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Tutti muoiono: Matthew Scudder, #14
Tutti muoiono: Matthew Scudder, #14
Tutti muoiono: Matthew Scudder, #14
E-book385 pagine5 ore

Tutti muoiono: Matthew Scudder, #14

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Info su questo ebook

Matt Scudder sta finalmente conducendo un'esistenza tranquilla. Il numero dei crimini è in diminuzione e la borsa in risalita. I rimodernamenti rendono più gradevoli i vecchi quartieri. Le strade di New York non sembrano più così violente.

Poi si scatena l'inferno.

Scudder scopre ben presto che i marciapiedi ben sistemati possono essere come sempre paurosi, violenti e macchiati di sangue. Vive in un mondo nel quale il passato è un campo minato, il presente è un terreno di battaglia e il futuro una domanda senza risposta. È un mondo nel quale nessuno è al sicuro, un universo caotico in cui non è garantita la sopravvivenza di nessuno. Nemmeno la sua.

Un mondo in cui tutti muoiono.

 

Alcune recensioni di Tutti muoiono:

 

"È davvero elevato il numero di morti nell'ultimo romanzo di Scudder, che è anche il migliore dopo Un'altra notte a Brooklyn (A Walk Among the Tombstones ): vibrante, meditativo, ben articolato e con un finale eccezionale. Il tessuto narrativo di pensieri e azioni di Block, sempre senza smagliature, e il suo talento per dialoghi veri, divertenti e significativi raramente ha dato miglior prova di sé. Le pagine che conducono ai momenti culminanti hanno un tono quasi Shakespeariano nella rassegnazione umana di fronte alla morte."  

~Publishers Weekly

 

"Un noir teso, uno dei migliori di Lawrence Block"

~Cleveland Plain Dealer

 

"Sconvolgente! Uno dei capitoli più strazianti, eppure più gratificanti, nella crescita di un eroe".

~Philadelphia Inquirer

 

"Molto, molto dark. E anche molto, molto buono" 

~Denver Post

LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2020
ISBN9781393295259
Tutti muoiono: Matthew Scudder, #14
Autore

Lawrence Block

Lawrence Block is one of the most widely recognized names in the mystery genre. He has been named a Grand Master of the Mystery Writers of America and is a four-time winner of the prestigious Edgar and Shamus Awards, as well as a recipient of prizes in France, Germany, and Japan. He received the Diamond Dagger from the British Crime Writers' Association—only the third American to be given this award. He is a prolific author, having written more than fifty books and numerous short stories, and is a devoted New Yorker and an enthusiastic global traveler.

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    Anteprima del libro

    Tutti muoiono - Lawrence Block

    Capitolo 1


    Cristo!, disse Andy Buckley; e frenò fino a fermare la Cadillac. Alzai gli occhi e vidi un cervo, forse a una dozzina di metri da noi, nel mezzo della nostra corsia. Era indubbiamente un cervo bloccato nella luce dei fari, ma non aveva l’aria stupita a cui di solito questa espressione fa pensare. Aveva un portamento signorile e molto sicuro di sé.

    Dai, cervo, disse Andy. Sposta il culo.

    Avvicinati, disse Mick. Ma lentamente.

    Non vuoi riempirti il freezer di carne di cervo, eh?. Andy tolse il piede dal freno e fece avanzare l’auto molto piano. Il cervo ci lasciò arrivare sorprendentemente vicini prima di allontanarsi dalla carreggiata e dalla nostra vista con un grande balzo, verso i campi bui di fianco a noi.

    Eravamo arrivati a nord della città con la Palisades Parkway, poi a nord-ovest con la Route 17, e a nord-est con la 209. Quando ci fermammo per il cervo eravamo su una strada senza numero, e dopo qualche chilometro girammo a sinistra su una stradina tortuosa, coperta di ghiaia, che portava alla fattoria di Mick Ballou. Era passata la mezzanotte quando eravamo partiti, ed erano quasi le due quando arrivammo. Non vi era traffico, e saremmo potuti andare più veloci, ma Andy restava qualche chilometro sotto il limite di velocità, frenava ai semafori gialli e dava la precedenza agli incroci. Mick e io eravamo seduti dietro. Andy guidava, e i chilometri passavano in silenzio.

    Sei già stato qua, disse Mick, quando comparve la vecchia casa della fattoria.

    Due volte.

    Una dopo quella faccenda a Maspeth, ricordò. Quella notte guidavi tu, Andy.

    Mi ricordo, Mick.

    E con noi c’era pure Tom Heaney. Temevo che l’avremmo perso. Aveva una brutta ferita, ma si lamentava appena. Be’, lui è del Nord. Loro parlano ben poco.

    Intendeva il Nord dell’Irlanda.

    Ma ci sei stato una seconda volta? Quando era stato?.

    Un paio di anni fa. Avevamo fatto tardi e tu mi hai portato qua a vedere gli animali e a guardare il posto alla luce del giorno. E mi hai dato una dozzina di uova da portare a casa.

    Ora ricordo. Scommetto che non hai mai assaggiato uova migliori.

    Erano molto buone.

    Tuorli grossi, del colore delle arance spagnole. Avere le galline che ti fanno le uova è un bel risparmio. Ho calcolato che quelle uova mi costano venti dollari.

    Venti dollari la dozzina?.

    Direi venti dollari ogni uovo. Ma quando lei me li cucina, giuro che ne vale la pena, eccome.

    ‘Lei’ era la signora O’Gara; lei e il marito erano i proprietari ufficiali della fattoria. Allo stesso modo, vi era il nome di qualcun altro sul libretto della Cadillac, come pure sulla licenza del Grogan, il saloon che Mick possedeva all’angolo tra la 50esima e la Decima. Aveva delle proprietà immobiliari qua e là per la città, e interessi in affari, ma non trovereste mai il suo nome in nessun documento ufficiale. Possedeva, mi aveva detto, i vestiti che aveva indosso, e non avrebbe potuto dimostrare che fossero legalmente suoi nemmeno quelli. Se non possiedi una cosa, diceva, è difficile che te la portino via.

    Andy parcheggiò accanto alla casa.

    Uscì dall’auto e si accese una sigaretta, attardandosi a fumare mentre Mick e io salimmo i pochi gradini del porticato posteriore. Nella cucina vi era una luce accesa, e Mr. O’Gara ci aspettava accanto al tavolo rotondo di quercia.

    Mick aveva telefonato prima, per avvertirlo. Avevi detto di non aspettarti alzato, disse ora, ma volevo essere sicuro che avessi tutto quello che ti serve. Faccio del caffè fresco.

    Bravissimo.

    Qua va tutto bene. La pioggia della settimana scorsa non ha fatto danni. Quest’anno le mele dovrebbero essere buone, e le pere anche meglio.

    Anche il caldo dell’estate non ha prodotto danni, allora.

    Nulla di irreparabile, disse O’Gara. Grazie a Dio. Lei adesso dorme, e andrei a letto anch’io, se va bene. Ma se ti serve qualcosa, basta che mi chiami.

    Siamo a posto, gli assicurò Mick. Saremo fuori, qua dietro, e cercheremo di non disturbarti.

    Oh, noi dormiamo sodo, disse lui. Sveglieresti i morti, prima di svegliare noi.

    O’Gara si portò la tazza del caffè al piano di sopra. Mick riempì un thermos di caffè, lo chiuse, poi trovò una bottiglia di Jameson nella credenza e rabboccò la fiaschetta d’argento dalla quale aveva sorseggiato per tutta la sera. La rimise nella tasca dei pantaloni, prese dal frigorifero due confezioni da sei lattine di birra O’Keefe’s Extra Old Stock, le diede ad Andy, e riprese il thermos del caffè, con una tazza.

    Tornammo alla Cadillac e proseguimmo lungo il vialetto, superando la rete del pollaio, il recinto dei maiali e i fienili, sino ad arrivare al vecchio frutteto. Andy fermò l’auto e Mick ci disse di aspettare. Tornò indietro di qualche passo fino a quello che sembrava in tutto e per tutto un vecchio gabinetto esterno fatto di assi, ma che evidentemente era una piccola baracca per gli attrezzi. Tornò reggendo una pala.

    Scelse un punto e iniziò il primo turno, puntando la pala al terreno e poggiandovi il suo peso per farne affondare tutta la lama. La pioggia recente non aveva fatto danni. Si piegò, si raddrizzò, e gettò di lato una badilata di terra.

    Io aprii il thermos e mi versai un po’ di caffè. Andy accese una sigaretta e aprì una lattina di birra. Mick continuò a scavare.

    Facemmo a turno, Mick, poi Andy, poi io, e scavammo una profonda fossa rettangolare nel terreno, accanto al frutteto delle pere e delle mele. Vi erano anche alcuni ciliegi, disse Mick, ma erano amarene, troppo aspre e adatte solo per le torte; era più semplice lasciare che se le mangiassero gli uccelli piuttosto che fare la fatica di coglierle, considerando anche il fatto che se ne sarebbero mangiata comunque la maggior parte.

    Io indossavo una giacca a vento leggera, e Andy una giacca di pelle; ma ce le levammo quando iniziammo i nostri turni con la pala. Mick non aveva nulla tranne una camicia sportiva. Né il freddo né il caldo sembravano dargli fastidio.

    Durante il secondo turno di Andy, Mick bevve un sorso di whisky, seguito da altri di birra e sospirò. Dovrei venire qua più spesso, disse. Ci vorrebbe più luce di quella della luna per vedere quanto è bello, ma senti che pace?.

    .

    Annusò l’aria. E sento anche l’odore. Maiali e polli. Una puzza terribile se sei vicino, ma a questa distanza non è poi male, no?.

    No, per nulla.

    Ben diverso dagli scarichi delle auto e il fumo delle sigarette e tutti gli odori che incontri in città. Però mi potrebbe dare fastidio se sentissi questo tutti i giorni. Ma se lo fiutassi tutti i giorni, forse non lo noterei più.

    Dicono che è così che succede. Altrimenti non sarebbero riusciti a vivere in città dove c’erano le cartiere.

    Dio, è il peggiore che ci sia, l’odore di una cartiera.

    È molto cattivo. E dicono che una conceria sia anche peggio.

    Deve dipendere tutto dalla lavorazione, disse, perché i prodotti finiti non puzzano. Il cuoio ha un odore piacevole, e la carta non ne ha per nulla. E non c’è profumo più gradito di quello della pancetta che frigge in una padella; eppure, non viene anch’essa dallo stesso porcile che ora ci infastidisce il naso? Questo mi ricorda una cosa.

    Che cosa?.

    Il regalo che ti avevo fatto due Natali fa. Un prosciutto, da uno dei miei maiali.

    Era stato un regalo molto generoso.

    Cosa di più adatto, per una ebrea vegetariana?. Scosse la testa al ricordo. Che donna gentile è. Mi aveva ringraziato con tanto calore che solo dopo ore ho pensato che razza di regalo inappropriato le avevo portato. Lo ha cucinato per te?.

    Elaine lo avrebbe fatto, se avessi voluto; ma perché dovrebbe cucinare qualcosa che non mangerà? Io mangio abbastanza carne quando non sono a casa. A casa o fuori, però, con quel prosciutto avrei avuto qualche difficoltà. La prima volta che Mick e io ci eravamo conosciuti, stavo cercando una ragazza che era sparita. Si scoprì che era stata uccisa dal suo amante, un giovanotto che lavorava per Mick. Si era liberato del corpo dandolo da mangiare ai maiali.

    Quando lo venne a sapere, Mick, indignato per l’oltraggio, aveva dispensato una giustizia poetica, e i maiali avevano cenato una seconda volta. Il prosciutto che ci aveva portato proveniva da una diversa generazione di animali, sicuramente nutrita di granaglie e avanzi di cucina, ma io fui lieto di darlo a Jim Faber, il cui piacere non era complicato dalla consapevolezza della sua storia.

    L’ho regalato per Natale a un mio amico, dissi. Mi ha detto che era il miglior prosciutto che avesse mai mangiato.

    Dolce e tenero.

    Così ha detto.

    Andy Buckley gettò la pala, uscì dalla fossa e bevve in un sorso solo quasi tutta una lattina di birra.

    Cristo, questo lavoro fa venir sete.

    Uova da venti dollari e prosciutti da mille dollari, disse Mick. L’agricoltura è una carriera grandiosa per un uomo. Come potrei fallire?.

    Io afferrai la pala e mi misi al lavoro.

    • • •

    Feci il mio turno e Mick fece il suo.

    A metà, si appoggiò alla pala e sospirò. Domani sentirò nei muscoli tutto questo lavoro, disse, ma è una sensazione piacevole, tutto sommato.

    Un sano esercizio fisico.

    Quello che faccio nella vita quotidiana è ben poco, E tu?.

    Io cammino molto.

    È l’esercizio migliore, dicono.

    Quello, e allontanarsi da tavola.

    Ah, quello è il più difficile, e con l’età è sempre peggio.

    Elaine va in palestra, dissi. Tre volte la settimana. Io ci ho provato, ma mi annoio a morte.

    Però cammini.

    Cammino.

    Mick estrasse la fiaschetta, e la luce della luna mandò un riflesso sull’argento. Bevve un sorso e la rimise in tasca, poi riprese la pala. Dovrei venire qua più spesso, disse. Quando sono qua faccio delle lunghe passeggiate, sai. E faccio dei lavori, anche se sospetto che O’Gara deve rifarli da capo dopo che me ne sono andato. Non ho talento per la vita di campagna.

    Però venire qua ti piace.

    Sì, eppure non ci vengo mai. E se mi piace tanto, perché sono sempre impaziente di tornare in città?.

    Ti manca l’azione, suggerì Andy.

    Dici? Non mi mancava molto, quando ero con i Fratelli.

    I monaci, dissi io.

    Lui assentì con la testa. I Fratelli Tessalonicesi. A Staten Island, col vaporetto da Manhattan è un breve tragitto, ma sembrano due mondi diversi.

    Quando ci sei stato l’ultima volta? Era questa primavera, no?.

    Le ultime due settimane di maggio. Giugno, luglio, agosto, settembre. Circa quattro mesi fa. La prossima volta devi venire con me.

    Sì, come no.

    E perché no?.

    Mick, non sono nemmeno cattolico.

    Chi lo dice, cosa sei o non sei? A volte vieni anche a messa con me.

    Quello è per venti minuti, non per due settimane. Mi sentirei fuori luogo.

    Non ti succederebbe. È un ritiro. Non hai mai fatto un ritiro spirituale?.

    Scossi la testa. Un mio amico lo fa, qualche volta, dissi.

    Dai Tessalonicesi?.

    Dai Monaci Buddisti. Non stanno lontani da qua, ora che ci penso. C’è un paese qua vicino che si chiama Livingston Manor?.

    Sì, e in effetti non è distante.

    Be’, il loro monastero è lì vicino. Lui ci è stato tre o quattro volte.

    Allora è buddista?.

    È stato educato come cattolico, ma si è allontanato dalla Chiesa da anni e anni.

    E allora va a fare i ritiri dai Buddisti. L’ho conosciuto, questo tuo amico?.

    Non credo. Ma lui e sua moglie hanno mangiato quel prosciutto che mi avevi dato.

    E l’hanno trovato buono, mi dicevi.

    Il migliore che avessero mai assaggiato.

    Un bel complimento da un Buddista Zen. Ah, Gesù, è uno strano mondo, no?. Si arrampicò fuori dalla buca. Dagli ancora una passata, disse, porgendo la pala ad Andy. Penso che possa andare, ma non fa male se lo spiani un po’.

    Andy gli diede il cambio. Ora sentivo freddo. Presi la giacca a vento da dove l’avevo buttata e la indossai. Il vento portò una nuvola davanti alla luna, e a noi arrivò un po’ meno luce. La nuvola passò e la luce tornò. Era una luna crescente, e sarebbe stata piena entro un paio di giorni.

    Gibbosa: è il termine per la luna quando se ne vede più di metà. Parola di Elaine. Be’, del dizionario Webster, immagino, ma l’ho imparata da lei. Ma mi ha anche detto che se nell’Iowa riempio una botte con acqua di mare, la Luna vi provocherà una marea. E che la composizione chimica del sangue è simile a quella dell’acqua di mare, e che la forza che causa le maree funziona anche nelle nostre vene . . .

    Erano solo pensieri che avevo sotto una luna gibbosa.

    Così può andare, disse Mick. Andy lanciò la pala e Mick gli diede una mano per uscire dallo scavo. Tutti lo guardammo e decidemmo che andava bene. Poi andammo all’auto, Mick emise un gran sospiro e aprì il bagagliaio.

    Per un momento, pensai che sarebbe stato vuoto. Ci sarebbe stata la gomma di scorta, naturalmente, il crick, una chiave inglese, e forse una vecchia coperta e degli stracci.

    Ma che oltre a quello, sarebbe stato vuoto.

    Solo un pensiero passeggero, che mi aveva traversato la mente come la nuvola era passata davanti alla luna. Non mi attendevo davvero che il bagagliaio fosse vuoto.

    E infatti non lo era.

    Capitolo 2


    Non so se questa storia dovrei raccontarla io.

    In realtà, è di Mick, molto più che mia.

    Dovrebbe essere lui quello che la racconta. Ma non lo farà.

    Ed è la storia anche di altri.

    Ogni storia appartiene a tutti coloro che ne avevano preso parte, e vi erano non poche persone che avevano avuto un ruolo in questa. Non è una loro storia come per Mick, ma potrebbero raccontarla, singolarmente o insieme, in un modo o nell’altro.

    Ma non lo faranno.

    E nemmeno lui, al quale la storia appartiene più che a ogni altro. Non ho mai conosciuto nessuno che racconti storie meglio di Mick, e con questa potrebbe farci dei soldi, ma non accadrà. Lui non la racconterà mai.

    E io, dopo tutto, c’ero. Un po’ all’inizio, molto nel mezzo e quasi sempre alla fine.

    Ed è anche una mia storia. Ovviamente lo è. Come potrebbe non esserlo?

    Quindi, eccomi qua a raccontarla. Per qualche motivo, non posso non raccontarla.

    Dunque, immagino che tocchi a me.

    Capitolo 3


    In precedenza quella stessa notte, un mercoledì, ero andato a una riunione degli Alcolisti Anonimi. Dopo, avevo preso un caffè con Jim Faber e un paio di altre persone, e quando arrivai a casa Elaine mi disse che aveva chiamato Mick. Ha detto che magari potevi passare da lui. Non ha detto chiaramente che era urgente, ma ho avuto quell’impressione.

    Così, avevo preso la giacca a vento dall’armadio, l’avevo indossata e, a metà strada verso il Grogan, ne avevo tirato su la lampo. Era settembre, un settembre molto variabile, con giornate come agosto e notti come ottobre. Giorni per ricordare dove si era stati, notti per essere certi di sapere dove si stava andando.

    Avevo vissuto per qualcosa come vent’anni in una stanza dell’Hotel Northwestern, all’estremità nord della 57esima, a pochi metri dalla Nona Avenue. Quando alla fine me n’ero andato, mi ero trasferito quasi di fronte, al Parc Vendôme, un grosso edificio d’anteguerra nel quale Elaine e io abbiamo uno spazioso appartamento al quattordicesimo piano, con finestre che danno a sud e a ovest.

    Ora camminai a sud e a ovest; a sud verso la 50esima, a ovest verso la Decima Avenue.

    Il Grogan è all’angolo sud-est, una specie di vecchio locale irlandese, come è sempre più difficile trovare nel quartiere di Hell’s Kitchen, e in realtà ovunque a New York. Il pavimento è di piastrelline bianche e nere, il soffitto di metallo decorato, e vi è un lungo bancone di legno e uno specchio dietro il bar. Nel retro c’è un ufficio dove Mick tiene pistole, denaro e registri, e dove a volte fa un pisolino su un grosso divano di pelle verde. Vi è una rientranza sulla sinistra dell’ufficio, con un bersaglio per le freccette all’estremità, sotto un pesce vela impagliato. Sul muro di destra di questo spazio vi sono porte che vanno ai servizi.

    Superai la soglia e diedi uno sguardo al locale: al bar oziosi, lavoratori ed ex-detenuti. Burke al banco, che mi faceva un muto cenno di riconoscimento, e Andy Buckley da solo, nello spazio dietro, piegato in avanti, con una freccetta in mano. Dalla toilette uscì un uomo e Andy si raddrizzò, forse per passare tempo con lui, o per evitare di colpirlo con un dardo. Il tizio mi parve familiare, ma non riuscii a inquadrarlo, poi vidi un’altra faccia che me lo fece passare del tutto dalla mente.

    Al Grogan non fanno servizio ai tavoli; bisogna andare a prendere i propri drink al bar, ma i tavoli ci sono, e circa la metà erano occupati, uno da tre uomini in giacca e cravatta, gli altri da coppie. Mick Ballou è noto per essere un criminale e il Grogan è il suo quartier generale e il punto di ritrovo di quel che resta dei duri del quartiere; ma la riqualificazione di Hell’s Kitchen con Clinton lo ha trasformato in un locale d’atmosfera per i nuovi residenti; un posto dove rilassarsi con una birra dopo il lavoro, o dove fermarsi per un ultimo drink dopo una serata a teatro. È anche un posto adatto per una conversazione seria, facilitata dall’alcol, col vostro coniuge. O, nel caso di lei, col coniuge di qualcun’altra.

    Lei era scura e snella, con capelli corti che incorniciavano una faccia non carina, ma che ogni tanto era bella. Si chiamava Lisa Holtzmann. Quando l’avevo conosciuta era sposata, e suo marito era un uomo che non mi era stato simpatico, ma non avevo saputo dire come mai. Poi qualcuno gli sparò mentre stava facendo una telefonata, lei aveva trovato una cassetta metallica piena di contanti nell’armadio, e mi aveva chiamato. Io feci in modo che lei potesse tenersi il denaro, risolsi l’omicidio del marito e a un certo punto della storia andai a letto con lei.

    Quando iniziò la cosa, io stavo ancora all’Hotel Northwestern. Poi Elaine e io prendemmo insieme l’appartamento al Parc Vendôme, e dopo un anno circa ci sposammo.

    Durante questo periodo io continuai a vedere Lisa. Ero sempre io a chiamarla, chiedendole se volesse compagnia, e lei era sempre disponibile e felice di vedermi. A volte lasciavo passare settimane e settimane senza vederla e cominciavo a pensare che la storia avesse fatto il suo tempo. Ma poi veniva il giorno che desideravo il rifugio offerto dal suo letto, la chiamavo e lei mi accoglieva.

    Per quanto potessi dire, tutta la storia non aveva alcuna influenza sulla mia relazione con Elaine. È quello che piace credere a tutti, ma nel mio caso penso onestamente che fosse vero. Sembrava esistere al di fuori dello spazio e del tempo. C’era il sesso, naturalmente, ma non era quello il punto, non più di quanto il problema col bere avesse a che fare col sapore dei drink.

    In realtà, era come bere, o meglio il suo ruolo per me era come quello che aveva avuto il bere. Era un posto dove andare quando non volevo essere dov’ero.

    Poco dopo che ci eravamo sposati – in luna di miele, in effetti – Elaine mi fece capire di sapere che io vedevo qualcuna, e che non le importava. Non lo disse con troppe parole. Disse solo che il matrimonio non doveva cambiare nulla, che noi potevamo continuare a essere quello che eravamo. Ma l’implicazione era inequivocabile. Forse tutti gli anni nei quali faceva la squillo le hanno dato una prospettiva unica di come siano gli uomini, sposati o meno.

    Continuai a vedere Lisa dopo che ero sposato, benché meno spesso. Poi finì, senza urla e senza pianti. Un pomeriggio ero là, nel nido dell’aquila al ventesimo piano e passa di un nuovo edificio tra la 57esima e la Decima. Stavamo bevendo il caffè e lei mi disse, esitante, che aveva cominciato a vedersi con qualcuno, e che non era ancora una cosa seria ma sarebbe potuto diventarla.

    Poi eravamo andati a letto, ed era stato come sempre; in realtà nulla di speciale, ma piuttosto piacevole. Intanto, però, continuavo a chiedermi che diavolo stessi facendo lì. Non pensavo fosse un peccato, né che fosse sbagliato, non pensavo che facesse male a nessuno, non a Elaine, non a Lisa, non a me stesso. Ma mi sembrava che, in qualche modo, fosse inappropriato.

    Dissi, senza dargli troppa importanza, che probabilmente non l’avrei chiamata per un po’, che le avrei lasciato il suo spazio. E lei, altrettanto semplicemente, disse di pensare che probabilmente per il momento fosse una buona idea.

    E non l’ho mai più chiamata.

    L’avevo rivista un paio di volte. Una volta per strada, mentre tornava a casa con la spesa fatta da D’Agostino. Ciao. Come va? Non male. E tu? Oh, più o meno sempre lo stesso. Mi tengo occupato. Anch’io. Ti trovo bene. Anch’io, grazie. Bene. Be’, è stato bello rivederti. Anche per me. Stammi bene. Anche tu. E una volta quando ero con Elaine, in una stanza affollata da Armstrong. Non è Lisa Holtzmann, quella? Sì, mi pare. È con qualcuno. Si è risposata? Non so.

    Ha avuto un brutto periodo, vero? Prima ha perso il bambino, poi hanno ucciso il marito. Vuoi salutarla? Mah, non so. Sembra tutta presa da quel tizio con lei, e l’avevamo conosciuta quando era sposata. Un’altra volta . . .

    Ma non vi era stata un’altra volta. E ora era qua, al Grogan.

    Stavo avvicinandomi al bar, ma in quel momento lei alzò gli occhi e i nostri sguardi si incrociarono. Lei si illuminò e mi fece cenno di raggiungerla a un tavolo. Matt! Lui è Florian.

    L’uomo sembrava troppo normale per portare quel nome. Era sulla quarantina, con capelli castani che si stavano diradando in alto, occhiali con montatura di tartaruga, un blazer blu su una camicia jeans e cravatta a righe.

    Io dissi ‘salve’, lui disse ‘salve’, e Lisa disse come fosse bello avermi rivisto; io proseguii verso il bar e mi feci dare da Burke un bicchiere di Coca. Lui dovrebbe arrivare tra un attimo, mi disse. Ha detto che saresti venuto.

    Sì, certo, risposi; o qualcosa del genere, senza badare molto a quello che dicevo. Bevvi un sorso di Coca, senza badare nemmeno a quello, e guardando sopra il bicchiere il tavolo che avevo appena lasciato.

    Nessuno dei due ora guardava dalla mia parte. Erano mano nella mano, notai; o piuttosto, lui le teneva la mano. Florian e Lisa. Lisa e Florian.

    Secoli che non ero stato con lei. Anni, in effetti.

    Andy è là dietro, disse Burke.

    Assentii e mi allontanai dal bar. Vidi qualcosa con la coda dell’occhio, mi girai e i miei occhi incontrarono quelli dell’uomo che avevo visto uscire dai bagni. Aveva una faccia triangolare, sopracciglia sporgenti, una fronte ampia, un lungo naso sottile, labbra piene. Lo conoscevo, ma nello stesso tempo non avevo idea di chi diavolo fosse.

    Mi gratificò di un leggerissimo cenno, ma non capii se fosse di riconoscimento, o fosse per il semplice fatto che ci eravamo fissati per un attimo. Poi lui si girò di nuovo verso il bar e io passai di fianco a lui per raggiungere Andy Buckley, che sfiorava la linea di tiro con la punta dei piedi e si sporgeva in avanti, mirando al bersaglio con la freccetta che impugnava.

    Il gran capo è comparso, disse. Vuoi lanciare un paio di freccette mentre aspetti?.

    Direi di no, risposi. Mi fa solo sentire inadeguato.

    Se non facessi le cose che mi fanno sentire inadeguato, non uscirei mai dal letto.

    E il bersaglio? E guidare l’auto?.

    Dio, quella è la cosa peggiore. Ho sempre una voce nella testa. ‘Ma guardati, fesso. Trentotto anni, e sai solo guidare e lanciare freccette. E ti sembra una vita, eh, fesso?’ .

    Lanciò la freccetta, che finì nel centro esatto. Be’, disse, se la sola cosa che sai fare è lanciare freccette, tanto vale farlo bene.

    Recuperò le frecce dal bersaglio, e quando tornò gli chiesi: C’è un tizio al bar, o c’era un minuto fa. Dove diavolo è finito?.

    Di chi stiamo parlando?.

    Mi spostai in un punto dal quale potevo vedere le facce nello specchio dietro il bancone del bar. Non riuscii a trovare il tizio che cercavo. Uno circa della tua età. Forse un po’ più giovane. Fronte ampia, faccia che finisce in un mento aguzzo. Continuai a descriverlo, ma Andy scuoteva la testa. No, non mi viene in mente nessuno. E non è qua, ora?.

    Io non lo vedo.

    Non intendi Mr. Dougherty? Perché adesso è lì, e . . ..

    Mr Dougherty lo conosco, e avrà, che so, novant’anni? Il tizio che dicevo è . . ..

    Della mia età, o più giovane; giusto, me lo hai detto e l’avevo dimenticato. Sai, ogni volta che mi guardo in giro quelli più giovani di me sono sempre di più.

    A chi lo dici.

    Comunque, non lo vedo, e non mi viene in mente nessuno. Dov’è finito?.

    Se ne deve essere andato, dissi. L’omino che non c’era. Solo che lui c’era, e pensavo che gli avessi parlato.

    Al bar? Sono qua dietro da mezz’ora.

    Era uscito dal bagno, dissi, proprio mentre entravo. In quel momento mi era sembrata una faccia familiare, e pensavo ti avesse detto qualcosa; o forse aspettavi solo che passasse per non lanciargli una freccetta nell’orecchio.

    Comincia a venirmi voglia di averlo fatto. Almeno sapremmo chi era. ‘Ah, sì, so chi stai dicendo. È quell’idiota che mette una freccetta come orecchino’ .

    Non ricordi se hai parlato con qualcuno?.

    Scosse la testa. Magari l’ho anche fatto, Matt. Dai servizi entra ed esce gente tutta la notte, e io sono qua a tirare le freccette, e a volte si fermano un attimo a scambiare due parole per fare passare il tempo. Gli parlo senza prestare attenzione, a meno che mi sembri che vogliano fare una partita per un dollaro o due. E stanotte non ho fatto nemmeno quello, per il fatto che siamo qua ad aspettare lui, e che ti dicevo, eccolo qua.

    • • •

    Mick Ballou è grande e grosso, e sembra essere rozzamente scolpito nel granito, come una scultura dell’Età della Pietra. Ha occhi di un sorprendente color verde che lasciano intuire più di un vago sospetto di pericolo. Quella sera indossava pantaloni grigi e una camicia sportiva blu, ma avrebbe potuto indossare il grembiule da macellaio del defunto padre, la cui superficie candida era

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