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La spia che sfidò il Terzo Reich
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La spia che sfidò il Terzo Reich
E-book581 pagine7 ore

La spia che sfidò il Terzo Reich

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Info su questo ebook

Una storia vera
Rischieresti la vita per il tuo amore?

La storia della donna che affrontò le SS per ritrovare l'uomo che amava

22 settembre 1943. Pearl Witherington viene paracadutata nelle campagne francesi tra le linee nemiche.
Inglese, ma nata e cresciuta a Parigi in una famiglia difficile – tre sorelle, padre inesistente e madre egocentrica – Pearl ha imparato presto a camminare sulle sue gambe, e certamente non è quella che si può definire una donna comune. Infatti è un’agente delle forze speciali femminili inglesi con una missione di vitale importanza: infiltrarsi in Francia per coordinare le operazioni dei vari agenti dell’intelligence sotto copertura. Ma Pearl farà molto di più: alla vigilia del D-Day, il giorno dello sbarco alleato in Normandia tanto atteso da milioni di persone, sarà a capo di 3000 combattenti, tra soldati regolari e partigiani. Forte, combattiva, determinata, nasconde nel suo cuore l’amore per Henri Cornioley, il fidanzato parigino che, dopo essere stato catturato dai nazisti, è riuscito a fuggire e ha aderito alla resistenza. Sarà proprio il suo esempio – e la speranza di ritrovarlo ancora in vita – che spingerà Pearl, uno dei migliori agenti segreti al servizio di sua Maestà, a sfidare la guerra, le terribili torture che la Gestapo riservava alle spie catturate, e a sopportare una vita di continue tensioni e pericoli. La spia che sfidò il Terzo Reich è la straordinaria storia della strenua lotta di una donna per la libertà e per il suo grande amore.

Settanta anni fa, nel settembre 1943, il paracadute di Pearl Witherington atterrò dietro le linee nemiche. Questa è la sua incredibile storia.

«La verità è che questa è la tanto attesa biografia, un riconoscimento che l’agente Pearl ha meritato.»
The Times

«Carole Seymour-Jones rende piena giustizia a un’eroina e una donna davvero straordinaria.»
Sunday Times

«Ricco di particolari interessanti: intrighi diabolici, incontri segreti, tradimenti e comportamenti libertini e scandalosi, degni di una soap-opera. […] Imponente, documentatissimo ma davvero godibile, il libro di Carole Seymour-Jones si legge tutto d’un fiato. Il risultato finale è sbalorditivo.»
The Guardian

Pearl Witherington, la cui storia è narrata in questo libro, ha ricevuto nel 2008, poco prima della sua morte a 93 anni, un prestigioso riconoscimento militare da Elisabetta II. Mentre gli uomini delle Forze Speciali avevano ricevuto medaglie al valore per meriti sul campo, il Paese aveva dimenticato Pearl, offrendole nel 1945 solo un riconoscimento civile, che lei si era rifiutata di accettare perché, sosteneva, «non c’è niente di civile in quello che ho fatto».


Carole Seymour-Jones
è nata in Galles, ha studiato a Oxford e vive tra Londra e il Surrey. Autrice di diverse opere – tra cui la biografia di Simone de Beauvoir e della sua burrascosa relazione con Jean-Paul Sartre (A Dangerous Liaison) – è la vicepresidente del PEN club, ed ex direttrice del Writers in Prison Committee, organizzazione che difende gli scrittori condannati per le loro idee politiche. Ha curato anche l’antologia Another Sky: Voices of Conscience from Around the World, che raccoglie le testimonianze di autori che si battono contro la censura. Le sue opere sono state tradotte in molte lingue, La spia che sfidò il Terzo Reich è il suo primo libro pubblicato in Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159969
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    Anteprima del libro

    La spia che sfidò il Terzo Reich - Carole Seymour

    187

    Titolo originale: She Landed by Moonlight: The Story of Secret Agent Pearl Witherington

    Copyright © Carole Seymour-Jones 2013

    The right of Carole Seymour-Jones to be identified

    as the Author of the Work has been asserted by her

    in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act 1988.

    First published in Great Britain in 2013 by Hodder & Stoughton

    an Hachette

    uk

    company

    Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione

    Prima edizione ebook: novembre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5996-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Falcinelli &CO.

    Realizzazione: Carol Gullo

    Foto: © Katya Evdokimova /Arcangel Images

    Carole Seymour-Jones

    La spia che sfidò il Terzo Reich

    In memoria di

    M.R.D. Foot

    1919-2012,

    amico e maestro.

    mappa_1.tif

    La Francia centrale e il Canale della Manica all’epoca dell’Operazione Overlord (© Clifford Webb).

    mappa_2.tif

    Mappa dell’ex Circuito F attivo sotto il controllo dello Stato maggiore delle

    FFI

    nell’agosto del 1944, apparsa per la prima volta nella storia ufficiale del

    SOE

    di M.R.D. Foot, SOE in France: An Account of the Work of the British Special Operation Executive in France 1940-1944, 1996 (© Crown Copyright).

    Prefazione

    Un giorno di maggio del 2012, mentre seguivo in Francia le orme di Pearl, affittai un’auto e mi recai da Châteauroux a Limoges. Feci una deviazione verso ovest, per visitare il paesino martire di Oradour-sur-Glane. Lì discesi a piedi la collina inondata di sole, superando le vuote case in rovina, fino allo scheletro della chiesa in cui le donne e i bambini del paese erano stati arsi vivi dalle Waffen-

    SS

    il 10 giugno 1944.

    Un dardo di sole cadeva su un altare e qualcosa richiamò il mio sguardo: un paio di zoccoli calcificati, i sabots di legno che le donne usavano portare a quei tempi. Mute vestigia della loro proprietaria, una donna morente, che stringeva contro le gambe il suo bambino, facendogli schermo con le gonne mentre attorno a lei crepitavano le fiamme e il fumo le mozzava il respiro.

    L’immagine di quegli zoccoli s’impresse dentro di me. Divennero un simbolo del coraggio con cui Pearl Witherington, una ex segretaria, aveva affrontato il terrore della macchina da guerra nazista. Avec mes sabots era la sua canzone preferita quando marciava con i suoi maquisards contro i soldati delle Waffen-

    SS

    della divisione Das Reich, la stessa che aveva ucciso le seicentoquarantadue vittime di Oradour.

    Oh, oh, oh, avec mes sabots, cantava Pearl guidando in battaglia la sua banda di francesi. La canzone che aveva scelto era la stessa marcia usata da Giovanna d’Arco. La guida lungimirante di Pearl nel maggio-settembre 1944 ricordava ai suoi compagni, l’amante Henri Cornioley e il maggiore Clutton della Jedburgh Julian, e forse anche ai suoi uomini, la guida di Giovanna. Pearl non lo disse mai; ma combatté sotto la stessa bandiera di libertà, la croce di Lorena, per liberare dall’oppressione la Francia, il Paese che chiamava casa.

    Gli zoccoli erano rustiche calzature di legno indossate dalle contadine i cui fratelli posarono falci e falcetti, abbandonarono i campi e il bestiame per rispondere alla chiamata alle armi di Pearl nel giugno del 1944. Sembrò una marcia impari: gente di campagna contro nazisti. Ma gli uomini dell’Indre, dotati di fresco da Pearl di armi prima sconosciute, mitra e lanciarazzi, impararono in fretta. Compagni in armi, inglesi e francesi, e molti cittadini del Commonwealth – mauritani, canadesi, neozelandesi – sfidarono la Gestapo, le colonne di repressione tedesca e i Panzer delle

    SS

    .

    Gli agenti del

    SOE

    sono stati definiti a ragione dei dilettanti, frutto dell’ingegno del gentiluomo dilettante per eccellenza, Winston Churchill. La Resistenza è stata diffamata parimenti, il merito della vittoria del 1944 è andato alle forze regolari. Ma Eisenhower, il comandante supremo, disse [nota di Eisenhower al general maggiore Gubbins del

    SOE

    , 31 maggio 1945] che i circuiti del

    SOE

    e i maquis valevano quanto parecchie divisioni messe insieme. Grazie a loro, i tedeschi persero il controllo della retroguardia durante l’Overlord, e furono uomini e donne della Resistenza a liberare la Francia a sud della Loira.

    Questa è la storia di Pearl, ma è anche la loro storia.

    Carole Seymour-Jones

    Marzo 2013

    1

    In campo

    Le stelle brillano sempre più fioche nel cielo notturno, mentre il bombardiere Halifax si avvicina alla zona di lancio. Nel ventre del bombardiere, l’agente segreto Pearl Witherington, alias agente Marie, si aggrappa alla fusoliera, sentendosi, non per la prima volta, come Giona nella pancia della balena. Il velivolo vira bruscamente, facendole quasi perdere l’equilibrio. Hanno superato la Loira e il Cher al chiaro di luna e ora stanno volando in cerchio sulla zona di atterraggio a La Taille des Ruines, a nord-est di Valençay, nella Francia centrale. Il ruggito dei quattro motori è assordante, l’odore di benzina e petrolio proveniente dalle taniche di scorta appesta l’aria. Pearl non si sente più i piedi, perché fa un freddo gelido e ha le caviglie avvolte in strette bende per evitare che si spezzino nell’urto con il terreno. Se ne sta accucciata vicino al portello d’uscita, pronta per lanciarsi col paracadute, e di quando in quando si volta verso il dispatcher che le darà il segnale per saltare.

    Ha il cuore che batte a mille. Da un momento all’altro, l’uomo griderà: «Ai posti!», si accenderà la luce rossa, poi verde, e le dirà: «Vai!». Inspira a fondo. Questo momento rappresenta l’avverarsi di tutti i suoi sogni di tornare nella Francia occupata, il culmine di ore di addestramento sin dal giorno in cui, segretaria inglese ventinovenne, si è offerta volontaria per unirsi all’Esecutivo per le Operazioni Speciali, nella primavera di quello stesso 1943.

    Il bombardiere nero sta perdendo quota. La nota del motore cambia mentre gira per la seconda volta sulla zona di lancio. Qualcosa non va? Il pilota e il navigatore scrutano nelle tenebre, cercando il primo segno delle luci del comitato di benvenuto giù a terra, ma non si vede nessun tenue ma rassicurante bagliore di torce legate a bastoni nella zona di atterraggio. Il pilota si è arrischiato a scendere il più possibile attraverso le nubi, fino a millecinquecento metri, e fa un ultimo giro prima che Pearl ne senta la voce nell’interfono: «Missione annullata».

    Con un sospiro, ingoia la delusione mentre il bombardiere fa dietrofront e si dirige verso la Manica.

    Pearl non poteva saperlo, ma quella notte del 15 settembre 1943 i tedeschi stavano dando la caccia alla Resistenza proprio tra i boschi di La Taille des Ruines sotto di loro, e perciò Hector, il capo del circuito

    SOE

    a cui doveva unirsi, era stato costretto a disdire la sua accoglienza: all’ultimo momento, aveva annullato l’ordine di accendere le luci di terra. Allo stesso modo, il pilota aveva dato priorità alla sicurezza di Pearl.

    Cinque giorni dopo, all’assistente di sezione della

    WAAF

    Cécile Pearl Witherington fu detto di prepararsi al secondo tentativo di lancio oltre le linee nemiche. Il tempo e la fortuna erano agli sgoccioli. Era la sera del 21 settembre, l’ultima notte della luna settembrina, la finestra lunare di dodici giorni che permetteva ai piloti di volare al suo chiarore argenteo. È la mia ultima possibilità, si disse, la mia ultima possibilità, perché sapeva che, se falliva quella notte, non ci sarebbero state altre occasioni fino alla luna di ottobre. Dai terreni di Hazells Hall, vicino al Tempsford della

    RAF

    – un aerodromo nascosto nel cuore della campagna del Bedfordshire – fissò con occhi imploranti la luna calante, la cui luce sbiadiva alla velocità delle foglie d’autunno che cadono.

    Anche il tempo era cambiato. Il generoso plenilunio giallo settembrino che aveva permesso al caposquadriglia Hugh Verity di portare agenti segreti dietro le linee nemiche nel suo Lysander per undici notti consecutive era sparito. «Questo è stato un plenilunio da ricordare»¹, aveva detto il pilota di recupero in agosto, quando gli squadroni segreti Luna – 138 e 161 – che facevano base a Tempsford avevano traghettato un numero insolito di agenti dentro e fuori la Francia occupata. Il servizio taxi era andato così bene che re Giorgio

    VI

    e la regina Elisabetta sarebbero andati in visita a Tempsford per congratularsi con i piloti, ma questo contava poco per Pearl, in impaziente attesa del suo taxi Tempsford. Taxi, se ne rendeva conto adesso, era un termine improprio per un volo che si stava dimostrando così inaspettatamente difficile.

    Stava per trascorrere la sua seconda ultima notte su suolo britannico a Hazells Hall, una grande tenuta a Sandy, pochi chilometri a ovest di Tempsford. La villa era stata requisita per uso militare come dormitorio per gli ufficiali anziani e i Joe, gli agenti in attesa di scendere in campo, ed era più confortevole di qualsiasi cosa l’aerodromo potesse offrire. Tempsford non era nient’altro che un lavoro fatto di fretta, un mucchio di capannoni semicircolari tirati su alla bell’e meglio in tempo di guerra. Paludoso e pieno d’acqua, aveva spesso le piste allagate, ma possedeva una caratteristica che riscattava tutte le altre: la collocazione isolata tra la ferrovia e la Great North Road, celata agli occhi del nemico da basse colline. Fino a quel momento si era dimostrato introvabile per l’intelligence tedesca. «Trovate quel nido di vipere e distruggetelo», aveva ordinato Hitler al suo Abwehr, l’organizzazione di controspionaggio dell’esercito; ma, sebbene due spie tedesche fossero state catturate nei dintorni e giustiziate, il buio campo di volo non era mai stato scoperto.

    In effetti, per l’Esecutivo per le Operazioni Speciali (

    SOE

    ), il più giovane e meno popolare dei servizi segreti britannici in tempo di guerra, l’acquisizione di Tempsford aveva costituito una vittoria di rilievo. Gli Irregolari di Baker Street, com’erano chiamati, dal momento che gli uffici di Londra si trovavano nel territorio di Sherlock Holmes al numero 64 di Baker Street, erano specializzati nelle tattiche di guerra non da gentiluomini, sabotaggio e sovversione, e la nuova organizzazione nascente veniva guardata con profonda diffidenza dai servizi segreti, dai capi delle forze armate e, in special modo, dal capo del comando bombardieri, il generale di squadriglia Arthur Harris, che si era «opposto fino alla morte»² alle inappropriate richieste del

    SOE

    per uno squadrone aereo da impiegare nelle operazioni speciali.

    Quando Harris aveva respinto Tempsford come inadeguato ai suoi scopi nel marzo 1942, il

    SOE

    aveva afferrato la briciola caduta dalla tavola del ricco³. Per novembre, il caposquadriglia Verity si era messo alla guida dello squadrone di volo 161, composto da sei Lysander per operazioni di recupero, cinque Halifax, due Wellington e un Hudson per le operazioni paracadutistiche. Quando Pearl arrivò, nell’autunno del 1943, Tempsford era pronto per lei.

    A Hazells Hall, Pearl si sta di nuovo preparando per la sua prima missione come agente segreto. Lily, la robusta signora della sezione francese del

    SOE

    , venuta a vestirla, ha steso gli abiti sul letto.

    «Ebbene, Pearl, ormai dovresti conoscere i trucchi del mestiere», dice ridendo Nancy Fraser-Campbell, il suo ufficiale d’accompagnamento. Nancy è capitano nel

    FANY

    , il reparto che riunisce le infermiere addette al primo soccorso, e lavora a stretto contatto con lo zelante ma credulone Maurice Buckmaster, capo della sezione francese F, e il suo ufficiale dell’intelligence, Vera Atkins. Come d’uso quando parte un’agente donna, Nancy – anche se più spesso è Vera che se ne occupa – è scesa a Hazells Hall per ispezionare il camuffamento di Pearl e assicurarsi che passerà l’esame in Francia. Nancy è diventata una buona amica di Pearl durante l’ultimo periodo di addestramento e Pearl trova rassicurante la sua presenza.

    Lily sta insistendo che la sua protetta indossi biancheria di lana, ignorando le obiezioni di Pearl sulla canotta invernale. «Stanotte devi metterla, tesorino», dice Lily. «Dicono tutti che fa un freddo cane nel velivolo – tutti quelli che ritornano».

    Pearl, obbediente, si infila la canottiera. Nancy ispeziona l’etichetta della camicetta color crema per assicurarsi che sia autentica e la porge a Pearl. Poi viene un bel pullover di lana d’agnello e un completo di tweed: gli abiti borghesi di Pearl devono adattarsi alla sua identità di copertura, ovvero Geneviève Touzalin, nata a Parigi il 24 giugno 1913, segretaria della Société Allumettière Française, un’azienda francese che produce fiammiferi. La sezione F fa in modo che le identità di copertura non siano troppo diverse dalle reali esperienze di vita di un agente, così che siano più facili da memorizzare, e Pearl è nata il 24 giugno 1914, oltre a essere una stenografa e dattilografa provetta. Pearl deve calarsi nella parte, dimenticarsi di essere inglese, ricordarsi solo della vita precedente in Francia. Il sarto del

    SOE

    , un rifugiato ebreo che sa come confezionare abiti alla moda continentale, le ha preparato due completi di tweed – uno marron, un color castagna intenso, l’altro grigio – che le è stato detto di portare per qualche giorno, così che non destino sospetti sembrando troppo nuovi.

    Stanotte Pearl indosserà il completo marrone, per una ragione particolare. Nancy controlla le tasche per esser sicura non vi siano rimasti biglietti dell’autobus o del cinema. Dita scorrono su vecchi cartellini della lavanderia e li strappano, o scovano un fazzoletto ricamato o una bottiglietta di acqua di lavanda che potrebbero tradire l’origine inglese. Pearl ha sentito di una recente missione fallita perché un agente è stato mandato in campo con un paio di guanti che avevano la dicitura Made in England cucita all’interno di un dito. Ha già sacrificato il suo rossetto rosa di Yardley preferito, dandolo alla sorella minore, Mimi, anche lei nella

    WAAF

    (Women’s Auxiliary Air Force) e che probabilmente lo metterà al prossimo ballo nella Mildenhall della

    RAF

    .

    Nancy sta porgendo a Pearl un rossetto Lancôme, portato dalla Francia da uno dei piloti. Si chiama Le Rouge Baiser ed è rosso brillante: voluttuoso, seducente.

    «Oh, non posso, Nancy», fa Pearl. «Lo sai che mi trucco pochissimo».

    Nancy, una scozzese nata in America, è una ragazza sofisticata non immune alle ultime tendenze del make-up, che attira l’attenzione negli uffici della sezione francese quando indossa il kilt con la giacca della tenuta da combattimento del

    FANY

    . Sorride: «Avanti, Pearl. Provalo».

    Pearl si stende con cautela il rossetto sulle labbra e Nancy le tampona con un fazzoletto. «Ecco».

    Pearl sorride nello specchio. Si sono occupati persino dei suoi denti: la meticolosa preparazione della sezione F l’ha fatta visitare da un dentista francese, che ha estratto le otturazioni messe a Londra e le ha sostituite con oro.

    Pearl si acciglia. «Non mi piace. Sembro una putain». Si toglie il rossetto con gesti bruschi. «Tienilo tu, Nancy. Dammi la gonna».

    La gonna di tweed scivola agevolmente lungo la sua snella figura atletica. Pearl è alta, ha gambe lunghe e schiena dritta. I lunghi capelli biondi non ricadono più morbidi sulle spalle, ma sono stati intrecciati e fissati sul capo con delle forcine, pronti per calcarci sopra l’elmetto di volo. I luminosi occhi azzurri sono quel che più attira lo sguardo in un viso ovale e fresco che, seppure non di una bellezza classica, è attraente e vivace. Gli uomini la trovano très jolie, très sympathique, con quel sorriso pronto e la sensibilità che dimostra verso gli altri – ma ci sono momenti in cui i grandi occhi azzurri di Pearl possono diventare grigi e minacciosi come l’Atlantico in inverno. Rapidamente ascesa al grado di assistente personale, mostra nella postura delle spalle che mal sopporta gli sciocchi. Per dodici anni è stata seduta dietro una macchina da scrivere, prima a Parigi, dove è nata e cresciuta, e più di recente al ministero dell’Aria a Londra. È stanca di maneggiare fogli di carta. E in questo momento non è neppure dell’umore giusto per tollerare ritardi. Ha atteso per tutta l’estate di fare la sua parte, mentre la marea della guerra cambiava e gli Alleati invadevano la Sicilia, e ha fame di azione.

    «Operazione Lottatore», è scritto sulle istruzioni per la sua missione. «Nome di battesimo sul campo:

    MARIE

    . Ti recherai in Francia per lavorare come corriere di un organizzatore, Hector, che controlla il circuito delle regioni di Tarbes, Châteauroux e Bergerac».

    Pearl lancia un’ultima occhiata al riflesso nello specchio, raddrizza le cuciture delle calze di filo di Scozia beige e fa il doppio nodo ai lacci delle scarpe da passeggio marrone. È di nuovo ora del suo ultimo pasto in Inghilterra.

    Nella sala da pranzo della villa, rivestita di pannelli di legno, siede al tavolo di mogano per consumare quella che le viene presentata come una colazione anticipata. Sono le 23:00. Uccelli impagliati la guardano dall’alto delle vetrinette. Le servono un uovo fritto; una prelibatezza in tempo di guerra, dal momento che il razionamento ne prevede solo uno a settimana per ciascuno. Malgrado non abbia fame, spazzola il toast con marmellata di Oxford e beve fino all’ultima goccia il tè nella tazza di porcellana fine, prima di alzarsi.

    «Pearl», chiama Nancy, «l’autista aspetta».

    È quasi mezzanotte quando una Chrysler anonima con i finestrini oscurati, guidata da una giovane volontaria del

    FANY

    , conduce Pearl ai cancelli di Tempsford. Compare una sentinella, i cancelli si aprono senza rumore e l’auto procede verso la rimessa della Gibraltar Farm.

    Sul sedile posteriore, Pearl scosta la tendina e sbircia fuori. Riesce a malapena a vedere la luna – stralci di nubi passano impetuose davanti al volto dell’astro. La pioggia schizza sul parabrezza. Gli alberi si piegano al vento.

    «Che tempo schifoso», commenta Nancy, dubbiosa.

    Pearl si morde le labbra, ma non lascia trasparire alcun segno di nervosismo. Ha imparato da tempo a mantenere un’espressione impenetrabile, in ogni circostanza.

    Il personale di terra è radunato attorno al bombardiere, fermo sulla piazzola come una falena nera, in attesa di prendere il volo. La Chrysler oltrepassa la pista su cui è parcheggiato l’Halifax e risale verso Gibraltar Farm. La bionda autista apre la portiera e Pearl esce nella notte fredda, poi si affretta a entrare nell’aria viziata della rimessa, satura di fumo di sigarette.

    Il dispatcher del suo Halifax, Horton, mostra i due pollici alzati: il lancio si farà, malgrado la notte di tempesta, giacché i piloti a volte devono tentare la fortuna. Horton spegne la sigaretta e ne accende una per Pearl. Tra un istante le benderà le caviglie e l’aiuterà a indossare la tuta e il paracadute.

    Nancy, nel ruolo di ufficiale d’accompagnamento, le sta porgendo due buste. «Questa è per te e questa per Hector. Assicurati che la riceva».

    «Grazie, Nancy».

    «Carta d’identità, tessera annonaria?»

    «Ho tutto».

    «Ottimo lavoro, Marie». Nancy usa il nome in codice di Pearl – è essenziale che l’equipaggio rimanga all’oscuro della sua vera identità, nel caso vengano catturati e parlino sotto interrogatorio – mentre fruga nella valigetta di cuoio. «Vera ha detto che puoi anche prendere un’altra quarantina di Gauloises. Ne abbiamo a iosa».

    Pearl apre con un piccolo scatto la valigia di tela economica e aggiunge i pacchetti di sigarette, una scatola di fiammiferi e due barrette di Chocolat Ménier. Il cioccolato è stato prodotto in Inghilterra e impregnato di aglio per renderlo autenticamente francese, con la stessa cura dedicata alla carta d’identità e agli altri documenti.

    «Prendi anche questa foto dei tuoi genitori. Può tornare utile».

    Pearl prende la foto sfocata di una coppia di francesi di mezza età in abiti formali. «Sei fantastica, Nancy».

    «Ora, le tue pillole. Ecco qua». Le pillole di cianuro si trovano dentro una scatoletta per medicinali sul tavolo, e Pearl le prende.

    «Mordile forte prima di ingoiare, Marie», dice un ufficiale della

    RAF

    in tono casuale, mentre guarda le previsioni meteo.

    «Se le portano dietro quasi tutti, Marie», commenta Nancy. «Ti danno la possibilità di scegliere».

    Le pillole letali sono una via d’uscita standard per tutti gli agenti che vanno sul campo, perché permettono di suicidarsi al momento dell’arresto invece di affrontare la tortura tra le grinfie della Gestapo. La regola del

    SOE

    è che gli agenti restino in silenzio per le prime quarantotto ore dopo la cattura, così da dare ai loro contatti il tempo di fuggire. Pearl ha sentito dire che alcuni agenti inglesi si sono fatti fabbricare degli anelli d’oro con sigillo dotati di un comparto segreto per il cianuro, mentre all’aerodromo di Tangmere nel Sussex la moglie di uno degli ufficiali di scorta era ben disposta a cucire le pillole nei polsini degli agenti che trascorrevano la notte da loro prima di scendere in campo.

    «Sai che a Vera non piacciono granché».

    «Lascia stare Vera». Per un istante, Nancy preferirebbe che lì al posto suo, a vedere Pearl partire, ci fosse proprio Vera, il cervello dietro Buckmaster della sezione F.

    Nancy, una delle gentildonne intelligenti tanto indispensabili al

    SOE

    , è particolarmente preoccupata della sicurezza dell’amica nel settembre del 1943. È abbastanza vicina a Buckmaster e Vera da sapere che la sezione francese sta attraversando una crisi che proprio in quel momento sta affrontando una catastrofe. Per tutta l’estate, la telescrivente ha portato brutte notizie nella Stanza 52, il centro delle comunicazioni del

    SOE

    , dove Buckmaster e Vera passano lunghe ore a decifrare i messaggi degli agenti. Nancy non conosce i particolari, ma ha sentito girare la voce dell’arresto in giugno di un agente chiave, il maggiore Francis Suttill, nome in codice Prosper, da parte della Gestapo. Buckmaster si era preoccupato abbastanza da mandare il suo delegato, il maggiore Nicholas Bodington, a investigare a Parigi, a metà luglio. Prosper era forse brûlé, e con lui il suo radiofonista Gilbert Norman, nome in codice Archambaud, e anche il suo corriere Andrée Borrel? Se tutti e tre sono bruciati e rinchiusi nelle celle del quartier generale della Gestapo a Parigi, non significa che Pearl è in pericolo mortale?

    L’impero di Prosper si estende su più di dodici départements e trentatré zone di atterraggio, e di recente ha battuto tutti i record per lancio di armi ed esplosivi, ricevendo centonovanta carichi in appena nove giorni. Buckmaster dice che Prosper è il suo «moschettone di sicurezza». Se i tedeschi sono penetrati nell’ampio e ramificato circuito di Prosper, ne risulteranno arresti in massa.

    Nancy sa che l’aspettativa di vita di un agente speciale nel 1943 è breve, quella di un radiofonista era di appena sei settimane durante i primi tempi di attività del

    SOE

    . Quando Pearl si è arruolata come volontaria, Vera l’ha avvertita che solo il cinquanta percento degli agenti torna indietro.

    Pearl conosce i rischi e li accetta. Scuote la testa verso Nancy, restituendole la scatola di pillole. «No, grazie, Nancy. Preferisco di no».

    Mentre si accende una sigaretta, riflette sul fatto di non riuscire a immaginare di porre fine alla propria vita volontariamente, in nessuna circostanza. Non dopo aver lottato così tanto per tornare alla sua amata Francia.

    Pearl aveva fatto il possibile per essere ammessa come corriere di Hector – in realtà, il suo vecchio compagno di scuola Maurice Southgate – con il quale era cresciuta a Parigi. Non era stato facile. C’era voluta tutta la sua determinazione per superare l’opposizione di Buckmaster e convincerlo a richiamare il corriere attuale, Jacqueline Nearne, un’agente eccezionale sopravvissuta sul campo per un anno, e mandare Pearl al suo posto. Jacqueline si era infuriata con lei, e non a torto.

    «Ci è stata dentro per un anno intero», aveva insistito Pearl con Buckmaster. «Penso che dovresti richiamarla in Inghilterra».

    «Ma Jacqueline sta facendo un ottimo lavoro», aveva protestato Buckmaster.

    «Un anno è troppo tempo, le serve una licenza… E tu sai che desidero moltissimo diventare il corriere di Maurice».

    Buckmaster era rimasto in silenzio per un po’. «Non lo so… Jacqueline non accetterà». Aveva guardato Pearl, che non dava segni di voler lasciare il suo ufficio, e sospirato: «Oh, d’accordo allora. La richiamerò».

    «Non me l’ha mai perdonata», osserverà Pearl tempo dopo. «Mi hai fregato il lavoro», aveva sibilato Jacqueline, quando infine si erano incontrate sul campo. «Non le ho fregato il lavoro, da quel che mi risulta», protestava Pearl con chiunque volesse starla a sentire. «Comunque, non sono mai riuscita a capire cosa facesse».

    Era una risposta poco sincera. Pearl sapeva benissimo perché voleva il lavoro di Jacqueline, riguardava un segreto che rivelava a pochissimi.

    «Molto intelligente, schietta, coraggiosa… con attitudine al comando». Come scritto nel suo fascicolo, Pearl era una fervente patriota. Amava due Paesi e bramava prendere parte alla lotta contro i tedeschi; ma c’era anche un’altra ragione, più personale, per la furia ardente che si impadroniva di lei quando pensava agli invasori stranieri, una furia che la spingeva a superare qualsiasi ostacolo. L’esercito tedesco l’aveva separata dall’uomo che amava da quando aveva diciannove anni: il suo fidanzato, Henri Cornioley, un profumiere parigino occupato nella fiorente attività cosmetica di famiglia. La guerra aveva diviso la coppia. Pearl sapeva che Henri, arruolatosi nell’esercito francese nel 1939, era stato fatto prigioniero dai tedeschi durante l’invasione della Francia nel 1940, ed erano tre anni e mezzo che non lo vedeva.

    Pearl freme. Possibile che Henri sia riuscito a scappare? Che il suo amore l’aspetti nella zona d’atterraggio? Forse cadrà dritta nelle braccia dell’alto francese moro, come è successo a un’altra agente del

    SOE

    , Odette, caduta tra le braccia del suo innamorato, Peter Churchill.

    «Marie!».

    Pearl si risveglia dal sogno a occhi aperti. Nancy le sta porgendo una sottile scatoletta bianca. «Il colonnello Buckmaster e Vera vorrebbero che tu avessi questo. Un regalo della sezione F, con i migliori auguri. A Vera dispiaceva di non poterti scortare stanotte, ma doveva andare a Tangmere».

    Pearl apre la scatola ed estrae il portacipria d’oro. È un accessorio di bellezza, lucente e francese, ed è il regalo più prezioso che abbia mai ricevuto. Lo volta e legge l’iscrizione sul retro: Fabriqué en France.

    «Non posso accettarlo», protesta.

    «Puoi sempre impegnarlo». Nancy fa un sorrisetto e dà un’occhiata all’orologio. «Bene, dovremmo metterci in marcia».

    Ha osservato Pearl mentre fuma. La mano è ferma. Nessuna sigaretta tremula, come quella che Vera ha visto tra le dita tremanti di un’altra agente, Noor Inayat Khan, a Tangmere. O forse era Cicely, o Diana? Nancy non ricorda bene.

    «Tutto pronto allora? Hai la tua pistola?».

    La mano di Pearl si posa sulla Colt .32 nella fondina e annuisce, decisa.

    La ragazza ha spina dorsale. Forse sopravvivrà. Nancy soffoca un sospiro e stringe la mano di Pearl. «Buona fortuna, Marie».

    Il sergente della squadriglia Cole dello squadrone 138 avviò i motori e rullò lungo la pista. Mentre accelerava, ci fu un cambiamento minaccioso nel ruggito delle ventole e il velivolo sbandò da una parte.

    «Che succede?», esclamò Pearl.

    «Tranquilla, tesoro», gridò Horton, il dispatcher.

    Il carrello del bombardiere aveva virato fuori dalla pista, realizzata su uno dei prati della fattoria e molto stretta. Il pilota tornò al punto di partenza per il decollo e il secondo tentativo riuscì.

    Poco dopo, scoppiò una tempesta e furono costretti ad atterrare a Ford, un aerodromo della marina vicino Tangmere. Pearl arrivò alla base all’una del mattino, una giovane donna graziosa in abiti civili, e la sua presenza attrasse sguardi curiosi. Spacciandosi per una giornalista a caccia di una storia, attraversava la mensa quando incontrò un ufficiale alto con l’uniforme della

    RAF

    che le si rivolse in francese. Era il caposquadriglia Philippe Livry-Level, il leggendario aviatore francese che, dopo aver prestato servizio in un reggimento di artiglieria durante la prima guerra mondiale, aveva mentito sull’età per coronare il proprio sogno di prestare servizio attivo in aria. Più vicino ai cinquanta che ai quaranta, era comunque stato accettato dallo squadrone 161 come navigatore, scambiando l’uniforme blu scuro del movimento Francia Libera con quella azzurra della

    RAF

    . L’aviatore aveva subito indovinato la vera missione di Pearl e le prestò la propria camera per riposare. Faceva un freddo cane – Froid de canard, disse Pearl – ma era contenta di avere un po’ di privacy.

    La notte successiva, 22 settembre, l’ultimissima notte della luna settembrina, decollarono di nuovo, malgrado le nuvole coprissero quasi interamente il cielo e il chiarore lunare fosse molto flebile. Il sergente della squadriglia Cole era deciso a portare la sua Joe a destinazione e far sì che la terza volta fosse quella buona. Di nuovo nella fusoliera cavernosa dell’aereo, Pearl si sentiva un pollo legato e pronto per essere arrostito, tanto Horton le aveva stretto le cinghie del paracadute sulla tuta mimetica. Di nuovo perse la sensibilità ai piedi nel freddo pungente. Horton spinse un sacco a pelo verso di lei, gridando che le panche su cui di solito sedeva l’equipaggio di sette uomini erano state rimosse per fare spazio alle taniche di carburante necessarie per il lungo viaggio. Il rombo dei motori era più assordante che mai.

    Dietro di lei, dei piccioni viaggiatori dormivano in scatole di cartone complete di miniparacadute. Come Pearl, anche gli uccelli avevano del lavoro da fare: consegnare messaggi all’

    MI

    6, i servizi segreti.

    Il pilota volava alto sopra le nubi, seguendo una rotta tortuosa per raggirare il nemico. Il primo obiettivo era Detective Uno, 30 km a sud-est di Tours, dove dovevano lanciare dei volantini di propaganda. All’improvviso, il velivolo incappò nel fuoco della contraerea tedesca e a Pearl sembrò di venire sbalzata fuori.

    «Che sta succedendo?», domandò. «Sparano a noi?»

    «Tranquilla», disse Horton. «È sempre così».

    Il fuoco delle batterie crepitava tutto attorno a loro e il bombardiere salì ruggendo, fuori portata. Horton allineò le scatole cilindriche dei piccioni accanto al portello d’uscita sul retro della fusoliera e fece un sorrisetto a Pearl, urlando: «Immagino che se li mangeranno prima che riescano a tornare nella cara vecchia Inghilterra».

    Mentre spingeva fuori i pacchi e i piccioni si allontanavano in spirali verso il basso, il rumore dei motori conciliò il sonno di Pearl. Al pallido riflesso della luna, Cole sorvolò la Loira, passò Blois, dove un’isola in mezzo al fiume serviva come punto di riferimento ai piloti delle squadre Luna, oltrepassò il nastro argentato della sorella minore della Loira, la Loir, e poi il Cher, prima di scendere rapidamente oltre le nuvole verso il secondo obiettivo, Lottatore/Cartolaio 12, 17 km a sud-sud-ovest di Châteauroux nel département dell’Indre.

    Horton svegliò Pearl quando furono sopra il circuito di Hector Cartolaio, sempre più vicini alla zona di lancio appena fuori la cittadina di Tendu. Erano quasi le due del mattino. Horton agganciò il paracadute di Pearl alla fune statica attaccata a un cavo fisso sulla fusoliera di dietro e le batté un colpetto sulla spalla. A duemila metri aprì il portellone. Pearl attese. «In posizione!». Il cuore batteva forte. Questa volta era vero. La luce rossa lampeggiò. Aveva sentito storie di agenti che si erano rotti il naso sul bordo del portello d’uscita, o le gambe o la schiena oppure erano caduti in mezzo agli alberi, o persino sul tetto di una gendarmerie.

    Sotto di lei, luci come punte di spillo davano segnali in alfabeto Morse. Alberi e edifici indistinti si avvicinavano rischiarati dalla luna, e sentiva l’odore della Francia, un odore campestre di animali e fertile terra umida. Le terroir. La terra. Pensò a Henri, a baci rubati, a promesse sussurrate. Era di nuovo a casa nel Paese in cui era nata, l’unico Paese che fosse mai stato casa sua.

    La luce divenne verde. Il dispatcher sollevò la mano. «Vai!».

    Pearl balzò nell’oscurità. Le funi statiche dettero uno strattone al paracadute, le imbragature si staccarono dalla ruota di coda e, mentre la calotta si gonfiava d’aria, folate di vento trascinarono la sua sagoma leggera nella notte.

    1 H. Verity, We Landed by Moonlight: Secret RAF Landings in France 1940-1944, Crécy Publishing Ltd, Manchester 1998, p. 125.

    2 B. Sweet-Escott, Baker Street Irregular, Methuen, London 1965.

    3 M. Howard (sir), Strategic Deception in World War II,

    HMSO

    , London 1990, pp. 57-58.

    4 Intervista con il figlio di Nancy Fraser-Campbell, a cura di T. Roberts, settembre 2012.

    5 Intervista a P. Witherington n. 16, a cura di A. Dubois, novembre 2006.

    6 Ibid.

    7 Valutazione di Cécile Pearl Witherington durante l’addestramento, 17 luglio 1943, fascicolo di P. Witherington.

    8 P. Cornioley, in H. Larroque (a cura di), Pauline: parachutée en 1943. La vie d’une agent du SOE, Editions Par exemple, 1995, p. 10.

    9 Dal rapporto di missione del sergente Cole, 22/23 settembre 1943. Raccolto da B. Body sul sito www.tempsford-squadrons.info.

    2

    L’ora più buia

    Era l’11 giugno 1940. La ventiseienne Cécile Pearl Witherington, assistente personale dell’attaché delle forze aeree di Sua Maestà, Douglas Colyer, presso l’ambasciata britannica di Parigi, fissava lo sguardo incredulo sui grandi cancelli della Residenza in rue du Faubourg-Saint-Honoré. Erano sprangati. Le finestre del grandioso edificio erano chiuse, l’asta della bandiera spoglia: niente Union Jack a sventolare nella brezza.

    Pearl premette una mano dalle unghie ben curate contro il cancelletto sulla destra, attraverso cui di solito entrava nell’edificio, ma nessuno rispose al citofono.

    Un passante la osservava, lanciando occhiate all’asta vuota. «Les Anglais?»¹⁰, gridò. «Les Anglais ont foutu le camp!». Gli inglesi se la sono data a gambe.

    Un altro uomo alzò le spalle. «Non appena sentono parlare di guerra, si cagano addosso».

    Voltandosi, Pearl attraversò di corsa la strada e imboccò rue d’Aguesseau, dove si trovava il moderno complesso di uffici in cui lavoravano lei e le altre segretarie impiegate nella sezione Difesa della Cancelleria. L’ufficio del generale di brigata aerea Colyer era chiuso a chiave. Le macchine da scrivere mute. Dov’erano finiti tutti? Duggie, il suo capo, sir Ronald, l’ambasciatore? Appena undici giorni prima, il 31 maggio, gli chef avevano preparato il sontuoso banchetto con cui il primo ministro Winston Churchill e il ministro degli Esteri lord Halifax avevano intrattenuto il premier francese, Paul Reynaud, a cena. Nei loro uffici, le segretarie avevano discusso se quell’estremo tentativo di convincere i francesi a non abbandonare la guerra sarebbe riuscito; il giorno dopo, era giunta la notizia che il personale del Quai d’Orsay stava bruciando documenti confidenziali in giardino. I nazisti erano alle porte di Parigi.

    Pearl sbatté le palpebre. Era accaduto l’impensabile. L’ambasciatore, sir Ronald Campbell, e il suo entourage erano scomparsi nella notte del 10 giugno, sulla scia del governo francese che si ritirava a Tours.

    Girando sui tacchi, Pearl lasciò l’edificio e lentamente ripercorse i propri passi verso l’Église de la Madeleine e rue Vignon, il vicoletto subito dietro la chiesa in cui abitava, al numero 34, in un appartamento sopra un antiquaire, con la madre vedova, Gertrude, e le due sorelle minori: Jacqueline, che loro chiamavano Doudou, e Hélène, conosciuta come Mimi. Suzanne, la sorella più vicina d’età a Pearl, si era sposata e trasferita in Inghilterra nel 1939.

    Alta, vestita alla moda con un tailleur confezionato da un sarto per signora parigino, Pearl si presentava proprio per quello che era – non una semplice dactylo, steno-dattilografa, ma una segretaria personale professionista, che avanzava sicura di sé. Tuttavia, questa volta esitò, allarmata, quando arrivò in rue Royale. Una folla oceanica sgorgava dai grands boulevards verso i ponti sulla Senna e sembrava accrescersi a ogni secondo, a ondate; i ricchi in automobile, i poveri su carretti o a piedi, un flusso ininterrotto verso sud, in fuga dall’avanzata dell’esercito tedesco.

    Mentre si faceva largo a fatica nella marea umana, la mente di Pearl era ancora tramortita dallo shock per quella sconfitta così improvvisa e la velocità con cui era collassato il suo Paese adottivo. La gente fuggiva dalla capitale, ma lei e le sue sorelle non avevano parenti francesi con cui stare, nessuna famiglia a sud da cui ottenere rifugio, perché, malgrado il francese impeccabile e lo chignon ordinato, malgrado la nascita e l’infanzia trascorsa a Parigi, Pearl era inglese. La sua unica risorsa nella catastrofica estate del 1940 era la sua carte d’identité da diplomatica e la sua forza di volontà; la sua unica possibilità di sfuggire ai tedeschi era seguire l’ambasciatore e, in qualche modo, attraversare la Manica verso l’Inghilterra.

    Come la maggior parte dei parigini, Pearl non aveva avuto sentore della catastrofe imminente. La notizia che era stata aperta una breccia nella Linea Maginot, la barriera che doveva proteggere la Repubblica francese dall’aggressione nazista, aveva raggiunto la capitale solo il 16 maggio. Il suo primo pensiero era stato per Henri, con il quale si era fidanzata in segreto.

    Henri Cornioley lavorava, in modo piuttosto saltuario, al raffinato Institut de Beauté di famiglia, che si trovava anch’esso in rue Faubourg-Saint-Honoré, dove lui e la sua famiglia vivevano in grande stile e agiatezza. Era il figlio maggiore, con la prospettiva di ereditare un’attività rigogliosa. L’Institut era stato fondato da sua nonna, che si era trasferita dalla Svizzera con il figlio quattordicenne, il padre di Henri. Dopo la morte del marito, Madame Cornioley aveva avviato l’attività cosmetica da sola, mescolando gli ingredienti per le creme per il viso nel suo stesso appartamento. Quando Henri fu cresciuto, il duro lavoro aveva ormai dato i suoi frutti: l’intera famiglia lavorava in quell’attività, esclusa la madre di Henri – che era ungherese – offrendo acconciature e trattamenti di bellezza. Nel salone c’erano cubicoli per shampoo e piega e trattamenti facciali, e sul retro, o nel laboratorio, come veniva chiamato, Henri sperimentava i profumi. L’appartamento era tutto un brusio di energia immigrata.

    Nel settembre del 1939, Henri stava aiutando il padre nella creazione di una nuova fragranza quando era giunta la chiamata alla leva. Aveva lasciato Parigi con rassegnato buonumore e si era unito alla 19e Train Hippomobile, una compagnia per il trasporto tramite carri a trazione animale, di stazione vicino Sedan sulla Mosa. Passò l’autunno giocando a pelota. Poi l’inverno scese sulle Ardenne.

    «Trascorrevamo il tempo seppellendo i cavalli, che morivano come mosche… ma io non ho dovuto scavare tombe nel terreno ghiacciato», dirà Henri. «Avevo una posizione privilegiata. Ero all’artiglieria

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