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Ritratto di Francesco Baracca
Ritratto di Francesco Baracca
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E-book858 pagine5 ore

Ritratto di Francesco Baracca

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Info su questo ebook

Del maggiore Francesco Baracca si è continuato a parlare ininterrottamente dall’anno della sua prima vittoria, il 1916, e il discorso tuttora continua, concentrandosi soprattutto sulle dinamiche irrisolte che avvolgono la sua scomparsa.
L’Asso non deve la sua fama solo alle vittorie che l’hanno reso celebre, ma al suo modo di essere e al modo di vincere.
Sul modo di essere e su quello di vincere di Baracca è strutturato questo libro. Si scoprirà che la stessa linea di condotta informò anche i suoi ultimi istanti di vita: grazie al ritrovamento di fonti non considerate in precedenza che collimano perfettamente con le incertezze presenti nelle deposizioni di coloro a cui fu attribuito l’abbattimento dello SPAD, la morte dell’Asso appare da una prospettiva completamente diversa, capace, se possibile, di accrescerne la grandezza.
Ritratto di Francesco Baracca restituisce integralmente la figura del Maggiore, a partire dall’ambiente di nascita, la Romagna, culla italiana del volo, per giungere, attraverso il percorso che l’ha condotto ai risultati bellici di grande valore, agli ultimi momenti della sua esistenza.
La vita del Maggiore è ricostruita attraverso i documenti originali (la corrispondenza e le foto che raramente appaiono) per restituirne un’immagine vera, autentica e vicina di una figura a cui il Paese deve moltissimo. Così la sua eredità morale può raggiungere l’Italia del presente, per molti aspetti incommensurabile con la società di allora, per molti altri (quelli meno nobili) identica ad essa.
Ci si accorgerà quindi che le vittorie di Baracca, necessarie a tenere alta la fiducia  quando le spaventose condizioni della guerra di trincea e le novità tecnologiche difficili da assimilare non lasciavano intravedere la fine del conflitto, trovarono la loro origine nella forma mentis dell’Asso, nella sua pazienza, nella precisione e nella capacità, mai disgiunte da profonda umanità rivolta a tutti, avversari compresi. Oggi si direbbe che la centratura non gli venne mai meno, fino all’ultimo istante di vita.
Accanto a tali doti personali davvero rare, figura la sua leadership innovativa, capace di portare la 91ª a divenire la leggendaria Squadriglia degli Assi, dove l’obbedienza ai suoi ordini era dettata da stima e da affetto.
Tutto questo senza la minima retorica o individualismi che l’inutile strage avrebbe reso fuori luogo. Uomo di poche parole, di rara umiltà, perseguì l’obiettivo senza mai vantarsene, ligio ad un culto del Dovere che oggi risulta di difficile comprensione.
Respirare il clima dell’epoca attraverso le parole e i racconti dei protagonisti, permette di addentrarsi in quell’ambiente e recuperarne lo spessore.
I momenti difficili non accennano a diminuire: l’esempio di chi, a fronte di condizioni di inaudita durezza, riesce a rispondere alle necessità del momento senza lasciarsi indurire nell’animo, costituisce per il Lettore fonte di rinnovata energia.
Gli Eroi erano esseri umani: fu la loro risposta agli eventi a renderli eccezionali.
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita28 mar 2023
ISBN9791254891995
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    Anteprima del libro

    Ritratto di Francesco Baracca - Suprani Querzoli Maria Luisa

    Alla conquista del cielo

    Queste vicende molto note ci spingono a credere che gran parte delle invenzioni avvengano dietro sollecitazioni esplicite. Ma non è così: in realtà, molte idee sono state partorite grazie alla curiosità o alla volontà di giocherellare con le macchine, senza che ci fosse una richiesta specifica dall’esterno. […] Spesso l’invenzione è la madre della necessità e non viceversa.

    1906

    Premesse

    Lugo di Romagna, domenica 22 settembre 1878

    Vestito di tutto punto (marsina, guanti e cilindro perfettamente coordinati), un signore si avvicina al globo aerostatico che fa mostra di sé all’interno del Pavaglione, quadriportico cuore della cittadina. Circondato dall’aspettativa degli astanti, sale a bordo della sua opera: il pallone si innalza da terra, riuscendo a sottrarre l’uomo alla curiosità – punteggiata, molto probabilmente, da qualche sguardo scettico - dei suoi concittadini, ma non alla forza di gravità che, per un qualche disguido, di lì a breve, gli farà bruscamente assaporare la concreta ruvidezza del suolo natale.

    L’ascensione dell’aeronauta Raffaele Rossini finì… in piscem⁶.

    Era già trascorso circa un secolo da quando i fratelli Montgolfier riuscirono nel loro intento, spargendo involontariamente i semi – al pari delle piante anemofile – di una passione che proprio in Romagna trovò terreno fertile: già agli inizi dell’Ottocento, il marchigiano Pasquale Andreoli, uno dei primi pionieri del volo, fece base a Forlì per costruire insieme ad un nobiluomo del luogo un aerostato dal nome ben augurante, La Speranza⁷. Sempre dalla stessa città romagnola partì il tour di ascensioni che in seguito l’avrebbe portato lontano, secondo la mentalità del tempo, fino a raggiungere diverse città della Lombardia. Andreoli non costituiva però un caso isolato: la città di Forlì seppe battezzare altri pionieri del volo che si spinsero addirittura oltreoceano⁸.

    Tali iniziative riuscirono a calamitare l’interesse generale che dallo stupore di poter osservare nei fatti un fenomeno ritenuto intuitivamente impossibile traeva alimento. Ancora agli inizi dell’Ottocento, il principio di Archimede (capace di svelare la ragione fisica grazie alla quale i palloni potevano innalzarsi) apparteneva al mondo astratto ed elitario della conoscenza scientifica: vedere lo spettacolo dal vero rientrava invece nella sfera dell’esperienza emotiva, alla portata di tutti e ben lontana, come si sa, dalle nozioni aride apprese sui banchi di scuola.

    La Romagna aveva (e ha tuttora) una radicata vocazione rurale, capace di influenzarne l’intero assetto culturale. Le diavolerie degli inventori, una volta sfumata l’iniziale curiosità, venivano considerate dalla maggioranza della popolazione con una sana (e malcelata) diffidenza: ancora durante la prima parte del Novecento, la memoria dello scalpore suscitato dalle prime apparizioni del treno a vapore continuava ad essere presente fra gli abitanti delle campagne nati nella seconda metà dell’Ottocento. I primi segnali di fumo che annunciavano, avvolgendolo, il passaggio del mezzo nero e possente capace di fendere le loro consuetudini decretavano l’immediata sospensione dei lavori. I braccianti si radunavano rapidamente, anche per confrontarsi su ciò che poteva animare quel prodigio innaturale: ci doveva essere di mezzo il diavolo, senza dubbio! Qualche temerario, armato di coraggio e di forcale, inseguiva il treno per dissuaderlo dal turbare ancora i ritmi sacri della natura e del lavoro, rimasti immutati dalla notte dei tempi. Una volta svanita la traccia di fumo che persisteva nell’aria,  spenti gli ultimi echi dello sferragliare minaccioso e molesto, tutto ritornava immancabilmente come prima.

    Il processo antropologico di assimilazione delle tecnologie, ricondotte dapprima alla sfera del sovrannaturale, richiese un tempo notevole. La conquista dell’aria, dati tali presupposti, rese necessario uno sforzo ancora maggiore per venire metabolizzata: in fondo, il treno costituiva solamente una versione potenziata dei mezzi di trasporto terrestri. Le navi solcavano indisturbate i mari già da millenni e il legno, si sa, galleggia naturalmente sull’acqua. Nell’Ottocento, il cielo, da sempre pregno di significati simbolici, apparteneva invece ancora agli Dèi e chi avesse osato sfidarlo, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto vedersela con loro: dai tempi di Icaro, nonostante i tentativi di Leonardo, la coscienza collettiva era ancora largamente ferma sulle posizioni di partenza.

    L’uomo, per sua natura, ama le sfide perché gli permettono di liberarsi dalla paura atavica che lo fa sentire costretto entro limiti percepiti in contrasto con le proprie potenzialità: la ribellione allo status quo, allo stadio culturale già ampiamente assimilato, inizia a rivelarsi contagiosa nel momento in cui la coscienza collettiva ne ha esperito (ed esaurito) l’intero potenziale e si sente quindi stimolata a compiere il passo successivo.

    Il livello di sviluppo tecnologico raggiunto già nel corso del Settecento fu in grado di creare le premesse della conquista dell’aria. Il processo che portò a tale conquista non risultò però immediato poiché dovette scontrarsi con le resistenze culturali, più o meno consapevoli, che vedevano nel dominio dell’aria l’attacco più audace all’ordine inamovibile del cosmo, concetto capace di conferire sacralità all’esperienza sensibile. Nonostante il progredire della civiltà, l’essere umano rimaneva ancora del tutto soggiogato in modo ambivalente alle leggi della Natura, madre capace anche di svelarsi improvvisamente matrigna. Nel caso della popolazione rurale, poi, la simbiosi con i ritmi naturali si spingeva a fagocitare l’identità del singolo, declinata esclusivamente a strumento per ricavare (e procurarsi) il pane quotidiano attraverso la fatica del lavoro⁹.

    La vocazione rurale della Romagna, almeno agli albori del Regno d’Italia, poteva essere estesa, seppure in diversa misura, all’intero Paese. Le invenzioni tecnologiche dovettero pertanto adattarsi ad essere addomesticate attraverso un relativamente lento processo antropologico di graduale accostamento del nuovo ad elementi già ampiamente acquisiti: l’artificiale, per continuare ad esistere, doveva trovare riferimenti rassicuranti nel naturale, nel conosciuto, quand’anche si trattasse del diavolo in persona che, imprigionato e sbuffante, permetteva al treno di procedere. Dall’altro lato la curiosità, madre del demone che porta alla conoscenza, si insinuò nella mente dei più intraprendenti che iniziarono a guardare di sottecchi chi aveva deciso di lanciare la propria immaginazione oltre il conosciuto, innalzandosi in volo e lasciando così a terra quel fardello di paure che costringeva i più ad una vita avara, zavorra capace solo di rendere più profondo il solco della sofferenza, giogo e ostacolo ad intraprendere strade diverse da quelle già battute da innumerevoli generazioni.

    L’ascensione che, in quella lontana domenica di fine settembre, polarizzò l’attenzione dei lughesi si svolse all’interno di tali orizzonti culturali. Nonostante la pomposità dei preparativi, l’impatto brusco con la terra capace di richiamare all’ordine il distinto e bizzarro signore costituì un segno di conferma: la caduta, fra l’altro, avvenne nei pressi del Santuario della Madonna del Mulino¹⁰, luogo dalle forti valenze simboliche¹¹, in cui l’aspetto protettivo della divinità nei riguardi del lavoro dell’uomo soggetto alle leggi naturali risulta palese.

    Sicuramente l’impresa (e la caduta) del Rossini sarà rimasta impressa a lungo nei ricordi e nei discorsi dei suoi concittadini, magari non disgiunta da qualche schietta espressione di scherno amplificata dall’ilarità generale.

    Lo scorrere del tempo adotta velocità diverse a seconda del dinamismo culturale e del conseguente livello di tecnologia raggiunto.

    L’esperimento di volo di seguito descritto aveva avuto luogo l’anno precedente ai fatti di Lugo.

    Milano, 21 – 25 luglio 1877

    Per questa ragione ho interesse a informarla di alcune rimarchevoli esperienze che ebbero luogo pochi giorni fa nel Salone dei giardini pubblici con una macchina volante a vapore, ideata dal signor ing. Enrico Forlanini, tenente del genio e già allievo nella sezione ingegneri industriali del nostro Politecnico. […] Fu il 29 dello scorso giugno che l’apparecchio funzionò per la prima volta ad Alessandria con un completo successo dopo diversi infruttuosi tentativi: è una data che avrà, forse, una certa importanza colla storia dell’aeronautica. […] Se all’inventore non mancherà in avvenire il benevolo appoggio di persone illuminate […] è sperabile che egli […] saprà costruire un nuovo e più grande apparecchio che lo avvicini sempre più ad una soluzione così ardentemente desiderata e sperata da tutti, benché pochi vi credano e anche a questi appaia così incerta e così lontana.¹²

    L’articolo del «Corriere» restituisce un quadro della Belle Époque, ma già proteso a trascendere il limite naturale: gli astanti, convenuti per assistere ad una dimostrazione pubblica, osservano un modello di elicottero a vapore sollevarsi. Il mezzo raggiunge l’altezza di circa 13 metri, resiste in aria per una ventina di secondi e discende lentamente fra la meraviglia generale.

    Milano, sabato, 22 settembre 1906

    Un giovane nativo di Lugo di Romagna, Francesco Baracca, trasferitosi già da qualche tempo a Firenze per compiere gli studi liceali, visita l’Esposizione Universale e invia una cartolina alla madre (per un bizzarro gioco della sorte, proprio il 22 settembre, stesso giorno in cui avvenne l’ascensione rocambolesca di Raffaele Rossini):

    […] a Milano, dove vi è un movimento che nessuno può figurarsi, passiamo delle giornate d’oro fra mille e mille divertimenti.

    Sono stato tre giorni all’esposizione dove ho visitato minutamente gran parte di essa e dove ho veduto cose meravigliose che ti racconterò poi nella quiete di S. Potito¹³. Giovedì vidi l’ascensione di sette palloni, interessante e divertente. Ieri cominciai a visitare Milano; fui sulla guglia più alta del duomo (110 m) dove vidi un panorama magnifico […].¹⁴

    Compare un cenno ai palloni aerostatici (e alla vista magnifica che si gode dall’alto): si tratta ancora di una novità, sottolineata però senza troppa enfasi, dato che oramai il dominio dell’aria, dopo la consacrazione ad opera dei fratelli Wright avvenuta tre anni prima, inizia gradualmente ad essere percepito al pari di un fatto culturalmente acquisito.

    L’ingegner Forlanini¹⁵, l’anno seguente alla dimostrazione della sua macchina volante a vapore, lasciò la città natale, Milano, e la vita militare per convolare a nozze in quel di Forlì. Nella cittadina romagnola non solo trovò il luogo degli affetti, ma anche la possibilità di dedicarsi proficuamente alla direzione tecnica della locale Società Anonima Forlivese per l’illuminazione a gas e per la fonderia di ferro che divenne sotto la sua guida una realtà produttiva di rilievo notevole.

    Circa un paio di decenni dopo, trasferì la sua attività industriale nei pressi di Milano e, grazie alla volontà priva di cedimenti (prima fare, poi parlare: questo pare fosse il suo motto¹⁶), riuscì a coronare l’intento a lungo perseguito.

    Il teatro degli avvenimenti è lo stesso: Milano.

    Sono trascorsi quasi quarant’anni dall’esperimento dell’elicottero a vapore tenutosi al Salone dei giardini pubblici.

    Al vecchio ingegnere, la Città stavolta non solo apre le porte, ma spalanca addirittura il cielo per accogliere il suo genio irremovibile.

    Milano, 18 agosto 1913

    Nessuno sapeva, fuori dal cantiere, che ieri il dirigibile avrebbe compiuto il suo primo volo. Gli operai soltanto avevano ricevuto l’ordine di presentarsi all’alba. La mattinata era ideale: il cielo purissimo, l’aria calma. Solo una leggera trasparente nebbia sfiorava la campagna. Lungo le due strade che fiancheggiano la nuova piazza d’Armi, fra porta Magenta e Baggio, transitavano radi contadini e cacciatori. Sul prato cavalcavano drappelli di cavalleria come ogni mattina. I cascinali e le villette dei dintorni si svegliavano a poco a poco sotto il bacio del sole, quando i loro abitanti osservarono con sorpresa un fatto insolito: il capannone, monumentale come un tempio, aveva spalancato le due enormi porte e dall’interno il dirigibile mostrava il suo muso aguzzo argenteo quasi fosse avido di respirare aria libera. Poi l’oblunga mole dell’aeronave si mosse verso l’esterno: «Parte! Parte!»; e i curiosi che in lontananza osservavano lo spettacolo si mossero verso il cantiere. […] I soldati di cavalleria intanto precedono nelle evoluzioni il dirigibile, manovrando in modo che la folla dei curiosi resti lontana. I ragazzi si addensano a centinaia e accolgono il mostro argenteo con un grido di giubilo. Sulle bocche corrono paragoni, immagini: - El par una balena! Sopra tutto ai nomi dei pesci ricorrono per dare sfogo alla loro immaginazione¹⁷.

    Sono le 6.30: ancora un minuto per provare se il dirigibile si regge in perfetto equilibrio, poi verrà data la partenza. L’ing. Forlanini si è già messo al volante […] – Si parte. Lasciate le corde! […] La folla guarda attonita, ammirata: gli amici sventolano cappelli, fazzoletti, agitano le mani. Si vede nella cabina Forlanini che sorride in questo momento in cui il suo sogno diviene realtà: poi egli diviene piccolo piccolo man mano che l'aeronave s’innalza. […] Ecco ora lo si vede attraversare Milano, passa sul Duomo e fila verso il suo capannone. […] Sta per scendere. […] La folla corre incontro all’aeronave e la cavalleria corre a sua volta incontro alla folla per tenerla a distanza.¹⁸

    Probabilmente l’eco degli esperimenti dell’Ingegnere raggiunse anche la Romagna e, se non altro per la rete di conoscenze personali, avrà riscosso un certo plauso. Immaginare un enorme dirigibile che solcava indisturbato i cieli della città, per la Forlì del tempo, poteva essere familiare più o meno come considerare oggi una vacanza nello spazio invece di ripiegare sulle solite località montane o marittime: in via teorica certe cose potevano magari anche verificarsi… purché avvenissero lontano dal mondo delle proprie abitudini.

    I primi esperimenti ottocenteschi di Enrico Forlanini, seppur in grado di suscitare meraviglia, erano immersi in un clima diffuso di titubanza, lontano dalla consapevolezza che avrebbe condotto alla considerazione del dominio dei cieli come fatto acquisito: si può pertanto supporre che all’Ingegnere, almeno durante le fasi iniziali della sua carriera, sia venuto a mancare l’auspicato appoggio benevolo da parte di sostenitori illuminati. Riuscì ugualmente, trasformando le sue invenzioni in apporti estremamente rilevanti anche sul piano bellico¹⁹. Tutto ciò, probabilmente, non avrebbe potuto avere luogo se Forlanini fosse rimasto all’interno delle file del Regio Esercito.

    Una ricostruzione del contesto della vita militare dopo la nascita del Regno d’Italia, anche se solo per sommi capi, permette di cogliere lo scarto di tempo che separava i portati del genio innovativo dell’ingegnere milanese dalle esigenze immediate a cui l’ambiente militare si trovò a dover far fronte: riunire una compagine assai eterogenea si configurava un’impresa ardua, tenendo conto poi delle complessità ulteriori di ordine organizzativo presentatesi con l’introduzione della leva obbligatoria dopo il 1861.

    L’impegno richiesto dall’esigenza di formare un esercito nazionale di massa, partendo da tali premesse, andava a sommarsi ad un cambiamento epocale dettato dalla necessità di rispondere con mezzi adeguati alle istanze che il progresso tecnologico lasciava chiaramente intuire²⁰. Le figure che si trovarono a dover prendere il posto dei protagonisti valorosi delle battaglie risorgimentali, per adeguarsi alle richieste del tempo, iniziarono ad assomigliare più a tecnocrati attenti ad un’oculata amministrazione delle ingenti risorse necessarie alla vita militare che agli eroi nazionali cari all’immaginario collettivo. I garibaldi capaci di trascinare i soldati con l’esempio erano definitivamente stati archiviati dal profilarsi di nuove tecnologie che, imponendo una revisione a livello strategico e tattico, richiedevano la presenza di personale altamente specializzato²¹.

    Per dare risposta a tale istanza, nel 1867 venne istituita a Torino la Scuola di Guerra sulla falsariga dell’antica Kriegsakademie berlinese²². La preparazione fornita, puntuale sotto il profilo accademico, tendeva però a perseguire la soluzione tecnica dei problemi principalmente sulla carta, ponendo del tutto sullo sfondo la complessità sia della sfera operativa, sia della natura umana (i cui risvolti disfunzionali seppero rivelarsi drammaticamente determinanti in tempo di guerra).

    Naturalmente, questo riassetto radicale non mancò di provocare un’alzata di scudi da parte degli esponenti della vecchia guardia, avversi all’eccesso di sapere teorico, ritenuto – non sempre a torto - reo di soffocare lo «spirito marziale alimentato da virtù quali il coraggio e l’onore cavalleresco»²³ essenziale in battaglia²⁴.

    La compattezza dell’Esercito si trovò quindi insidiata dal delinearsi di uno scomodo fronte interno, determinato dall’allargamento progressivo della forbice (destinato con il tempo ad accentuarsi vieppiù) fra i due poli estremi che la direzione intrapresa finì con il determinare: da un lato si poteva osservare la presenza di un numero limitato di figure forti di una preparazione accademica formalmente ineccepibile, dall’altro si contava un numero imprecisato di ufficiali di livello meno elevato che dovevano farsi carico dei compiti operativi che mal si accordavano con i comandi ricevuti da superiori digiuni di esperienza sul campo²⁵.

    Forlanini, quasi sicuramente, fece un bilancio prima di compiere la scelta di lasciare la vita militare. L’ambiente, preso dalle priorità che l’unificazione nazionale comportava, non gli avrebbe potuto assicurare i margini di libertà  necessari allo sviluppo delle sue notevoli inclinazioni di inventore: la vocazione di ingegnere, nel suo caso, ebbe la meglio sull’aura di onore e prestigio che ai suoi tempi ancora avvolgeva la figura dell’uomo in divisa.

    Ritratto fotografico giovanile di Francesco Baracca,

    senza data (Biblioteca ‘Fabrizio Trisi’, Centro di

    documentazione del Museo ‘Francesco Baracca’,

    raccolta fotografica).

    1907 - 1909

    Decisioni

    Agli inizi del Novecento, per un giovane sensibile al richiamo degli ideali patriottici²⁶ la carriera militare rappresentava ancora la possibilità di realizzare pienamente le proprie aspirazioni più elevate²⁷. Tale prospettiva poteva suscitare non poche perplessità da parte degli adulti per una pluralità di motivi, non ultimo il timore che l’esaltazione scemasse una volta venuta a contatto con la realtà vera, ben più prosaica rispetto a quella sulla quale un giovane, magari, poteva fantasticare assistendo ad una rivista militare capace di accendere facilmente i suoi entusiasmi²⁸: «[l]’esercito non era popolare. Il luccichio delle parate commuoveva pochissima gente: i ragazzi, qualche donna, alcuni vecchi gravi e tristi dai giorni contati, veterani di Garibaldi o della campagna del ‘59»²⁹.

    Non è tutt’oro quel che luce [scrive lo zio a Francesco] … e non vorrei che tu fuori dalla vita, nella quale io ci vivo da 27 anni, fosti rimasto abbagliato dall’aspetto esteriore!… La carriera militare è una carriera come le altre, ma a differenza di quelle richiede uno spirito di sacrificio e abnegazione molto superiore! È una carriera che nobilita, giusto pel sacrificio che richiede! Vi sono momenti in cui domina lo sconforto, e l’esaltazione, vi sono dei casi in cui di fronte al dovere bisogna mettere in oblio il pensiero della famiglia, del paese natio, e essere pronti a dare la vita!… e non solo in guerra, ma in pace, per calamità, epidemie, etc. etc., allora si pensa ai nostri cari che soffrono lontano! Rifletti a tutto, giacché ancora sei libero; tu hai avuto sempre giudizio, sei riflessivo, perciò se senti la vocazione di fare il militare, fai tu; ma rifletti che anche nella carriera militare bisogna studiare, obbedire, sopportare e in parte [rinunciare] alla propria libertà! Rifletti bene!… e se poi sei assolutamente deciso, coraggio e avanti!³⁰

    Le ultime parole dello zio Gaetano furono quelle che sortirono l’effetto più efficace, confermando il giovane nei suoi propositi.

    Gruppo di allievi della Scuola Militare di Modena, 

    primi anni del Novecento, cartolina (collezione dell’Autrice).

    Una volta ottenuta l’agognata ammissione alla Scuola Militare di Modena, il miglior interlocutore con cui condividere entusiasmo e speranze non poteva che essere un coetaneo:

    Caro Andrea,

    la mia felicità oggi è grande. Il Ministero ha accettato la mia domanda e tra pochi giorni mi presenterò alla Scuola Militare di Modena come allievo del corso di cavalleria. Ho dovuto battermi con mio padre per spuntarla, e devo tutto alla mamma se sono riuscito a smuoverlo dalla sua decisione di non favorirmi nelle mie inclinazioni. […] Comincia per me una nuova vita! Vi sono preparato perché non ho altra aspirazione nella mia vita che quella di poter un giorno vestire una gloriosa divisa ed essere degno in ogni momento di essa. È necessario, in quanto l’entusiasmo che mi ha condotto per questa strada m’impone di rispondere alle ansietà della mamma, all’aspettazione di mio padre, alla fiducia che ho in me stesso. Vado perciò a Modena con animo sereno ed esultante, disposto a qualunque rinuncia, a qualunque sacrificio, pur di riuscire ad essere un buon ufficiale.³¹

    Cavallerizza Grande, Scuola Militare di Modena, primi anni del Novecento,

    cartolina (collezione dell’Autrice).

    Attività formative, Scuola Militare di Modena, primi anni del Novecento,

    cartolina (collezione dell’Autrice).

    Dell’esito positivo dovette essere informato anche lo zio, il quale, dopo i complimenti di prammatica, ritenne suo dovere ritornare sull’argomento, questa volta, senza perifrasi:

    A Modena tu dovrai prendere la firma!… dopo firmato ricordati che sei soldato! Perciò se avanti di firmare non ti piacesse più la vita, non fare il c…³², lascia invece i rispetti da parte, non ti preoccupare delle poche lire spese e chiedi di ritornare! Dopo firmato non faresti più a tempo!³³

    La preoccupazione maggiore che angustiava l’adulto, ben conscio dello spiccato senso di responsabilità che già contraddistingueva l’assetto morale del nipote, era l’eventualità di una decisione futura dettata soprattutto dalla coerenza con le proprie scelte, dimentica di ogni altro dovere verso se stesso.

    Gruppo di docenti, Scuola Militare di Modena, primi anni del Novecento,

    cartolina (collezione dell’Autrice).

    Gruppo di allievi, Scuola Militare di Modena, primi anni del Novecento,

    cartolina  (collezione dell’Autrice).

    Gruppo di allievi, Scuola Militare di Modena, primi anni del Novecento,

    cartolina  (collezione dell’Autrice).

    Ricordo della donazione dell’effigie del marchese Raimondo Montecuccoli,

    Scuola Militare di Modena, 1903, cartolina (collezione dell’Autrice).

    Veglione  della Gloria, Scuola Militare di Modena,

    1904, cartolina (collezione dell’Autrice).

    Nemmeno due anni più tardi, nel luglio del 1909, il giovane lasciava la Scuola Militare di Modena, entusiasta e pienamente confermato nella sua decisione iniziale:

    Quantunque la marcia fosse così disagiata e noi fossimo stanchi per aver dormito appena 4 ore stanotte dopo due giorni che più non prendavamo [sic] riposo, pure fra di noi regnava la massima allegria e grande entusiasmo; così stamani sotto la pioggia abbiamo percorso altri 60 km; di lontano si vedevano le storiche colline di Solferino.³⁴

    Un’impressione fugace incrina la suggestione degli echi risorgimentali. L’idea della realtà più cruda si palesa alla coscienza per un breve istante:

    Gli ultimi due giorni di manovre sono stati faticosi, ma bellissimi, specialmente ieri, direi quasi poetico: pareva la guerra vera. […] I colpi di cannone si facevano sempre più frequenti finché verso le 7 non si sentì che un rombo solo di colpi di cannoni, di fucili, di mitragliatrici; impressionante perché faceva pensare al numero infinito di feriti e di morti che vi sarebbe stato in una guerra vera.³⁵

    Di fronte all’entusiastico progredire nel percorso tanto ambito, l’idea della guerra fa ritorno alla sfera dei concetti astratti: la data della nomina a sottotenente di cavalleria³⁶ coincide con il giorno d’ingresso nella Scuola d’Applicazione di cavalleria a Pinerolo, in quello che era stato il cuore della vita militare della monarchia sabauda.

    Ricordo dell’Assedio di Torino, Piemonte Reale Cavalleria, senza data,

    cartolina (collezione dell’Autrice).

    Il capitano Federico Caprilli e Itala intenti a saltare la staccionata,

    1903 (foto di pubblico dominio).

    Il giovane può finalmente divenire parte del prestigiosissimo Piemonte Reale nella cittadina dove ancora aleggia la memoria dell’ufficiale più brillante del Reggimento, venuto a mancare prematuramente nel 1907 in circostanze misteriose mai del tutto chiarite. Nell’arco di pochi anni, il capitano Federico Caprilli³⁷, inventore del Sistema naturale di equitazione, era riuscito a trasformare radicalmente la disciplina dalle fondamenta e, accanto al commilitone e amico Emanuele Cacherano di Bricherasio³⁸ (fondatore dell’Automobile Club d’Italia nonché della F.I.A.T.) divenne osservatore attivo e partecipe del passaggio epocale compiuto dalla cavalleria: la naturale vocazione al movimento propria di quest’ultima avrebbe trovato nelle invenzioni tecnologiche allora ai primordi lo spazio in cui potersi ridefinire in una prospettiva dagli sviluppi - fino a pochi decenni prima - impensabili.

    Il passato e il futuro seppero fondersi nella figura di Federico Caprilli.

    Ne raccolse l’eredità Francesco Baracca, declinandola al presente.

    1910

    Dal mito al futuro

    L’ambiente scintillante che gravitava intorno alla Scuola d’Applicazione di cavalleria conquistò l’attenzione del giovane:

    In molti domenica andammo al Premio del Commercio e ci divertimmo immensamente: non avevo idea di che cosa fosse una giornata di corse a Milano […]. Verso le 2 cominciò ad arrivare una folla immensa, innumerevoli automobili, sportman di tutta Italia e signore elegantissime. Non trovai nessun lughese, solo il Piancastelli. […] Non saprei dirti se potrò venire un giorno a Lugo […]. […] potrei fare una puntata a Lugo ma non potrei assicurarvelo. […] Abbiamo continuamente visite di ufficiali esteri; oggi arriverà un gruppo di ufficiali turchi a visitare la scuola; giorno [sic] sono avevamo presso di noi dei giapponesi […].³⁹

    Le origini, Piemonte Reale Cavalleria, senza data,

    cartolina (collezione dell’Autrice).

    Ma nel mese di luglio gli esami lo attendono al varco:

    Le due giornate di esami di equitazione sono state oltre ogni dire bellissime: io ho provata una delle più grandi soddisfazioni perché, com’ero certo, sono stato classificato col punto massimo 20 [sottolineatura presente nel testo] con altri quattro miei colleghi, sopra 57 sottotenenti. Assistevano agli esami due generali, cinque colonnelli comandanti di reggimento e molti capitani e maggiori di cavalleria. L’esame si è fatto prima al galoppatoio coi purosangue (sull'ultima [parola scarsamente comprensibile: riv …] della mia sezione caddero tre cavalli nell’acqua) […]. […] In questi giorni abbiamo altri esami, ma io non ho nessuna intenzione di studiare perché ho 6 o 7 cavalli a mia disposizione da montare e non mi posso adattare a restare chiuso a studiare la tattica e la topografia e le altre materie.⁴⁰

    La dichiarazione d’intenti, piuttosto spavalda, appare come minimo incauta, specie se rivolta alla madre in prossimità degli esami.

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