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Dalle parole allo schermo: La fiction d'indagine in Italia
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E-book196 pagine2 ore

Dalle parole allo schermo: La fiction d'indagine in Italia

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Questo interessante saggio di Massimo Carloni sulla fiction televisiva d’indagine in Italia, dagli albori, ai primi anni Settanta, a oggi, con un’attenzione particolare al lavoro di due sceneggiatori, Massimo Felisatti e Fabio Pittorru e del successo della loro serie televisiva “Qui Squadra Mobile”, costituisce il primo ampio studio su un fenomeno che oggi sta godendo il suo momento di maggior popolarità, sicuramente anche perché favorito dalla pandemia di Covid 19 che costringe il pubblico a stare molte ore chiuso in casa. L’attenzione alla fiction, in particolare italiana, accompagna quella al giallo italiano, che nel corso degli anni è cresciuto, non solo sul piccolo schermo e nel cinema ma anche nella narrativa di genere, spesso ispiratrice delle stesse serie (si pensi a “Romanzo criminale” di Giancarlo De Cataldo o a “I delitti del BarLume”, tratto dai gialli di Marco Malvaldi). Lo studio non trascura neppure i fumetti che, sempre negli anni Settanta, con la nascita di Diabolik, Kriminal e Satanik finirà per surclassare i prodotti d’oltreoceano. Insomma, con questo "La fiction d’indagine in Italia” Massimo Carloni, già autore di altre opere sulla storia del giallo, offre al pubblico italiano un’occasione unica per capire un fenomeno che, da opera d’intrattenimento ha finito, inevitabilmente, per condizionare la nostra vita.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2023
ISBN9791280649379
Dalle parole allo schermo: La fiction d'indagine in Italia

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    Anteprima del libro

    Dalle parole allo schermo - Massimo Carloni

    COVER_dalle-parole-allo-schermo.jpg

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2023 Gammarò edizioni

    Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)

    www.librioltre.it

    ISBN 979-12-80649-37-9

    isbn_9791280649379.jpg

    Titolo originale dell’opera:

    Dalle parole allo schermo

    La fiction d'indagine in Italia

    di Massimo Carloni

    Collana * Le bitte *

    ISBN formato cartaceo: 978-88-99415-99-0

    INTRODUZIONE

    L’entrata nel mercato televisivo italiano di Sky prima – nel 2003 – e di Netflix poi – nel 2015 – ha mutato in profondità il rapporto tra i diversa media che tradizionalmente avevano animato il panorama della fiction prodotta nel nostro paese.

    Si è passati così a sperimentare anche in Italia modalità di produzione e di fruizione ormai comuni nel mondo anglosassone e in special modo statunitense, ma del tutto inedite per il nostro mercato: ci riferiamo, soprattutto, alle due serie tv Romanzo criminale (targata Sky, mentre il suo naturale spin-off, Suburra, è andato in onda su Netflix) e Gomorra (anch’essa trasmessa da Sky).

    Com’è noto Romanzo criminale nasce come romanzo a firma del giudice-scrittore Giancarlo De Cataldo: egli, rielaborando l’immenso materiale processuale riguardante la famigerata Banda della Magliana che aveva esaminato dal punto di vista professionale, crea un universo narrativo che raggiunge un pubblico amplissimo, ben più variegato di quello che aveva potuto a suo tempo informarsi solo grazie a quotidiani, newsmagazine e saggi specifici di giornalisti e/o giuristi.

    Nel 2005 Michele Placido, in veste di regista, viene chiamato a farne una versione cinematografica, proposta con lo stesso titolo e raggiunta dal medesimo successo; e, a questo punto, si inserisce Sky che decide di costruire una terza puntata di questo universo narrativo con Romanzo criminale. La serie, per la regia di Stefano Sollima, che non solo vede cimentarsi nei vari ruoli dei protagonisti attori diversi da quelli cinematografici, ma anche storie del tutto nuove che arricchiscono il profilo dei singoli antieroi.

    La – relativamente – breve durata dell’esperienza tv si arricchisce di un interessante spin-off: lo stesso De Cataldo dà alle stampe nel 2011, questa volta assieme al giornalista Carlo Bonini, un altro romanzo, Suburra, in cui uno dei protagonisti, anche se con nome diverso, appariva – nella classica logica dello spin-off, appunto – in posizione defilata nelle tre incarnazioni di Romanzo criminale.

    Anche qui si passa prima a una versione cinematografica, Suburra, il cui regista Stefano Sollima, non a caso è lo stesso del Romanzo criminale di Sky; poi a quella tv, nel 2017, Suburra. La serie, stavolta su piattaforma Netflix, che si qualifica anche come prequel del romanzo e del film, in quanto i due protagonisti erano precedentemente defunti.

    Anche con Gomorra si transita dalla cronaca nera alla nonfiction del libro Gomorra del 2006 (rielaborazione di fatti realmente accaduti a cura questa volta di un giornalista, Roberto Saviano) per poi passare all’omonimo film di Matteo Garrone, a Gomorra. La serie tv di Sky in quattro stagioni e di nuovo al cinema con una sorta di prequel parallelo alla serie, il recentissimo, appena del 2019, L’Immortale; e così

    [… il] libro di Saviano […], una volta divenuto un successo nazionale e internazionale, diviene anche il primo anello della creazione di un transmedia storytelling, per quanto, come vedremo, sui generis, e il centro della creazione di un franchise.¹

    Anche se non è questo il luogo per analizzare in profondità il fenomeno della convergenza di diversi media attorno a un nucleo narrativo, occorrerà però spendere qualche parola sulla riflessione teorica attorno a questi fenomeni culturali; non foss’altro per sottolineare la profonda intuizione che ha caratterizzato l’opera professionale di Massimo Felisatti e Fabio Pittorru oggetto della nostra indagine.

    Recentemente Henry Jenkins ha contribuito alla definizione teorica di queste pratiche narrative e produttive, appena sbarcate, come s’è visto, anche nel nostro paese, definendo il perimetro del transmedia storytelling:

    Insieme di storie che si dispiegano su più piattaforme mediatiche e per le quali ciascun medium coinvolto dà il suo contributo specifico alla nostra comprensione del mondo narrato, così come un approccio più integrale allo sviluppo del franchise rispetto ai modelli basati sui testi originali e sui prodotti ausiliari.²

    Ma, come osserva opportunamente Erica Negri:

    Benché sia in circolazione da oltre dieci anni, il concetto di transmedia storytelling si trova ancora in una zona grigia, in quanto non esiste una definizione ufficiale e univoca che operi una chiara definizione morfologica del concetto e che lo disambigui rispetto ad altri concetti simili, e spesso sovrapposti, come crossmedia, multi-platform e multi-media, tra gli altri.³

    Ed è la stessa studiosa che, in riferimento all’universo narrativo creato da George R. R. Martin con la sua serie letteraria Game of Thrones, che ha avuto la versione tv e svariate ricadute su altre piattaforme, distingue:

    Tuttavia queste emanazioni crossmediali sono puramente derivative dal contenuto centrale, ossia non aggiungono nulla al mondo narrativo creato da George R. R. Martin e reinterpretato da Benioff e Weiss (n.d.r.: gli autori dell’adattamento tv). Tutte le informazioni contenute nelle estensioni create fino a questo momento sono già presenti nella serie di romanzi e/o nella serie televisiva. Ciò che distingue questo tipo di property crossmediale dalle forme di narrazione transmediale è l’assenza di legami di tipo narrativo o diegetico fra la macrostoria e le estensioni. I contenuti derivati, infatti, sebbene arricchiscano l’esperienza fruitiva dello spettatore, non intaccano il contenuto centrale, ovvero non espandono la storia e non aggiungono informazioni originali. Un’ulteriore differenza consiste nel fatto che la composizione multi – testuale e multi-piattaforma tipica delle property crossmediali, a differenza delle narrazioni transmediali, non trascende la somma dei singoli elementi, che si configurano pertanto come puramente derivativi e ancillari.

    Non tutti sono però d’accordo con questa impostazione e preferiscono proporre un diverso approccio, mutuando alcune categorie dalla biologia:

    […] la proposta […] è [di] spostare l’attenzione dalla dimensione narrativa tradizionale, che cerca di mappare i percorsi dei personaggi e le linee narrative che li riguardano in una prospettiva relativamente statica, a un approccio che si ispiri al modo in cui le discipline biologiche prendono in considerazione le evoluzioni degli ecosistemi, collocandoli dunque sul piano temporale oltre che spaziale. In questo senso, si parlerà […] non solo di narrazioni estese, ma anche di ecosistemi narrativi, ovvero quelle specifiche forme che si adeguano con maggiore efficacia alle rivoluzioni intercorse nel sistema mediale degli ultimi vent’anni.

    È chiaro che questo orizzonte è tipico degli ultimi anni e, come già ribadito, appena agli albori in Italia; ma è significativo che la nozione di transmedialità sia stata interpretata anche nei termini che più ci interessano per il lavoro di analisi che abbiamo compiuto su un testo dei tardi anni Ottanta:

    […] il concetto stesso di transmedialità può riferirsi a pratiche in atto già da lunghissimo tempo. Sia Roberta Pearson che David Bordwell, analizzando i confini e la storia della narrazione transmediale, ipotizzano ad esempio che i racconti biblici possano essere intesi in questi termini, trattandosi di una rappresentazione intertestuale e inter-mediale ad amplissimo raggio, in cui la parola scritta, il racconto orale, l’arte visiva, la rappresentazione e il ritualismo sono sinergicamente utilizzate per comporre un’esperienza profondamente immersiva e diffusa per il fruitore. In base a questa lettura, ne deriverebbe che numerosi miti e leggende, da Re Artù a Robin Hood, fino ad arrivare ai racconti sui moderni eroi come James Bond e Batman, sono anch’essi transmediali in quanto la storia originaria si è arricchita col passare del tempo attraverso la riappropriazione e l’espansione dell’universo narrativo di riferimento su altri mezzi e attraverso altre forme testuali: romanzi, film, dipinti, rappresentazioni, oralità, e molto altro.

    Per noi è questo – mutatis omnibus mutandis – l’orizzonte in cui si muovono, con intuitiva sintonia ma non con questa elevata consapevolezza teorica, Massimo Felisatti e Fabio Pittorru.

    Nati sostanzialmente come sceneggiatori cinematografici, mettono la loro professionalità al servizio non soltanto della tv, ma anche della pagina scritta creando già negli anni Settanta un primo esempio di transmedialità – nell’accezione allargata di cui sopra – con le gesta della Squadra Mobile romana e dei suoi principali investigatori i quali transitano disinvoltamente dalla tv al romanzo al cinema, arricchendo o impoverendo il proprio spessore narrativo e psicologico, ma adattandosi comunque al singolo medium e alle sue convenzioni.

    Dapprima dunque, nel primo capitolo, abbiamo esaminato il panorama generale della fiction d’indagine in Italia dagli albori ai primi anni Settanta; nel secondo poi abbiamo ricomposto – crediamo per la prima volta in Italia – la multiforme attività autoriale della coppia di sceneggiatori che si sono mossi, con maggiore o minore disinvoltura, sui tre media del cinema, della letteratura e della televisione; naturalmente è stata dedicata maggiore attenzione alla produzione del singolo Felisatti durante e dopo la morte del collega.

    Infine, nel terzo capitolo, abbiamo isolato, come caso di studio, un film, Concerto per pistola solista (1970), a firma di entrambi, da cui è stato parzialmente tratto dalla coppia, sempre in collaborazione, il romanzo La prego di non mancare al delitto di questa sera (1974); l’approdo finale – il cuore della nostra analisi – è stata però una sceneggiatura inedita, … appuntamento con delitto, destinata con tutta probabilità alla tv, a firma del solo Felisatti, che, grazie alla cortesia degli eredi, abbiamo avuto la possibilità di leggere: essa, in maniera esplicita, si ricollega al romanzo, ma non solo non dimentica l’archetipo cinematografico, ma si nutre anche, nella definitiva attualizzazione, della cronaca nera e della contemporanea produzione romanzesca edita dell’autore.

    Naturalmente le conclusioni a cui siamo arrivati debbono ritenersi del tutto provvisorie, visto che il dattiloscritto in questione è solo uno dell’ingente mole di inediti che andrebbero indagati in maniera approfondita, soprattutto in connessione con la precedente e contemporanea produzione edita. Ma, pur nei limiti di professionalità esperite nel solo ambito italiano, tradizionalmente più arretrato – per quanto riguarda la produzione seriale cinematografica e televisiva – rispetto a quello statunitense, Felisatti & Pittorru si ritagliano, con piena dignità, uno spazio autonomo di innovazione nella fiction poliziesca italiana degli anni Settanta, pur scontando le inevitabili forme di censura più o meno mascherata indotta dal sistema produttivo di allora e, non a caso secondo noi, raggiungendo il massimo dell’efficacia narrativa nell’ambito letterario: solo qui, infatti possono dar voce alla loro più genuina ispirazione, senza i lacci dell’impostazione paternalisticamente pedagogica della RAI del tempo e le tentazioni di facili scorciatoie nel venire incontro alle esigenze di generi cinematografici allora assai popolari al botteghino.

    In ogni caso la factory di Felisatti & Pittorru sembra proprio anticipare – all’incirca di un trentennio – quelle dinamiche che abbiamo sommariamente indicato all’inizio di questa Introduzione e che hanno ormai inserito anche l’universo mediale italiano nella pattuglia di avanguardia della produzione contemporanea.

    1 G.

    Benvenuti

    , Il brand Gomorra. Dal romanzo alla serie tv, Bologna, Il Mulino, 2017, p. 55.

    2 H.

    Jenkins

    , Cultura convergente, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2014 (ma il saggio originale, Convergence culture, è del 2006), p. 357.

    3 E.

    Negri

    , La rivoluzione transmediale. Dal testo audiovisivo alla progettazione crossmediale di mondi narrativi, Torino, Lindau, 2015, p. 155.

    4 Ibidem, pp. 196-197.

    5 I. A. De Pascalis, G. Pescatore, Dalle narrazioni estese agli ecosistemi narrativi, in AA. VV. (a cura di G.

    Pescatore

    ), Ecosistemi narrativi. Dal fumetto alle serie tv, Roma, Carocci, 2018, p. 20.

    6 E.

    Negri

    , op. cit., pp. 148-149.

    LA FICTION D’INDAGINE IN ITALIA DALLE ORIGINI AL 1972

    1. 1. Letteratura

    1. 1. 1. La Preistoria (1840 ca. – 1931)

    Secondo Roberto Pirani la pubblicazione in Francia nel 1842-43 de I misteri di Parigi di Eugène Sue (1804-1857) non solo produce un effetto immediato in Italia su quello che, da allora, verrà chiamata anche da noi feuilleton, ma anche su quel genere in fasce che è la novella o il romanzo giudiziario.

    Sui quotidiani italiani appaiono dunque, più o meno a cavallo della metà del XIX secolo, i diretti antenati del nostro giallo: anche se, già da qualche anno, si venivano sporadicamente pubblicando opere che fanno ritenere probabile una futura retrodatazione da parte della critica dei primi esemplari di polizieschi italiani.

    Naturalmente siamo in una fase decisamente preistorica: i modelli francesi (il feuilleton) e inglesi (il romanzo sensazionale) monopolizzano il nostro mercato, ma la fiction giudiziaria si emancipa sempre più dalla cronaca nera, registrando peraltro il medesimo interesse da parte del pubblico. Certo, nei primi anni di questa lunga incubazione non sembrano esserci nomi di sicuro richiamo, ma il terreno viene ampiamente dissodato sicché, nell’ultimo quarto dell’Ottocento molti autori famosi e non si cimentano almeno una volta in questa appendice nera (e non ancora gialla, ché il neologismo è di là da venire) che tuttavia ha una sua precisa fisionomia.

    Scrittori di diversa estrazione culturale e con diversi esiti artistici (Emilio De Marchi, Federico De Roberto, Francesco Mastriani, Carolina Invernizio), utilizzano il modello ancora in auge del feuilleton per innestarvi robuste dosi di elementi di indagine: di solito il capostipite di questa tendenza è considerato Emilio De Marchi (1851-1901) con Il cappello del prete (1887), romanzo comunemente indicato come l’antenato più diretto del moderno giallo italiano; ma anche autori prestigiosi come Italo Svevo (1861-1928) e Luigi Pirandello (1867-1936) sembrano essere stati in qualche modo intrigati da questa produzione.

    Accanto però all’influenza anglo-francese, tra fine Ottocento e inizi Novecento, si fa sentire anche quella della letteratura popolare statunitense: il dime novel, prodotto di larghissimo consumo, influenza alcuni scrittori di casa nostra (il più famoso è forse Ventura Almanzi) che cominciano ad offrire volumi ricchi di azione e di scene a tinte forti. Questa magmatica crescita

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