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Un Campo di Fiori Morti: Matthew Scudder, #16
Un Campo di Fiori Morti: Matthew Scudder, #16
Un Campo di Fiori Morti: Matthew Scudder, #16
E-book391 pagine5 ore

Un Campo di Fiori Morti: Matthew Scudder, #16

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Info su questo ebook

Nel sedicesimo romanzo che ha per protagonista Matthew Scudder, Un Campo di Fiori Morti, Lawrence Block, autore best seller del New York Times, porta questa serie, già più volte premiata, a un nuovo livello di suspense e di profondità di caratterizzazione. Dopo il successo di critica e di pubblico di Spera di Morire, Block spinge Scudder – e il lettore – sull'orlo dell'abisso.

 

Scudder, personaggio complesso che è cresciuto e invecchiato in tempo reale, affronta l'implacabile sfida della mortalità. Ma deve anche lottare con un avversario determinato, implacabile e gelidamente inumano, forse il più indimenticabile che Block abbia mai creato.

In un carcere della Virginia un uomo attende l'esecuzione per tre orrendi omicidi che lui giura, nonostante prove inconfutabili, di non avere commesso. Uno psicologo che afferma di credere al condannato trascorre ore nella sua cella nel Braccio della Morte, e infine assiste, tra gli spettatori, alla letale iniezione. Terminato questo lavoro, lo psicologo rientra a New York dove ha affari in sospeso.

 

Nel frattempo, Scudder ha accettato di indagare sull'amante di una sua amica, conosciuto on-line, e chiaramente sospetto. Sembra semplice. All'inizio. Ma quando delle persone cominciano a morire, e le vittime sono sempre più vicine a loro, diventa chiaro che sono opera del pervertito killer. E il bersaglio finale potrebbero essere Matt ed Elaine Scudder.

 

La suspense è mozzafiato, l'esito sempre incerto. Una serie che ha prodotto un grande numero di riconoscimenti e premi - l'Edgar, lo  Shamus, il Philip Marlowe, il Maltese Falcon – arriva a una nuova vertiginosa altezza. In questo romanzo Lawrence Block, che ha recentemente ricevuto il premio  Diamond Dagger per tutta la sua carriera dalla Crime Writers Association of the United Kingdom, è al top della forma.

 

Luigi Garlaschelli desidera ringraziare Emanuela Guizzo per l'attenta correzione delle bozze.

 

Recensioni—

AUDIOFILE MAGAZINE:

"Con un titolo preso dalla ballata irlandese "Danny Boy", il sedicesimo romanzo avente per protagonista Matthew Scudder è il più dark che Lawrence Block abbia scritto da anni. Dopo che una donna conosciuta a una riunione degli Alcolisti Anonimi gli chiede di indagare sul  background del suo nuovo boyfriend, il cammino di Scudder  si incrocia con quello di un geniale serial killer che cambia ogni volta i suoi metodi e non lascia virtualmente alcuna traccia della propria identità".

 

PUBLISHERS WEEKLY

"Matt Scudder, lo straordinario detective privato creato da Block, protagonista di molti best-seller, è sulla breccia da trent'anni; e se invecchiando la sua vita non è stata gentile e delicata, certamente è stata densa di avvenimenti. In questa sedicesima straordinaria uscita (dopo Spera di Morire del 2001), Scudder, che ha ora sessant'anni e più, dimostra di essere duro e resistente come sempre, quando si trova ad affrontare il più astuto e subdolo killer che abbia mai messo alla prova il suo coraggio. I fan di Scudder non saranno sorpresi nello scoprire che il killer è collegato ai delitti irrisolti di Spera di Morire, né che Elaine e Scudder siano diventati il bersaglio dell'assassino. La narrazione si sposta senza fatica dal punto di vista di Scudder al pensiero e alle azioni del killer, la cui astuzia, coraggio e pura crudeltà marchiano a fuoco le pagine. Aggiungete dei brillanti colpi di scena e otterrete un'ottima miscela di brividi, creata da un maestro dello scrivere, qua nella sua forma migliore."

LinguaItaliano
Data di uscita2 ago 2021
ISBN9798201338374
Un Campo di Fiori Morti: Matthew Scudder, #16
Autore

Lawrence Block

Lawrence Block is one of the most widely recognized names in the mystery genre. He has been named a Grand Master of the Mystery Writers of America and is a four-time winner of the prestigious Edgar and Shamus Awards, as well as a recipient of prizes in France, Germany, and Japan. He received the Diamond Dagger from the British Crime Writers' Association—only the third American to be given this award. He is a prolific author, having written more than fifty books and numerous short stories, and is a devoted New Yorker and an enthusiastic global traveler.

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    Anteprima del libro

    Un Campo di Fiori Morti - Lawrence Block

    Capitolo 1


    Quando arrivai, Joe Durkin stava già occupando un tavolo d’angolo e sorseggiava un drink – vodka on-the-rocks, dall’aspetto. Osservai la stanza e ascoltai il brusio delle conversazioni al bar. Qualcosa di quello che provavo doveva essersi visto sulla mia faccia, perché la prima cosa che Joe mi chiese fu se stavo bene. Io dissi che stavo benissimo, perché?

    Perché sembrava che avessi visto un fantasma, disse.

    Sarebbe strano se non l’avessi visto, dissi. Il locale ne è pieno.

    Non è abbastanza antico perché ci siano dei fantasmi, no? Da quanto è aperto, due anni?.

    Quasi tre.

    Il tempo vola, quando ti diverti, disse. "E anche quando non ti diverti. Da Jake, chiunque egli sia. Ne sai qualcosa?".

    Non so chi sia. So qualcosa del locale prima che fosse il suo.

    Era il locale di Jimmy Armstrong.

    Esatto.

    È morto, vero? È stato prima o dopo l’11 settembre?.

    È il nostro spartiacque: tutto, nelle nostre vite, è prima o dopo quella data. Dopo, dissi, di cinque o sei mesi. Lasciò il locale a un nipote, che cercò di gestirlo per alcuni mesi, poi decise che non era la vita che faceva per lui. E quindi immagino l’abbia venduto a Jake, chiunque sia.

    Sia chi vuole, disse Joe, sa mettere in tavola dei buoni piatti. Sai cosa fanno qua? Puoi fare una colazione irlandese a qualsiasi ora del giorno.

    Che sarebbe una sigaretta e sei lattine di birra?.

    Molto spiritoso. Un uomo sofisticato come te dovrebbe sapere com’è una colazione irlandese.

    Assentii. "Speciale Infarto, no? Bacon, uova e salsiccia".

    E pomodori al forno.

    Ah, cibo sano.

    E il budino nero, disse, che è difficile da trovare. Sai cosa vuoi? Perché io prenderò una colazione irlandese.

    Dissi alla cameriera che avrei preso lo stesso menù, e una tazza di caffè. Joe disse che una vodka bastava, ma che voleva una birra. Qualcosa di irlandese, per accompagnare il cibo, ma non una Guinness. La ragazza suggerì una Harp, e lui disse che andava bene.

    Conosco Joe da vent’anni, ma non so se siamo amici intimi. Lui ha passato tutti quegli anni come detective al Distretto Midtown North, nella vecchia stazione della 54esima Ovest, e col tempo abbiamo sviluppato un rapporto funzionale. Io andavo a chiedergli dei favori, e glieli restituivo – a volte in denaro contante, a volte in aiuto. A volte lui mi mandava un cliente. Ci sono state occasioni in cui il nostro rapporto è diventato teso; la mia amicizia con un criminale professionista non gli è mai andata bene, mentre il suo modo di fare dopo una vodka di troppo non mi faceva apprezzare la sua compagnia. Ma ci vedevamo da abbastanza tempo, così che sapevamo come fare funzionare le cose, trascurando ciò che non ci piaceva vedere e restando vicini, ma non troppo.

    Prima che arrivasse il cibo, mi aveva già detto che aveva firmato i documenti per la pensione. Io dissi che da anni minacciava di farlo, e lui ribatté che già da anni aveva tutto compilato e pronto da presentare; ma poi c’era stato l’attacco alle Torri Gemelle. Non era quello il momento giusto per andarsene in pensione, disse, benché certi miei colleghi lo abbiano fatto; e come li puoi biasimare? Avevano perso fiducia nel lavoro. Quanto a me, io ero già scoraggiato. Quello che facciamo è come cercare di vuotare il mare col cucchiaio. Ma in quel momento mi ero detto che c’era bisogno di me.

    Immagino.

    Così, sono rimasto tre anni più a lungo di quanto volessi, e se in quei tre anni ho fatto qualcosa di utile, non saprei proprio. In ogni caso, ora ho finito. Oggi cos’è, mercoledì? Una settimana dopo venerdì sarà il mio ultimo giorno. Dunque, ora devo solo capire cosa cazzo fare per il resto della mia vita.

    Ed è per questo che mi aveva invitato a cena, in un locale pieno di fantasmi.

    • • •

    Erano trascorsi più di trent’anni da quando io avevo presentato le mie dimissioni dal Corpo di Polizia di New York, e subito dopo diedi le dimissioni anche come marito e come padre, e mi spostai da una comoda casa suburbana di Syosset a una stanzetta monastica all’Hotel Northwestern. In quella stanza non passavo troppo tempo: usavo il saloon di Jimmy Armstrong, all’angolo della Nona Avenue, tra la 57esima e la 58esima, come combinazione di soggiorno e ufficio. Lì incontravo i clienti, lì mangiavo, e quel che restava della mia vita sociale era incentrata in quel locale. E in esso bevevo anche, dalla mattina alla sera, perché quello facevo, in quegli anni.

    Continuai a farlo finché nei fui in grado. Poi misi il tappo sulla bottiglia, come dicono gli ex alcolizzati, e cominciai a trascorrere le mie ore oziose non nel locale di Jimmy, ma due isolati più a nord, nel seminterrato della chiesa di S. Paolo Apostolo. E anche in altri seminterrati e negozi, cercando qualcosa per riempire il vuoto lasciato dall’alcool.

    A un certo punto, Jimmy perse la licenza e si spostò mezzo isolato a sud e un isolato a ovest, all’angolo della 57esima con la Decima. Mi tenni a distanza dal vecchio bar, e per un po’ evitai anche quello nuovo. Non diventai mai un cliente abituale, ma Elaine e io di tanto in tanto ci andavamo a mangiare. Jimmy faceva sempre da mangiare bene e la cucina restava aperta fino a tardi, rendendo il locale una buona scelta dopo una serata a teatro o al Lincoln Center.

    Ero stato alla sua commemorazione, in una casa di onoranze funebri sulla 44esima Ovest, dove qualcuno suonò una delle sue musiche preferite. Era Ultima Chiamata di Dave Van Ronk, e io l’avevo sentita per la prima volta quando Billie Keegan l’aveva suonata per me dopo una lunga notte di whisky. Gliel’avevo fatta ripetere più e più volte. Allora Keegan lavorava per Jimmy, e gli teneva il bar nelle sere dei giorni feriali; si era trasferito in California da tempo. E Van Ronk, che aveva composto la canzone e la cantava a cappella, era morto circa un mese prima di Jimmy; quindi io ero seduto là ad ascoltare un morto che suonava una canzone per un altro morto.

    Una settimana o due più tardi, al bar tennero una veglia in ricordo di Jimmy; io ci andai ma non restai a lungo. Arrivarono persone che non vedevo da anni, e vederle era stato bello, ma era stato un sollievo andarsene e tornare a casa. Una sera d’estate, dopo che la licenza era finita, avevano chiuso la baracca offrendo da bere gratis a chiunque. Diverse persone mi dissero di non mancare assolutamente, e io non ebbi nessun dubbio: restai a casa e guardai la partita degli Yankees alla TV.

    • • •

    E adesso ero lì, in una sala piena di fantasmi. Uno di essi era Manny Karesh. Lo conoscevo ai tempi della Nona Avenue, e non si era mai mosso dal quartiere. Capitava da Jimmy quasi ogni giorno, per bere una o due birre e chiacchierare con le infermiere. Era alla veglia, ovviamente, e ci sarebbe stato anche all’ultima sera, ma non so se ce l’avesse fatta. Alla veglia mi aveva detto che non gli restava molto tempo. Gli avevano proposto la chemioterapia, disse, ma non avevano molta speranza che potesse giovargli, così lui non aveva visto motivo di accettarla. Morì in estate, non molto tempo dopo che il bar aveva chiuso, ma io non lo seppi fino all’autunno. Ho perso un funerale, ma di questi tempi ce n’è sempre un altro a cui andare. Sono come gli autobus. Se ne perdi uno, dopo pochi minuti ne arriva un altro.

    Ho cinquantotto anni, disse Joe. Abbastanza vecchio per andare in pensione, ma troppo giovane per ritirarsi, capisci cosa intendo?.

    Sai cosa farai, adesso?.

    Quello che non farò, disse, è di comperare una casetta in quella cazzo di Florida. Non pesco, non gioco a golf e ho questa pelle, che mi fa sembrare nato nella Contea di Waterford, e che si ustiona anche con una lampada da scrivania.

    Non credo che la Florida ti piacerebbe.

    "Veramente. Potrei restare qua e vivere con la pensione, ma senza qualcosa da fare diventerei matto. Passerei tutto il mio tempo nei bar, che non è bello, o starei a bere a casa, che è anche peggio. Questo black pudding è la cosa migliore. Non ci sono molti posti dove lo fanno. Immagino nelle vie del vecchio quartiere irlandese, Woodside, Fordham Road, ma chi ha il tempo di andarlo a cercare fin là?".

    Be’, ora che sei in pensione . . ..

    "Giusto, posso passare un’intera giornata cercando il black pudding".

    Non serve andare tanto lontano, dissi. Qualunque locale messicano ne ha fin che vuoi.

    "Scherzi? Il black pudding?".

    "Lo chiamano morcilla, ma è la stessa cosa".

    Che cos’è, portoricano? Scommetto che è più piccante.

    "Più piccante della cucina irlandese? Dio santo, pensi che sia possibile? Ma praticamente è la stessa cosa. Che si chiami morcilla o black pudding, è sempre un insaccato fatto col sangue di maiale".

    Ma Dio!.

    Che c’è?.

    Ti spiace, cazzo? Sto mangiando.

    Non sapevi che cosa è?.

    Certo che lo so, ma non vuol dire che devo stare a pensarci!. Bevve della birra, posò il bicchiere e scosse la testa. Alcuni colleghi vanno a lavorare per le ditte di sicurezza private. Non come guardia del corpo a giornata, ma a un livello superiore. Uno che conoscevo è andato in pensione dieci anni fa e ha trovato lavoro come responsabile sicurezza alla borsa cambi. Orario regolare e più soldi di quanti ne avesse mai avuto quando era in servizio. Adesso ha smesso e ha due pensioni, più l’assistenza sociale. Ed è in Florida a giocare a golf e a pescare.

    E a te interesserebbe?.

    La Florida? Ti ho già detto . . . ah, dici la cosa delle ditte private. Be’, vedi, ho avuto il distintivo d’oro per molti anni. Io sono un detective, ma il lavoro che faceva lui era più che altro amministrativo. Lo potrei fare, ma non so se mi piacerebbe. Probabilmente comporta anche una buona dose di scartoffie. Prese il bicchiere vuoto, lo guardò e lo posò di nuovo sul tavolo. Senza guardarmi, disse: Io pensavo a un’agenzia investigativa privata.

    Sentivo che ci sarebbe arrivato.

    Per fare le cose per bene, dissi, devi essere professionale, verbalizzare tutto, schedare i rapporti e farti conoscere per avere clienti. Questo se lavori per conto tuo; e se invece vai a lavorare per una delle grosse agenzie, per lo più faresti del lavoro noioso per pochi soldi, e per di più senza un distintivo. Non so se ti si adatterebbe.

    Nemmeno seguire tutta la parte burocratica. Ma tu non le facevi, tutte quelle cose.

    Be’, io non sono mai stato molto bravo a fare le cose secondo il manuale, dissi. Per anni ho lavorato senza licenza, e quando finalmente l’ho presa non l’ho tenuta molto a lungo.

    Ricordo. Ma anche senza te la cavavi bene.

    Forse sì. Ma a volte vivevo alla giornata.

    Be’, io ho una pensione che mi coprirebbe le spalle.

    Vero.

    Quello che pensavo . . ..

    E quello che pensava, ovviamente, era che noi due lavorassimo insieme. Io avevo esperienza nelle investigazioni private, e lui avrebbe avuto contatti molto più freschi all’interno della polizia. Lo lasciai proporre l’idea, e alla fine gli dissi che era arrivato qualche anno troppo tardi.

    Ormai io sono a riposo, dissi. Non in pensione formalmente, ma non vado a cercare lavori e il telefono non suona molto spesso. E quando mi chiamano, di solito trovo un motivo per rifiutare la proposta. Se lo si fa per un po’, smettono di chiamarti, e a me sta bene. Non mi serve il denaro. Ho la pensione sociale, più un piccolo assegno dal comune ogni mese; inoltre abbiamo le rendite di alcune proprietà in affitto di Elaine, e i guadagni del suo negozio.

    Arte e antiquariato, disse Joe. Ci passo sempre davanti, e non vedo mai nessuno che entra o esce. Ci ricava qualcosa?.

    "Ha un buon occhio e sa fare i suoi affari. L’affitto non è a buon mercato, e ci sono mesi in cui non arriva nemmeno a coprirlo, ma ogni tanto adocchia qualcosa per dieci dollari dal robivecchi e lo rivende per qualche migliaio. Forse potrebbe fare la stessa cosa su eBay, evitando l’affitto, ma a lei piace avere il negozio, e in effetti lo ha aperto per questo motivo. E quando io sono stufo di fare lunghe passeggiate e di vedere sport su ESPN, vado a sostituirla alle vendite.

    Oh, fai di questa cose?.

    Ogni tanto.

    Te ne intendi quanto serve?.

    So come battere un acquisto alla cassa, e come registrare un pagamento fatto con una carta di credito. So quando dire di tornare e parlare col proprietario, so capire quando qualcuno medita il taccheggio o una rapina, e so come scoraggiarli. Di solito so quando qualcuno cerca di vendermi merce rubata. È tutto quello che mi serve sapere per fare la mia parte.

    Immagino che non ti serva un socio per un’agenzia di investigatori privati.

    No, ma se me lo avessi chiesto cinque anni fa . . ..

    Cinque anni prima la risposta sarebbe stata ancora un no, ma avrei dovuto trovare un modo diverso per dirlo.

    Ordinammo il caffè e lui si appoggiò allo schienale del sedile, lasciando scorrere lo sguardo per il locale. Percepivo in lui un misto di delusione e di sollievo, che era più o meno quello che avrei provato io al suo posto. E in quel momento lo provavo in parte anch’io. Un socio era l’ultima cosa che volessi, ma quello è un genere di offerta che si vorrebbe accettare. Si pensa che sia un rimedio contro la solitudine. Molte collaborazioni nascono in quel modo, e anche più di un matrimonio infelice.

    Portarono il caffè e parlammo d’altro. Il tasso di criminalità stava ancora scendendo, e né io né lui capivamo come mai. C’è quell’idiota, in questa legislatura, disse lui, che se ne vanta, perché ha contribuito a fare reintrodurre la pena di morte. È difficile saperlo, perché nello Stato di New York un’iniezione mortale se la fa soltanto chi compera una dose di eroina tagliata col veleno per topi. Ci sono dei tizi nel Braccio della Morte, ma faranno in tempo a morire di vecchiaia.

    Tu credi che sia un deterrente efficace?.

    Credo che sia un modo per evitare che un crimine si ripeta. A dir la verità, penso che a nessuno freghi qualcosa del deterrente. Solo, ci sono persone che io preferirei non respirassero il mio ossigeno. Persone che sarebbe meglio fossero morte. Terroristi, assassini di massa. Serial killer. Pervertiti schifosi che uccidono dei bambini. Mi dirai che sono dei malati, che essi stessi hanno avuto un’infanzia di abusi, bla bla bla, e non dico che non sia una realtà; ma la verità è che non mi importa. Che muoiano pure. Io sarei più contento.

    Io non ti posso dare torto.

    Ce n’è uno, pronto per la cella della morte, tra una settimana. Non qua: in questo Stato del cazzo non fanno l’iniezione a nessuno. È in Virginia, è quel figlio di puttana che ha ucciso tre ragazzini. Era stato quattro o cinque anni fa, non ricordo come si chiami.

    So a chi ti riferisci.

    Il solo motivo contrario che accetterei è immaginare che si possa condannare un innocente. E penso che possa accadere. Ma questo tizio . . . ricordi il caso? Aperto, e chiuso.

    Così ricordo.

    Aveva violentato quei bambini, disse, li aveva torturati, aveva tenuto dei ricordi, e la polizia ha trovato abbastanza prove fisiche da condannarlo cento volte. Una settimana da venerdì prossimo gli faranno l’iniezione. Sarà il mio ultimo giorno di lavoro, e andrò a casa, mi verserò da bere, e in quel momento da qualche parte in Virginia faranno l’iniezione a quel bastardo. Guarda, per quanto mi riguarda è meglio che avere come ricordo un orologio d’oro.

    Capitolo 2


    Joe aveva proposto di cenare alle sette, ma io avevo anticipato alle sei e trenta. Quando la cameriera portò il conto lui lo prese, ricordandomi che l’incontro l’aveva proposto lui. Oltretutto, disse, lascerò il lavoro nel giro di pochi giorni. Meglio che mi abitui a pagare i conti.

    Per tutti gli anni da quando lo conoscevo, ero stato sempre io a pagare.

    Se vuoi, disse, possiamo andare da qualche altra parte e puoi offrire da bere. O un dessert, o altro caffè.

    Devo andare in un altro posto.

    Allora ci devi proprio essere. Chi è, qualcuno che conosco?.

    Solo un alcolizzato.

    Deve essere bello avere degli incontri a cui partecipare.

    Lo è, ma non è per quello che ci vado.

    Quello che dovrebbero fare, disse Joe, sono riunioni per quelli che bevono un po’, e non hanno alcun motivo per smettere.

    Joe, è un’idea formidabile.

    Credi?.

    Certamente. Non dovresti nemmeno andare nei seminterrati delle chiese. Potresti organizzare gli incontri in un bar.

     ‘Ciao tutti. Mi chiamo Joe D., e sono un pensionato’ .

    • • •

    La riunione era nel mio gruppo di appartenenza nella chiesa di S. Paolo, e io arrivai in anticipo in modo da aprire, leggere il preambolo degli A.A. e presentare l’oratore. Mi chiamo Ray, disse, e sono un alcolizzato. Poi ci mise quindici o venti minuti a fare quello che noi facciamo, ovvero raccontare la sua storia: com’era stata la sua vita, cosa era successo, com’era diventata.

    Joe aveva chiesto se l’oratore fosse qualcuno che conosceva, e io avevo evitato una risposta precisa. Se non conosceva Ray Gruliow di persona, lo conosceva sicuramente di fama, e avrebbe riconosciuto la sua lunga faccia, simile a quella di Lincoln, e la sua voce rauca e sonora. Ray, detto il Tosto, era un penalista che aveva fatto carriera rappresentando estremisti ed emarginati, e difendeva gli imputati meno simpatici del Paese accusando il sistema stesso. La polizia lo odiava, e nessuno aveva dubbi che fosse stato qualche poliziotto, anni prima, a sparare un paio di colpi verso la finestra della casa di Ray in Commerce Street. (Nessuno era rimasto ferito, e la pubblicità che ne era derivata era stata una manna per Ray. Se avessi saputo che ne avrei avuto tanta pubblicità, disse, avrei potuto farlo io stesso.)

    Avevo incontrato Ray alla cena annuale del Club dei Trentuno. Era stato un avvenimento lieto: dalla riunione dell’anno precedente non avevamo perso nessun membro. Verso la fine della serata dissi a Ray che stavo cercando gli oratori per gli incontri degli A.A., che si tenevano a mercoledì alterni alla chiesa di S. Paolo; quando avrebbe voluto parlare?

    • • •

    All’incontro di quella sera vi erano quaranta o cinquanta persone, e almeno la metà dovevano avere riconosciuto Ray, ma la tradizione dell’anonimato ha radici profonde in noi. Durante la discussione che seguì il suo racconto, nessuno diede a vedere di sapere di lui più di quanto avesse detto prima. Indovina chi ha parlato a S. Paolo l’altra sera, avrebbero potuto dire ad altri membri e in altri incontri, perché si tende a farlo, benché non si dovrebbe. Ma non ne parliamo con amici al di fuori del programma, come io non avevo detto nulla a Joe Durkin e, forse anche più importante, questo non cambia i nostri rapporti durante le riunioni. Paul T., che fa consegne a domicilio per la pizzeria della 57esima, e Abie, che fa cose misteriose con i computer, ricevono la stessa attenzione in quella sala del dottor Raymond F. Gruliow. Forse di più, visto che sono sobri da più tempo.

    • • •

    Gli incontri terminano alle dieci, e alcuni di noi sono soliti andare al Flame, un caffè sulla Nona, quasi di fronte al bar originale di Jimmy. Questa volta al grande tavolo d’angolo eravamo in sette. Ormai, spesso sono io quello che nel gruppo ha la sobrietà continua più lunga – una cosa che capita, prima o poi, se non si beve e non si muore. Quella sera, però, al nostro tavolo vi erano due uomini che erano rimasti sobri per diversi anni più di me, e uno di loro, Bill D., era presente molto probabilmente al mio primissimo incontro. (Io non me lo ricordo, perché ero a malapena cosciente della mia presenza). Lui veniva alle riunioni con una certa frequenza, e mi è sempre piaciuto quello che diceva; avrei potuto chiedere a lui di essere il mio sponsor, se la scelta di Jim Faber per quel ruolo non fosse stata la più ovvia. In seguito, dopo che Jim venne ucciso, decisi che se mai avessi sentito la necessità di uno sponsor l’avrei chiesto a Bill. Ma fino ad ora non è accaduto.

    In quei giorni non parlava molto, benché andasse sempre a molti incontri. Era un tizio alto e magro, con capelli radi, e alcuni dei nuovi membri lo chiamavano William il Silenzioso. Era un aggettivo che non si sarebbe adattato a Pat, che era basso e robusto, e sobrio quasi da altrettanti anni quanto Bill. Era uno simpatico, ma chiacchierava troppo.

    Bill era andato in pensione da poco, dopo cinquant’anni di lavoro come attrezzista di palcoscenico. Probabilmente aveva visto più commedie di Broadway di chiunque altro io conosca. Pat, anch’egli in pensione, aveva lavorato in centro, in uno degli uffici burocratici del Comune; non era mai stato troppo chiaro in che settore lavorasse, o cosa vi facesse; ma, qualsiasi cosa fosse, aveva smesso di farla da quattro o cinque anni.

    Johnny Sidewalls aveva lavorato nell’edilizia fino a quando un incidente sul lavoro gli procurò due gambe lese e una pensione di invalidità. Camminava con l’aiuto di due bastoni e lavorava da casa, con un’attività di vendite su Internet. Qualche anno fa, quando si presentava a S. Paolo o al Fireside o ad altri incontri della zona era molto cupo e amareggiato, ma col tempo il suo umore era migliorato. Come Bill, era uno che viveva nel suo quartiere, e aveva trascorso tutta la vita a Hell’s Kitchen, a San Juan Hill, o poco distante. Non so perché lo chiamassero Johnny Sidewalls, e penso avesse quel nomignolo da prima che diventasse sobrio. Se vi chiamate John, qualche soprannome è quasi inevitabile, ma nessuno sapeva da dove derivasse il suo.

    Quando vi chiamate Abie, d’altra parte, non serve un nomignolo né una iniziale. Abie – l’abbreviazione di Abraham, immagino, ma lui diceva sempre il suo nome come Abie, e vi correggeva se lo troncavate in Abe – era sobrio da dieci e passa anni, ma era da poco a New York. Aveva smesso di bere quando stava in Oregon, poi si era trasferito nella California settentrionale. Era arrivato a New York qualche mese prima e aveva cominciato a farsi vedere alla chiesa di S. Paolo e ad alcuni altri incontri nel West Side. Aveva poco più di quarant’anni, era alto circa uno e ottanta, di corporatura media e una faccia regolare che era difficile tenere in mente se non lo si guardava. Non vi erano lineamenti marcati che restassero nella memoria.

    Mi sembrava che la sua personalità fosse in qualche modo simile. Avevo sentito la sua storia a un incontro pomeridiano degli A.A. nella 63esima Y, e la sola cosa che ricordo è che una volta beveva e ora non beve più. Non parlava spesso, e quando lo faceva tendeva ad essere banale ma ineccepibile. Pensai che dipendesse dal suo stile. Quando si parla a un incontro in una piccola città, come egli era abituato, si tende a essere meno personali e più formali.

    Durante uno dei primi incontri a cui partecipai, una donna lesbica disse di avere capito che il bere era diventato un problema quando notò che spesso, quando usciva dai suoi vuoti di memoria, si trovava in ginocchio e con in bocca l’uccello di qualche tizio. Da sobria non l’ho mai fatto, disse. Credo che Abie non avesse mai sentito una cosa del genere a Dogbane, Oregon.

    Herb veniva alle riunioni fin da quando ci veniva anche Abie, e aveva compiuto i novanta giorni di sobrietà la settimana precedente. Questo è una specie di traguardo: fino a quando non si sono raggiunti i novanta giorni restando ‘puliti e asciutti’, non si può condurre un incontro o assumere un impegno di servizio. Herb si era presentato a un incontro il giorno in cui non ero presente; ma probabilmente prima o poi riuscirò a sentire la sua storia, se entrambi restiamo sobri. Lui era sui cinquanta, grassoccio e in parte calvo, ma con l’entusiasmo quasi infantile caratteristico di alcuni membri appena iniziano a restare sobri.

    Io non ero stato così, né ero amareggiato da tutta la faccenda come lo era stato Johnny. Jim Faber, che aveva assistito al processo, mi aveva detto che io ero insieme fatalista e ostinato: certo che avrei bevuto ancora, ma deciso a non farlo. Non so com’ero; ricordo solo che mi trascinavo da un incontro all’altro, temendo che con me avrebbe funzionato, temendo che non avrebbe funzionato.

    • • •

    Non ricordo chi aveva tirato in ballo la pena di morte. Lo aveva fatto qualcuno, e qualcun altro aveva risposto con un’osservazione standard. Poi Johnny Sidewall si era rivolto a Ray: Suppongo che tu sia contrario. L’avrebbe potuto dire con un tono provocatorio, invece era una normale osservazione, con il tacito sottinteso che, essendo Ray quello che era, sarebbe stato contrario.

    Sono contrario per i miei clienti, disse Ray.

    Be’, lo devi essere, no?.

    Certamente. Per i miei clienti sono contrario a qualsiasi pena.

    Sono tutti innocenti, dissi io.

    Questa è un’esagerazione, concesse. Io mi accontento di ‘non colpevole’. Ho seguito alcuni casi che prevedevano la pena capitale. Non ne ho mai perso nemmeno uno, e non erano casi in cui la condanna a morte fosse una vera possibilità. Però, anche la minima probabilità che un vostro cliente finisca sulla sedia, rende la mente di un avvocato meravigliosamente acuta. ‘Sulla sedia’: questo dimostra quanto io sia vecchio, eh? La sedia elettrica non c’è più. Adesso vi fanno distendere, anzi insistono per farlo. Vi legano a un lettino, ne fanno una normale pratica medica. E le probabilità che vada male sono anche minori che nella normale chirurgia.

    Quello che mi è sempre piaciuto, disse Bill, è quando ti disinfettano il braccio col cotone.

    Ray assentì. Dio non voglia che tu ti prenda un’infezione. Viene da chiedersi quale moderno Mengele l’abbia pensata. Se sono contrario alla pena di morte? Be’ – a parte il fatto che non si è stabilito che abbia un effetto deterrente, e che tutto il procedimento, tra ricorsi in appello ed esecuzione, costa più che alloggiare e nutrire il bastardo per il resto della vita, e che è un atto barbaro che ci mette sullo stesso piano della Cina e delle dittature islamiche, e che, a differenza della pioggia che cade sul giusto come sull’ingiusto, questo ricade esclusivamente sui più poveri e i meno fortunati . . . A parte tutto questo, c’è lo spiacevole fatto che ogni tanto ci si sbaglia e si giustizia la persona sbagliata. Fino a non molto tempo fa nessuno aveva mai nemmeno sentito parlare del DNA, e ora grazie ad esso un mucchio di condanne vengono ribaltate. Chi può dire quale sarà la prossima scoperta della medicina legale, e quale percentuale di innocenti si scoprirà tra i poveracci che lo Stato del Texas sta uccidendo?.

    Sarebbe tremendo, disse Herb. Immagina di sapere che tu non hai fatto nulla, ma non puoi impedire che ti uccidano.

    La gente muore di continuo, disse Pat, senza un motivo.

    Ma non è lo Stato ad ucciderli. Fa una bella differenza.

    Abie disse: Ma a volte non vi è una risposta adeguata se non la morte. Per i terroristi, ad esempio. Cosa ne faresti?.

    Gli sparerei subito, disse Ray. Oppure li impiccherei, i bastardi.

    Ma se sei contro la pena di morte . . ..

    Mi hai chiesto cosa farei, non cosa penso sia giusto fare. Se si tratta di terroristi, americani o stranieri, non mi interessa cosa sarebbe giusto. Li impiccherei.

    Questo accese un’animata discussione che per la maggior parte non seguii. In genere mi piace la compagnia dei miei soci ex-alcolizzati, ma devo dire che mi interessa meno quando parlano di politica, o di filosofia, o, in effetti, di qualcosa molto al di là della loro vita immediata. Più la conversazione si faceva astratta, meno stavo attento; fino al momento in cui Abie disse: E allora Applewhite? Preston Applewhite, di Richmond, Virginia. Ha ucciso quei tre bambini, e la sua esecuzione è fissata per un giorno della settimana prossima.

    Venerdì, dissi io. Ray mi guardò. Mi è capitato di discuterne poco fa, questa sera, spiegai. Pare che le prove siano schiaccianti.

    Assolutamente, disse Abie. "E tu sai che i maniaci sessuali lo farebbero ancora, se ne avessero la

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