Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La profezia di Xanalthon
La profezia di Xanalthon
La profezia di Xanalthon
E-book475 pagine7 ore

La profezia di Xanalthon

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Per ritornare all'isola da cui sono partiti, Sulladin e Marintia hanno dovuto affrontare un viaggio lungo e pericoloso che li ha impegnati per quasi tre anni.
Una volta sbarcati realizzano che, in realtà, di anni ne sono trascorsi quasi cinquanta e intuiscono che il motivo è da ricercare nella distruzione della roccia del tempo.
L'isola che ritrovano è stata stravolta dall'arrivo sia di una compagnia mercantile intenta a sfruttare le miniere del monte Busir, che dei sacerdoti del dio Kurath.
Superato lo sconcerto iniziale, Sulladin e Marintia sono intenzionati a riconquistare la loro isola e si ritroveranno a dover interpretare un libro appartenuto al mago Xanalthon che il re dell'est ha donato loro. Scopriranno verità sconvolgenti e decideranno di tentare la riunificazione dell'isola seguendo le profezie contenute nel libro.
Troveranno alleati inaspettati e metteranno in atto un piano molto ambizioso, ma senza immaginare quali saranno le conseguenze.
LinguaItaliano
EditoreP. Sacchi
Data di uscita4 set 2021
ISBN9791220842501
La profezia di Xanalthon

Leggi altro di P. Sacchi

Correlato a La profezia di Xanalthon

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La profezia di Xanalthon

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La profezia di Xanalthon - P. Sacchi

    P. Sacchi

    La profezia di Xanalthon

    UUID: 9a772a55-b542-447b-a3db-2cdbf5fdcfd1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    PROLOGO

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    EPILOGO

    Note

    immagine 1

    L'isola agli estremi del mondo

    PROLOGO

    Sulladin aveva dormito poco e male. Troppa era l'impazienza di fare ritorno a casa. Aveva atteso il sorgere del sole sul ponte della nave che li stava riportando a quell'isola agli estremi del mondo da cui, quasi tre anni prima, era salpato a bordo della Soviluna con l'intento di riportare alle loro terre gli uomini catturati dal comandante Scolder, un trafficante di schiavi che contava di venderli in qualche mercato del continente. Di tutti quelli che erano partiti, lui e sua figlia Marintia erano gli unici sopravvissuti. Rivide nella sua mente i volti di tutti coloro che erano caduti, a cominciare dalle vittime dell'attacco del grenger, passando per la misteriosa caduta nell'altro emisfero, per continuare con l'isola degli insetti giganti, l'epidemia che si era scatenata a bordo, per finire all'affondamento da parte dei pirati, con la Soviluna finita sul fondo di un oceano sconosciuto con il suo carico di superstiti, moribondi e cadaveri.

    Era assorto nei suoi pensieri, quando la sagoma inconfondibile del monte Busir si stagliò all'orizzonte, emergendo dallo strato di nebbia che galleggiava sulle acque. Il cuore iniziò a battere più forte. Presto avrebbe riabbracciato gli amici, ma sarebbe stato costretto a fornire un resoconto del suo fallimento al consiglio dei sette e a tutte le persone che avevano perso qualcuno. La nave rallentò e virò come fosse prossima ad attraccare. Ma come ? Da quando i mercantili facevano sosta all'isola ? E che ne era della barriera magica ? Uno strano presentimento iniziò a farsi strada, attanagliandogli lo stomaco. Cosa era quel fumo nero che si levava da più punti ?

    Marintia lo aveva raggiunto sul ponte e anche lei osservava, visibilmente sorpresa, il panorama di fronte a loro. Ebbe l'accortezza di restare in silenzio, consapevole del disagio che suo padre manifestava con un'espressione che tradiva tutto il timore per ciò che avrebbero incontrato.

    Sbarcarono nel punto in cui si sarebbe dovuto trovare il villaggio dei Pescatori. Il porto era grande, con svariati pontili d'attracco ai quali erano ancorate navi da carico, per lo più pinacce e cocche, alcuni brigantini e caravelle, sino a qualche caracca e due imponenti galeoni. Le gru erano in continuo movimento e un nugolo di uomini, impossibili da quantificare, erano al lavoro per scaricare grandi casse dai carri. Era mattino presto ma sui pontili si erano già formate lunghe file di carri in attesa. Un odore nauseante ammorbava l'aria: un misto tra pesce marcio, escrementi, sudore, acqua stagnante e vomito che penetrava sino nell'animo.

    Ehi tu, levati da lì pezzo di idiota ! il grido colse Sulladin di sorpresa. Era chiaramente rivolto a lui che si era fermato sulla banchina ad osservare uno spettacolo che lo stava frastornando, finendo per intralciare le manovre di carico di una nave. L'uomo che lo aveva apostrofato, lo incalzò nuovamente: Allora, ti serve qualche calcio nel didietro per farti spostare ?

    Sulladin si fece da parte, incapace di reagire. L'uomo era muscoloso e abbronzato, indossava un gilet aperto di qualche taglia troppo piccolo e un paio di pantaloni che gli arrivavano al ginocchio. Era scalzo, puzzava come una capra e doveva aver già bevuto parecchio. Non sembrava originario dell'isola, altrimenti non avrebbe osato affrontarlo in modo così scortese.

    Sulladin e Marintia uscirono dal porto e si guardarono attorno. Alla loro sinistra grandi edifici di legno, adibiti a magazzini, sorgevano attorno all'area del porto ed ognuno recava una grande insegna dove spiccava il nome della compagnia di spedizioni. La parte sinistra era occupata da taverne, bordelli, botteghe, case a più piani che si susseguivano in un dedalo di vicoli stretti e maleodoranti. La via principale di accesso al porto era un susseguirsi di carri provenienti dall'entroterra trainati in prevalenza da cavalli che, una volta passati i controlli, si disperdevano all'interno del porto verso le rispettive destinazioni. I carri in uscita dal porto erano costretti a procedere sino agli appositi varchi doganali dove venivano riscosse le tasse. Una lunga fila si era già formata, causata dalle discussioni tra doganieri e spedizionieri per negoziare gli importi da pagare più che dalla complessità dei controlli.

    Per quanto si sforzasse di cercare un volto conosciuto tra la moltitudine di persone che si trovavano in quella zona, Sulladin non riuscì a riconoscere qualcuno cui chiedere spiegazioni. Fu Marintia ad indicargli un mendicante sdraiato a terra contro uno steccato che li stava osservando. Sulladin si volse nella sua direzione e l'uomo alzò una mano in segno di saluto. Si avvicinarono con la speranza di poter finalmente capire cosa fosse accaduto sull'isola.

    Salve buon uomo, sono Sulladin e questa è mia figlia Marintia

    L'uomo sorrise mettendo in evidenza i pochi denti che gli erano rimasti Hai una moneta per il povero Groudin ?

    Sulladin frugò tra le tasche e recuperò una moneta di rame, porgendola al vecchio che la rigirò tra le mani e la gettò a terra sputando un grumo di catarro nella sua direzione Qui tutti pensano che sia vecchio e scemo, ma una moneta buona la so ancora riconoscere. Vattene brutto bastardo

    Lasciatelo stare. Il vecchio Groudin a furia di bere si è giocato il cervello un uomo brizzolato che indossava una giacca elaborata sotto cui spiccava una elegante camicia bianca e dei pantaloni scuri infilati in stivali lucidati di fresco, aveva assistito alla scena.

    Scusate, come avete detto di chiamarvi ?

    Il mio nome è Sulladin la speranza cominciò a fiorire nell'animo del mago che si avvicinò all'uomo tendendo la mano Con chi ho il piacere di parlare ?

    Il mio nome è Calberian rispose l'uomo brizzolato Sulladin avete detto.....Il vostro nome mi riporta ai tempi della scuola. Ah, bei tempi quelli..... La storia era la mia materia preferita e Sulladin è il nome di un mago vissuto su quest'isola che ebbe un ruolo determinante nell'ultima guerra tra le terre di Grinsen e i Lendon, ma un giorno è partito per un lungo viaggio e non ha più fatto ritorno

    Il cuore di Sulladin era sul punto di scoppiare. Finalmente qualcuno che lo conosceva Certo, sono io quel Sulladin e sono appena tornato !

    L'uomo lo guardò, abbozzando un sorriso, dopo un evidente momento di sbalordimento e scoppiò in una sonora risata Amico, ti chiamerei anche come lui, ma io non ero ancora nato quando il mago Sulladin è partito da quest'isola e tra qualche giorno compirò quarantanove anni ! Se tu fossi lui dovresti essere più vecchio di Groudin di un bel pezzo.... rise nuovamente indicando il mendicante.

    Le parole dell'uomo colpirono Sulladin producendo lo stesso effetto di una bastonata ben assestata. Si volse verso Marintia e restarono a guardarsi, sbalorditi e increduli, mentre l'uomo di nome Calberian si allontanava ridacchiando.

    Ma come ? Erano stati lontani neppure tre anni e quell'uomo sosteneva ne fossero trascorsi più di cinquanta. Sulladin non riusciva a capacitarsi. Solo quando ritrovò il controllo, il ricordo iniziò ad affiorare.

    La torre.... Ricordi Marintia ? Quando eravamo in acqua e la torre era stata appena distrutta, tutto ha iniziato a vorticare attorno a noi.... Credo la distruzione della torre abbia provocato una dilatazione temporale e noi siamo stati catapultati avanti nel tempo senza rendercene conto.... Avevo letto qualcosa del genere su quel libro antico....

    E ora che facciamo ?

    Bella domanda per la quale servirebbe una risposta che non ho

    Dobbiamo trovare qualcuno che si ricordi di noi sussurrò Marintia, guardandosi nervosamente attorno alla ricerca di un volto conosciuto.

    E chi vuoi che si ricordi di noi dopo tutto questo tempo ? la fulminò Sulladin imprimendo alla sua voce un tono più brusco di quanto volesse.

    Quell'uomo ha detto di essere sul punto di compiere quarantanove anni e che noi saremmo partiti prima della sua nascita. Quindi siamo stati catapultati in avanti di minimo cinquant'anni... osservò Marintia Forse qualcuno che ti conosceva potrebbe essere ancora in vita, di certo vi sono più possibilità di trovare in vita qualcuno dei miei compagni di scuola...

    E' probabile, ma non puoi certo presentarti di fronte a gente anziana e chiedere se si ricordano di una giovane maga come te che, cinquant'anni prima, frequentava la scuola con loro....

    Marintia grugnì tutta la sua disapprovazione ma si trattenne dal pronunciare imprecazioni colorite Vabbè... avremo tempo per discutere. Adesso allontaniamoci da questo posto prima di attirare l'attenzione di qualcun altro. Andiamo a vedere cosa ne è stato della nostra casa

    Aveva ragione e Sulladin la seguì, anche se non era così impaziente di scoprire i luoghi a cui aveva legato la sua esistenza sull'isola. Oltre alla casa che aveva condiviso con Harviel e i suoi figli, vi erano la casa di Eventhon, il villaggio dei Falegnami, il lago Niam, il bosco magico dove si procurava il legname e molti altri luoghi, tutti impressi nella sua mente.

    Si confusero tra la gente che percorreva il viale principale in uscita dal porto e la memoria di Sulladin tornò a Mankalur, quando si era avventurato in città in compagnia del comandante Scolder. Al momento di partire si sopportavano a malapena, poi, le vicissitudini del viaggio a bordo della Soviluna e le reciproche confessioni, li avevano avvicinati e, ora, la figura del comandante si aggiungeva alla lista di quelle persone che Sulladin avrebbe voluto accanto a sé in questa che aveva tutta l'aria di un'ennesima sfida.

    Si guardò attorno e, per quanto si sforzasse, non riuscì a riconoscere alcun particolare di quello che era stato il villaggio dei Pescatori. In compenso, tanti ricordi iniziarono a presentarsi nella sua mente e tutti riguardavano Harviel e Evyon, la cui scomparsa costituiva uno dei motivi per cui aveva deciso di intraprendere il viaggio. Sperava di ritrovare sé stesso e ridare un senso alla sua vita, invece, non solo aveva perso tutti gli uomini, compresi gli schiavi che voleva riportare alle loro terre, ma era stato lontano per quasi tre anni e ne aveva bruciati più di cinquanta causa quella maledetta roccia del tempo. Non era tutto. Si ritrovava ad essere straniero a casa sua, una casa che aveva subito trasformazioni così profonde da renderla irriconoscibile.

    Spesso si sorprendeva come quei pochi mesi trascorsi a bordo della Soviluna fossero rimasti così impressi nella sua memoria da rendere sbiadito il ricordo di tutto quello che era accaduto nel tempo che avevano impiegato per fare ritorno a casa.

    1

    Avevano navigato verso nord a bordo di una zattera, sospinti da Gil, l'orca, che li aveva lasciati quando erano giunti in prossimità di un gruppo di isolotti abitati da uomini e donne con la pelle bruciata dal sole e che vestivano un semplice gonnellino di stoffa che ricopriva le parti intime. Avevano i volti dipinti con colori vivaci ed erano per lo più pescatori che si nutrivano anche grazie ai frutti che crescevano in abbondanza su quelle isole. Vivevano in capanne fatte con canne lunghe e resistenti e li avevano accolti come fossero amici di lunga data. Alcuni di loro si erano offerti di trasportarli a Mandandui, la più grande delle isole, al cui porto le navi mercantili attraccavano con una certa regolarità.

    Giunti a Mandandui trovarono un imbarco su un mercantile diretto a ovest che raggiunse il continente dopo tre settimane di navigazione. Sbarcarono in un grande porto che a Sulladin ricordò la brutta esperienza di Mankalur. La città di Vensela si rivelò solo caotica e frenetica, con uomini, donne e bambini che sembravano andare di gran fretta come avessero sempre qualcosa di urgente da sbrigare, trascinando piccoli carretti sui quali veniva stipato di tutto. La confusione non accennava a diminuire neppure di notte e Sulladin e Marintia capirono subito che se volevano procurarsi qualcosa da mangiare e un giaciglio per la notte, era necessario disporre di denaro.

    Memori dei racconti di Kalem Massauouri improvvisarono uno spettacolo di trucchi e piccole magie che iniziò a riscuotere un certo successo nelle piazze della città. In capo a qualche settimana erano riusciti a guadagnare abbastanza denaro per acquistare due cavalli, un arco, due coperte, borracce e scodelle, un po' di viveri e due spade piuttosto malmesse. Non che le sapessero maneggiare, ma in quei luoghi pareva che nessuno circolasse sprovvisto di una lama e, se non si fossero adeguati, sarebbero stati considerati facili prede.

    Lasciarono la città in una giornata di pioggia torrenziale che rendeva quasi impraticabili le strade e che tenne loro compagnia per le due settimane seguenti. Evitarono il più possibile le città e i villaggi, seguendo un percorso attraverso i boschi e le piste secondarie, avendo come punto di riferimento la catena montuosa che, all'orizzonte, pareva costituire una barriera invalicabile di roccia e ghiaccio. Furono assaliti per ben due volte da gruppi di briganti, appostati sul sentiero in attesa di qualche viaggiatore solitario, che fuggirono a gambe levate quando si resero conto di aver a che fare con due maghi in grado di lanciare dolorosi raggi infuocati con precisione assoluta.

    Affrontarono la catena montuosa trascinando i due cavalli, ai quali non parevano andare molto a genio i sentieri di montagna. Impiegarono una settimana a raggiungere il valico e a scendere verso il regno di Nalizia, inconsapevoli della guerra che sconvolgeva quel territorio dopo l'attacco congiunto dei regni di Salmidia, Pondesia, Cardun e Rolden che miravano ad ottenere il controllo delle miniere dei regni di Nalizia e del suo confinante Tessendur.

    Fu un periodo molto duro, costretti alla macchia e alla fame, nonché a deviare spesso dal percorso, finendo con l'allontanarsi di parecchio da quella che costituiva la loro meta. Furono catturati da una pattuglia delle truppe di Nalizia, troppo numerosa ed armata per essere affrontata a colpi di magia. Si ritrovarono arruolati tra le fila dei maghi e mandati a combattere al fronte. Finirono separati e si persero di vista per oltre tre mesi, sino a quando si ritrovarono a lottare, fianco a fianco, in una battaglia sanguinosa dove le armate del regno di Nalizia furono sbaragliate e parecchi maghi persero la vita. Riuscirono a cavarsela e approfittarono dello sbandamento provocato dall'avanzata nemica per fuggire.

    Scapparono per settimane, ricorrendo a continui incantesimi per nascondere la loro presenza. Varcato il confine ed entrati nel regno di Cardun furono costretti a nascondersi ancora per il timore di venire arruolati da coloro contro cui avevano combattuto. Nevicò presto e tanto. Trascorsero l'inverno, particolarmente rigido, in una caverna che divisero con un grosso orso caduto in letargo che finì con l'accettare la presenza di due ospiti. Furono costretti a rubare abiti pesanti in una fattoria e, al solo pensiero, il rimorso era ancora ben vivo negli animi di entrambi. Si sfamarono con noci, nespole, nocciole e qualche piccolo animale che catturarono grazie a delle trappole improvvisate.

    Ai primi segnali di primavera si rimisero in cammino. La guerra si era spostata verso sud e nessuno prestava loro attenzione, al punto che finirono per accettare passaggi a bordo di carri sino a riuscire a varcare il confine ed entrare nel regno di Cesanea, dove la popolazione viveva in condizioni di indigenza, vittima di terreni aridi e pietrosi dove coltivare costava una fatica sproporzionata rispetto ai raccolti che si riuscivano ad ottenere.

    Fu proprio in quel regno che incontrarono Talmison Bandur, un cavaliere di ventura lesto di spada e taciturno, caratteristiche molto apprezzate da Sulladin e Marintia, considerato che si trovavano sempre in difficoltà quando si trattava di giustificare la loro provenienza e la successiva destinazione. Talmison Bandur viaggiò con loro per oltre sei mesi e si rivelò un prezioso compagno di viaggio. Insieme attraversarono il fiume che segnava il confine tra la Cesanea e le Terre di Barmoran, nonostante tutti i ponti fossero stati distrutti, risalendo il pendio a fianco di un'imponente cascata sino a passare dietro le acque che precipitavano dall'alto, seguendo un percorso che Talmison pareva conoscere molto bene.

    Sulladin e Marintia si erano spostati troppo a nord rispetto alla direzione che avrebbero dovuto seguire e Talmison Bandur li guidò verso sud-ovest attraverso colline, montagne, fiumi, laghi, foreste, paludi, minuscoli villaggi e grandi città. Percorsero miglia su miglia, affrontando pericoli di ogni sorta, usando la magia per sfuggire ai predoni, a interi battaglioni di soldati, a guardie troppo zelanti, a belve feroci. Si fecero beffe dei nani delle Montagne di Soldur che li sorpresero ad attraversare le loro gallerie, scambiandoli per ladri. Convinsero il drago delle pianure di Gonk a lasciarli passare. Si batterono contro i vampiri che infestavano le Foreste di Massoria. Furono ospitati al Castello di un re al quale avevano salvato il figlio più giovane che stava per annegare e che fece di tutto per convincerli a restare al suo servizio.

    Giunti al mare di Torg le loro strade si divisero. Talmison Bandur preferì non lasciare le terre che conosceva e, una notte, si dileguò dal punto dove si erano accampati, lasciando in segno di amicizia la grande spilla d'oro che usava per chiudere il mantello. Marintia ci rimase male, ma Sulladin comprese le difficoltà di un uomo schivo e taciturno nell'accomiatarsi da loro. Sulladin e Marintia si imbarcarono su un veliero diretto verso il continente occidentale.

    Giunti nel regno del Darawar ebbero modo di appurare il fanatismo religioso imposto dal culto di Kurath, il dio uccello che prometteva ricompense a chiunque si dimostrasse abbastanza generoso nei suoi confronti. Le effigi con l'uccello dorato in campo rosso campeggiavano ovunque e sfuggire ai suoi sacerdoti fu impresa più ardua che evitare i banditi che infestavano le strade del regno. La presenza di due maghi non passò inosservata e Sulladin e Marintia furono costretti a darsi alla macchia. Braccati dai seguaci di Kurath, si rifugiarono sulle montagne a sud della capitale dove incontrarono Masan Sanam, un eremita che viveva in una specie di tana che si era scavato sotto un masso e che dimostrò uno spiccato senso dell'ospitalità, dividendo con loro il poco cibo che aveva a disposizione.

    Sulladin si adoperò per praticare gli stessi incantesimi di cui si era servito per creare il rifugio sul Monte Busir. Memore di quanto accaduto si limitò ad una specie di grotta da dove il fumo del focolare fuoriusciva con regolarità. Si procurarono legname a sufficienza per affrontare l'inverno e invitarono Masan Sanam ad unirsi a loro. L'eremita dapprima rifiutò, ma si decise a trasferirsi nella grotta quando il freddo iniziò a diventare insopportabile e la neve iniziò a cadere copiosa sulle vette. Non parlava molto e mangiava ancor meno. Trascorreva gran parte della giornata assorto in una specie di meditazione, restando immobile nella stessa posizione per lunghi periodi.

    Sulladin e Marintia si dedicarono alla caccia, talvolta contravvenendo alla regola che impediva ai maghi elementali di usare la magia per catturare le creature con cui sfamarsi. Sulladin si dedicò anche ad intagliare oggetti di legno che fecero la felicità di Masan Sanam. Un mattino, alla fine dell'inverno, l'eremita avvistò un contingente di una ventina di soldati risalire la montagna e diede l'allarme. Fu evidente come il loro obiettivo fossero i due maghi in un territorio in cui era stata bandita la magia che non fosse al servizio del dio Kurath. A Sulladin e Marintia non restò che darsi alla fuga, risalendo il monte sino a raggiungere i ghiacciai perenni. Rischiarono più volte di finire inghiottiti da crepacci che si aprirono improvvisamente sotto i loro piedi e furono costretti a rallentare. Quando la distanza dai loro inseguitori si ridusse a poche centinaia di passi, Marintia non esitò a lanciare palle infuocate che provocarono il distacco di un'enorme lastra di ghiaccio e neve che si riversò a valle. La valanga travolse più della metà dei soldati e diede a padre e figlia il tempo necessario per allontanarsi e raggiungere il passo nel mezzo di una improvvisa nevicata che fece perdere le loro tracce.

    Giunsero nel regno di Missuria, uno dei primi territori dove il culto del dio Kurath aveva iniziato a diffondersi. I segni della presenza del dio e dei suoi sacerdoti erano ben evidenti. Grandi monasteri dove sventolava la bandiera rossa con l'uccello dorato e una grande K sorgevano ovunque, più simili a castelli che a luoghi di culto, costruiti facendo un uso smodato di oro che riluceva sotto la luce del sole e li rendeva visibili anche a grande distanza.

    Trovarono riparo in un bosco che si rivelò ben più di un nascondiglio. Era il Bosco degli Alberi Parlanti. Pochi riuscivano a sentirli. La loro voce si diffondeva grazie al fruscio delle foglie mosse dal vento e assumeva il tono di una cantilena da ascoltare con attenzione per poterne cogliere il senso. Sulladin e Marintia entrarono subito in sintonia con gli alberi e questi li ripagarono con preziose informazioni, condite da storie dei tempi passati che poco avevano di interessante, ma non potevano essere ignorate per non offenderli.

    I due maghi approfittarono dell'ospitalità degli alberi per riprendere le forze, ma già al terzo giorno il bosco rivelò altre sorprese. Si svegliarono di buon mattino in una giornata che si preannunciava nuvolosa e fredda, quando colsero un movimento alla loro destra. Rimasero in guardia sino a che un centauro non sbucò come d'incanto e si presentò di fronte a loro in tutta la sua maestosità. Marintia soffocò un urlo e Sulladin si alzò da terra di scatto fissando il centauro dritto negli occhi. Rimasero ad osservarsi per alcuni istanti, sino a quando il centauro non parlò, dando loro il benvenuto.

    Il suo nome era Xamer e ben presto fu attorniato da altri quattro come lui, sbucati dal nulla e che costituivano ciò che restava della Congrega di Baskien, un gruppo formato da cavalli, cervi, muli, più di venti centauri e due unicorni. La Congrega era stata decimata dai maghi al soldo del dio Kurath e i cinque centauri era tutto ciò che ne restava. Avevano trovato rifugio nel Bosco degli Alberi Parlanti ed era la prima volta che si manifestavano a degli umani, dopo aver compreso di potersi fidare dei due maghi.

    Xamer era imponente ed emanava una sensazione di forza e potenza. La sua parte umana rivelava un portamento fiero e un atteggiamento da gran signore. Si offrì di trasportarli sino al confine con la Grandazia, dopo aver attraversato le Terre di Vangiristan, una landa desolata da dove il sommo sacerdote Luviander aveva dato inizio al culto di Kurath. Partirono dopo il tramonto e cavalcare quelle creature, metà uomini e metà cavalli, fu un'esperienza indimenticabile. Xamer e il suo compagno Corias correvano ad una velocità folle, ma con una grazia tale da dare l'impressione di non toccare terra con gli zoccoli. Filarono silenziosi nella notte e quei pochi che li scorsero si convinsero di aver avuto una visione attribuibile alla stanchezza.

    Le prime luci dell'alba spuntarono ad est quando giunsero a destinazione. Avevano percorso in poche ore un tragitto che avrebbe richiesto a Sulladin e Marintia quasi un mese di cammino. Era il momento di un altro addio e Sulladin volle ricompensare Xamer donandogli il suo panciotto che il centauro indossò subito con orgoglio, pur non riuscendo ad allacciarlo tanta erano differenti le loro corporature.

    La fortuna sembrò finalmente assistere i due maghi. Un carro diretto alla città di Palmandis si offrì di dare loro un passaggio. Viaggiarono nel cassone, tra barili e casse di una bevanda che il guidatore definì vino di Dolmen e insistette affinché lo assaggiassero. Il liquido aveva un buon sapore e Marintia ne chiese dell'altro, iniziando subito dopo a ridere sommessamente, poi così forte da sovrastare il rumore prodotto dall'incedere del carro sulla pista di terra battuta. Sulladin, invece, avvertì un senso di pesantezza ed iniziò ad avere problemi nel mantenere la testa ritta. In capo a pochi minuti entrambi si erano assopiti pesantemente.

    Si risvegliarono con un gran mal di testa, sdraiati a bordo della strada, sotto una pioggerella che aveva già inzuppato i loro vestiti. Erano stati derubati di tutto ciò che possedevano, inclusi gli stivali e la spilla dono di Talmison Bandur. Ancora intontiti, scalzi e demoralizzati per essere stati ingannati si trascinarono verso le zone erbose dove camminare risultava meno faticoso. La pista proseguiva in un continuo susseguirsi di svolte in una zona caratterizzata da pendii ricoperti da un'erba secca alta quanto un braccio. Percorsero un breve tratto tenendosi sul lato destro rispetto alla pista e videro un pianoro con al centro una fattoria dove si diressero, speranzosi di ottenere aiuto e di rimediare un paio di calzature.

    Due uomini e tre ragazzi li accolsero con un fitto lancio di pietre e, a quel punto, la rabbia di Sulladin esplose, cogliendo di sorpresa anche sua figlia. Cacciò un urlo simile ad un ruggito ed iniziò a lanciare raggi biancastri dalle dita con cui provocò alcuni principi di incendio. I lanci di pietre cessarono e i cinque, aiutati da tre donne, si diedero da fare con i secchi per spegnere le fiamme che rischiavano di propagarsi alla casa, alla stalla e al fienile.

    Gli uomini urlavano la loro rabbia attraverso insulti di ogni genere. Sulladin che non si era ancora calmato, intimò che gli venissero consegnati degli stivali indicando i suoi piedi scalzi. Una donna anziana capì la richiesta e ritornò con due paia di stivali corti che lanciò nella sua direzione. Non erano proprio della misura adatta, specie per Marintia, ma, ottenuto ciò che volevano, si allontanarono senza perdere di vista l'intera famiglia.

    Temendo di venire inseguiti, corsero sino a che le forze li sostennero. Si fermarono sulla riva di un fiume quando il sole era ormai tramontato e l'oscurità avanzava da est. Indecisi sul da farsi, furono avvistati da un vecchio pescatore che, impietosito dalle loro condizioni, li invitò alla sua capanna poco distante. Offrì loro del pesce cotto sulle braci e rimediò due giacigli di fortuna utilizzando delle grosse foglie di piante che crescevano vicino al fiume. Dormirono profondamente per alcune ore, sino a quando Sulladin non si svegliò di soprassalto, giusto in tempo per cogliere un movimento tra la vegetazione. Scattò in piedi ed evocò una sfera luminosa inquadrando il volto di uno degli uomini della fattoria armato di forcone

    A quel punto anche Marintia fu sveglia e i due maghi non persero tempo. Si posizionarono schiena contro schiena e non esitarono a lanciare altri raggi dalle dita, ricorrendo anche ad un incantesimo di paralisi che immobilizzò tutti gli attaccanti, meno uno che, trovandosi vicino alla capanna, menò un gran colpo di falce contro il pescatore, uscito per vedere cosa stesse accadendo. Il pescatore si accasciò senza un lamento e la rabbia di Sulladin esplose per la seconda volta in meno di una giornata. Colpì l'assassino del pescatore dritto al volto con un raggio infuocato e questi cacciò un urlo disumano, mentre all'altezza dei suoi occhi si levavano del fumo e un acre odore di carne bruciata.

    Constatato come per il povero pescatore vi fosse nulla da fare, fuggirono dopo aver addormentato tutti e cinque gli altri attaccanti, ancora paralizzati, e averli spogliati di quanto poteva tornare loro utile. La paralisi e il sonno indotto avrebbero garantito una giornata di vantaggio. Trovarono i cavalli dei loro assalitori a poca distanza. Presero i due che parevano più robusti, li guidarono sino alla strada e li spronarono al galoppo. Attraversarono il fiume al primo ponte e, in breve, il panorama cambiò completamente. La strada si era fatta più larga e correva dritta verso una gola che immetteva in una vallata delimitata, su ambo i lati, da montagne brulle dalle rocce rossastre. La percorsero interamente senza incontrare anima viva come se la zona fosse completamente disabitata.

    Giunti all'estremità opposta della valle la strada iniziò a digradare verso una vasta area pianeggiante caratterizzata da boschi estesi di conifere e larici dove scorsero alcuni piccoli villaggi. Sulladin e Marintia si avvicinarono con cautela al primo che incontrarono e compresero subito come tutte le case fossero state distrutte o bruciate. Un silenzio irreale regnava tra le macerie. Stavano percorrendo la strada principale osservando ciò che restava di un altro villaggio, quando iniziarono ad avvertire le urla di un nutrito gruppo di troll delle montagne che provenivano dalla loro sinistra, correndo all'impazzata e impugnando grandi mazze che facevano roteare sopra le teste.

    Spaventosi a vedersi, non vi furono dubbi sulle loro intenzioni. Molto più alti di un uomo, erano massicci e muscolosi, con gambe troppo corte rispetto al resto del corpo che non impedivano loro di muoversi a grande velocità, anche compiendo balzi notevoli. Le teste erano enormi con due occhi ridotti a fessure, un grande naso schiacciato e una bocca dalla quale spuntavano denti simili a zanne. Coperti da un folta peluria, emanavano un forte odore pungente, un misto di sudore, sporcizia e marciume.

    A Sulladin e Marintia non restò che la fuga. Provarono a lanciare qualche raggio verso quella specie di mostri, ma il risultato fu di farli inferocire ancora di più. Non fu necessario spronare i cavalli che, con gli occhi e le narici dilatate dal terrore, si lanciarono ad un galoppo sfrenato pur essendo visibilmente stanchi. E, infatti, dopo qualche miglio, i cavalli iniziarono a rallentare e la distanza con i troll a ridursi drasticamente. Era evidente come non avrebbero potuto fuggire ancora per molto e lo scontro fosse inevitabile. Sulladin fece cenno a Marintia di deviare verso destra e risalire un pendio che terminava in un grande masso che sporgeva sul terreno sottostante, costituendo un buon punto per difendersi.

    Raggiunsero il culmine e lasciarono liberi i cavalli, ai quali non parve vero di potersi dileguare attingendo alle ultime forze rimaste. I troll parvero colti alla sprovvista e anziché cercare di circondare i due maghi si affollarono tutti nello stesso punto, gridando la loro sete di sangue. A Sulladin e Marintia sembrò evidente che non fossero dotati di particolare intelligenza e, anziché attaccarli con raggi e palle infuocate, si limitarono a nascondersi dietro una fitta nebbia grigia e a praticare un incantesimo di trasmutazione destinato ad ingrandire la loro immagine in modo da apparire giganteschi e minacciosi. Il tentativo ebbe successo. Le figure di Sulladin e Marintia sovrastarono i troll che si ritrassero impauriti e, a quel punto, bastarono un paio di raggi infuocati a metterli in fuga.

    L'avevano scampata, ma si trovavano a parecchi giorni di cammino dal porto più vicino, senza cavalli, disarmati e affamati, in un luogo infestato da troll. Si mossero con il calare della sera, esausti ma consci di non potersi trattenere. Un pesante strato di nuvole cariche di pioggia copriva il cielo e fu subito buio pesto. Muoversi fu tutt'altro che agevole, ma riuscirono a scendere lungo un pendio erboso sino a raggiungere un altro villaggio distrutto dove trovarono riparo in una stalla che era crollata solo per metà.

    Si accorsero della presenza del vecchio quando questi sbucò da dietro una trave, cercando di colpirli a bastonate, ma era troppo debole per riuscire ad imprimere forza ai suoi colpi e Sulladin riuscì a disarmarlo bloccandogli i polsi, rassicurandolo sulle loro intenzioni. Era l'unico rimasto delle sei famiglie che vivevano nel villaggio, sterminate dai troll solo quattro giorni prima. Offrì loro una lauta cena a base di formaggio, latte e carne secca che fu molto apprezzata.

    Il vecchio era un pastore ed era riuscito a salvare un asino e due capre dalla furia distruttiva dei troll e finì col sorprenderli quando consegnò loro i due cavalli che erano stati costretti ad abbandonare il giorno precedente. Spiegò di averli visti vagare nei dintorni del villaggio e di essere riuscito ad avvicinarli con facilità. Sulladin e Marintia avrebbero voluto riprendere subito il viaggio, ma convennero con il vecchio che qualche ora di sonno fosse necessaria.

    Il mattino seguente cercarono di convincere il vecchio a seguirli, ma non vi fu modo di convincerlo. Lo lasciarono al sorgere del sole, dopo aver fatto rifornimento di cibo e aver accettato due spade che il vecchio aveva recuperato dai ruderi di una casa.

    Cavalcarono per tre giorni su un terreno divenuto pianeggiante e avvistando due grandi città prima di giungere al porto di Govidon, dove riuscirono a vendere i cavalli e le spade, ricavando denaro sufficiente per pagarsi due posti su una nave mercantile della compagnia Polsen, Grouss & Polsen diretta a sud-ovest, attraverso una rotta che li avrebbe portati molto vicino alla loro isola.

    2

    Si lasciarono alle spalle quello che era stato il villaggio dei Pescatori. Risalirono la strada trafficata constatando come la vecchia pista che deviava verso est per raggiungere l'anello che collegava i sette villaggi fosse stata abbandonata. La nuova via tagliava in due le colline e puntava direttamente verso il monte Busir dalle cui pendici si innalzavano svariati pennacchi di fumo scuro. Le stesse colline erano profondamente cambiate. I boschetti che le caratterizzavano erano scomparsi e non vi era più traccia di alberi. Solo erba alta, chiazze di terra bruna, radi cespugli e tanta polvere sollevata dai carri e dai cavalli che transitavano senza sosta in ambo le direzioni. A Sulladin non sfuggì come la maggior parte dei carri fosse condotta da persone dalla pelle nera, come gli schiavi catturati da Scolder e ai quali lui aveva cercato di restituire la libertà, salvo condurli a morire in mare.

    Camminarono per circa un'ora senza che il panorama circostante subisse variazioni. Uno strano senso di inquietudine si impadronì di Sulladin nel constatare come tutti i suoi punti di riferimento fossero svaniti. Il grande ciliegio che si trovava sul culmine della collina, vicino ad un masso bianco venato di nero, era scomparso. Restava solo il masso che aveva perso il suo splendore e appariva ingrigito, come invecchiato sotto l'effetto della polvere e della fuliggine che provenivano dal monte. I campi coltivati erano praticamente scomparsi, eppure in questa zona la produzione di grano era sempre stata abbondante.

    Giunti dove la strada proseguiva in leggera salita, Sulladin riconobbe il punto in cui le colline digradavano verso il letto del fiume che, proveniente dal monte Busir, scorreva verso est per lambire il villaggio dei Contadini e proseguire verso sud sino a gettarsi nell'oceano. I suoi occhi non vollero credere a ciò che videro. Il fiume era diventato un canale, imbrigliato in un percorso obbligato da un rivestimento di rocce levigate che ne delimitava l'ampiezza, ma l'acqua che vi scorreva era ridotta ad un rigagnolo. La sorpresa più grande fu ciò che vide in lontananza, sulla sponda opposta, dove una volta ricominciavano le colline. Il terreno era stato spianato e vi sorgeva una città così vasta da far ritenere che la popolazione dell'isola fosse aumentata a dismisura.

    La strada proseguiva verso la porta della città, dove si era formata una fila di carri e persone in attesa di entrare, mentre la via d'uscita era poco frequentata. Le mura merlate cingevano la città in una specie di ovale irregolare con torri di pietra che si elevavano lungo il perimetro, in punti strategici dai quali tenere sotto osservazione tutto il territorio circostante. Sulladin ne contò sette e non era difficile immaginare che qualcuno, proprio in quel momento, stesse guardando nella direzione dei due maghi. Gli edifici erano costruiti in prevalenza con pietre a vista, ma si notavano anche parecchie case in muratura più alte rispetto alle altre costruzioni. Le case e le strade convergevano verso il centro della città dove si notava una vasta piazza su cui si affacciavano una grande abbazia e un palazzo di marmo bianco e lucente. Bandiere rosse e oro con l'effige del dio Kurath garrivano in vari punti della città. Lunghe costruzioni di legno, probabilmente magazzini o opifici, si notavano ad est.

    Sulladin cercò la mano di sua figlia e la strinse forte, incapace di realizzare se lo sconcerto maggiore provenisse dalla vista del fiume, prosciugato e incanalato, o dalla vista della città. Rimase a guardare come intontito per parecchi minuti prima che sua figlia lo chiamasse a bassa voce per scuoterlo dallo stato di sbigottimento in cui era precipitato.

    Padre, andiamo. Dobbiamo proseguire

    E per dove ? Sulladin si volse verso di lei con una sorta di disperazione dipinta in volto Abbiamo lottato per tornare su questa isola, ma non sono in grado di riconoscerla. E' tutto cambiato e forse anche noi non siamo più gli stessi...

    Non dire così, questa è la nostra casa. E' il posto dove tutti siamo cresciuti lo sguardo fiero di Marintia era la conferma che non si sarebbe arresa tanto facilmente Cominciamo dall'inizio. Ci sarà pure qualcuno che si ricorda di noi. Lo troviamo e vediamo di farci raccontare cosa è successo qui, poi vedremo cosa potremo fare per riprenderci la nostra isola

    Riprendere la nostra isola ? E come ? Semplicemente scacciando a pedate nel sedere chi non è nato qui ? un evidente gesto di insofferenza accompagnò le parole di Sulladin Marintia, qui è tutto cambiato. Adesso siamo noi gli stranieri

    Fai come credi. Io torno a casa nostra Senza attendere la reazione di suo padre, si avviò verso il ponte poco distante. Sulladin rimase a guardare la città ancora per qualche istante e poi la seguì. Aveva già subito molte delusioni ed era certo che rivedere la casa della loro famiglia non avrebbe fatto altro che allungare la lista. Sempre che esistesse ancora.

    Varcarono il ponte e, in breve, giunsero ad un bivio con una strada altrettanto ampia che si dirigeva a destra verso il monte Busir, dove sorgeva il villaggio dei Falegnami. Marintia si fermò ad attenderlo, quasi certa di quale direzione avrebbe intrapreso suo padre. Sulladin la raggiunse in preda ad una ridda di emozioni contrastanti e si fermò

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1