Il settimo marchio - Prima Parte
Di W.J. May
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Info su questo ebook
Come la maggior parte degli adolescenti, Rouge sta cercando di scoprire chi è e cosa vuole diventare. Conosce poco del suo passato, ha molte domande, ma non ha mai cercato le risposte.
Tutto cambia quando incontra una famiglia insolitamente affascinante. I fratelli Grace e Michael nascondono segreti che sembrano in qualche modo collegati a Rouge. Il suo presentimento verrà confermato da un terribile incidente durante una festa in spiaggia. Rouge potrebbe essere l’unica in grado di trovare la risposta.
Un antico diario, una collana Siorghra e un marchio speciale obbligheranno una ragazza impreparata a lottare per la sua vita e per quella degli altri a prendere decisioni che sconvolgeranno la sua esistenza.
Tutti i segreti hanno un prezzo e la determinazione di Rouge a scoprire la verità può solo portare guai… o qualcosa di molto peggiore.
*Avvertenza: in questo libro ci sono dei licantropi… e non sono amichevoli.*
*Avvertenza n°2: il libro termina con un finale in sospeso. Il secondo libro riprende dal punto in cui questo si conclude.*
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Anteprima del libro
Il settimo marchio - Prima Parte - W.J. May
Capitolo 1
Con gli auricolari infilati nelle orecchie, alzai al massimo il volume dell’iPod e feci partire la playlist per correre. Percorsi il vialetto ghiaioso e svoltai verso gli ultimi bagliori del tramonto. Se solo sapessi disegnare o dipingere...
Attraversato un incrocio, mi diressi verso sinistra e lasciai che le gambe mi portassero lontano dalle piccole case, dai giardini trascurati, dalle porte con le zanzariere rotte e dalle auto sgangherate, verso un quartiere di case più grandi. I prati si srotolavano dal marciapiede e le ville sorgevano un po’ più in là. Magari un giorno mi comprerò un posto come questo. Risi sarcastica al pensiero.
Anche se non l’avrei mai ammesso con nessuno, una parte di me era maledetta. C’era come un veleno che mi scorreva nelle vene, ed ero sempre stata convinta che un giorno avrebbe avuto la meglio su di me. Non sapevo né come né perché, ma nel profondo mi sembrava inevitabile.
Però il fato era finalmente intervenuto e per fortuna, una volta tanto. Se non l’avesse fatto, non sarei stata lì, in quel meraviglioso posto all’altro capo del Paese. Probabilmente la faccenda della maledizione era solo nella mia testa.
Guardavo dritta davanti a me, tra i vecchi alberi enormi che costeggiavano la strada. Sulle cime frastagliate rosa e bianche la neve rifletteva gli ultimi raggi di sole, facendomi apprezzare la bellezza della natura. Costa ovest, oh, sì! Sorrisi, incapace di reprimere la mia frivolezza. Per tutta la vita avevo vissuto a Niagara Falls, ma quello... Le parole non potevano descrivere quella bellezza.
Respirando il fresco profumo dei pini, quello vero, non quello dei detergenti degli ultimi due giorni, assaporai appieno quel momento. Se i servizi sociali non avessero approvato la richiesta di Jim e Sally, non avrei mai visto delle vere montagne per la prima volta nella mia vita.
A gennaio avrei compiuto diciotto anni e non sarei più stata a carico del governo. Jim e Sally non erano male come genitori affidatari, ma avevano messo in chiaro che non potevano permettersi di pagarmi il college. Aumentai il ritmo. Non volevo pensare a dove sarei finita l’anno dopo.
Sarai da sola... senza famiglia. Senza nulla. Di nuovo indesiderata. L’immaginario diavoletto sulla mia spalla sinistra rise di me.
La musica mi urlava nelle orecchie. Sei destinata a stare da sola. Sola... sola... sola...
Lanciai uno sguardo verso la mia spalla sinistra e finsi di scacciare l’invisibile diavoletto e quasi andai a schiantarmi contro il vecchio muro di pietra che delimitava il quartiere. Dopo aver ripreso l’equilibrio e la concentrazione, presi l’iPod dalla tasca e passai alla canzone successiva.
Le luci dei lampioni si accesero con un tremolio. I miei occhi si erano abituati all’oscurità senza che me ne rendessi conto. Dovrei tornare indietro prima che diventi completamente buio. Non volevo rimanere fuori da sola, visto che a malapena conoscevo la zona.
Un’apertura più avanti nel muro attirò la mia attenzione. La curiosità ebbe la meglio. Invece di tornare indietro, continuai ad avanzare. Davanti ai miei occhi comparve l’entrata di un parco pubblico. Delle pesanti porte nere di ferro mi introdussero su un ingresso lastricato. Un giardino rialzato divideva la strada a metà.
La targa fissata al muro di pietra del giardino mi fece sorridere. ‘Fine di un’Era’. Dalle lastre di pietra che spuntavano dietro i fiori del giardino capii che si trattava di un cimitero e non di un parco. Il proprietario doveva ovviamente avere senso dell’umorismo, oltre all’intenzione di creare un’ultima dimora con un messaggio di benvenuto. Una ragazza sui vent’anni mi sfrecciò accanto sui roller, salutandomi con la mano mentre mi superava.
I sentieri erano illuminati da luci a energia solare. Imboccai la prima stradina che costeggiava il bordo esterno e rallentai. Le alte tombe di ardesia e marmo erano allineate sul lato sinistro e un bosco antico costeggiava il lato destro. Correndo, attraversai quella che doveva essere stata l’area originaria, con le sue lapidi consumate dall’aspetto antico. Mi fermavo e zigzagavo tra le lapidi per leggere quelle più strane: 1886 John Hartzel – 18 anni, 1892 Patrick O’Reilly – morto troppo giovane, Tammy Fortune 1802 – 1822
. Che problema aveva quel posto? Non era consentito l’ingresso ai maggiori di trent’anni?
Strizzando gli occhi, mi avvicinai a una pietra tombale rialzata sovrastata da un angelo di cemento. Posai la mano che ancora stringeva l’iPod sull’angolo della pietra per stabilizzarmi. Mi chinai in avanti per guardare meglio l’iscrizione. Poveretto, aveva la stessa età degli altri. Mi raddrizzai e feci per andarmene, con l’intenzione di finire la mia corsa. I cavi dell’iPod si impigliarono nella testa dell’angelo, strappandomi gli auricolari dalle orecchie. L’iPod volò via dalla mia mano.
Merda!
Scivolai sull’erba umida e mi fermai, coprendomi le orecchie con i palmi delle mani. Faceva male da morire. Guardai la statua di pietra e feci una smorfia. Provate a immaginarvi di decapitare un angelo. La gente probabilmente si stava rivoltando nelle tombe.
Doppia merda! Il mio iPod. Speravo proprio che non fosse andato. Era ormai scesa la notte, cosa che non giocava in mio favore. Mi misi in ginocchio e iniziai a cercarlo a tentoni nel buio, provando di esaminare l’erba, invano. Le piccole luci a energia solare erano inutili. Perché ho preso la custodia nera?
mormorai e scossi la testa abbassandomi a controllare sotto una panchina vicina. Le ragnatele mi accarezzarono il viso e io mi ritrovai a fare una sorta di danza composta da mosse di karate per togliermi di dosso loro e gli eventuali ragni.
Sentii un ramoscello spezzarsi e subito dopo una risata soffocata.
Mi immobilizzai, in attesa, inquieta, per poi voltare la testa di scatto. C’era un silenzio di tomba. Come ci si aspetta da un cimitero. Niente. Neanche il più minimo rumore.
Stupida.
Uscii da sotto la panchina, mi misi a sedere e mi pulii la felpa. Mi ci erano voluti mesi per mettere da parte i soldi per l’iPod. Ricominciai a cercarlo, artigliando l’erba. Non me ne vado finché non lo trovo, a costo di ingoiare degli schifosi ragni pelosi.
Hai perso qualcosa?
Una voce bassa e roca eruppe dall’oscurità. O ti stai scavando la fossa?
Capitolo 2
Il cuore mi balzò in gola. Picchiai la testa contro la panchina. Cavolo!
Gattonai indietro, sfregandomi il punto dolorante, preoccupata per il mio sedere in aria. Con la mia fortuna, probabilmente si trattava di uno stupratore da cimitero.
Lo sconosciuto non disse nulla. Riuscivo a vedere solo il profilo di un paio di gambe fasciate di nero con Converse bianche. Inspirai sonoramente, senza essermi resa conto prima che stavo trattenendo il respiro.
Scusa,
disse la roca voce maschile, divertita. Non volevo spaventarti. Probabilmente non è il posto migliore per comparire all’improvviso alle spalle di qualcuno.
Si schiarì la gola. Stai cercando qualcosa?
La sua voce si addolcì, ma rimase virile. Non il tipo di voce che ti aspetteresti di sentire in un cimitero.
Ma poi, che tipo di voce ci si potrebbe aspettare?
Alzai lo sguardo e crollai seduta. C’era un ragazzo a pochi metri di distanza da me e non c’entrava proprio niente con un cimitero. Era troppo abbronzato, troppo biondo, troppo... Wow, sexy.
Era molto alto, specialmente dal punto a terra in cui stavo seduta. Dovetti sforzarmi per distogliere lo sguardo dal suo viso. Anche nel buio, i suoi occhi blu brillavano alla luce della luna. Aveva i capelli più biondi che avessi mai visto, come quelli di un vichingo.
Non era uno psicopatico o un assassino, era solo un ragazzo come me. Mi rilassai e mi alzai, pulendomi i pantaloncini. Perché sei in un cimitero? Non mi presi la briga di chiederglielo. Probabilmente si stava chiedendo lo stesso di me. Vista la mia fortuna, probabilmente era venuto qui a far visita alla tomba della sua ragazza. Cavolo, sono una persona orribile.
Chiusi in fretta la bocca, ancora spalancata. Tossendo, parlai a voce un po’ troppo alta. Ho... ho perso il mio iPod.
Un’altra risatina