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Gli strani casi del Club 22
Gli strani casi del Club 22
Gli strani casi del Club 22
E-book294 pagine3 ore

Gli strani casi del Club 22

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Info su questo ebook

Napoli, 1962. Il Club 22 è il night più amato della città. Sarà perché il proprietario, il Cavalier Eduardo De Angelis, lo gestisce con generosità e intelligenza. Sarà perché Natalia de Gennaro, meglio conosciuta come Natascia, sa capire i clienti – e convincerli a ordinare carissime bottiglie di “finto champagne” – meglio di chiunque altro. Sarà perché Samuele Caputo, al secolo Sam, è un pianista che non fa rimpiangere il suo omonimo di Casablanca quando suona i successi americani del momento, tradotti rigorosamente in napoletano. Soprattutto, poi, sarà perché vi si esibisce Lucia Cecere, in arte Lucy Del Re, la donna più bella di Napoli, una creatura angelica, su cui il Padreterno ha lavorato “curando ogni singolo dettaglio, per evitare qualsiasi imperfezione”.

Le notti spensierate del club sono però turbate dalla presenza di un avventore che ogni sera si siede al tavolo centrale, ordina un Campari, non parla con nessuno e spande intorno a sé una cappa di gelo e tristezza, guastando gli affari. Il Cavalier De Angelis e i suoi sodali decidono di interrogarlo e scoprono che, a modo suo, sta cercando di farsi notare. È corsa voce che al Club 22 sappiano risolvere i problemi dei più sventurati, e lui, Giovanni Ramaglia, è un vero fuoriclasse della sventura. Un uomo buono, troppo buono, minacciato da uno strozzino e invischiato in terribili affari... Così proprietario e dipendenti mettono insieme un’improbabile, irresistibile squadra investigativa.

Francesco Pinto rievoca ad arte la Napoli degli anni Sessanta con i suoi protagonisti, le sue musiche e le sue atmosfere, immergendola, con ironia e nostalgia, in un meccanismo giallo di gran ritmo, divertente, coloratissimo e sempre sopra le righe. Un’avventura di eroi scalcagnati e pure meravigliosi, che ben rappresentano l’anima di una città ricca di bellezza, splendore e incantevole voglia di vivere.

LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2023
ISBN9788830592865
Gli strani casi del Club 22
Autore

Francesco Pinto

È nato nel 1952 a Napoli. È stato a lungo direttore della sede Rai del capoluogo campano e oggi insegna all’Università Federico II. Ha pubblicato, con Mondadori, i romanzi La strada dritta (2011, da cui è stata tratta l’omonima miniserie Rai), Il lancio perfetto (2014) e L’età dell’oro (2016).

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    Gli strani casi del Club 22 - Francesco Pinto

    Personaggi

    Eduardo Cavalier De Angelis proprietario del Club 22. Anima razionale

    Samuele Caputo, detto Sam pianista. Anima placida

    Lucy Del Re, nome d’arte di Lucia Cecere la stella del locale. Anima sensuale

    Natascia, al secolo Natalia de Gennaro coordinatrice di sala. Anima preveggente

    Giovanni Ramaglia ingegnere. Anima candida

    Eleonora Ramaglia moglie. Anima innamorata

    Alfredo Ramaglia fratello. Anima invidiosa

    Ciro Veneruso strozzino. Anima malvagia

    Maurizio Ruggiero delinquente. Anima violenta

    Stefano Bertelli capo del personale dell’Ilva. Anima nera

    Carmelo portiere. Anima onnisciente

    Amilcare Santoro sindacalista. Anima rivoluzionaria

    Antonella Vitiello segretaria. Anima protettiva

    Tenente Moore ufficiale americano. Anima bellicosa

    Commendatore Nardella, Commendatore Sessa e Commendatore Stella. Anime paganti

    1

    «Smettila di suonare, Sam.»

    «Perché?»

    «Forse quello la pianta di guardarti e, magari, ci lascia in pace.»

    «Non serve a niente» brontolò sconfitto Samuele Caputo, pianista, spezzando la debole speranza di Dario D’Agostino, cameriere, che si allontanò sconfitto.

    La storia andava avanti da una settimana. Giovanni Ramaglia si presentava puntuale non appena il locale apriva i battenti e, approfittando di essere il primo cliente, occupava il tavolo centrale, rifiutava con educazione l’invito delle ragazze di fargli compagnia, ordinava un Campari e si metteva a fissare in silenzio Sam non appena iniziava a suonare.

    Ed era un problema.

    Non era il suo fisico ossuto e allampanato o il suo vestito da funerale di prima classe a provocare Caputo, quanto l’aria di tristezza che sembrava si sprigionasse dal suo corpo per diffondersi e invadere tutto lo spazio intorno a lui stendendo un sudario tetro tra i posti centrali della sala, quelli di solito occupati dai clienti più eleganti e carichi di soldi. I frequentatori migliori fiutavano subito l’aria di mestizia di quel menagramo e, quasi temendo di infettarsi, si affrettavano a spostarsi ai tavoli laterali, il più lontano possibile da quel buco nero che sembrava voler inghiottire nella sua oscurità tutto quello che gli capitava a tiro.

    Giovanni Ramaglia non c’entrava nulla con il Club 22.

    Era il posto più chic delle notti di Napoli, in quel luglio del 1962 che aspettava le vacanze di agosto.

    Tutti a me mi devono capitare, pensò il pianista mentre attaccava la versione napoletana di Put your head on my shoulder di Paul Anka. «Miett’ ’a capa ’ncopp’ ’a spalla mia / stringeme int’ ’e braccia toie peccerella bella / famm’ verè ca me vuò bene.»

    Era per ordine di Eduardo, Cavalier De Angelis, il proprietario del club: tutte le canzoni in inglese andavano tradotte nella nobile lingua del luogo. Sam se lo ricordava ancora il giorno in cui il Cavaliere gli aveva spiegato il motivo, perché era l’unica volta, nei cinque anni che lavorava per lui, che lo aveva visto perdere le staffe. Il conflitto e l’espulsione dell’inglese erano iniziati dopo l’ascolto, l’anno precedente, della barbarie commessa da quel teddy boy di Elvis, così lo aveva definito il suo datore di lavoro, che si era permesso di trasformare Torna a Surriento in una fetente tarantella barbarica, sempre definizione di De Angelis, cambiando titolo, ritmo, parole e senso. Da quel momento la guerra era stata dichiarata e bisognava rispondere punto per punto, canzone per canzone a quel sacrilegio. Una sera lo aveva sentito paragonare Presley a Ballomar, il re dei marcomanni che nel 167 fu il primo con la sua tribù di selvaggi puzzolenti, altra affermazione del Cavaliere, a tentare di conquistare l’impero romano. Conoscendo com’era finita la storia delle invasioni, Samuele dubitava che alla fine la vittoria sarebbe stata dalla loro parte, ma lui era un soldato e doveva solo ubbidire. Gli piaceva rispondere «Signorsì», era un modo per campare tranquillo. Figlio di una violinista di fila del San Carlo e di un trombettista delle orchestre di Cinico Angelini e Pippo Barzizza, aveva la musica nel sangue, ma non gli era mai piaciuta la vita nomade del padre e l’aria di litigio perenne che respirava la lirica dove aveva lavorato la madre. L’attirava, invece, il mondo regolare e quieto in cui era finito: un datore di lavoro che lo trattava come un figlio, un orario che gli permetteva di svegliarsi tardi e di godersi il sole del terrazzino nel suo appartamento di via Roma e quello della spiaggetta di Chiaia che frequentava tutto l’anno, uno Steinway mezza coda che avrebbe suonato, anche senza compenso, per ore.

    Sam dette uno sguardo alla sala: era bella piena, se si escludeva il buco nero centrale dove la stella nana di Ramaglia emanava i suoi tetri bagliori. Riconobbe un paio di commendatori in trasferta che Natascia, al secolo Natalia de Gennaro, aveva incominciato a lavorarsi con l’obiettivo di superare il suo record stagionale dell’ordinazione di quattro bottiglie di finto champagne più sovrapprezzo. Era già a tre; aveva tutte le carte in regola per farcela. Negli altri tavoli, il solito gruppo di americani della base Nato di Bagnoli rafforzati da alcuni ufficiali appena sbarcati dall’incrociatore classe Baltimore della quinta flotta che aveva appena sostituito alla fonda la Forrestal, l’enorme portaerei che ancorava abitualmente nel golfo, e un bel gruppo di indigeni che con le loro Mercedes Benz, Alfa Romeo Giulietta Spider e Lancia Flavia avevano occupato quasi militarmente l’intero marciapiede di fronte al locale. Lì una Fiat non si era mai vista parcheggiare.

    Tutta la sala sentì la tensione salire man mano che si avvicinava l’ora. Mancava ormai pochissimo al momento in cui sarebbe calato l’asso di cuori, l’arma segreta del club che lo aveva reso famoso anche fuori città. La carta vincente aveva un paio di gambe lunghissime, un vitino da vespa, un seno superbo, un culo da statua, due occhi verdi tra una cascata di lunghi riccioli neri e un nome: Lucy Del Re, al secolo Lucia Cecere. Era lei la stella del locale, non c’era niente da fare. Tra qualche minuto sarebbe salita sulla piccola pedana in fondo alla sala per mostrare, fino al limite consentito dalla legge, tutto quello che le aveva donato madre natura. Nello spettacolo, oltre alla assoluta perfezione delle sue forme, c’era tutta la genialità del Cavalier De Angelis, che aveva inventato un genere, come al cinema. I numeri di Lucy erano tutti citazioni di film, ma partivano dal punto esatto dove si interrompeva la sequenza più erotica di una pellicola. E così i clienti potevano ammirare cosa succedeva dopo che Gilda chiedeva al pubblico di aiutarla ad abbassare la lampo dell’abito nero che la fasciava e, quella sera, cosa nascondevano la camicetta e la gonna di Rio distesa sulla paglia nel Mio corpo ti scalderà. Era De Angelis a modificare i titoli originali, a costruire l’azione individuando gli oggetti di scena, a indicare la colonna sonora, a seguire la preparazione, a impostare ogni passaggio, a correggere gli sbagli, a suggerire nuovi movimenti e i punti dove dirigere lo sguardo. Giorni e giorni di prove estenuanti dove veniva messa a punto ogni singola minuzia perché, come amava ripetere spesso, citando Gautier: L’arte è la ricerca continua della perfezione nel dettaglio e assoluta precisione nella realizzazione.

    Lo sapevano tutti che quella era una delle ultime volte in cui Lucy Del Re avrebbe interpretato la Russell. Due mesi prima il Cavaliere era stato al cinema Santa Lucia, ventisette passi dal club, frontiera estrema dei trenta che si era dato come limite massimo per i suoi spostamenti, per vedere un nuovo film in prima visione: una bella impiegata rubava quarantamila dollari e fuggiva, ma si trovava nel bel mezzo di un temporale e si rifugiava in un motel. Era rimasto affascinato dalla scena della doccia ed era quella che aveva deciso di far interpretare alla star locale. Ovviamente quando la tenda si fosse squarciata non ci sarebbe stato nessun coltello.

    Sam attaccò la canzone prima di Lucy, Catch a falling star, un successo targato Perry Como. «Piglia na stella ca care / nun ta lassà scappà / tienetella pe na jurnata ca chiove / pecché l’ammore te vene a truzziulià.»

    Dopo l’ultima nota alzò le mani dai tasti, fece un leggero inchino agli applausi discreti e sinceri che venivano dai tavoli e poi il brusio della sala si interruppe, l’occhio di bue si accese e Lucy Del Re, in tutto il suo splendore, entrò in scena.

    Il Padreterno ci aveva lavorato a lungo su di lei curando personalmente ogni singolo dettaglio per evitare qualsiasi imperfezione: insomma, un angelo che solo i frequentatori del club potevano ammirare da vicino. Il fatto poi che quel cherubino finisse il suo numero sulla Terra con un minuscolo perizoma e due piccoli cerchietti di strass a nascondere i capezzoli lo trasformava senza discussione in un vero e proprio miracolo. Lucy fece la sua esibizione in un silenzio mistico, tenendo incollati gli occhi di tutti sui suoi movimenti. Tranne un paio: quelli del maledetto Ramaglia, che rimasero inchiodati al pianista.

    «Nemmeno Lucy riesce a distrarlo.» La voce preoccupata di De Angelis arrivò alle spalle di Sam.

    «Noi ci facciamo in quattro per far dimenticare le ansie e le preoccupazioni della vita che i nostri clienti hanno tutti i giorni fuori da questo posto e quello lì» continuò indicando con lo sguardo la bara vivente, «ci sta rovinando. La voglia di divertirsi e di lasciare all’ingresso tutti i loro affanni e tormenti esce dal tuo pianoforte, dal corpo di Lucy, dalle battute delle ragazze, vaga disordinata e felice per tutto il locale prima di arrivare dove sta seduto la pompa funebre e lì si gela e cade a terra morta come colpita da una scarica di mitragliatrice caricata a tristezza. I camerieri si grattano prima di portargli le ordinazioni e le ondate di angoscia diventano ogni giorno più lunghe. Ormai non sono solo i tavoli vicino a lui a restare deserti, ma anche quelli della fila successiva. Manca poco al collasso del nostro intero universo» continuò il Cavaliere.

    «Avete provato a farli occupare dalle ragazze?»

    «Certo, ho anche scritto due nuovi testi di approccio da aggiungere ai venti che loro già recitano perfettamente. Uno diretto: Buonasera, si sieda con me a questo tavolo centrale, e un altro che prova a lusingarli: Si accomodi qui al centro, così Lucy potrà guardare bene uno bello come lei

    «Risultato?» chiese Sam.

    «Zero, quelli si avvicinano, lanciano uno sguardo a Dracula, avvertono il gelo che emana e filano via. Tre giorni di prove buttati.»

    «Natascia che dice?»

    «Lo ha studiato per due giorni, quando di solito ci mette un paio di minuti per capire chi si trova davanti, ma quello, come una statua di cera, non muove un muscolo e anche le ordinazioni le fa dicendo solo il nome di quello che vuole. Secondo Natascia non ha mai frequentato un night prima della settimana scorsa. Di questo è sicura, lo sai che non sbaglia mai.»

    «Da cosa lo ha intuito?»

    «E io che ne so? Sono anni che suo marito si domanda come fa a capire tutto quello che lui ha in testa addirittura prima che lo pensi e chiedi a me di risolvere il mistero?»

    «Adesso che facciamo?» domandò preoccupato Sam.

    «Bisogna trovare una soluzione altrimenti quello lì» e De Angelis indicò di nuovo il tetro stregone, «ci fa chiudere il locale. A fine serata vediamoci al solito posto. Avverti anche Lucy e Natascia.»

    2

    Il solito posto era la pizzeria Da Tatore di Salvatore del Giudice, di fronte al Club 22, sempre per quella questione del numero di passi del Cavaliere.

    «Insomma, che vuole?» chiese De Angelis.

    «Non ne ho la più pallida idea» disse Sam.

    Il Cavaliere era andato dritto al punto ignorando il consiglio dell’enorme ruota di pasta che aveva davanti e che gli suggeriva di mangiarla appena uscita dal forno.

    Natascia, che capiva al volo anche le cose e non solo gli esseri umani, l’aveva invece immediatamente affrontata e intervenne a bocca piena. «Non la fate raffreddare, e comunque Giovanni Ramaglia lo conoscete già.»

    «Che ne sai di come si chiama?» domandò meravigliato Sam.

    «La mummia non ha mai detto una parola se non per ordinare, e tu sostieni che non è la prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia con l’Armageddon?» commentò stupefatto De Angelis.

    Natascia alzò gli occhi al cielo disperata prima di rivolgersi a Lucy. «Perché gli uomini sono così cretini?»

    «Semplice: perché sono uomini. Solo pochi si salvano dalla natura di razza inferiore. Uno è lui» rispose Lucy lanciando un sorriso assassino al pizzaiolo.

    Salvatore del Giudice gettò un bacio con la mano ancora imbiancata di farina all’arma di fine di mondo che era comparso sul viso di Lucy. Le perfezioni si riconoscono e quella di Lucia Cecere non poteva non rendere omaggio al miracolo, di cui era autore l’eccezione e non il Padreterno, di una pizza superba nell’impasto, nel cornicione e nel pomodoro e mozzarella che la guarnivano. L’ulteriore prodigio era che si poteva gustare anche alle tre del mattino, orario in cui si presentava abitualmente il Cavaliere. Salvatore era proprietario, pizzaiolo e cameriere del minuscolo locale: quattro tavoli, otto sedie e sedici posate. Soffriva di insonnia e preferiva stare in piedi accanto al fuoco vivo del forno piuttosto che rigirarsi nel letto nelle ore in cui ti aggrediscono i cattivi pensieri.

    «Lo avete conosciuto tre mesi e quattro giorni fa, aveva fatto il nome di Scarsella» precisò Natascia rivolgendosi a Sam.

    Sei mesi prima il Cavaliere aveva dimostrato l’innocenza di Amedeo Scarsella, un cantante amico di Sam, accusato di aver ammazzato, all’interno della base Nato, un colonnello americano scoprendo, con l’aiuto degli altri, il vero colpevole. La vicenda si era conclusa felicemente con il fidanzamento tra Scarsella e Lucy.

    «Come sta il tuo futuro marito?» chiese Sam a Lucy.

    «Ci siamo lasciati» rispose lei immediatamente.

    «Come mai?» domandò incuriosito il Cavalier De Angelis.

    «Scusate, Cavaliere» intervenne Sam, «la vera domanda è come ha fatto la qui presente ottava meraviglia a mettersi con un rappresentante del popolo dei mazzamurelli.»

    «Era tenero» rispose lei con un sorriso indulgente.

    «Cioè, te lo potevi mangiare senza nemmeno cucinarlo» chiarì ironico Sam.

    Lucia Cecere non si scompose.

    «Diciamo che noi donne, nella nostra infinita bontà, ogni tanto ci illudiamo di poter aiutare qualcuno della razza inferiore a diventare un essere civile.»

    «Invece di perdere tempo con Scarsella, potevi scegliere me» si intromise Samuele facendo gli occhi dolci a Lucy, che lo squadrò dall’alto in basso.

    «Non sei il mio tipo» rispose semplicemente.

    «E perché?»

    «Il motivo non lo troverai su tutti quei libri che leggi. Un giorno te lo spiego io» si intromise Natascia. «Ritorniamo a Ramaglia, per favore, davvero non ve lo ricordate?»

    «Vagamente, aveva un problema con uno strozzino» borbottò Samuele al quale era finalmente tornato in mente un incontro durato una manciata di minuti.

    «Esatto» affermò trionfante Natascia, «e dopo siete intervenuto voi, Cavaliere.»

    Anche De Angelis fece uno sforzo di memoria.

    «È vero! Sono stato io ad accompagnarlo alla porta e a spiegargli gentilmente che non eravamo un’agenzia investigativa. Se voleva tornare a trovarci l’unica possibilità era quella di frequentare il club come un normale habitué.»

    Ci mise un attimo a fare due più due.

    «Mi stai dicendo» mormorò, «che sono stato io a scoperchiare il vaso di Pandora e a dare inizio all’Apocalisse?»

    «Precisamente» concluse Natascia.

    «È colpa tua!» affermò il Cavaliere rivolgendosi a Sam nel disperato tentativo di scrollarsi di dosso quella tragica responsabilità.

    «E io che c’entro? Faccio il pianista, mica sono il commissario Ingravallo. Siete stato voi a decidere che dovevamo aiutare Scarsella e sempre voi, scusate, a suggerire allo zombie la soluzione più semplice per portare nel nostro mondo fame, peste e carestia.»

    «Mi potevi contraddire» disse spazientito il Cavaliere.

    «Sono cinque anni che ubbidisco ai vostri ordini e proprio quel giorno mi dovevo ribellare?»

    «Scarsella era amico tuo» insisté caparbio il Cavaliere.

    «Veramente il mio ex fidanzato non c’entra nulla» precisò Lucy, «ha solo raccontato la storia al portiere del suo palazzo che l’ha detta a quello dell’edificio a fianco, che ovviamente non se l’è tenuta per sé e l’ha immediatamente riferita a quello dell’immobile di fronte. Insomma è finita nella categoria più informata dell’intero globo terrestre e, a partire da loro, si è sparsa, a velocità supersonica, in tutti i condomini e quartieri della città. Nel passaparola tutto si è gonfiato: voi due» continuò indicando De Angelis e Sam, «siete diventati gli allegri compagni della foresta di Sherwood e Scarsella la vittima dell’imperialismo americano. Una mattina si è presentato a casa sua il segretario della sezione Montecalvario del Partito comunista proponendogli la candidatura per le elezioni comunali.»

    «E che gli ha risposto?» chiese Caputo.

    «Che non gliene fregava niente se non c’era anche la garanzia che avrebbe partecipato al prossimo Festivàl di Napoli e che lui con gli americani adesso ci lavora. Lo sapete tutti che è stato assunto al pianobar della Nato.»

    «In che lingua canta?» domandò cauto De Angelis.

    «In inglese.»

    «Maledetto!» esclamò.

    «Non vi preoccupate, Cavaliè. Lui crede di cantare in quella lingua, ma ne è convinto solo lui. Gli americani pensano che utilizzi il napoletano antico o addirittura il greco.»

    «Dunque Ramaglia non è amico di Scarsella e la leggenda di Lancillotto e Tristano che difendono le donne, i deboli e… gli imbecilli può averla appresa da chiunque» commentò il Cavaliere prima di rivolgersi intestardito al pianista. «Comunque è sempre colpa tua.»

    «E perché?»

    «Ce l’hai un portiere?»

    «Certo.»

    «Dovevi fermare la saga nella sua guardiola, magari lo potevi murare vivo.»

    «E adesso che facciamo?» domandò pratica Natascia.

    «Potremmo proibirgli l’ingresso nel club» azzardò Sam.

    «Impossibile» lo bloccò immediatamente De Angelis, «paga, entra, ordina ed è libero di scegliersi un tavolo come chiunque. Noi non facciamo discriminazioni, mica siamo in America.»

    «Avete ragione, Cavaliè, ma io è da un po’ che sono ferma a tre bottiglie» commentò delusa Natascia, «anche questa sera mi sono dovuta arrestare. Il commendator Francesco Nardella, tre fabbriche tessili a Como, litigate quotidiane con la commissione interna, moglie aristocratica che gli ricorda sempre le di lui umili origini, un figlio maschio scapestrato e una femmina che si è già fatta bocciare due volte alla maturità, era pronto a ordinare la quarta, quando ha dato uno sguardo al morto vivente. Il sorriso gli si è spento sulle labbra, ha portato con nonchalance la destra sotto il tavolo per toccarsi il cavallo dei pantaloni borbottando che si era fatto tardi e che era meglio rientrare in albergo, stanza all’Excelsior vista mare.»

    «E l’altro che stava con lui?» chiese il Cavaliere.

    «Lo ha immediatamente seguito. Era solo un impiegato: ragionier Giovanni Bauducco, le rate della macchina ancora da pagare, juventino sfegatato, anche se quando viene in trasferta a Napoli lo tiene segreto per timore di rappresaglie, suocera a carico, preferisce la cotoletta alle braciole, pensione Splendor, camera con bagno in comune» descrisse per filo e per segno Natascia, che in quanto a intelligenza e intuito non era seconda a nessuno.

    «A me Ramaglia non mi ha guardata nemmeno una volta. Un affronto del genere non mi era mai capitato nei miei due anni di carriera. Mi mette a disagio e mi innervosisce. Questa sera ho anche sbagliato il movimento ventiquattro del numero» aggiunse irritata Lucy.

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