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Morte di un perfetto seduttore (eLit): eLit
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E-book390 pagine5 ore

Morte di un perfetto seduttore (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO
Pierce Carver è un brillante e facoltoso chirurgo plastico di Austin, con una sorta di ossessione per il corpo femminile, dettaglio che negli anni ha attirato su di lui parecchie antipatie. Rose Marie Castle è una sua ex, abbandonata sull'altare, e gli ha giurato vendetta. Quando il medico viene trovato in casa barbaramente ucciso a coltellate e vicino a indumenti intimi femminili, i principali sospetti cadono subito sulla donna. A complicare le cose si aggiunge il fatto che l'investigatore nominato per le indagini è un ex fidanzato di Rose, a cui lei ha evitato di raccontare un dettaglio molto importante riguardo al loro passato. Decisa a non lasciare che l'ombra di Pierce Carver le rovini la vita più di quanto abbia già fatto da vivo, Rose decide di cercare da sola delle risposte. Una scelta che però la mette in un pericolo ancora maggiore.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2019
ISBN9788830503243
Morte di un perfetto seduttore (eLit): eLit
Autore

Ann Major

Nonostante sia un'autrice di successo, confessa che scrivere per lei non è affatto un'esperienza facile.

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    Anteprima del libro

    Morte di un perfetto seduttore (eLit) - Ann Major

    ancora.

    Prologo

    Austin, Texas

    Ricordava il bagliore della lama nel buio, la mano affusolata e le proprie grida, alle quali era seguito un silenzio sepolcrale. Troppo tardi si era ricordato che la casa in cui viveva aveva una storia tragica.

    All'uomo, ormai ridotto in fin di vita, era giunta l'eco lontana dei passi di Rose Marie Castle che si precipitava a piedi nudi lungo la grande scala di pietra. Oltre alle scarpe, la donna aveva dimenticato dietro di sé altri indumenti intimi che gli agenti di polizia avrebbero certamente rinvenuto più tardi.

    Corri, corri più veloce che puoi...

    L'uomo aveva le mani legate con il reggiseno di seta nero di Rosie e un coltello da cucina, che apparteneva a lei, piantato in gola. Le telecamere installate nella casa avrebbero ripreso la fuga della donna, inchiodandola. Ma poiché persino nel Texas la macchina della giustizia poteva essere lenta, di certo lui sarebbe morto ben prima che Rosie comparisse davanti a un giudice.

    Il colpo ferale gli era stato assestato con inaudita ferocia, frantumando le fragili vertebre, lesionando la spina dorsale. Eppure lui non aveva provato nessun dolore mentre si accasciava sul tappeto bianco, intridendolo del proprio sangue.

    Era stato un idiota a finire nella rete di quella sgualdrina, come una mosca nella tela del ragno.

    Una sensazione di gelo gli penetrò fin nelle ossa.

    Al piano di sotto, Rosie si lasciò sfuggire un breve grido di paura. Tempestò di pugni la porta fino a quando, finalmente, riuscì ad aprirla e si precipitò fuori incespicando nei propri passi, inseguita dal tintinnio del grande lampadario che pendeva sopra la scala imponente.

    L'uomo pensò a suo padre e a sua madre, alla vita di un tempo e alle tante promesse che l'esistenza non aveva mantenuto; pensò ai lunghi anni amari durante i quali aveva accarezzato il suo sogno di vendetta, e, invece, la vendetta era spettata a Rosie.

    Da fuori giunse il rombo potente della BMW, che si allontanò a gran velocità mentre lui agonizzante veniva scosso da un convulso tremore. Rivolse gli occhi al cielo e sentì il sibilo del vento fra i rami degli alberi che si ergevano imponenti nel giardino; nella fretta di scappare, lei doveva aver lasciato la porta di casa aperta.

    Lo stridore delle cicale si unì al melodioso tintinnio del lampadario. Quel lampadario che Rosie stessa aveva fatto arrivare da Parigi. Quali sfrenate ambizioni aveva nutrito pensando al loro matrimonio!

    Corri, corri; non mi prenderai...

    Col cavolo.

    Avrebbe pagato per quel che aveva fatto, meritava una punizione.

    L'uomo ebbe un ultimo fremito mentre pensava a Rosie e al suo sogno di entrare a far parte dell'alta società di Austin come moglie del noto chirurgo plastico Pierce Carver. Quanto aveva desiderato lasciarsi alle spalle la miseria e il senso di inferiorità che avevano accompagnato la sua infanzia. Ma successo e denaro sarebbero mai bastati a guarire le ferite del passato?

    In punto di morte l'uomo provò quasi pietà per Rose Marie Castle.

    Quasi.

    1

    «Oh, mio Dio! Ancora sangue?» la ferita che si era illusa fosse un taglio da poco continuava a sanguinare.

    Rosie non riusciva a credere a quanto era appena accaduto. Pierce aveva perso le staffe in maniera così repentina. Si era comportato da subito in modo strano, lo aveva visto teso, fuori di sé.

    Ora il respiro di Rosie era affannoso mentre con il fazzoletto cercava di tamponare la ferita al dito senza perdere il controllo del volante. Si sforzò di distogliere il pensiero dal suo ex, dalla lite che era scoppiata fra loro e dal modo imprevisto in cui la violenza aveva preso il sopravvento.

    Il sudore le scorreva a rivoli lungo il corpo, ma non dipendeva dall'afa di quella notte d'agosto né dai bicchieri di champagne che aveva bevuto insieme a Pierce prima che la serata prendesse una brutta piega, non si trattava nemmeno delle prime vampate di calore dovute al fatto che proprio quel giorno compiva quarant'anni.

    Si portò la mano alla testa, provando una fitta di dolore nel punto in cui il cinturino dell'orologio di Pierce si era impigliato fra i suoi capelli e ripensò a lui che, invece di scusarsi, scoppiava a ridere.

    Riavvolse con cura il fazzoletto attorno al dito, esercitando una leggera pressione sulla ferita. Le gomme della BMW stridettero sull'asfalto mentre lei affrontava un altro tornante, cercando di non perdere il controllo dell'auto. Non era sua abitudine eccedere nella velocità mandando su di giri il motore, ma doveva abbandonare quel luogo al più presto.

    Si consolò pensando che, se non altro, aveva chiuso definitivamente con lui. Non sarebbe stata più costretta a ostentare propositi di vendetta davanti alle altre infermiere, solo per salvare il suo ego ferito da una verità nota a tutte, e cioè che lui l'aveva piantata per mettersi con Anita.

    Nemmeno quella sera il famoso chirurgo si era preso lo scrupolo di saldare il debito che aveva nei suoi confronti. Quel che più la confondeva era il fatto di non riuscire a ricordare che cosa avesse detto o fatto Pierce per farle perdere di colpo il controllo.

    Una cosa era certa, ora aveva un problema ben più grosso della somma di denaro che lui ancora le doveva.

    Cosa ci aveva mai visto, in Pierce, poi? Come medico gli aveva sempre riconosciuto doti indiscusse ed essendo un'infermiera ne aveva subito il fascino. Forse aveva visto in lui l'occasione per sentirsi realizzata al di fuori dell'ambito familiare, dove le divergenze di vedute fra lei e una figlia oramai adulta erano motivo di delusione. Farsi vedere in giro a braccetto con l'affascinante chirurgo plastico la faceva sentire finalmente appagata.

    Eppure, ben prima che lui decidesse di scaricarla, sulla loro storia era già scesa un'ombra. Come molti altri uomini – e c'era chi sosteneva che Rosie di uomini ne avesse avuti fin troppi – anche Pierce aveva preso l'abitudine di toccare certe corde sbagliate, facendo affiorare il lato peggiore di lei, una capacità quest'ultima che aveva anche sua madre Hazel. Forse Rosie avrebbe dovuto accettare con sollievo la decisione di Pierce quando, un anno prima, l'aveva lasciata a un passo dall'altare per mettersi con una donna più giovane.

    Invece lei non si era data pace e aveva reagito alla rottura del fidanzamento con l'irrazionalità di un'adolescente. E pensare che aveva accarezzato a lungo l'idea romantica di indossare ancora una volta l'abito da sposa e di diventare la moglie del dottor Pierce Carter. La loro futura unione le era sembrata un'opportunità per entrare di diritto nel bel mondo.

    Una delle scene che Rosie aveva detestato di più al cinema, e che tornava ad assillarla di frequente, era la sequenza iniziale del film Stardust Memories, in cui Woody Allen è seduto a bordo di una carrozza della metropolitana buia e sporca insieme ad altri viaggiatori dall'aria miserabile. Mentre guarda fuori dal finestrino, Woody vede sfrecciare sul binario opposto un treno illuminato da uno sfavillio di luci sul quale viaggiano persone affascinati e dall'aria felice che brindano a champagne. Quella visione fugace lo getta nel più cupo sconforto.

    In molte occasioni della sua esistenza, Rosie avrebbe venduto l'anima al diavolo in cambio di un biglietto per quella sfavillante carrozza.

    Pierce era entrato nella sua vita in un periodo in cui lei era tormentata dai sensi di colpa per la condotta di sua figlia Carmen, la quale lavorava come ballerina in un locale notturno, trascurando Alexis, la figlioletta di pochi anni. Rosie alla fine si era risolta a prendere la piccola con sé. Pierce era così pieno di charme e rassicurante, prodigo di attenzioni nei suoi confronti in un momento dell'esistenza in cui lei si sentiva così vulnerabile, ormai vicina alla vecchiaia e senza più nulla da offrire.

    Quando lui l'aveva lasciata, si era dovuta confrontare di colpo con la dura realtà, al punto che per ritrovare il proprio equilibrio si era rivolta a un'analista.

    Quindi... D'accordo, d'accordo.

    Rosie si era illusa davvero di essere riuscita a dimenticare Pierce, almeno fino a quella sera, quando lui si era fatto di nuovo vivo. Dopo averla debitamente blandita, le aveva confessato che stava sistemando le questioni in sospeso, così aveva promesso che le avrebbe restituito il denaro che ancora le doveva e lei aveva ceduto, convenendo di fornirgli una nuova chiave d'accesso al deposito dove lui custodiva certi dati clinici.

    E ora si ritrovava a percorrere a velocità folle la strada tortuosa di Westlake Hills, per lasciarsi alle spalle l'elegante villa di Pierce, annidata fra le colline sulle quali aleggiava il dolce profumo dei ginepri.

    Rosie sollevò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore e notò l'occhio azzurro e i riccioli ramati che le ricadevano scomposti sulla fronte. Aggiustò lo specchietto e scorse le scarpe gettate sul sedile posteriore.

    Ma che fine avevano fatto il reggiseno e gli slip?, si chiese mentre il cuore le balzava in gola. Cercò di non pensarci. Maledizione! Non riusciva ancora a capacitarsi che quella sera Pierce fosse riuscito a farla sentire tanto vulnerabile e sola. Perché mai aveva inscenato quello spogliarello per lui?

    L'aveva lusingata dicendole che era bella e forse, per la sua età, lo era davvero: era ancora snella e aveva gambe lunghe e ben tornite, soltanto il collo cominciava a procurarle qualche problema. Mentre sollevava la testa per guardarsi ancora una volta nello specchietto, il cellulare che aveva in grembo vibrò.

    Accidenti, non poteva rispondere nello stato in cui si trovava. Quando prese in mano il telefonino vide sul display il nome di Yolie, l'amica che ospitava lei e la piccola Alexis da quando la sua abitazione era andata distrutta in un incendio, poco dopo che Pierce l'aveva abbandonata. Ora la bambina era a casa, in compagnia di Jennifer, la babysitter, una ragazzina responsabile, ma pur sempre una ragazzina. Yolie non c'era poiché aveva deciso di fare un salto al suo ranch. Ma se la chiamava per dirle che era successo qualcosa? Rosie non poteva evitare di rispondere.

    «Ciao, dove sei stata? A folleggiare a sesso e champagne, immagino» esordì Yolie sfacciatamente, nello stesso tono provocatorio che in genere adottava con i manager della sua catena di fast food Taco Bonito.

    Rosie non aveva nessuna intenzione di riferirle l'accaduto, di ammettere di essere andata a casa di Pierce e di essere stata sul punto di... No, non poteva rivelarlo a nessuno, tanto meno a Yolie la quale, fra l'altro, era stata anche una delle ex mogli di Pierce.

    Yolie si era dichiarata pienamente d'accordo con Nan, l'analista che aveva in cura Rosie, quando questa le aveva consigliato di evitare di uscire con altri uomini almeno per un po', il che avrebbe dovuto aiutarla a guarire dalle ferite della sua infanzia o almeno così era sembrato di capire a Rosie.

    Nan e Yolie non cessavano di ripeterle che era venuto il momento di dimenticare Pierce. Erano state le prime a prenderla sul serio quando Rosie aveva cominciato a dire, in tono scherzoso ma non troppo, di nutrire fantasie omicide nei confronti del suo ex; anche se poi Yolie si era lasciata andare a una sonora risata nel sentirla affermare che la testa di lui sarebbe finita presto su un piatto d'argento se si fosse ostinato a non restituirle i soldi che le doveva.

    Rosie era tesa come una corda di violino, poiché temeva che Yolie, donna d'affari e di grande intuito, cogliesse il tremore nella sua voce e cominciasse a sospettare qualcosa.

    «Be', no, sono passata da casa, io e Harry abbiamo tinteggiato le pareti così che presto io e la bambina potremo togliere il disturbo.»

    Dopotutto aveva raccontato una mezza verità.

    Il lavoro principale di Harry consisteva nel gestire le proprietà di Rosie che includevano alcune case nel quartiere di East Austin, dove lei aveva trascorso la sua infanzia, e il deposito dove Pierce teneva un po' delle proprie cose. Dopo l'incendio, Rosie aveva affidato a Harry i lavori di ristrutturazione della sua casa.

    «Davvero? Fino a mezzanotte? Sono appena stata a casa tua dove ho beccato Harry che si fumava uno spinello rinchiuso in quella toilette prefabbricata che tanto incuriosisce Mirabella, la tua vicina di casa. Ci credi se ti dico che nonostante fosse notte fonda lei e il suo cane hanno spiato ogni mia mossa dalla finestra della cucina? Ma non si fa mai gli affari suoi quella ficcanaso?».

    «Figurati che il suo passatempo preferito consiste nel mettermi contro tutto il vicinato».

    «Quando ho bussato alla porta della toilette, Harry mi ha aperto e sono stata investita da una nuvola di fumo che mi ha quasi stordito. Harry era strafatto, ma gli sembrava di ricordare che verso le undici avesse chiamato Jennifer: ha immaginato fosse successo qualcosa ad Alexis dal modo in cui tu ti sei precipitata fuori».

    Beccata! Rosie deglutì. Fortunatamente era riuscita a far credere a Harry che a chiamare fosse stata Jennifer, la babysitter.

    Cercò di ricordare se gli avesse detto che usciva per andare a vedere come stava Alexis. No, dal momento che non doveva rendere conto a lui di quel che faceva.

    «Io...» cominciò Rosie, ma poi si ravvide. Dato che Yolie era di gran lunga più sveglia di Harry, pensò che meno avesse detto e meglio sarebbe stato. Così cambiò argomento: «Allora... che c'è?».

    «Ti ho chiamato per dirti che mentre stavo uscendo per andare al ranch ho ricevuto la telefonata di Beth. A proposito, ho appena lasciato Jennifer e Alexis, stanno bene. Beth, invece, mi è sembrata piuttosto agitata. Mi ha detto che ha provato a chiamarti per più di un'ora».

    Beth era una delle infermiere specializzate del reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Brackenridge dove lavorava anche Rosie. All'inizio di quella settimana si era ammalata e aveva chiesto a Rosie se poteva sostituirla, la richiesta le aveva creato qualche problema poiché in quel periodo aveva bisogno di ogni minuto libero per rimettere in sesto la sua casa. I lavori di ristrutturazione organizzati da Harry procedevano così a rilento che i vicini, istigati da Mirabella, avevano cominciato a lamentarsi per via dell'erba incolta e annerita dal fumo che invadeva il giardino e dell'orribile toilette arancione che campeggiava davanti alla sua porta di casa.

    «Beth?»

    «Sì, ha chiesto se la puoi chiamare in reparto.» Yolie rimase un attimo in silenzio. «Ah, prima che mi dimentichi, ti ho lasciato una fetta di Saint-Honoré nel frigorifero come augurio di buon compleanno.»

    «Avevi giurato che non avresti...» Rosie lasciò la frase a metà.

    Non aveva senso litigare con Yolie, donna dalle forme generose che adorava cucinare ed era una buona forchetta. Lei non si crucciava per le dimensioni del suo sedere né la assillava il pensiero delle cinquanta candeline sulla sua prossima torta di compleanno. Yolie aveva un debole per gli uomini più giovani, la sua ultima passione si chiamava Xavier, il giardiniere. Un ragazzo ambizioso ancora impegnato negli studi che tuttavia si manteneva lavorando anche al Taco Bonito. L'unica condizione che Yolie aveva posto a Rosie, quando l'aveva accolta in casa propria, era che non doveva avvicinarsi a Xavier. Yolie asseriva ridendo che se Rosie non avesse rispettato quella regola l'avrebbe ridotta in polpette buone per la sua catena di fast food.

    Rosie aveva giurato solennemente che non avrebbe nemmeno posato lo sguardo sul ragazzo, ma aveva fatto quella promessa prima di conoscere Xavier, un bel moro, dal fisico atletico e il cui sorriso malizioso le ricordava tanto quello di un altro uomo affascinate che una volta in Messico, all'ombra di una palma, le aveva rubato il cuore.

    «Ti avevo promesso che non ti avrei preparato i biscotti, ma non ho parlato di Saint-Honoré» disse Yolie. «Dai, Rosie, la vita è troppo breve e anche troppo dura per rinunciare a certi peccati di gola. Quarant'anni si compiono una volta sola, tesoro. Buon appetito... sempre che tu abbia intenzione di tornare a casa, stanotte.»

    Prima che Yolie avesse il tempo di incalzarla nuovamente con le sue domande, Rosie riagganciò e telefonò a Beth.

    «Mi dispiace disturbarti... ma ho davvero bisogno che tu mi sostituisca all'ospedale» cominciò l'amica. «Soltanto per un'ora, è un'emergenza.»

    «Ma è mezzanotte passata. Non ti puoi far mandare un'infermiera da un altro reparto? Io non posso...».

    «Sono fuori casa e sono un disastro.» Certo Rosie non poteva dire a Beth che non era l'unica a trovarsi nei guai né che quella era stata la peggior serata della sua vita. Non poteva dire che stava guidando seminuda e che era fuori di sé, reduce da una lite furiosa con Pierce e dunque poco idonea a prendersi cura dei pazienti.

    «Perché non chiedi a Margaret la caposala di trovare qualcuno che ti sostituisca?».

    «Non posso, non posso.» Beth che era una donna forte, poco incline a fornire informazioni sulla sua vita privata, scoppiò in lacrime.

    La situazione doveva essere davvero grave.

    «Credimi, Beth, non posso venire!»

    2

    Nella villa in finto stile toscano che sorgeva ai piedi della stessa collina dove, immersa in un vasto parco, si trovava l'elegante abitazione del dottor Pierce Carver, Amanda Jones fu svegliata dal suono debole ma insistente dell'antifurto dell'auto del suo vicino. Amanda, che aveva il sonno leggero, soprattutto quando Ralph era fuori città per lavoro, si mise seduta sul letto e rimase all'ascolto.

    Poiché l'antifurto non accennava a smettere andò a guardare fuori dalla finestra. Sapeva che Pierce era maniacale quando si trattava della sua Porsche.

    Tuttavia, per quanto scrutasse l'orizzonte, non riusciva a vedere granché, dato che la proprietà di Carver rimaneva nascosta dalle fronde di un'enorme quercia e di un cedro. All'improvviso, due sagome sbucarono dall'oscurità, provenivano dalla casa di Pierce e correvano lungo la stradina tortuosa che si snodava fino ai piedi della collina.

    Amanda non aveva intenzione di disattivare l'allarme di casa e di uscire nel cuore della notte per andare a vedere che cosa stesse accadendo, né intendeva salire sul balcone al piano di sopra, dal quale si godeva di una spettacolare vista sulla città.

    Decise, invece, di provare a chiamare Pierce. Quando al primo squillo entrò in funzione la segreteria telefonica, riattaccò senza lasciare alcun messaggio e compose subito il 911.

    Michael Nash brancolava nel buio. Il caso non si presentava come uno dei più facili per la Squadra Omicidi: c'erano un uomo, con un coltello da cucina piantato in gola, e due teppisti vestiti di nero con le suole delle scarpe sporche di sangue, ora ammanettati al ramo di un albero nel giardino della vittima.

    Il cadavere apparteneva con molta probabilità al chirurgo plastico Pierce Carver. Chi altri poteva essere, altrimenti? Per puro caso Michael e quel pezzo grosso avevano qualcosa in comune: una donna, e precisamente Rose Marie Castle. Nash sapeva che Carter era un poco di buono, così almeno gliene aveva parlato Rose Marie, quando, un anno prima, lui era stato costretto a multarla dopo averla pizzicata a bordo della sua BMW intenta a tampinare il bastardo. A quanto pareva, Carver l'aveva scaricata per una giovane modella, una certa Anita Qualcosa originaria del Guatemala e Rosie, che non era il tipo da accettare le sconfitte con filosofia, l'aveva presa davvero male.

    Ma adesso Michael non aveva nessuna intenzione di rivangare il suo passato con la donna che in più di un'occasione lo aveva fatto girare come una trottola, prendendosi gioco di lui. Forse Rosie e Carver erano fatti l'uno per l'altra. Dopotutto, lei significava guai e probabilmente non sarebbe mai cambiata. Michael doveva ammettere che gli aveva spezzato il cuore in più di una circostanza, ma non con un coltello da cucina.

    Fu proprio su quell'aspetto del carattere di Rosie che lui si soffermò a riflettere, chiedendosi se sarebbe stata capace di uccidere un'altra persona. No, non era possibile che fosse coinvolta in quell'omicidio, per quanto detestasse Carver.

    Michael sollevò lo sguardo dal taccuino che aveva in mano e recitò una breve preghiera per la vittima. Non era poi così sicuro che qualcuno lo avrebbe ascoltato, ma quand'era bambino sua madre lo portava tutte le domeniche a messa e le vecchie abitudini, si sa, sono dure a morire.

    Rivolse un'occhiata ai due giovinastri ammanettati all'albero e poi guardò l'orologio. Erano quasi le due del mattino, era tardi e lui non aveva nessuna voglia di ascoltare le loro bugie.

    Bugiardi! Odiava i bugiardi!

    Ma non ci poteva fare niente, tutti mentivano ai poliziotti. Gli assassini mentivano perché si trovavano costretti a farlo, i testimoni mentivano per tenere nascosti peccatucci di ogni sorta che, il più delle volte, non avevano nulla a che vedere con il caso in questione. Tutti gli altri mentivano per il puro piacere di farlo.

    Mentre si avvicinava ai due ragazzi si sentiva pulsare le tempie e bruciare gli occhi e, nonostante il sole fosse tramontato da un pezzo, grondava sudore.

    Michael avrebbe avuto una gran voglia di scolarsi una birra ghiacciata al bar in compagnia di Ronnie Bob, prima di tornarsene a casa dove, sdraiato sul divano, prima di essere colto dal sonno, sarebbe saltato da un canale all'altro fino a imbattersi in uno di quei documentari dove le tigri squartano le zebre e i serpenti a sonagli divorano i topolini.

    Pensò che, date le circostanze, l'espressione trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato gli si attagliava perfettamente, ma si sforzò di concentrarsi sui due tizi dallo sguardo sfuggente che aveva di fronte. Indossavano magliette nere sbiadite e jeans strappati e se ne stavano appoggiati al tronco dell'albero. Michael era convinto che i due non fossero coinvolti nell'omicidio, ma il ragazzo più grande aveva dei precedenti per furto d'auto.

    Avevano cercato di rubare la Porsche di Carver e avevano fatto scattare l'antifurto il cui suono aveva svegliato Amanda Jones, la vicina di casa della vittima.

    «Sei appena uscito di prigione dove eri detenuto per furto d'auto, vero, Paulo» esordì Michael.

    «Pablo» precisò il ragazzo con veemenza.

    «Scusa, Pablo» disse Michael ripetendo il nome correttamente.

    «Stavamo facendo jogging» intervenne Raul.

    Michael aggrottò le folte sopracciglia scure assumendo uno sguardo arcigno. «Sì, certo. E dove abitate voi due? A venti chilometri da qui, scommetto. A East Austin, il mio vecchio quartiere.»

    Anche Rosie veniva da East Austin, ma non le era mai piaciuto ammetterlo, nemmeno ora che il quartiere si stava popolando di gente meno rozza.

    «Viviamo in un paese libero o sbaglio?» replicò Pablo con disprezzo.

    Mentre Michael sollevava lo sguardo dal taccuino per fissare il ragazzo negli occhi, vide la florida faccia di Ronnie Bob Keith apparire sulla soglia di casa Carver. Keith gli rivolse un sorriso trionfante indicandogli una busta di plastica.

    Michael raggiunse il collega.

    «Raul ha perso il portafoglio, questa è la prova che i due sono entrati in casa. Hanno lasciato le loro fottute impronte ovunque. Quando si dice contaminare la scena del crimine!».

    Michael tornò dai due ragazzi portandosi appresso l'oggetto appena rinvenuto. Lo pose sotto il naso del ragazzo più grande, guardandolo dritto negli occhi. «Pablo, i miei uomini hanno appena rinvenuto il portafoglio di tuo fratello in una pozza di sangue del cadavere di quell'uomo. Qualcuno lo ha ucciso ficcandogli un coltello in gola, e voi mi volete far credere di non saperne niente?»

    «Proprio così.»

    «E tu, Raul, che cosa mi dici?»

    Raul, che tremava come una foglia, non osò sollevare lo sguardo da terra.

    Michael continuò a fissare Pablo. Il ragazzo allampanato indossava una sudicia bandana rossa e una treccia di capelli scuri e untuosi gli ricadeva sulla schiena. Affondò le mani nelle tasche dei jeans e spostò il peso del corpo da una gamba all'altra, lasciando vagare lo sguardo attorno a sé, ma evitando accuratamente di posarlo su Raul o sul poliziotto.

    Michael voleva estorcere ai due ragazzi tutto quel che sapevano sul delitto, ma per farlo avrebbe dovuto portarli alla centrale e interrogarli separatamente.

    Alcune gocce di sudore gli scivolarono dalla fronte e finirono sul taccuino che teneva in mano mentre, esasperato, tirava un profondo respiro.

    «Ragazzi, così non mi siete di nessun aiuto.»

    «Le ho già detto tutto quello che so.»

    La nebbia nella mente di Michael s'infittì mentre indicava, per l'ennesima volta, il portafoglio al ragazzo. «Vuoi scommettere che cambierai la tua dannata versione prima dell'alba?»

    Pablo abbassò lo sguardo sulle scarpe da ginnastica sporche di sangue.

    «Maledizione! Ci sono le vostre impronte ovunque dentro quella casa! Avete visto qualcuno? Sentito qualcosa?»

    «Ehi, amico, non puoi trattarmi così, sono minorenne.»

    «Ascoltatemi bene, ragazzi, anche i minorenni finiscono in tribunale né più né meno dei maggiorenni. Pensaci Paulo.»

    «Mi chiamo Pablo! Lei continua a trattarmi come un ragazzino, ma io conosco i miei diritti. Non sono obbligato a rispondere alle domande di un poliziotto senza essere assistito da un avvocato.»

    «Va bene. Fate come credete.» Il poliziotto lasciò i due e si diresse verso la villa.

    «Ehi, torni indietro! Venga a toglierci le manette!»

    Mentre le grida dei due ragazzi lo raggiungevano, Michael salì due alla volta i gradini della scala sotto il grande lampadario a goccia.

    Che andassero al diavolo!

    Finalmente Beth era tornata all'ospedale.

    Rosie si sentiva tremare le gambe mentre saliva i gradini della scala che portava al garage della clinica, forse era l'ora tarda a incuterle paura forse era semplicemente esausta o aveva visto troppi telefilm dove la protagonista veniva aggredita nel parcheggio. Si accingeva a entrare quando il cellulare squillò.

    Accelerò il passo mentre affondava la mano nella borsa in cerca del telefonino e delle chiavi. Il cuore le balzò in gola quando, sul display illuminato da una luce azzurrina, vide apparire il numero di casa di Yolie.

    Erano le due del mattino passate da un pezzo. Jennifer e Alexis erano a casa da sole, dal momento che Yolie era partita per il ranch.

    «Dimmi, Jennifer...» la sua voce echeggiò nel garage immerso nella penombra.

    «Alexis è scomparsa!» esordì la ragazza con voce stridula. «L'ho cercata ovunque!»

    Rosie, che aveva individuato la sua BMW, affrettò il passo verso l'auto. «Ma cosa stai dicendo, non è possibile, non può essere andata lontano. Forse si è soltanto nascosta per farti uno scherzo.»

    «No... ho già guardato in ogni angolo della casa.»

    Con mani tremanti Rosie aprì la portiera dell'auto e salì a bordo. «Hai guardato in piscina?».

    «Sì, ho acceso le luci della piscina e i riflettori e l'ho cercata, ma non c'è. È andata a letto con la sua copertina azzurra poco dopo che Yolie è uscita di casa. Poi mi ha telefonato il mio ragazzo e sono rimasta un po' al telefono con lui, quando sono salita per controllare che fosse tutto a posto lei stava bene, lo giuro. Ma adesso il suo letto è vuoto. Ho controllato le porte e le finestre sono tutte chiuse. Sono andata a controllare anche nella camera matrimoniale, ma a parte Lula, è vuota.»

    Lula era il barboncino bianco di Yolie.

    Rosie non riusciva a credere che quel giorno, il giorno del suo compleanno, i guai per lei non fossero ancora finiti. Alexis era sparita!

    Chiuse gli occhi e cercò di dominare il panico, non era la prima volta quella sera che si confrontava con la paura. Mentre metteva in moto, andò con il pensiero alla misteriosa intrusione in casa che aveva avuto luogo due giorni prima. Si era trattato di un fatto alquanto strano e, ripensandoci ora, l'accaduto assumeva i connotati di una premonizione.

    L'avevano chiamata dalla centrale operativa dell'istituto di vigilanza di cui Yolie era cliente per informarla che era scattato l'allarme di casa e quando un paio di guardie si erano recate sul posto per un sopralluogo avevano trovato la porta della cucina aperta, benché la serratura non fosse stata forzata. Lula, che era stata rinchiusa nel bagno al piano di sopra senza cibo né acqua, abbaiava furiosamente e aveva ridotto a brandelli il tappetino rosa preferito di Yolie.

    Fatta eccezione per quel particolare, Rosie non aveva notato altri segni che indicassero il passaggio di un estraneo né aveva rilevato la scomparsa di oggetti di valore.

    Ma allora, chi aveva aperto la porta della cucina, facendo scattare l'allarme? Chi aveva rinchiuso il cane nel bagno? Poteva essere stato chiunque, giacché Lula aveva la pessima abitudine di avventarsi sui polpacci dei postini e degli addetti alla manutenzione della piscina, ma non aveva certo l'indole del cane da guardia.

    «Le cose strane succedono» aveva commentato uno degli uomini della vigilanza, come se quell'osservazione

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