Il mondo agricolo nell'Antico Egitto
Di Testa Pietro
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Il mondo agricolo nell'Antico Egitto - Testa Pietro
Il sole
Il sole illumina giornalmente l’Egitto e il paese, per il suo orientamento e la sua flora a fogliame ridotto, non conosce quasi l’ombra. All’epoca degli antichi Egiziani il calore poteva raggiungere i 40° mentre d’inverno, più mite e salubre, si aggirava intorno ai 18° aumentando un poco verso il sud del paese. Probabilmente le stagioni intermedie, primavera e autunno, erano appena percettibili.
Tranne il periodo dell’inondazione, in cui l’aria era umida, l’atmosfera era pura e salubre, molto secca e il cielo era terso. La pioggia era rarissima e senza il Nilo, l’Egitto sarebbe stato una zona del Sahara, sabbiosa e arida. Utili per le colture, i rari acquazzoni che si abbattevano sul paese rovinavano le case di fango e minacciavano la stabilità delle costruzioni di pietra. Opportunamente i tecnici egiziani provvedevano le terrazze degli edifici sacri d’idonee pendenze e di doccioni.
Quindi il sole, con il suo calore e la sua luce, era fonte di vita per le piante e il genere umano: da qui la grande adorazione per l’astro, espresso nel dio Ra. In definitiva, salvo i rari acquazzoni e i pochi giorni del vento desertico, il khamsin, l’aria e il clima erano puri e relativamente freschi.
Molto apprezzato era il ‘vento del nord’, cioè la dolce brezza che giungeva dal Mar Mediterraneo. Questi venti costanti soffiano regolarmente dal Mediterraneo, s’incanalano nella valle e rinfrescano l’atmosfera: venti marittimi che tonificano tutto ciò che vive. Un altro elemento naturale di frescura era la notte che, come in tutte le regioni (semi)desertiche, è particolarmente fresca (se non fredda) e la rugiada si deposita per mantenere la fertilità dei terreni meno irrigati, permettendo di seminare e mietere varie volte nell’anno.
Il Nilo
La bontà del clima non sarebbe stata costante senza la presenza del Nilo. Era esso che portava la fertilità e che faceva, da gennaio a maggio, del paese una lunga striscia verdeggiante che produceva nutrimento per tutto ciò che viveva. Naturalmente questo miracolo della natura era tale grazie all’organizzazione agricola del popolo contadino. Il fiume, formato dalla riunione del Nilo Bianco, del Nilo Blu e dell’Atbara, corsi d’acqua che drenano il Sudan e i valloni abissini, non riceve nessun affluente per più di 3.000 km. Dopo, relativamente regolare nella sua larghezza, serpeggia capricciosamente nella valle fino al mare nel quale defluisce in un vasto Delta.
L’inondazione periodica del Nilo, dovuta esclusivamente alle piogge tropicali che cadono regolarmente in questa epoca e fanno debordare i grandi laghi equatoriali, si manifestava verso il 26 aprile a Khartum. L’onda, ingrossata dall’affluenza del Nilo Bianco, si gonfiava diventando verdastra per l’enorme quantità di materie organiche trascinate dalla corrente.
Il fiotto superava la seconda cataratta verso il 24 maggio, il 29 era a Asuân, il 7 giugno a Asiût, il 17 al Cairo. Inoltre il fiotto proveniente dal Nilo Blu, la cui piena non avveniva nello stesso tempo, passava per Khartûm il 26 maggio, e assumeva un colore bruno. Le sue acque, piene di limo degli altopiani abissini, contribuivano alla piena del 26 agosto che sommergeva tutto, dalla catena libica a quella arabica, trasformando l’Egitto in un lungo lago da Asuân fino al mare. Da giugno a settembre la capacità del fiume passava da circa 400 mc./secondo a 9.200 mc., e la quantità di limo trasportata variava da 43 a 1.490 gr./mc.
Poi l’inondazione diminuiva rapidamente verso il 21 settembre.
Questo meccanismo non dava solamente ai campi della Valle l’acqua che, sotto il sole del deserto rendeva possibile la fertilità, ma ogni anno il Nilo portava alle terre il concime necessario, ammorbidendo anche la consistenza del suolo.
Naturalmente vi erano anni di piena insufficiente o troppo abbondante: in entrambi i casi si sviluppavano disagi e carestie facili da comprendere. In genere l’altezza della piena variava nelle varie provincie. Ad esempio a Elefantina una buona piena era di 28 cubiti( 1) (ca. 15 m.); a Edfu 24 cubiti (ca. 13 m.); a Menfi 16 cubiti (ca. 9 m.); a Mendes e Xois 6 cubiti (ca. 3 m.). L’altezza della piena era letta inappositi nilometri,( 2) piccole costruzioni a pozzo provviste di adeguate tacche di misurazione: in questo modo i contadini sapevano come regolare la distribuzione delle acque nei terreni.
Con la sua acqua, il Nilo portava elementi fertilizzanti che, dopo la decrescita della piena, si depositavano sul terreno: il limo, scuro di colore, dette all’Egitto, fra i vari epiteti, quello di ta kémè, terra nera. Fertilizzante naturale, il limo conteneva: acido fosforico; calce; magnesio; potassio; soda; ossido di ferro; silice; materie organiche; acido carbonico.
Con questa carica il suolo profittava dell’azione tonica dell’aria e della luce. Dopo il ritiro delle acque, il terreno estremamente poroso e permeabile, si aerava: l’ossigeno, l’azoto e l’ozono vi si fissavano insieme alla penetrazione della luce. Quindi la terra, inumidita dall’acqua e arricchita di fertilizzante, era relativamente facile da lavorare e da seminare.
Naturalmente l’uniformità della fertilità della Valle, con un suolo formato da alluvioni di composizione chimica pressoché uguale e arricchita da acqua in condizioni identiche, permise agli Egiziani di avere un’agricoltura quasi uniforme in tutto il paese. Per queste ragioni, si comprende bene come tutti gli sforzi si propagarono facilmente e, in mani ingegnose, furono l’occasione di nuovi progressi.
Questi scambi e collaborazioni poterono avvenire grazie al Nilo, grande via navigabile, e parimenti ai suoi canali.
Queste vie permettevano contatti fra gli agricoltori, trasporti delle derrate alimentari e naturalmente i commerci. Durante la piena, però, le uniche strade erano i sentieri sopraelevati e, in attesa della semina e dei lavori agricoli, buona parte della popolazione contadina era utilizzata nei lavori