Delos Science Fiction 250
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Fantascienza - rivista (58 pagine) - La nostra rivista di approfondimento giunge al ragguardevole traguardo del 250esimo numero e racconta nello speciale la crisi del cinema ispirato al mondo dei supereroi.
The Marvels diretto da Nia DaCosta, con Brie Larson e Zawe Ashton, Teyonah Parris e Iman Vellani, è l’ultimo dei film del Marvel Cinematic Universe che non solo non ha convinto la critica ma che è stato anche poco apprezzato dal pubblico, almeno a vedere gli incassi negli Stati Uniti e a livello globale che il film ha raccolto fino ad ora (è uscito l’8 novembre). Non è solo. Le ultime pellicole della saga cinefumettistica hanno davvero lasciato il segno in negativo, il pubblico sembra non essere più interessato a questo filone del cinema contemporaneo. In casa DC/Warner le cose non vanno meglio, anzi. In questo c’è addirittura una pellicola che è già stata annunciata come un flop prima ancora di uscire. Parliamo di Aquaman e il regno perduto. Insomma si può ben parlare di crisi dei cinecomic ed è quello che facciamo nello speciale del numero 250 di Delos Science Fiction, la nostra rivista di approfondimento, curato da Arturo Fabra.
I servizi di questo numero tondo tondo sono dedicati all’antologia Sound & Vision curata da Fabio Novel e dedicata a racconti ispirati dalle canzoni di David Bowie, con una recensione di Andrea Pelliccia, e una riflessione sulla fantascienza climatica dello scrittore Franco Piccinini.
Per la sezione rubriche, Andrea Cattaneo si occupa della costruzione di mondi fantascientifici e non solo e chi meglio di uno scrittore come lui può raccontare come si immagina un universo in un romanzo di speculative fiction, mentre Giuseppe Vatinno ci racconta la genesi di Nirvana, il film di Gabriele Salvatores. Infine, per le anteprime sul mercato anglosassone, segnaliamo il nuovo romanzo di Cory Doctorow.
Il racconto di questo mese è di Massimo Bianco, mentre l’anteprima narrativa è dedicata all’antologia Tempesta dal nulla, con un pezzetto del racconto Megamarket di Linda De Santi, che tratta di cambiamento climatico e fantascienza, curata da Luca Ortino e Carmine Treanni per Delos Digital.
Rivista fondata da Silvio Sosio e diretta da Carmine Treanni.
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Delos Science Fiction 250 - Carmine Treanni
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Serialità della fantascienza, tra ripetizione e innovazione
Articolo di Carmine Treanni
Una delle modalità di realizzazione più rilevanti delle opere del variegato mondo dell’intrattenimento è senza dubbio quella della serialità, ovvero della ricorrenza di schemi narrativi, tematiche, figure, tecniche, su cui si innestano le necessarie innovazioni ad ogni racconto compiuto. Basta pensare all’esempio più lampante, ossia alle fiction televisive, ma lo stesso meccanismo è stato utilizzato dal fumetto, dalla narrativa di massa e dal cinema.
Oggi, la serialità può essere considerata come una delle principali categorie della post-modernità, che influenza il nostro vivere quotidiano: un processo che permette ad ogni individuo, attraverso variabili come la ripetizione, l’innovazione, il tempo e l’identità, di riordinare il caos provocato dall’esperienza della vita, ritualizzandolo in un continuo ripetersi di temi e situazioni. La stessa vita di tutti i giorni si svolge secondo una serie di riti/esperienze che di fatto sono seriali: ci svegliamo, facciamo colazione, andiamo al lavoro, etc. È chiaro che accanto al concetto di ripetizione si deve affiancare necessariamente quello di innovazione. Le mie giornate, pur svolgendosi secondo rituali più o meno ripetitivi, sono anche ricche di momenti nuovi e spesso inaspettati. Tuttavia, non c’è dubbio che la nostra identità si rafforza nella ripetizione di gesti e situazioni che ci aiutano a socializzarci nel ruolo che assumiamo nei diversi contesti: il lavoro, la famiglia, le amicizie, e così via.
La serialità, tuttavia, ha trovato storicamente un suo ruolo precipuo all’interno delle dinamiche del lavoro e in quelle produttive e rappresentative della cosiddetta cultura di massa.
La sostituzione progressiva del lavoro umano con la meccanizzazione – fino a costituirne un sistema organico e coerentemente articolato basato sull’utilizzo di macchine specializzate che producono pezzi tra loro identici ed intercambiabili – tocca il suo apice con il fordismo e la catena di montaggio introdotta nelle fabbriche, realizzando di fatto il passaggio da una produzione artigianale ad una realmente industriale. La conseguenza diretta di questo nuovo tipo di organizzazione del lavoro è la produzione in serie di grandi quantità di merci in poco tempo. Questo permetteva un aumento dei salari tale da poter rendere consumatori, di queste grandi quantità di merci, proprio quegli stessi operai impiegati per produrle. Il termine fordismo
divenne così sinonimo di un sistema produttivo basato sulla catena di montaggio, capace di una produttività industriale relativamente elevata.
Queste caratteristiche si iniziano ad affermare anche all’interno dei processi di industrializzazione della cultura, iniziati in Europa nell’Ottocento, in periodi diversi a seconda delle realtà nazionali, con l’affermazione di tecnologie adeguate e pubblici di massa.
Il romanzo d’appendice, o feuilleton come viene chiamato in Francia, rappresenta il fortunato incontro tra la letteratura, il giornalismo e l’industria. Sulle pagine dei giornali, spesso in veri e propri fascicoli, cominciano ad apparire i romanzi che sono stati precedentemente pubblicati in volume. Il feuilleton nasce, però, alla fine del Settecento, come inserto separato e ben distinguibile dal giornale, in cui sono contenute esclusivamente critiche teatrali. Solo successivamente, nel 1840, con I misteri di Parigi di Eugène Sue viene utilizzato per pubblicare romanzi a puntate. La serialità trova una sua precipua forma nella frammentazione del libro in più puntate, ma soprattutto quando i romanzieri cominciano a scrivere il romanzo in funzione del feuilleton, secondo cioè le logiche del giornale e con eroi e situazioni destinate a non finire mai.
Si può a ragione parlare di una vera e propria rivoluzione industriale legata ai mezzi di comunicazione di massa che ha dato luogo a una serie di prodotti culturali che si rivolgono ad un più vasto e indifferenziato pubblico, per l'appunto di massa, e che viene diffusa attraverso canali diversi: i libri, i fumetti, le riviste, i giornali, i programmi televisivi e quelli radiofonici, i film e i dischi.
Negli anni trenta del Novecento cominciano ad affiorare anche le prime analisi sul fenomeno della serialità. Non c’è dubbio che se la critica della nuova cultura prodotta dal capitalismo rappresenti il più alto contributo offerto dalla Scuola di Francoforte
, è a Walter Benjamin che si deve una posizione più autonoma e per certi versi più originale, nello studio di questo fenomeno. In uno dei suoi saggi più interessanti, dal titolo L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Benjamin sottolinea che la riproducibilità dell’arte annullerebbe quella che egli definisce l’aura
dell’opera d’arte, cioè quel qualcosa di unico ed originale presente nell’arte prima dell’avvento della fotografia e del cinema. Prima, cioè, della manipolazione tecnica che ha permesso anche la fruizione illimitata e diffusa della stessa opera.
Proviamo allora a definire, a circoscrivere il fenomeno della serialità. Con questo concetto bisogna intendere l’applicazione sul piano della comunicazione e della rappresentazione estetica delle modalità di produzione dei beni di consumo. Si produce fiction così come nelle fabbriche si sfornano automobili, con tempi e modalità ben definiti. A sua volta, il pubblico fruisce in modo seriale i prodotti della cultura di massa. Una cultura quest’ultima che si formalizza intorno agli anni Trenta