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La perla dei Caraibi
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La perla dei Caraibi
E-book226 pagine4 ore

La perla dei Caraibi

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Info su questo ebook

Caraibi/Inghilterra, 1800
Non appena vede Zachariah Fitzgerald, Shona si rende conto che il tenebroso capitano potrebbe essere la soluzione a tutti i suoi problemi: se la sposasse, infatti, lei sarebbe finalmente libera dall'opprimente tutela del fratello e della cognata e potrebbe tornare in Inghilterra. Zack, però, non sembra incline al matrimonio e rifiuta senza mezzi termini la sua proposta. Ma per fuggire da quella piccola isola dei Caraibi Shona è disposta a tutto, anche a ricorrere a sotterfugi non troppo ortodossi. Tanto più che l'affascinante Zachariah riesce anche a farle battere forte il cuore!
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519626
La perla dei Caraibi
Autore

Helen Dickson

Helen Dickson lives in South Yorkshire with her retired farm manager husband. On leaving school she entered the nursing profession, which she left to bring up a young family. Having moved out of the chaotic farmhouse, she has more time to indulge in her favourite pastimes. She enjoys being outdoors, travelling, reading and music. An incurable romantic, she writes for pleasure. It was a love of history that drove her to writing historical romantic fiction.

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    Anteprima del libro

    La perla dei Caraibi - Helen Dickson

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Mishap Marriage

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2014 Helen Dickson

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-962-6

    1

    1800

    Sull’isoletta di Santamaria furono in pochi a non sollevare il capo al rimbombo sordo del colpo di cannone che annunciava in avvicinamento alla costa un immenso brigantino mercantile, armato con trentadue cannoni, che uscì dalle nubi con le vele scolorite dal sole, brillante alla luce intensa del giorno.

    Il rumore svegliò dal letargo i marinai e gli abitanti dell’isola, facendoli uscire dalle fumose taverne imbiancate a calce e dai bordelli della cittadina per radunarsi al porto e guardare mentre veniva guidato tra le braccia verdeggianti dell’insenatura.

    Il numero dei curiosi aumentò mentre la nave si avvicinava e rimase in attesa quando scivolò per inerzia fino ad attraccare al pontile. Al di sopra delle grida dei gabbiani, si udì il timoniere che abbaiava ordini all’equipaggio sul ponte, intento a srotolare gomene robuste come i bicipiti dei marinai; la passerella venne calata con un tonfo: la folla ammutolì e tutti gli occhi si concentrarono sul capitano, che fu il primo a scendere a terra.

    «Santo cielo!» esclamò John Singleton, il fidato secondo, strizzando gli occhi contro la luce del sole mentre scrutava la folla. «Bisogna riconoscere che il comitato d’accoglienza è impressionante. Dopo settimane di gallette e carne salata, muoio dalla voglia di un bel piatto di carne fresca e compiacenti bellezze locali.» Si levò il cappello e sorrise a una deliziosa creatura tra le prime file, con carnagione color caramello e una cascata di lisci capelli scuri che le arrivava fino alla vita.

    Il capitano lanciò un’occhiata sarcastica al suo secondo, che aveva fama di gran seduttore. «In quell’ordine, mi auguro.»

    «In quell’ordine» confermò John, con il sangue tramutato in miele dal sorriso provocante della giovane donna.

    Il terzo uomo indossava una redingote nera, parrucca grigia e scarpe nere piuttosto malconce, con le calze flosce. I pantaloni neri erano pieni di grinze e lucidi per l’usura, come la giacca. L’uomo, conosciuto come Reverendo Cornelius Clay, sembrava un grosso orso scontroso appena uscito dal letargo. Cogliendo la direzione dello sguardo del secondo, si fece scuro in volto. «Siate prudente, Singleton. Ha l’aria di essere sposata.»

    «Già, ma questo non fa che rendere più eccitante la caccia.»

    «Daremo un’occhiata in giro» disse il capitano. «Santamaria appartiene a un certo McKenzie. È il figlio di Colin McKenzie, l’uomo che ha fatto dell’isola quello che è oggi. A quanto pare c’è una vena crudele nel giovane e il trattamento che riserva a chiunque osi minacciare la sua autorità ne ha fatto un uomo temuto. La sua parola è legge sull’isola ma ha anche fama di essere raffinato e ospitale. Sarà interessante scoprire fin dove si spinge la sua ospitalità per il tempo che dovremo trascorrere qui.»

    Il reverendo osservò con interesse le birrerie. «Per colpa di quel maledetto uragano abbiamo delle riparazioni da fare e le stive da riempire. Quanto ci vorrà prima che possiamo ripartire, capitano?»

    «Non molto. Possiamo permetterci al massimo due settimane, non di più. Siamo già in ritardo. Abbiamo una tabella di marcia da seguire.»

    Subito dopo l’ora della siesta, Shona McKenzie uscì a cavallo per le colline e tra i campi di canna da zucchero, felice di essere lontana da casa e da Carmelita, la cognata dalla lingua tagliente. Aveva intenzione di stare fuori fino al momento di prepararsi per la cena.

    Diverse barche a vela beccheggiavano all’ancora nella baia e, non molto lontano dalla riva, piccole imbarcazioni solcavano le acque. Suo fratello Antony invitava spesso gli ufficiali dei vascelli in visita a cenare a casa, dando così occasione a Shona e a Carmelita di vestirsi adeguatamente e di intrattenerli.

    Guardando davanti a sé da quel punto privilegiato, aveva una bella vista dell’isola. Tutt’intorno era circondata dalla luminosa distesa del mare color zaffiro, che assumeva sfumature di un verde più chiaro dove incontrava la barriera corallina. Onde su onde di vegetazione lussureggiante si susseguivano fino alle alture alberate, che si stagliavano contro un cielo azzurro e senza nuvole. La terra declinava su due promontori, che circondavano come in un abbraccio l’unica spiaggia profonda dell’isola, una distesa di sabbia quasi bianca, lunga circa mezzo miglio.

    Lasciando il fresco delle alture, Shona si diresse verso il gruppo di case che si accalcavano nella baia. Avendo visto il brigantino che entrava in porto, era curiosa come tutti di sapere a chi appartenesse.

    Le navi che battevano le isole dei Caraibi, scambiando sete preziose, chincaglieria e altri prodotti europei con materie prime locali, facevano regolarmente tappa a Santamaria, ma un mercantile di quelle dimensioni non si vedeva da mesi, quindi la sua comparsa era un evento notevole.

    Solo quando fu abbastanza vicina da leggere il nome inciso a prua – Perla dell’oceano – si rese conto di chi era il proprietario.

    Il grande armatore e Capitano Zachariah Fitzgerald, mercante e avventuriero, uno degli uomini più potenti dei Caraibi.

    Correva voce che possedesse vasti appezzamenti di terra in Virginia e che avesse un’intera flotta, con magazzini in ogni porto. Si diceva anche che trattasse di nascosto con i pirati e che fosse stato lui stesso un pirata, ma Shona non aveva modo di sapere se fosse realtà o leggenda.

    La buona società dei Caraibi pullulava di storie sull’enigmatico avventuriero sin dalla prima volta che era attraccato nelle colonie qualche anno prima ma, nonostante la sua reputazione di uomo d’affari senza scrupoli, si lamentava che si facesse vedere raramente agli eventi mondani. Essendo secondogenito di un conte, alla morte del padre sarebbe stato il fratello maggiore, il Visconte Fitzgerald, a ereditare la vasta tenuta nel Kent, così Zachariah aveva lasciato l’Inghilterra per fare fortuna sul mare.

    L’area intorno ai moli era animata e caotica, satura di odori e delle risate dei bambini vestiti di stracci. I marinai in ozio bighellonavano e tristi sgualdrine mettevano in vendita con audacia i loro corpi per un paio di scellini. Shona rabbrividì di fronte a quella scena squallida. Anche se lei veniva appena tollerata all’interno della sua stessa famiglia, almeno aveva un’esistenza migliore.

    Come accadeva sempre quando Shona McKenzie cavalcava in città o si univa a una compagnia, divenne il centro dell’attenzione di uomini e donne. Abituata a quella reazione, li ignorò e ben presto tutti distolsero lo sguardo.

    Al di sopra della folla, poteva osservare l’attività a bordo della nave. Vide scendere un uomo, seguito da altri due e, a giudicare dai suoi modi, immaginò che fosse il capitano.

    Alto e pieno di carisma, vestiva in un modo che attirava l’attenzione, dal grande cappello con una piuma bianca alla redingote rossa e agli stivali con il risvolto. Con il passo fluido e deciso di esperto uomo di mare, il Capitano Zachariah Fitzgerald, seguito dai suoi compagni, percorse il molo, facendo svolazzare la lunga redingote.

    La folla si divise al suo passaggio.

    Dalla sua posizione, Shona aveva una visuale perfetta. Il cuore accelerò i battiti e uno stupore indescrivibile – o fascino – si impadronì di lei mentre lo fissava. Il viso che si intravedeva sotto l’ampia falda del cappello era forte, deciso, di una bellezza straordinaria. In effetti era l’uomo più bello che avesse mai visto. La sua espressione era fredda e guardinga. Probabilmente sulla trentina, aveva un fisico imponente che trasudava virilità e un atteggiamento disinvolto e sicuro di sé. I pantaloni bianchi che sparivano negli stivali sembravano mettere in risalto i muscoli delle cosce.

    Shona sapeva bene che una gentildonna non doveva mstrarsi da sola in città e sapeva anche che cosa ci si aspettava da lei come sorella dell’uomo più importante di Santamaria, ma quel giorno ignorò le convenzioni sociali e le regole poste dal fratello – e prima di lui dal padre – per seguire i propri desideri.

    Non vedeva nessun altro; tutta la sua attenzione era concentrata sull’uomo che avanzava nella sua direzione.

    Mentre camminava, guardando gli astanti con pigro interesse, il capitano fu colpito improvvisamente dalla giovane donna di sorprendente bellezza, in sella a un cavallo bianco. Quando posò gli occhi su di lei, Shona dimenticò le buone maniere e sostenne il suo sguardo. Qualcosa passò in quel contatto visivo e il caos tutt’intorno sembrò scomparire nella singolarità di quel primo istante.

    Il messaggio che si scambiarono era pieno di calore e apprezzamento e Shona avvertì una sensazione di disorientamento del tutto insolita.

    Le labbra di Zack si piegarono in un lento sorriso. Quella donna era una visione che aveva difficoltà a considerare reale ed era decisamente troppo per il suo secondo, che era rimasto annichilito. Alle spalle del capitano, Singleton arrossì e si esibì nella parodia di un inchino. Divertito dalla sua debolezza, Zack gli ordinò di ricomporsi e si fermò davanti a lei, osservando la sua figura sottile, il viso a forma di cuore e i grandi occhi verdi. I lunghi e folti capelli dorati le ricadevano sulla schiena, con le punte che si arricciavano sulle spalle delicate. Indossava un abito blu che copriva i fianchi del cavallo e rivelava gli stinchi abbronzati dal sole più di quanto consentisse la decenza. Non che Zack avesse da lamentarsene; non era mai riuscito a resistere a una bella donna.

    Da parte sua, Shona incominciava a sentirsi un po’ sciocca, sapendo bene che sedere a cavalcioni, scarmigliata, e mostrare le gambe nude non era un comportamento adeguato a una gentildonna inglese. Ma i quattro anni che aveva trascorso in una delle scuole migliori d’Inghilterra, a imparare tediosi convenevoli e buone maniere, l’avevano annoiata a morte.

    E in quel momento si trovava sotto lo scrutinio di un uomo magnetico e irresistibile, il cui sguardo diretto e sicuro le faceva accelerare i battiti del cuore, anche se, in piccola parte, poteva essere stato il sole tropicale ad averla frastornata.

    E mentre sosteneva il suo sguardo, incapace di staccarsene, notò quali occhi incantevoli avesse. Di un grigio argento luminoso e penetrante, sembravano intrappolare la luce. Notò una scintilla divertita nelle loro profondità, oltre che uno stupore ammirato.

    Facendo un passo indietro, il capitano si produsse in un inchino che Shona giudicò leggermente canzonatorio. «Zachariah Fitzgerald al vostro servizio.» Senza staccare lo sguardo da lei, inarcò un sopracciglio. «Se posso permettermi, siete una visione incantevole per i miei occhi stanchi.»

    Shona ricambiò il suo sguardo. La sua voce era roca e profonda, fluida come miele. La fece pensare alle incisioni erotiche dei libri francesi che lei e le sue amiche leggevano di nascosto a scuola e a ogni genere di cose sconvenienti. Sembrava accarezzare le parole, pensò; di certo non molte donne avrebbero resistito a una voce simile. Quando voleva, Shona sapeva affascinare qualsiasi uomo, ma l’istinto le suggeriva che quello non era il genere di libertino che voleva accrescere la propria reputazione a sue spese.

    «Davvero?» chiese, inclinando il capo. «E come mai, di grazia?»

    Zack aggrottò la fronte, sorpreso da tanta presenza di spirito. Il volto della fanciulla era perfetto nella sua bellezza giovanile. Gli occhi erano verde chiaro e splendevano sotto le folte ciglia scure. Lo osservavano, aperti eppure imperscrutabili come il mare. Si sarebbe aspettato di vederla arrossire o quanto meno abbassare lo sguardo, trovandosi circondata dalle occhiate lascive di marinai che non vedevano una donna da settimane – e di certo non una donna come lei. Invece non aveva fatto né l’uno né l’altro.

    «Per tutti i santi, milady» mormorò, avvicinandosi al cavallo per dargli una carezza amichevole e sfiorare distrattamente la pelle nuda della gamba. «Siete così bella da tentare qualsiasi uomo. Sono lusingato di aver fatto la vostra conoscenza. Se avessi saputo che Santamaria ospitava una tale bellezza, mi sarei fermato prima nel suo porto. Mi piacerebbe invitarvi a bordo della mia nave in modo da poterci conoscere meglio.»

    Divertita e nello stesso tempo irritata dai suoi tentativi di seduzione, Shona aggrottò la fronte. «Temo che sarebbe altamente sconveniente, capitano. E credo anche che dovreste togliere la mano dalla mia gamba prima che trovi un altro utilizzo per il mio frustino.»

    Gli occhi argentati brillarono di un luccichio malizioso che doveva aver incantato metà delle donne dei Caraibi. «Sono deluso che siate così intransigente. Che cosa posso fare per rendermi più gradito ai vostri occhi?»

    «Ve l’ho detto. Togliete la mano.»

    Zack obbedì con riluttanza ma continuò a guardarla.

    Shona sentiva bruciare la pelle nel punto in cui l’aveva toccata, ed era a disagio a causa della sua sicurezza virile. Era intensamente consapevole che tutti gli occhi erano puntati su di lei e sull’uomo che le stava così vicino. Avvertì una sensazione che non aveva mai sperimentato prima, nemmeno con Henry Bellamy, l’affascinante figlio di un duca di cui era innamorata tutta la scuola, e provò un forte risentimento verso quel capitano. L’impatto che aveva avuto su di lei era stato troppo forte e temeva che, se avesse continuato a guardarla con quegli occhi luminosi e intelligenti, avrebbe letto i pensieri che le agitavano la mente.

    «Avete la lingua sciolta, capitano, ma risparmiate il fiato. Non mi lascio conquistare così facilmente. Santamaria appartiene a mio fratello, Antony McKenzie» dichiarò con uno sguardo altezzoso. «Sono Shona McKenzie.»

    «Lieto di fare la vostra conoscenza, Miss McKenzie.» Zack aveva già udito quel nome e aveva sentito parlare della favolosa bellezza di quella giovane donna.

    Il padre di lei era conosciuto in quasi tutti i circoli e tra i giovani gentiluomini Shona McKenzie era spesso argomento di accesi dibattiti. Era la fanciulla di ghiaccio, irraggiungibile, quella che aveva spezzato il cuore a molti ed era l’obiettivo dichiarato di molti altri.

    Imperturbato dalla sua identità, piegò le labbra cesellate in un ampio sorriso, facendo lampeggiare i denti bianchissimi contro la pelle abbronzata. I suoi occhi scuri brillavano maliziosi mentre la osservava come se la vedesse per la prima volta e Shona non poté fare a meno di notare che assomigliava a un pirata.

    «Ho sentito dire che la vostra isola è bellissima e molto fertile. Pare che sia stato vostro fratello a renderla tale.»

    «Il merito è di mio padre, Colin McKenzie. È lui che ha creato quello che vedete oggi. Alla sua morte, mio fratello ha continuato il suo lavoro.»

    Nemmeno a farlo apposta, in quel preciso istante la folla si divise per far passare un’elegante carrozza scoperta, occupata da Antony McKenzie e dalla moglie spagnola Carmelita, che riparava il viso con un delicato ombrellino.

    Carmelita era l’unica figlia di un ricco mercante. Viziata per tutta la sua vita, aveva incontrato Antony quando aveva visitato Santamaria con il padre e, dopo un breve corteggiamento, i due si erano sposati. Shona, che all’epoca si trovava in Europa, aveva sempre pensato che quel matrimonio fosse la rovina del fratello.

    La carrozza si fermò accanto al cavallo di Shona e Antony, vestito con una giacca di ottimo taglio e una camicia di lino immacolata, scese a terra, guardando la sorella con severa disapprovazione. La sua presenza al molo senza un accompagnatore, con i capelli e gli abiti in disordine, in mezzo a un gruppo di uomini appena usciti dalle taverne, era segnale di un comportamento indegno della sua posizione sociale e dimostrava un totale disprezzo per il ruolo che aveva lui stesso sull’isola.

    A trentacinque anni, Antony era alto e biondo, con un aspetto distinto. Era avveduto, calcolatore e inflessibile, un uomo che avrebbe fatto di tutto per strappare alla vita quello che voleva. Nel giro di quattro mesi Carmelita gli avrebbe dato il primo figlio, un maschio sperava, che portasse avanti la casata dopo di lui.

    «Credo sia meglio che rientri a casa, Shona» disse, guardando la sorella con espressione severa. «È sconveniente che tu vada in giro per la città senza scorta.»

    Incontrando il suo sguardo, Shona si sentì avvampare in viso per il rimprovero. «È quello che stavo per fare, Antony, finché non ho visto la nave. Dovevo assolutamente assistere all’attracco.»

    Lui le voltò le spalle per osservare i nuovi arrivati, passando rapidamente da un cipiglio a un sorriso di benvenuto.

    Carmelita osservava con sguardo freddo e penetrante il volto arrossato della cognata, i capelli sciolti e l’aspetto scarmigliato. Sporgendosi dalla fiancata della carrozza, socchiuse gli occhi come un cobra che si prepari a colpire. «Ma guardati, Shona. Sei vestita in modo inappropriato, con i capelli al vento» disse con un pesante accento spagnolo, scrutandola con

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