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L amnesia della governante: Harmony History
L amnesia della governante: Harmony History
L amnesia della governante: Harmony History
E-book269 pagine4 ore

L amnesia della governante: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816
Durante un viaggio in nave, Claire Tilson, governante in fuga da un passato difficile, e Lady Rebecca, promessa sposa di uomo che non ha scelto, scoprono di assomigliarsi come due gocce d'acqua e decidono di scambiarsi l'identità per qualche giorno. Nessuna delle due immagina che quella si rivelerà una scelta decisiva; la nave su cui viaggiano infatti è travolta da una tempesta ed entrambe vengono credute morte. Claire in realtà è tratta in salvo dal capitano Lucien Roper e, grazie al passaggio di un peschereccio, raggiunge Dublino. A causa del violento trauma subito durante il naufragio, però, non ricorda nulla della propria identità. Per questo, nonostante l'interesse che nutre per Lucien, accetta il proprio destino e si reca a Bath per incontrare il promesso sposo. Ma una visita inattesa rimetterà in gioco ogni cosa.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2019
ISBN9788830500938
L amnesia della governante: Harmony History
Autore

Diane Gaston

Diane Gaston's dream job had always been to write romance novels. One day she dared to pursue that dream and has never looked back. Her books have won Romance's highest honours: the RITA Award, the National Readers Choice Award, Holt Medallion, Golden Quill, and Golden Heart. She lives in Virginia with her husband and three very ordinary house cats. Diane loves to hear from readers and friends. Visit her website at: http://dianegaston.com

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    Anteprima del libro

    L amnesia della governante - Diane Gaston

    successivo.

    1

    Giugno 1816

    Appoggiato al parapetto della nave, Lucien Roper guardava il porto di Dublino sparire in lontananza. Inalò la brezza salata e sentì la sferzata del vento sul viso. Le voci dei marinai al lavoro gli risuonavano nelle orecchie.

    Ancora pochi giorni, e con un po' di fortuna sarebbe stato di nuovo sul ponte di una nave tutta sua, con il suo vecchio equipaggio, e sarebbe tornato alla vita che gli aveva dato tanto. Una piccola fortuna, fama e rispetto. Un posto a cui appartenere.

    Una risata femminile risuonò alle sue spalle. Era così gioiosa, così in contrasto con il suo umore cupo, che si voltò, sorpreso. La donna indossava un mantello grigio, con il cappuccio che le copriva il volto.

    Cosa la rendeva tanto felice?, si chiese.

    Quello era il sacrificio che imponeva la vita nella Marina. Non era libero di corteggiare una giovane donna dalla risata piena di allegria. Non avrebbe mai sposato una donna solo per lasciarla per il suo vero amore, il mare. Aveva visto ciò che succedeva quando un uomo di mare si sposava e trascorreva gran parte del tempo lontano dalla moglie.

    Era quello che avevano fatto anche i suoi genitori.

    Era passato molto tempo da quando aveva sofferto per l'assenza del padre. Lui stesso era in mare da oltre vent'anni, dall'età di dodici. Quella era la sua vita, e ciò che era venuto prima era solo un ricordo.

    Era ansioso di tornare in mare. La sua amata Foxfire era stata venduta per essere demolita, ora che la guerra era finita, e l'Ammiragliato gli aveva promesso una nuova nave. C'erano decine di capitani come lui, che reclamavano una nave, eppure Lucien si era guadagnato un posto in cima alla lista. Se non altro, considerò guardando dritto avanti a sé, con il vento così forte sarebbero potuti arrivare a Holyhead entro il pomeriggio del giorno successo, e lui sarebbe stato a Londra pochi giorni dopo.

    Studiò il cielo e aggrottò la fronte. La traversata si prospettava difficile, forse troppo. Probabilmente avrebbero potuto rimandare la partenza di un giorno, ma prima avesse raggiunto l'Inghilterra, meglio sarebbe stato.

    Tuttavia...

    Si avvicinò al capitano della nave. «Ci aspetta brutto tempo» osservò Lucien.

    L'altro, che l'aveva riconosciuto, era al corrente del fatto che Lucien fosse un capitano della Marina più volte decorato per le battaglie combattute nel Mediterraneo. «Come?» chiese, stupito che gli avesse rivolto la parola. «Oh. Brutto tempo, sì. Dovremo affrontarlo.»

    Lucien non aveva paura di far fronte a una tempesta, ma avrebbe preferito che il capitano si mostrasse più attento alle condizioni atmosferiche e a quanto accadeva sul ponte. Per esempio, che notasse la giovane con il mantello grigio, che era stata investita dagli spruzzi e barcollava leggermente.

    «Non sarebbe il caso di ordinare ai passeggeri di restare sotto coperta?» chiese in tono autoritario.

    «Mmh?» Il capitano non sembrava molto sveglio.

    «I passeggeri» sbottò Lucien indicando la giovane donna, «dovrebbero stare sotto.»

    «Oh?» L'altro inarcò le sopracciglia. «Naturalmente. Stavo per dare l'ordine.» Chiamò uno degli uomini. «Dite ai passeggeri di restare sotto coperta.»

    Lucien scosse il capo e si allontanò. Attraversò il ponte e, per abitudine, osservò i marinai che si preparavano alla tempesta. Esaminò le vele e le sartie. Sembrava tutto in ordine. Lanciò un'occhiata al capitano, che si teneva una mano sul petto e sembrava intento a studiarsi i bottoni della giacca.

    Lucien emise un sospiro di frustrazione. Meglio ritirarsi, prima di cominciare ad abbaiare ordini.

    Aprì il portello che conduceva alle scale e vide in fondo due donne, entrambe con un mantello grigio. Quale delle due era quella dalla risata che l'aveva colpito? Una aveva il viso nascosto, ma l'altra era una vera bellezza, vestita con abiti costosi. Avrebbe potuto dire qualcosa e sperare di scoprire quale delle due avesse quella risata deliziosa, ma era chiaro che le aveva interrotte. Si fecero da parte per farlo passare.

    Lucien proseguì con un cenno del capo, ma poi si voltò. «Voi signore dovreste rimanere in cabina. Il mare è molto mosso, ma non temete, un cameriere vi porterà il pasto.» Quindi si avviò verso la propria cabina.

    Claire Tilson aveva distolto in fretta il viso quando il gentiluomo alto, con i capelli scuri e le spalle larghe, aveva aperto il portello. Il suo cuore aveva già i battiti accelerati. L'incontro con quella gentildonna era già abbastanza insolito, e poi aveva visto l'uomo sul ponte, ed era rimasta colpita dai suoi occhi castano chiaro, vigili come quelli di una volpe.

    Cosa mi sta succedendo?, si chiese. Non era il caso che si fermasse a guardare gli uomini quando era appena fuggita dalla tenuta di campagna dove aveva fatto da istitutrice a tre bambine deliziose perché il loro padre aveva cercato di sedurla, praticamente sotto gli occhi della moglie.

    Si riscosse. Non doveva distrarsi. Lanciò uno sguardo in direzione della gentildonna che aveva incontrato poco prima. Era identica a lei. Gli stessi capelli castani, gli stessi occhi color nocciola, gli stessi lineamenti. Cosa si poteva dire a una sconosciuta che sembrava la sua gemella?

    Aveva detto di chiamarsi Lady Rebecca Pierce.

    Claire attese che il gentiluomo sparisse in una delle cabine in fondo al corridoio. «Credo che dovremmo fare come dice» dichiarò. Aprì una porta vicina. «Io sono arrivata.»

    In realtà avrebbe voluto dirle: Aspettate, parliamo. Come mai ci assomigliamo tanto? Di dove siete? Siamo forse parenti?

    Le sarebbe piaciuto scoprire di avere una famiglia.

    Tuttavia, dal momento che non poteva imporre la propria presenza a una signora, fece per entrare in cabina.

    Lady Rebecca la richiamò. «Mi piacerebbe parlare con voi. Mi sento un po' sola. La mia cameriera soffre il mal di mare, ed è rimasta nella sua cabina.»

    Claire abbassò lo sguardo. «Il mare non mi ha mai dato problemi. Penso di avere una costituzione forte, da questo punto di vista.»

    «Vorreste chiacchierare un po' con me?» chiese Lady Rebecca. «Forse c'è qualche spiegazione a questa strana coincidenza.»

    Claire guardò la sua cabina, perfetta per una semplice istitutrice, ma del tutto inadatta a una signora. «Vi inviterei volentieri, ma la mia cabina è molto piccola.»

    «Venite nella mia, allora. Saremo più comode.»

    Claire seguì Lady Rebecca nella sua cabina, che aveva un letto più grande del suo, un tavolo con delle sedie e un oblò che offriva la vista del mare. Come aveva detto il gentiluomo, era mosso, con onde increspate e schiuma bianca.

    Quando furono sedute al piccolo tavolo, Lady Rebecca le chiese: «Dove siete diretta, Miss Tilson?».

    Claire si aspettava che le rivolgesse la domanda più ovvia, quella che bruciava anche dentro di lei: Perché ci assomigliamo tanto?

    «Presso una famiglia del Lake District» rispose. «Devo prendermi cura di due bambine che hanno perso i genitori in un incidente e che adesso sono affidate allo zio, il nuovo Visconte Brookmore.»

    «Povere piccole!» esclamò Lady Rebecca in tono comprensivo.

    Sì. Le bambine erano sole al mondo. Claire sapeva come ci si sentiva, ma non voleva soffermarsi su pensieri cupi, ora che la sua vita era sul punto di migliorare. «E voi, Lady Rebecca, dove siete diretta?»

    «A Londra.»

    «Londra!» Claire sorrise. Una città piena di negozi, palazzi, teatri e piazze pittoresche. La Torre. L'abbazia di Westminster. Hyde Park. «Emozionante. Ci sono stata, una volta. Era così... piena di vita.»

    «Già.» Il tono di Lady Rebecca era quasi sprezzante.

    Claire la studiò. «Non sembrate entusiasta.»

    L'altra incrociò il suo sguardo. «Non lo sono. Vado lì per sposarmi.»

    Claire inarcò le sopracciglia. «Sposarvi?»

    Lady Rebecca agitò una mano. «Si tratta di un matrimonio combinato. Una decisione di mio fratello.»

    C'erano cose peggiori di un matrimonio combinato. «E voi non volete sposare quell'uomo?»

    «Per niente.» Lady Rebecca si raddrizzò sulla sedia. «Possiamo cambiare argomento, per favore?»

    Claire batté le palpebre, rendendosi conto di aver parlato a sproposito, come se fossero due pari. «Perdonatemi. Non intendevo essere indiscreta.»

    Lady Rebecca si strinse nelle spalle. «Forse vi racconterò tutta la storia, più avanti.» Protendendosi verso di lei, riprese: «Per il momento sono incredibilmente curiosa. Come mai ci assomigliamo tanto? Com'è possibile? Forse abbiamo qualche parentela in comune».

    Le stesse domande che si stava facendo Claire. Parlarono delle rispettive famiglie, ma non trovarono niente che le collegasse. Sarebbe stato ancor più sorprendente, se fossero state parenti. Lady Rebecca era figlia di un conte inglese la cui proprietà si trovava in Irlanda, e Claire era figlia di un vicario inglese che di rado lasciava la propria contea.

    Entrambe avevano studiato fuori di casa, anche se Lady Rebecca aveva frequentato una scuola progressista di Reading, mentre Claire era stata a Bristol, in una scuola che si rivolgeva a giovani come lei, che avrebbero dovuto lavorare per mantenersi. Era stato proprio grazie a quella scuola che aveva trovato il posto di istitutrice in Irlanda.

    Lady Rebecca sospirò, delusa. «Così non siamo imparentate...»

    «Eppure ci assomigliamo molto. Una coincidenza singolare.»

    Lady Rebecca si alzò e la invitò ad avvicinarsi a uno specchio alla parete.

    «Non siamo identiche» osservò Claire, quasi sollevata di trovare alcune differenze. «Guardate.»

    I due incisivi di Claire non erano prominenti come quelli di Lady Rebecca, le sopracciglia erano meno arcuate e gli occhi più ravvicinati. Tuttavia, le differenze erano così lievi da divenire trascurabili.

    «Nessuno se ne accorgerebbe, se non ci vedesse una accanto all'altra» ammise.

    «Quello che ci distingue sono i vestiti.» Lady Rebecca si girò verso di lei. «Se indossaste i miei abiti, scommetto che chiunque vi scambierebbe per me.»

    Claire ammirò l'abito da viaggio di vigogna con il bordo ricamato. «Non riesco a immaginare di indossare abiti così eleganti» replicò con un sospiro.

    «Allora dovete provarli.» Gli occhi di Lady Rebecca si illuminarono. «Scambiamoci gli abiti e fingiamo di essere l'altra per la durata del viaggio. Sarà divertente vedere se qualcuno se ne accorge.»

    Claire era inorridita. «I vostri abiti sono troppo belli per me! I miei sono modesti.»

    «Per l'appunto. Credo che le persone prestino più attenzione al vestire che ad altri tratti della personalità, e in ogni caso non ci trovo niente di male nell'indossare abiti semplici.»

    L'abito di Claire era decisamente semplice, in popeline marrone. Sfiorò la morbida lana di quello di Lady Rebecca. «Devo confessare che mi piacerebbe indossare un vestito come questo.»

    «Allora dovete farlo!» Lady Rebecca le voltò le spalle. «Slacciatemelo.»

    Si spogliarono aiutandosi a vicenda e si scambiarono i vestiti.

    «Acconciatemi i capelli come i vostri» la pregò Lady Rebecca.

    Claire glieli raccolse in un semplice nodo alla nuca, sentendosi inspiegabilmente triste al pensiero di renderla ordinaria come lei.

    «Lasciate che sistemi i vostri, ora.» Lady Rebecca le sciolse i capelli sulle spalle, li spazzolò e usò un po' di pomata per sistemarle i boccoli intorno al viso.

    Si guardarono di nuovo allo specchio e scoppiarono a ridere.

    In quel momento udirono bussare alla porta.

    Lady Rebecca sorrise. «Rispondete come se foste me.»

    «Non posso!» protestò Claire, inorridita.

    Lady Rebecca le diede una piccola spinta verso la porta. «Certo che potete!»

    Claire raddrizzò la schiena mentre l'altra tornava a sedersi al tavolo. Traendo un respiro profondo, aprì la porta.

    Un marinaio teneva in equilibrio un vassoio contro il rollio della nave. «Il vostro pranzo, milady.» L'aveva scambiata per Lady Rebecca!

    Claire ringraziò. Chissà se avrebbe scambiato Lady Rebecca per un'istitutrice?, si chiese. Indicandola con un cenno, disse: «Miss Tilson si trattiene un po' con me. Potete portare qui il suo pranzo?».

    «Certamente, milady.» Il marinaio entrò nella cabina e posò il vassoio sul tavolo proprio di fronte a Lady Rebecca. Poco dopo tornò con altri due vassoi. «La vostra cameriera, milady?»

    Claire guardò Lady Rebecca in cerca di una guida, ma lei fece finta di niente. Alla fine rispose: «La mia cameriera sta riposando. Potete lasciare qui anche il suo vassoio? Glielo porteremo noi».

    Il marinaio fece un inchino. «Molto bene, milady» obbedì posando entrambi i vassoi sul tavolo.

    Quando se ne andò, Claire si portò una mano al petto per calmare i battiti del cuore.

    «Avevo paura che notasse la somiglianza, quando ha lasciato i vassoi» commentò Lady Rebecca.

    «Un'istitutrice non è abbastanza importante da essere notata, milady.»

    Claire raggiunse Lady Rebecca al tavolo e continuarono a parlare mentre consumavano il pane, il formaggio e la birra che il marinaio aveva portato. Si sentiva rilassata, in compagnia di quella donna. Dimenticò la differenza di estrazione sociale e si sentì a proprio agio come se fossero sorelle.

    Anche Lady Rebecca sembrava provare la stessa confidenza. «Credo che dovremmo chiamarci per nome e darci del tu» propose. «Sembra sciocco essere formali con la propria immagine speculare.»

    Claire ne fu lusingata. «Se lo vuoi davvero... Rebecca. Allora io sono Claire.»

    «Claire!» ripeté l'altra sorridendo.

    Claire si sentì incoraggiata. «Ora che non siamo più in rapporti formali, vuoi dirmi perché non desideri sposarti?»

    Rebecca si fece seria. «Una donna rinuncia a tutto, sposandosi. A qualsiasi ricchezza o proprietà possieda. Al diritto di decidere da sola ciò che desidera fare.» Sollevò il mento. «Se devo rinunciare a tutto, vorrei che fosse per un uomo che mi ama e mi rispetta, non per uno che mi isolerà dal resto del mondo.»

    Erano sentimenti nobili. Ma la vita esaudiva di rado i desideri più profondi. «E il tuo promesso sposo...?»

    Rebecca fece una smorfia. «L'ho incontrato una sola volta. Tutto quello che gli interessava era che fossi in grado di dargli un erede.»

    «È naturale che desideri un erede, soprattutto se ha un titolo e dei possedimenti.» I gentiluomini, soprattutto se aristocratici, avevano bisogno di un erede.

    «Sì, è così.» Rebecca picchiettò sul boccale di peltro con l'unghia.

    «È abbastanza ricco da provvedere a te?»

    «Sì, a quanto pare. E dev'esserlo, perché è disposto a sposarmi con una misera dote.»

    Non sembrava certo il tipo da avere una misera dote, si disse Claire. «Vuoi dirmi chi è?» le chiese.

    Rebecca si strinse nelle spalle. «Il Barone Stonecroft di Gillford.»

    Ora Claire cominciava a capire. «Forse confidavi in un titolo più alto, visto che sei figlia di un conte.»

    «Non mi importa niente del titolo.»

    Che cos'altro poteva essere? «Ti è sembrato un uomo crudele, allora? È per questo che non ti piace?»

    Rebecca sospirò. «Non credo ci sia qualcosa che non vada, in lui. Semplicemente, non desidero sposarlo.»

    «Allora rifiuta.» Di certo una donna come lei poteva scegliere.

    L'altra roteò gli occhi. «Mio fratello... Il mio fratellastro sostiene che sono un peso troppo grosso, per lui, perché possa aspettare che io trovi un marito di mio gradimento. Finora ho rifiutato tutti quelli che mi ha proposto. Ha minacciato di lasciarmi senza un penny se non sposo Lord Stonecroft, e non dubito che lo farebbe.»

    Claire sapeva cosa significava non avere scelta e sentì stringersi il cuore per la compassione. «Che storia triste! Un fratello dovrebbe essere più comprensivo, non è così?»

    Rebecca la guardò, incuriosita. «Hai fratelli o sorelle? Qualche parente?»

    Claire sentì un nodo alla gola. «Sono sola al mondo. I pochi parenti che ho sono troppo lontani per preoccuparsi di me.»

    «I miei genitori sono morti» le confidò Rebecca. «E anche mio fratello è come se fosse morto. Ha detto che non vuole vedermi mai più.»

    La solitudine era un'altra cosa che avevano in comune. Erano entrambe orfane. Rebecca continuò dicendo che il padre era morto due anni prima, la madre da una decina d'anni. Se non altro lei l'aveva conosciuta, pensò Claire. Sua madre era morta dandola alla luce, suo padre era morto più di cinque anni prima.

    Rebecca, poi, aveva una possibilità che con tutta probabilità lei non avrebbe mai avuto: quella di fare un buon matrimonio. «Ritengo che tu sia fortunata a sposarti, Rebecca» commentò. «Da quanto ho capito, possiedi ben poco, quindi hai solo da guadagnare, con il matrimonio. Avrai una casa tutta tua, dei figli. Agi e sicurezza. Persino una posizione di rispetto in società.»

    Le sembrava una possibilità meravigliosa. Desiderava avere un uomo che l'amasse e che lei fosse libera di amare. Sospettava che avrebbe apprezzato anche i piaceri del letto coniugale, perché a volte, quando vedeva un uomo attraente, come quello che avevano incontrato in corridoio, si chiedeva come sarebbe stato, se l'avesse baciata o stretta tra le braccia.

    Tuttavia sembrava che attirasse solo le attenzioni degli uomini sbagliati. Quanto sarebbe stato più facile avere la sicurezza del matrimonio! Stava per dirlo a Lady Rebecca, ma vide che si era fatta triste, e cercò di confortarla. «Forse non sarà così terribile essere Lady Stonecroft.»

    Rebecca fece un sorriso educato. «Forse no.»

    Claire cambiò argomento per non metterla a disagio. Parlarono dei loro interessi, dei libri che avevano letto, di teatro e di musica. Di tanto in tanto Rebecca la mandava a controllare la sua cameriera, Nolan, e ogni volta la donna la scambiava per la padrona.

    Parlarono fino a tarda sera. Claire era contenta di aver trovato un'amica, ma notò che le palpebre di Rebecca si erano fatte pesanti e che, mentre parlavano, si sforzava di soffocare gli sbadigli.

    Sentendosi in colpa per aver approfittato così a lungo della sua compagnia, si alzò. «Dovrei tornare nella mia cabina per cercare di dormire un po'. Ti aiuterò a togliere il vestito, e tu mi aiuterai con questo.»

    Rebecca si alzò a sua volta e le voltò le spalle, in modo da potersi sfilare l'abito più modesto che avesse mai provato. Per Claire era stato un piacere indossare qualcosa di raffinato. Le gentildonne che acquistavano spesso abiti nuovi non si rendevano conto di come ci si sentisse a indossare sempre gli stessi, giorno dopo giorno.

    Mentre allentava i lacci del vestito, Rebecca si girò verso di lei. «Vediamo fino a che punto possiamo portare avanti questa messinscena. Stanotte dormirai nel mio letto, con la mia camicia da notte, e io continuerò a essere te.»

    Claire sbiancò in volto. «Non puoi dormire nella brandina striminzita che mi hanno assegnato!»

    «Perché no?» ribatté Rebecca. «Sarà una specie di avventura, per me. E tu avrai in cambio le comodità di questa cabina. Domattina, quando verrà Nolan, vedremo se ti scambierà ancora per me.» Tirò fuori dalla sua borsa una camicia da notte di finissima mussola. «Ecco.»

    Claire accarezzò il morbido tessuto. «Forse... Se è questo che vuoi.»

    «Sì, lo voglio» insistette

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