La luna nel pozzo
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Anteprima del libro
La luna nel pozzo - Marinella Mascia
PREFAZIONE
Questo racconto che non ha la pretesa di avere fondamento storico, è scaturito totalmente dalla pura fantasia, a parte e siti archeologici come il pozzo sacro di Santa Cristina che è reale, come è reale anche l’appuntamento astronomico che si ripete ogni diciotto anni e sei mesi con la luna e le figure come i capi villaggio, il sacerdote, i portatori d’acqua che sono realmente esistiti in quel contesto. A questo proposito vorrei ricordare un episodio che mi è accaduto anni dopo la pubblicazione del libro quando, nel corso di una conferenza, ho visto i miei portatori d’acqua a grandezza naturale. La dottoressa Angela Demontis, col suo lavoro monumentale dal titolo Il popolo di bronzo
, ha ricostruito i costumi dell’epoca, basandosi sui bronzetti ritrovati e altre suppellettili. Con mia grande sorpresa ho potuto notare in quel contesto che il portatore d’acqua era identico a come lo avevo visto io, nella visione.
Devo riportare un altro fatto curioso: la litania intonata dal popolo e dai portatori d’acqua era cantata in una lingua antica, ormai scomparsa, di cui ricordo solo un’invocazione: ANU’
. Oggi si sa che ANU era l’antico sacerdote in Sardegna.
Tutto il resto è una specie di ordito che mi son presa la licenza di tessere intorno a queste figure.
Lo spunto mi è venuto quando, intorno all’anno 2000, ricorreva il diciottesimo anno circa in cui la luna si rifletteva nel pozzo ed io, a causa di un incidente dal quale per fortuna sono venuta fuori incolume, non avevo potuto partecipare alla cerimonia.
Così dalla mia camera, a duecento chilometri di distanza dal sito, a mezzanotte in punto, mi sono accontentata di aprire la finestra e di fissare la luna piena e dopo un po’ di tempo, come per magia, mi sono passate davanti agli occhi, come una sorta di film, delle immagini molto nitide e su queste ho costruito la storia che vi ho raccontato.
LA LUNA NEL POZZO
C’è un pozzo nel cuore selvaggio di un’isola dove la luna piena, passando attraverso un foro, si specchia sul fondo illuminando l’acqua oscura.
Questo appuntamento si rinnova ogni diciotto anni e sei mesi a mezzanotte in punto.
Nessuno sa il perché ne quando questo pozzo sia stato costruito, ma il suo fascino giunge intatto fino a noi e ci trasporta nel mistero di un mondo lontano.
Tutto attorno c’è un magnifico oliveto con antichi esemplari dai tronchi contorti che, ad anni alterni, si caricano di olive che nessuno raccoglie mai tanto che non è improbabile, specie dopo un forte vento di maestrale, camminare su un’enorme distesa verde-scuro che ricopre il pianoro come un immenso tappeto.
Oggi la gente vi si reca ancora in pellegrinaggio anche se ormai il rito ha un sapore più consono ai nostri tempi; infatti li vicino è stata costruita una chiesetta dove ci si reca per pregare, stare insieme, condividere doni ed esperienze, come se si propagasse attraverso un’eco lontana la memoria di un rituale dai toni ormai sbiaditi dal tempo, ma che ancora conserva una certa aura di mistero.
Questa magia si respira tutto intorno, ma soprattutto in prossimità del fondo del pozzo, quando si giunge sull’ultimo gradino fin quasi a lambire l’acqua. Li è possibile sentire un brivido lungo tutto il corpo a testimoniare la presenza di una grande fonte di energia.
Nel suo insieme il monumento presenta una costruzione molto particolare, anch’essa piena di fascino, con doppia scala al contrario di cui, una scende nelle viscere della terra fino ad incontrare l’acqua, l’altra contrapposta sul soffitto sale fino al cielo.
C’è chi dice che questo pozzo fosse un osservatorio astronomico perché costruito in modo tale da seguire il moto degli astri nel cielo. Altri pensano si tratti di un comune deposito d’acqua che serviva per l’ approvvigionamento idrico del villaggio ed altri ancora sostengono che possa essere una sorta di macchina del tempo dove si viene trasportati in altre dimensioni.
Ma a me piace pensare che quello fosse un luogo sacro e che lì dentro, in un giorno lontano che si perde nella notte dei tempi la luna, prima di specchiarsi sul fondo, dovette confrontarsi con un volto meraviglioso che, anche se solo per un attimo, ne offuscò la memorabile bellezza.
VILLAGGIO DEL POZZO SACRO
ANNO 2000 a.C.
La piccola nacque in una piovosa giornata di autunno, evento che aveva il sapore di un miracolo, visto che sua madre non poteva aver figli e per questo motivo un giorno si era recata in pellegrinaggio nel pozzo, per invocare la dea Madre.
Gocce di pioggia picchiavano forte sul davanzale di granito mentre la mamma la portò sul petto e la osservò con grande amore: vide che era un piccolo gioiello con un viso ovale, occhi grandi ombreggiati da ciglia lunghissime. Mentre la osservava però la sua ammirazione sfociò presto in una smorfia di dolore che andò ad intaccare quella felicità perfetta.
Ho pregato tanto la dea perché mi desse un figlio, ma tu piccola mia sei così bella che non so più se gioire o piangere, sei un dono troppo prezioso per questo mondo e verrà il giorno che dovrò restituirti alla dea e i miei occhi non gioiranno più della tua presenza!
.
In quel villaggio infatti la bellezza era considerata il dono più prezioso da offrire agli dei, perché la bambina più bella era destinata, una volta raggiunti i diciotto anni e sei mesi, a essere sacrificata alla divinità. Per questo motivo Arian si affannò a trovarle un difetto, uno qualunque, che sarebbe bastato per oscurare quella bellezza ma purtroppo non trovò proprio nulla. Amare lacrime le rigarono il volto mentre continuava ad accarezzare quel visino perfetto.
Quella nascita così luminosa fu una grande attrazione per tutto il villaggio, alcuni apprezzavano sinceramente la sua venuta, altri la andavano a trovare per constatarne la bellezza; altri ancora tessevano alle spalle nefaste trame, pensando a quello che sarebbe stato il suo destino.
Intanto Anul (questo era il nome della bimba), a dispetto di tutto e di tutti, diventava sempre più bella e forte e la madre la proteggeva da chiunque, cercando di non farle mancare mai nulla. La piccola cresceva bene e la sua infanzia era felice; stava appena cominciando la dolce stagione dei fiori, che era anche la decima primavera per la piccola.
Era la fine di marzo e quella mattina Arian si preparava ad andare per campi a raccogliere erbe tintorie.
Per tutto l’inverno si era occupata della cardatura e della filatura della lana, ora doveva provvedere a colorarne le fibre.
Sul sentiero che si snodava tra querce, arbusti di mirto e lentischio c’era ancora qualche pozza d’acqua, a testimonianza di una annata piovosa, e ad un tratto vide il suo viso riflesso in una di queste ed ebbe un sussulto: le parve per un attimo