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Marrara. Mille anni di storia: Illustrato
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E-book64 pagine47 minuti

Marrara. Mille anni di storia: Illustrato

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Marrara è una frazione nel comune di Ferrara e si sviluppa lungo il Po di Primaro. Se ne ha notizia già dal 1287, quando viene citata negli Statuta Ferrariae, ma i primi insediamenti risalgono attorno all’anno 1000. Gli edifici storici più antichi sono la Chiesa parrocchiale del 1392, la Villa Antonelli edificata nel XVI secolo e l’Oratorio della Confraternita dello Spirito Santo del 1586. Vi nacque nel 1863 l’architetto Adamo Boari.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2021
ISBN9791220811439
Marrara. Mille anni di storia: Illustrato

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    Marrara. Mille anni di storia - Autori Vari

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    Intro

    Marrara è una frazione nel comune di Ferrara e si sviluppa lungo il Po di Primaro. Se ne ha notizia già dal 1287, quando viene citata negli Statuta Ferrariae, ma i primi insediamenti risalgono attorno all’anno 1000. Gli edifici storici più antichi sono la Chiesa parrocchiale del 1392, la Villa Antonelli edificata nel XVI secolo e l’Oratorio della Confraternita dello Spirito Santo del 1586. Vi nacque nel 1863 l’architetto Adamo Boari.

    MARRARA

    MILLE ANNI DI STORIA

    Marrara è una frazione nel comune di Ferrara e si sviluppa lungo il Po di Primaro. Se ne ha notizia già dal 1287, quando viene citata negli Statuta Ferrariae , ma i primi insediamenti in quella zona risalgono attorno all’anno 1000. Gli edifici storici più antichi sono la Chiesa parrocchiale del 1392, la Villa Antonelli edificata nel XVI secolo e l’Oratorio della Confraternita dello Spirito Santo del 1586. Vi nacque nel 1863 il famoso architetto Adamo Boari.

    Il territorio

    Anticamente il territorio ferrarese era tutto diviso in polesini (nell’uso padano il termine indica una terra racchiusa da due fiumi o rami dello stesso fiume) per il fatto che era circondato da numerose valli e fiumi, molti dei quali scorrevano anche all’interno dello stesso, così da dividerlo in tanti triangoli che avevano tutti per base il mare Adriatico.

    A meridione e a oriente infatti il territorio era delimitato dal Panaro, dal Reno e dalle valli del Poggio e di Marrara, a settentrione dal Po, dal Tartaro e dal Castagnaro. Sulla destra idrografica di questi rami dell’antico delta i torrenti appenninici versavano le loro piene improvvise e ricche di torbide verso la pianura, dove essi stentavano sia a trovare recapito diretto verso il mare, sia a confluire nei rami più meridionali del Po.

    Le bonifiche: dall’età preromana fino all’anno Mille

    Sappiamo che, prima dei Romani, gli Etruschi conquistarono all’agricoltura molte terre che prima non erano che valli. Con un ingegnoso sistema di arginature, poi continuato e migliorato dai Romani, il vasto territorio paludoso ferrarese conobbe un periodo di grande prosperità. Ma le invasioni barbariche, dopo la fine del dominio romano, cancellarono in buona parte i frutti di queste opere.

    Anche i Celti intervennero in questo difficile processo di bonifica, strappando alle acque e al bosco terra da coltivare, formando aree da destinare all’insediamento e all’agricoltura. I Romani furono i continuatori di questa bonifica, anche se non fu un intervento integrale: ci si sforzava di mantenere i fiumi entro i loro alvei e di agevolare lo scolo delle acque dei territori occupati, mantenendo nello stesso tempo il bosco e la palude per la caccia e la pesca.

    Il drenaggio e lo scolo delle acque palustri, la rettificazione e l’arginatura dei corsi d’acqua, la manutenzione degli acquitrini, impegnarono fortemente i coloni romani. I dossi più elevati venivano scelti come aree per il disboscamento e la messa a coltura, soprattutto quelli meglio drenati lungo i corsi d’acqua attivi, che assicuravano la possibilità di irrigazione e le comunicazioni fluviali.

    Non abbiamo purtroppo dati precisi sull’estensione delle aree coltivate, sui prodotti agricoli, sull’organizzazione e la conduzione della campagna. È quasi certo che la coltivazione dei cereali doveva essere assai sviluppata, dove i terreni umidi favorivano la crescita di grano, orzo, panico e miglio. Plinio ( Naturalis Historia, XVIII, 20 e XVIII, 101) fa menzione lungo il Po della coltura delle fave: prodotti tradizionali che ritroviamo per tutto il Medioevo fino alle soglie della rivoluzione agricola.

    Accanto all’agricoltura era praticato l’allevamento degli animali per il fabbisogno della comunità: polli, anatre, oche e anche l’apicoltura per la produzione del miele. Nel bosco, dove si praticava l’attività venatoria, erano catturati cervi e caprioli, la cui carne veniva consumata, sia pure in misura inferiore rispetto a quella degli animali domestici. Diffusa era la caccia al cinghiale, le valli di Marrara ne abbondavano.

    Nei bacini d’acqua dolce e salmastra e nelle acque costiere si praticava intensamente la pesca. Rinomato era il rombo. Marrara, con il suo paesaggio di paludi e selve, divenuti quasi nascondigli, offriva oltretutto la possibilità di sfruttare l’abbondanza di pesce e selvaggina, che, in un ambiente di così degradante

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