabili durante la crescita all’interno del medesimo nucleo familiare ancor prima che per una mera evidenza biologica di parentela riferibile alla metà del corredo genetico condiviso, avevano preferito farsi da parte privandola del loro appoggio morale.

    Dunque, condotta degna delle anime invidiose, questi sentimenti di astio e acrimonia venivano malamente dissimulati dalla finta indifferenza di un muro dietro a cui, deplorevole, si occultava invece la matrice dalla quale scaturivano i cupi e bassi principi.

    Ecco allora che l’idea di ritrovarseli di fronte la spaventava non poco giacché sapeva con certezza, per logica consequenzialità delle precedenti riflessioni, che sarebbero stati compiaciuti per la sua disfatta, poco importava se non l’avessero esternato perché lei lo avrebbe comunque letto sulle loro facce mentre così, nonostante fossero ugualmente a conoscenza della situazione, perlomeno non si esponeva alla gogna dello sguardo accusatore e giudicante.

    Il rovescio della medaglia si componeva però nell’altrettanto temibile vuoto scavatosi attorno il quale comprensibilmente non le giovava e a cui, sinceramente, non aveva idea di come porvi rimedio.

    Questo accadeva poiché anche gli amici piano piano si erano diradati e quelli rimasti avevano diminuito nel numero la frequenza delle visite abbandonandola senza troppi aiuti e conforto al suo destino, un po’ come era successo per le lettere degli ammiratori frequentemente corredate da fiori e a volte pure da cioccolatini che erano andate scemando nel tempo relegandola impietosamente al profondo e in apparenza irreversibile limbo del dimenticatoio.

    Certo, avere un lavoro da questo punto di vista sarebbe stata cosa assai utile perché l’avrebbe tenuta indaffarata per diverse ore al giorno distraendola da quella bruttura eppure, nonostante questo inconfutabile elemento positivo, scelse lo stesso di astenersi dal cercarlo.

    Ciò avvenne non tanto perché non ne avesse necessità sotto l’aspetto finanziario, e questo in considerazione del fatto che aveva ben gestito il denaro guadagnato con la serie, e nemmeno in quanto reputasse per sé un’umiliazione darsi da fare in un compito definibile normale dopo la straordinarietà del passato.

    Molto più banalmente non aveva la minima idea di cosa provare a fare essendo priva di peculiari abilità se non quella dell’arte recitativa così come, in tutta onestà, fossero assenti in lei particolari ambizioni che la spingessero a intraprendere con rinnovato vigore e dedizione un secondo e nuovo percorso professionale dal presente incerto e dal futuro ancora più sconosciuto.

    Pur tuttavia, a ben guardare, non era completamente mancante di interessi poiché, avendo letto e memorizzato innumerevoli copioni nel corso degli anni delle registrazioni, si era accorta di come le piacesse apprendere e dare prova alla sua persona e agli altri della propria volontà di studio e, notando con quanta facilità imparava la parte che le veniva di volta in volta assegnata, anche quanto fosse naturalmente portata e capace verso questo genere di attività intellettiva.

    In effetti anche nel quadriennio delle superiori, il quale con l’esclusione del primo semestre in cui la sua partecipazione alle lezioni era stata quasi regolare aveva frequentato nella restante e più considerevole parte da privatista per riuscire a conciliare gli impegni scolastici con il crescente lavoro, era sempre andata bene e non aveva mai incontrato grosse difficoltà, tanto da diplomarsi con ottimi voti e nei giusti tempi.

    Tale constatazione le suggerì quindi dapprima una certa sottile indicazione la quale, nel trascorrere dei mesi, acquisì i contorni di un saggio e ponderato consiglio dagli assicurati e rassicuranti benefici effetti sul suo equilibrio umano.

    La flebile ispirazione, che andava germinando nel fertile terreno della sua materia grigia come un tenero germoglio di frumento che si affaccia al primo pallido sole dopo la quiescenza del riposo sotto la fredda coperta di neve del lungo inverno, consisteva più precisamente nella possibilità che se non voleva cercarsi un’occupazione retribuita poteva però fare comunque qualcosa che la tenesse affaccendata pur senza fornirle un ritorno economico, ovvero aveva l’opportunità di dare continuità al suo percorso scolastico fino a quel momento proficuo e del tutto soddisfacente iscrivendosi all’università per completarne quel ciclo prematuramente interrottosi a metà.

    Veramente i dubbi sulla ragionevolezza di tale scelta erano infiniti, non tanto sull’utilità che ne avrebbe ricavato giacché credeva che la cultura portasse senza eccezioni un arricchimento a chi vi attingesse, piuttosto era titubante sulle sue effettive capacità di concludere un tragitto il quale di contro presentava svariate complessità come ad esempio, una su tutte, il ritardo di quasi un lustro con cui andava a cominciare quell’esperienza rispetto ai suoi coscritti, donne e uomini ormai adulti che a quel punto mediamente si trovavano già laureati o poco gli mancava.

    Quello su cui non aveva indecisioni era, invece, la preferenza del corso da seguire.

    Il lavoro le aveva difatti fornito un valido riscontro su quanto amasse leggere e in generale apprezzasse la lingua inglese con le sue mille sfaccettature e flessioni le quali permettevano esecuzioni e rappresentazioni dalle più ampie sfumature e perciò, scevra da disorientamento e indeterminazione alcuni, optò di iscriversi e frequentare la facoltà di lettere presso il college del suo stato natio.

    Ella non era nativa della California, la famiglia vi si era trasferita al decimo anno dalla sua nascita ma, in realtà, provenivano dalla parte centrale del Paese, esattamente dove poi ritornarono a distanza di pochi mesi dalla morte del genitore ad esclusione di lei.

    La scelta di rimanere sulla costa del Pacifico per qualche tempo ancora non era soltanto dovuta alla necessità di terminare le riprese e tentare poi di proseguire lungo quella strada, quanto soprattutto perché era perfettamente consapevole di come il preciso momento in cui se ne fosse andata avrebbe coinciso con il definitivo abbandono dell’intento di persistere nel sogno per arrendersi e svegliarsi nella mediocrità del suo nuovo essere.

    Quando invece malgrado ogni sforzo l’infelice giorno arrivò, sentì di non sopportare più la vista di tutto ciò che la circondava in quel luogo poiché fungeva da accecante cornice all’affresco del suo tracollo e, se per un verso era comprensibile il desiderio di lasciarsi ogni cosa alle spalle e partire, per un altro rimaneva interlocutoria la decisione di tentare di riprendere le redini della sua vita precisamente dove questa aveva originato il proprio cammino sfociato in quel mesto frangersi.

    Avrebbe potuto decidersi per una qualunque località, d’altro canto le disponibilità economiche non le mancavano, magari un posto caldo e altrettanto bello, in aggiunta adorava il mare, ma forse l’inconscia volontà di permanere comunque vicino ai congiunti la portò a predilige l’alternativa impulsiva di affittare una casa nello stesso quartiere, a meno di un chilometro di lontananza dalla loro scalcinata palazzina di cinque piani.

    Venduta quindi senza troppo tergiversare la modesta ma decorosa abitazione che spuntava assieme a molte altre di poco dissimili in quel rinomato pezzettino di assolata terra dell’ovest a una giovane coppia di sposi per mezzo della rapida ma costosa mediazione di un’agenzia immobiliare, con le valige piene di ricordi e di rimpianti percorse tutto d’un fiato qualche migliaio di chilometri verso oriente, all’incirca tremilacinquecento in direzione del Midwest e più precisamente verso la piccola e sconosciuta cittadina di impronta rurale che si faceva fatica a scorgere sulle carte geografiche dell’Indiana e dove sembrava che quasi tutto fosse rimasto piacevolmente identico a come se lo ricordava dall’infanzia.

    Trovò sistemazione in una sobria ma dignitosa residenza, una casa bifamiliare di centoquaranta metri totali il cui secondo appartamento era però vuoto e dove anch’ella non aveva in progetto di soggiornarvi a lungo, tenuto presente il fatto che sul finire dell’estate sarebbe partita per il college dove avrebbe ripreso con un po’ d’ansia ma molte aspettative la sua carriera di studentessa.

    In verità di primo acchito non si stava così male in quel posto sebbene, di certo, il paesaggio e il clima erano diversi da quelli a cui si era con gusto e facilità abituata ad avere come sfondo delle sue giornate nel luogo da cartolina dal quale era recente la provenienza.

    Effettivamente sotto tale punto di vista confermava sposandole completamente le peculiarità che lo rendevano apprezzabile e desiderabile nell’immaginario collettivo, ma anche quella ristretta comunità dove ora si trovava aveva le sue positività, forse per qualcuno meno evidenti e per questo più lente e complesse a scoprirsi, nondimeno altrettanto valide e sicuramente sorprendenti.

    Per esempio i ritmi più lenti e l’ordinarietà più comune le consentivano di cogliere la bellezza nascosta anche dietro quelle piccole cose che un tempo non era nemmeno in grado di vedere e, anche per questo, neppure capace di soffermarvisi a goderne.

    A tal proposito la frenesia della sua esistenza l’aveva finora dotata di due grossi paraocchi i quali, focalizzando e rivolgendo la debita attenzione sul percorso a ostacoli del duro viaggio verso il traguardo della gloria, erano stati in grado di isolare la concentrazione dell’intelletto da ciò che non fosse a questo strettamente connesso, una realtà accessoria valutata pertanto se non potenzialmente dannosa quantomeno superflua.

    Lisa poi aveva anche notato che la gente del posto non l’aveva dimenticata anzi, si dimostrarono nei suoi riguardi fieri che la loro piccola città avesse dato i natali a una persona divenuta famosa, praticamente l’unica nella lunga storia di quell’agglomerato di case e campi, ed erano altrettanto contenti che fosse ritornata tra loro anche se a muoverla verso cotesta scelta non era stata la sola nostalgia, ma specialmente il freddo rifiuto traditore da parte della compagine dello spettacolo che aveva preceduto questi ultimi sentimenti di apprezzamento verso la dolce ombra del vissuto trascorso.

    Non esternavano un viscido piacere dalla cognizione che quella situazione generasse da un caduta e dalla relativa fuga e, nel farlo, apparivano sinceri, segno che lo fossero veramente oppure di tutti quanti loro si sarebbe potuto tranquillamente dire che recitassero in veste di attori meglio di lei.

    Oltretutto, se quest’ultima cosa fosse corrisposta al vero, paradossalmente si doveva ritenere ancora più fortunata di quanto si era reputata esserlo in passato e, benché in modo distante e differente, di come continuava a considerarsi in quel presente.

    Difatti, dando seguito a quel ragionamento speculativo, nonostante la pochezza artistica della quale era contrassegnata se paragonata ai suoi concittadini, era stata la sola a riuscire a sfruttare quell’innata inclinazione coltivandola e intraprendendo grazie a essa per anni con esiti più che appaganti la luminosa e ascendente via del professionismo.

    Purtroppo però la stima e il rispetto, sebbene raffigurassero una notevole percentuale dell’ottima pasta cementizia con la quale gettare le basi del nuovo arco vitale, da soli non erano sufficienti a garantirle la gioia e la tranquillità poiché a tal fine si necessitava di fare affidamento, al di là che su un’occupazione sicura e fonte di gratificazione, anche sulle amicizie leali e sincere consolidate dal lungo corso.

    Oramai aveva perso ogni contatto con gli amici e i compagni di scuola dell’adolescenza, questi erano cresciuti e a loro volta si erano creati il loro piccolo giardino di sicurezze e tepori che cercavano o come lei avevano tentato di mantenere innaffiandolo e curandolo giornalmente e, per questo e altro, oltre a un sorriso veloce accompagnato da una stretta di mano non sapevano comprensibilmente quali parole spendere nei suoi riguardi che non fossero valutabili di pura circostanza e tiepida formalità.

    A questo proposito, benché possa apparire strano, è spesso osservabile che quando non si vede una persona per molto tempo, nell’ordine di anni, per quanto proporzionalmente numerosi siano i fatti accaduti e gli accadimenti da raccontare tra i due viceversa ci sia un’inibizione a lasciarsi andare discorrendo come un fiume in piena.

    Si viene trattenuti non tanto da una perdita di affetto e interesse vicendevoli ma, piuttosto, da una scemata confidenza che esime dall’approfondire temi e argomenti i quali, nella loro banalità di contenuto e mancanza di ricercatezza nell’elevatezza delle forme, rappresentano invece il vero collante del rapporto in grado di unire profondamente fortificando nel percorso delle età le autentiche e durevoli conoscenze.

    L’altro cruccio era che, sebbene adesso vivesse praticamente a una fermata di autobus da sua madre, non aveva la possibilità di vederla tante volte quanto avrebbe desiderato siccome da un lato la donna era restia a muoversi di casa, mentre da parte sua preferiva non andare da lei perché significava con ogni probabilità incontrare anche uno solo degli altri suoi figli, cosa la quale con ogni certezza desiderava evitare per non incorrere in spiacevoli situazioni in cui non era più disposta a trovarsi.

    Al di là di godere dell’appoggio e dello sfogo della famiglia, o almeno di un terzo di essa, questo le sarebbe servito anche per ingannare il tempo, dato che il suo stato di disoccupazione continuava senza soluzione di continuità da parecchi mesi e dove le uniche distrazioni che la alleviavano da quella monotonia erano rappresentate dalla spesa settimanale in aggiunta all’appuntamento quindicinale con la parrucchiera.

    Di solito comperava i generi di conforto nel piccolo market situato a due incroci da casa sua il lunedì mattina così da avere tutto il necessario per i restanti sette giorni e, anche se aveva l’opportunità di fare acquisti quotidianamente visto le molte ore libere che aveva a disposizione, era questa un’alternativa che non voleva nemmanco prendere in considerazione in quanto le sarebbe sembrato di ridursi come quegli anziani che utilizzano qualsiasi espediente per impiegare le loro eterne ore diurne e arrivare poi a coricarsi alle otto e mezzo di sera.

    Ella per fortuna sua non era ancora arrivata a quel punto, sicuro, se quella situazione penosa si fosse protratta ancora a lungo avrebbe fatto la stessa ingloriosa fine, ma questa cosa non aveva facoltà di spaventarla, non nell’immediato per lo meno, e ciò sulla scorta dell’idea che non mancava poi molto alla sua partenza per l’università dove di sicuro tra lezioni e studio gli impegni non le sarebbero mancati.

    Oltre a queste due già valide ragioni pensava anche a tutte le altre novità annesse a quel nuovo futuro che intervenendo nella sua vita le avrebbero portato una ventata di freschezza, similmente a un locale vecchio e stantio il quale dopo un’accurata ritinteggiatura vede cancellati i segni del logoro passato deturpanti le pareti e rischiarate con nuova luce le ombre che ne incupivano il tristo e misurato ambiente.

    In realtà, però, la sua fiducia sembrò venir premiata ben prima di lasciare quel posto, proprio quando nella mattinata di un primo giorno feriale di una mite settimana primaverile si era recata, come sempre da sola e di buon ora, a fare acquisti tra la scarsa decina di corsie limitate dagli alti espositori del modesto negozio di alimentari comunque ottimamente fornito, se non altro delle poche cose che erano di suo gusto, incontrando per la prima volta in quell’esercizio commerciale e in assoluto nel suo esistere una donna di nome Nomi.

    Fu lei ad avvicinarla da dietro mentre in modo pronunciato stava proiettata in avanti sul carrello, allungata con la spalla e il braccio destro sopra quattro cartoni di latte parzialmente scremato precedentemente presi dalla scaffalatura alla sua destra per sistemarli al meglio tra gli altri beni di consumo che si stava apprestando a spingere verso l’unica tra le due casse aperte per il pagamento.

    Una postazione quest’ultima dove un uomo di colore di mezza età, in attesa dei pochi clienti che in quel momento stavano tutti perlustrando quell’abbozzo di labirinto ponderando con più o meno cura le loro prossime compere, nel frattempo stava controllando svolgendo come tanti rullini fotografici alcuni lunghi scontrini più volte arrotolati testardamente su se stessi.

    <>, le disse guardandola in viso dopo un fugace e forse involontario sguardo all’esiguo contenuto del razionale e robusto telaio in acciaio che si portava appresso sostenuto da quattro rotelle che non ne volevano sapere di camminare nella medesima direzione contemporaneamente, <>

    <>, le rispose leggermente incerta Lisa la quale non sapeva cosa aspettarsi da quella piacente ragazza sulla trentina che le stava ora di fronte a circa poco meno di un metro di distanza con i suoi lunghi capelli biondi e ricci, dei lineamenti del volto raffinati nelle forme e pressoché perfetti nelle proporzioni, e un fisico slanciato ma che non sacrificava per questo nulla alle invidiabili e sinuose curve tipicamente femminili le quali, appena, si rivelavano morbidamente nascoste dentro un paio di jeans neri e una leggera felpa smanicata verde pistacchio di cotone infeltrito dotata di un cappuccio confusamente rivoltato sulla schiena.

    <> proseguì la ragazza, <La famiglia Stanford, lei era bravissima ed era la mia preferita, e non lo dico solo perché siamo della stessa città, lo sa che siamo anche coetanee?>>

    Le parlava velocemente ma senza incespicare, sembrava genuinamente eccitata, quasi buffa mentre pronunciava tutte quelle parole a cui Lisa, per quanto non fosse per niente nuova a simili situazioni avendo convissuto per lunghi periodi circondata dal calore qualche volta anche sopra le righe del pubblico, non seppe rispondere che con un timido grazie, seguito finanche da uno stentatamente rilevabile rossore delle gote.

    <>, riprese la giovane donna, <>

    <>

    Lisa non sapeva come replicare ma questo non aveva comunque importanza, la controparte infatti manteneva ben saldo il monopolio del rapido discorrere continuando a tesserle elogi e citandole a memoria spezzoni e dialoghi di puntate che l’avevano particolarmente colpita e ispirata, provocando nell’uditrice dapprima una punta di fastidievole e comprensibile imbarazzo che però, lentamente, virò in un tacito compiacimento e profonda soddisfazione per quanto di buono era riuscita a fare oltre che per la sua vita anche per quelle degli altri, notando la veracità della quale erano caratterizzate le parole di quella sconosciuta la quale stava aprendo dinanzi a lei il suo cuore quantunque di fatto non si fossero giammai incontrate di persona nel passato, sia esso recente quanto più lontano e distante da quei pregni istanti.

    Per la prima volta dopo eterni giorni si stava sentendo nuovamente bene, felice e grata per quello che stava ricevendo come compenso al suo umano incedere, anche se mai avrebbe ipotizzato che fra tutti quanti i luoghi e le situazioni che aveva attraversato ciò potesse avvenire tra ripiani di plastica bianca colmi di fette biscottate, confetture, biscotti e altri generi edibili e opportuni per la prima colazione, i quali facevano bella mostra di sé all’insaziabile e onnivoro pubblico dalle loro confezioni colorate e ammiccanti oltreché, talvolta, trasparenti.

    Dopo pochi minuti in piedi innanzi a quella ragazza le pareva di conoscerla da sempre e, intanto che guardava i suoi profondi occhi marroni vivaci risplendere della viva luce della gioia, abbandonava gradatamente perdendosi in essi ogni frustrazione e rancore verso ciò che era stato illuminata dall’energia delle guizzanti fiamme.

    Da quella bocca sottile e ben curata non uscivano freddi vocaboli ma dolci carezze che lambivano l’anima riscaldandola con il loro ardore senza però subdolamente gonfiarne l’ego con melliflue e ridondanti adulazioni frattanto che le mani, affusolate e rosate, veloci dipingevano una mimica schietta e immediata che incorniciava come in un pregevole ebano nero quel cristallino momento all’apparenza inestinguibile e sconfinato.

    Finalmente Lisa comprese che non era sola, non più, Nomi l’aveva scossa dalla letargica attesa ma non facendole rimpiangere di nuovo la gloria e la fortuna perduta, piuttosto mostrandogliele in un’ottica rinnovata e speciale, quella del dono che l’aveva investita e di cui doveva essere grata anche nella sua limitata durata perché, rendendola un poco straordinaria, aveva contribuito di riflesso a migliorare anche le esistenze degli altri consegnandola con questo all’eternità del riconoscente ricordo di coloro i quali partecipi vi avevano assistito.

    Ma c’era anche dell’altro, quella donna aveva una capacità magnetica di attrarla e sé e, se pure lo avesse desiderato, ma indubbiamente non lo voleva, non era in grado di allontanarsi da lei e continuare il suo cammino alla breve ricerca dei prodotti al dettaglio prescelti e mancanti che spiccavano dal fogliettino quadrato della lista trattenuta tra l’indice e il medio della mano destra.

    Acquisti da conseguire e completare lungo quelle corsie piastrellate onde, dall’alto di svariati altoparlanti, proveniva a tenue sottofondo di quella conversazione quasi a senso unico una leggera musica d’ambiente per nulla invasiva e disturbante dato il basso volume con il quale a cicli ripetuti questa veniva diffusa a cascata in qualità monofonica nonostante la numerosità dei riproduttori e, perciò, servendosi di una desueta prerogativa tecnologica votata al più limitato e irrealistico ascolto monoaurale del flusso sonoro.

    Era come se ora al suo fianco ad accompagnarla nella restante parte delle sue parche commissioni non ci fosse più un’estranea ma, diversamente, un’amica di vecchia data ritrovata anzi, addirittura mai lasciata talmente elevato fu l’affiatamento sviluppatosi in quel solo quarto d’ora scarso di vicinanza.

    Una parentesi decisamente gradevole, talmente piacevole che Lisa, adocchiato qualche metro più in là da loro il commesso e poco oltre l’uscita, già si preoccupava di quando fuori da lì si sarebbero dovute salutare con il concreto rischio che da quel momento in avanti avrebbero potuto anche non incontrarsi mai più.

    In realtà però non fu quello che si verificò, non pedissequamente per lo meno, nel senso che il commiato avvenne ma, con suo stupore, non andò dispiegandosi con i ferrei contorni dell’addio.

    Difatti la ragazza volle darle il suo numero di telefono e indirizzo civico che Lisa accettò volentieri facendosi inoltre strappare dopo qualche insistenza, ma solo per una sorta di educazione al moderato riserbo e all’equilibrato entusiasmo che la sconsigliava dall’accettare subito nonostante il vero fermento che la agitava mettendo a dura prova quelle costruite buone maniere causa del lusinghiero assillo, anche l’assicurazione che presto sarebbe passata a trovarla presso casa sua.

    Lungo la via del ritorno era come se camminasse sulle punte tanto si sentiva leggera e giubilante, la salda promessa di rivedere quella donna e beneficiare in un secondo episodio o forse a seguire molti di più della sua frizzante e lenitiva compagnia nella prospettiva della costruzione di un rapporto a lungo termine le bastò a riempire le ore successive di tangibile fiducia, la stessa che induceva la sua immaginazione a sussurrarle le sfumate immagini di come il loro futuro incontro sarebbe avvenuto e dei piacevoli risvolti che questo avrebbe assunto nel gradevole divenire.

    Non passò molto dal giorno in questione, poco per la verità, ma Lisa mordeva il freno come un cavallo sulla linea di partenza in attesa dello starter e quindi, dopo esattamente una settimana dal loro primo fortuito incontro, il lunedì successivo uscita dal market cassò ogni residua briciola di indecisione e si diresse verso l’abitazione in cui Nomi viveva assieme al marito.

    Tutto questo si verificò sebbene non avesse la totale sicurezza di trovarla in casa perché, nonostante le avesse detto di essere anch’ella momentaneamente senza lavoro e quindi prestata a tempo pieno all’attività di casalinga, non poteva comunque avere un’idea precisa di quelli che fossero gli impegni quotidiani che l’allontanavano da casa e, pertanto, il suo viaggio poteva proprio per questo rivelarsi un infruttuoso e deludente tentativo a vuoto.

    Naturalmente la speranza era che ciò non fosse, temeva difatti che in seguito potesse smarrire la carica della novità e magari in conseguenza a tale scemare non avrebbe avuto l’ardire di ripetere quell’azione su cui, già, aveva avuto modo di riflettere molto circa gli esiti futuri.

    Obiettivamente però la summentovata eventualità non rappresentava un dramma perché era talmente tanta la spinta che con estrema difficoltà si sarebbe esaurita o anche solamente affievolita e, indubitatamente, questa l’avrebbe portata a ritornare una seconda, una terza o tante volte

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1