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Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa: il mdello marchigiano
Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa: il mdello marchigiano
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E-book220 pagine2 ore

Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa: il mdello marchigiano

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Il Patrimonium Beati Petri, agli inizi del secondo millennio, era una realtà territoriale piuttosto estesa ma il controllo pontificio era limitato al territorio romano, al Lazio meridionale e alla Sabina ove il potere reale era nelle mani di Episcopati, monasteri e stirpi signorili che, utilizzando vincoli vassallatici, godevano di amplissimi margini di autonomia e autogoverno. Potenti famiglie romane condizionavano persino i conclavi.
Il primo papa che tentò di ripristinare l'autorità pontificia, rilasciando le prime concessioni in feudum o beneficium dei beni della Chiesa, fu Onorio II. Come corrispettivo, otteneva dai beneficiari il giuramento di fedeltà, l'omaggio, l'impegno ad una serie di servitia che si diversificavano in base alle condizioni in cui era avvenuto il passaggio alla vassallità pontificia.
Le infeudazioni concesse avevano durata vitalizia, a due generazioni o perpetua ma i pontefici, quando avevano necessità di rientrare in possesso dei beni concessi anche con durata temporanea, furono costretti a organizzare vere e proprie spedizioni militari contro infeudati o terzi, ricorrendo persino alla scomunica. Questi, tra l'altro, esercitavano nel proprio territorio un’autorità sostanzialmente incondizionata che portò a un dualismo, anche legislativo, fra potere centrale e poteri periferici.
Innocenzo III indebolì le strutture feudali superando il rapporto pattizio e diarchico ma solo nel XIV secolo, un vicario apostolico, rientrato in possesso dell'intera Pentapoli, nel 1357, a Fano, sede dell'Assemblea Generale dello Stato della Chiesa, pose le basi giuridiche della costruzione statale trasformando il Patrimonium in 'Stato della Chiesa'.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2023
ISBN9791281053120
Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa: il mdello marchigiano

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    Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa - Felice Massaro

    Premessa

    Il Patrimonium Beati Petri, agli inizi del secondo millennio, era una realtà territoriale piuttosto estesa ma il controllo pontificio era limitato al territorio romano, al Lazio meridionale e alla Sabina ove il potere reale, persino in questi ambiti, era nelle mani di Episcopati, monasteri e stirpi signorili che, utilizzando vincoli vassallatici, godevano di amplissimi margini di autonomia e autogoverno.

    Potenti famiglie romane condizionavano financo i conclavi.  Onorio II, ad esempio, fu portato sul soglio pontificio dai Frangipane che avevano costretto alla sottomissione Celestino II, sostenuto dai Pierleoni. Il primo papa che tentò di ripristinare l'autorità pontificia, rilasciando le prime concessioni in feudum o beneficium dei beni della Chiesa, fu proprio Onorio II.

    Come corrispettivo, otteneva dai vassalli beneficiari il giuramento di fedeltà, l'omaggio, l'impegno ad una serie di servitia che si diversificavano in base alle condizioni in cui era avvenuto il passaggio alla vassallità pontificia. Il papa e i suoi inviati sarebbero stati accolti nei castelli tamquam dominos (come signori).  In alcuni casi era previsto anche un aiuto armato cum militibus et servientibus.

    Le prime concessioni di Onorio II del 1125 furono seguite da  altre con crescente ampiezza ma venivano anche praticati differenti negozi. Mediante lo scambio, il prestito o il pegno, il papa otteneva prestiti, acquisiva fortezze più importanti di quelle cedute in cambio, vincolava la controparte all'omaggio, alla fedeltà e al proprio servitium. La concessione di castelli in custodiam,  con l'assegnazione del compito di difesa, dava vita a rapporti di tipo funzionariale e amministrativo.

    Esterni alla vassallità pontificia rimasero i nobili laziali, le casate della Tuscia, del Ducato di Spoleto, delle altre zone passate per la prima volta sotto la sovranità della Chiesa.

    Le infeudazioni concesse avevano durata vitalizia, a due generazioni o perpetua ma i pontefici, quando avevano necessità di rientrare in possesso dei beni concessi, furono costretti a organizzare vere e proprie spedizioni militari contro infeudati o terzi. Ricorrevano persino alla scomunica quando non venivano restituiti nei termini pattuiti i debiti contratti in curia con banchieri romani1. In alcuni casi nominarono vicari con ampi poteri al fine di recuperare il possesso di intere regioni come si verificò nel caso della Marca Anconetana e nella Romagna.

    I sudditi diretti del papato esercitavano nel proprio territorio un'autorità sostanzialmente incondizionata che portò a un dualismo, anche legislativo, fra potere centrale e poteri periferici. Un assetto dualistico è inconcepibile in una comunità che possa definirsi Stato ove vengono prese decisioni sovrane da applicare all'intera comunità. Il vastissimo territorio pontificio, quindi, non era uno Stato ma un Patrimonium apostolicum con una iniziale idea feudale basata sulle fidelitas.

    Innocenzo III fece un passo in avanti superando il rapporto pattizio e diarchico con un sistema di governo unitario che prevedeva la presenza di un magistrato di esclusiva nomina papale al vertice di ogni realtà periferica.

    Solo nel XIV secolo, un vicario apostolico,  rientrato in possesso dell'intera Pentapoli, nel 1357, a Fano, sede dell'Assemblea generale dello Stato della Chiesa, pose una pietra miliare per la trasformazione del Patrimonium in Stato della Chiesa.

    Introduzione

    Il Patrimonium beati Petri, da Innocenzo III in poi, era distinto in terre mediate subiecte e terre immediate. La distinzione, costantemente attribuita dalla storiografia proprio al pontefice sostenitore della teocrazia, corrisponde a quella dell'ordinamento monarchico dell'Italia meridionale ove veniva distinto il territorio infeudato dal  territorio demaniale.

    Le terre mediate subiectae non dipendevano direttamente dal Papato ma erano infeudate a laici o vescovi o monasteri che amministravano direttamente anche la giustizia.

    Si trattava di territori sottoposti per via mediata, soggetti in primo luogo a una città, un signore, un abate, un vescovo che, sudditi diretti del papato, esercitavano un'autorità esclusiva sui contadini del villaggio o sugli abitanti del territorio rurale, monastico o sui residenti del contado comunale.

    Comprendevano le signorie ecclesiastiche, quelle enormi, ad esempio, degli arcivescovi di Ravenna, basate su donazioni imperiali, o quelle degli abati di Farfa.

    Negli epistolari dei predecessori di Innocenzo III, ma anche in una ventina di lettere dello stesso pontefice, sono innumerevoli le attestazioni di una dipendenza immediata dalla Sede apostolica di chiese e monasteri beneficiati dalla concessione della protezione pontificia. 

    Vi erano anche le enormi signorie delle grandi casate nobiliari romane: i Colonna, gli Orsini, i Savelli, i Gaetani, che riconoscono al dominio papale un esercizio solo formale.

    Le terrae immediate erano direttamente soggette alla Chiesa.

    L'ordinamento cittadino di Roma oscillava tra reggimento popolare e governo, diretto o indiretto, delle grandi famiglie dinastiche dell'agro romano. A Roma non vi era alcun concreto punto di forza che si opponesse alla sovranità del papa né era mai prevalsa una forza condizionante.

    Persino durante il periodo avignonese rappresentava un semplice problema ordinario che non richiedeva interventi speciali come per Viterbo, Orvieto, Forlì, Rimini, Ravenna e tanti altri centri della Marca Anconitana e della Romagna. Bisognava semplicemente fissare quelle regole che salvaguardassero la sovranità pontificia in un rapporto ordinario tra il papa e la città.

    Non c'è da meravigliarsi se si considera che i pontefici, fino ad allora e anche successivamente, avevano rilasciato alcune concessioni con lo scopo di  tutelare i cittadini romani e le loro attività economiche. Ad esempio, il giuramento di vassallaggio di Giacomo d'Aragona, in occasione della infeudazione di Corsica e Sardegna, obbligava il re, appena entrato in possesso delle isole, a liberare i prigionieri, presertim Romanos2 (innanzitutto i Romani).

    Solo dopo che il cardinale Albornoz, vicario apostolico, ebbe compiuto l'incarico di riconquistare e riordinare le Terrae Ecclesiae, trasformando il Patrimonium in Stato della Chiesa grazie a un ordinamento giuridico unitario approvato a Fano, Urbano VI cominciò a manifestare il suo segreto intento di trasferirsi a Roma e Albornoz, felicissimo, ne vide il corollario che completava la sua opera.

    GLI OSTACOLI ALLA VISIONE MODERNA DI STATO

    La concezione del potere papale nel linguaggio feudale

    Nella Curia pontificia era ben radicata la primitiva concezione del Patrimonium, basata sul concetto di Stato patrimoniale-feudale di cui jus e proprietas spettavano alla Santa Sede e al Papa.

    Nelle concessioni papali si ritrovano formule  come pertinere ad ius et proprietatem beati Petri, Patrimonium, Patrimonium Ecclesie, Patrimonium beati Petri, Patrimonium sancti Petri in Tuscia3, Terre, Terra Ecclesie, provincie et terre ecclesie. Nella stipula di concessioni provvisorie si usano le formule terre temporaliter subiecte o, per le persone, temporaliter nostre iurisdictioni subiecti.

    Si ricorreva a tali espressioni poiché la sovranità non veniva esercitata su un territorio considerato nella sua unicità ma su Terrae diverse e frammentate, unite solo dal vincolo maiestatico della sovranità pontificia intesa come proprietas ovvero come un diritto reale personale pieno ed esclusivo.

    La popolazione era formata da tanti populi e non da un populus che, come veniva inteso nel Trecento, era una collettività unitaria autonoma in grado di darsi liberamente  statuta senza subire limitazioni dalla sovrapposizione dell'ordinamento statuale.

    Astuti distingue gli ordinamenti giuridici in due categorie4 «...ordinamenti originari ovvero derivati» e definisce lo Stato «ordinamento giuridico originario o primario, cioè sovrano».

    ... L'organizzazione giuridica delle società storiche è caratterizzata, sia pure in gradi assai diversi, dalla esistenza di una pluralità di ordinamenti, aventi ciascuno i propri fini di conservazione e di ordine interno; l'ordinamento statuale, nel sovrapporsi ad essi, non li elimina e non ne distrugge l'autonomia, né diventa fonte esclusiva del diritto [...].

    Non a caso siamo soliti qualificare queste formazioni politiche,  usando al plurale le formule 'Stati', 'Stati della Chiesa': poiché si trattava precisamente di una pluralità di Stati e domini che, pur riuniti sotto il governo di uno stesso principe, conservano una loro individualità, sia per quanto concerne il territorio, sia riguardo allo status personale dei sudditi, sia, soprattutto nella organizzazione dei governi e delle giurisdizioni, ancora fondata in larga misura sulle preesistenti istituzioni locali, di regola mantenute e solo parzialmente modificate o integrate.

    Città e comunità, come le aristocrazie, esprimevano la loro subordinazione attraverso un giuramento di fedeltà vassallatica. Spesso cercavano un avvicinamento al papato, soprattutto in situazioni critiche, ad esempio quando Federico Barbarossa, resosi conto che i comuni, incassando le tasse, toglievano soldi allo Stato, volle rientrare in possesso dei poteri dell'Imperatore, compreso il diritto alla riscossione delle tasse.

    Passata la tempesta, pur godendo di ampi margini di autonomia, i comuni impedivano o limitavano l'autorità papale rivendicando, ad esempio, il diritto alla nomina del podestà. I numerosi contrasti, con gli inevitabili processi, multe o compromessi, evidenziavano la necessità di sostituire lo strumento feudale basato sul giuramento di fedeltà con una dottrina simile a  quella imperiale e monarchica, secondo cui ogni giurisdizione signorile derivava dal sovrano e veniva acquisita per feudum.

    Innocenzo III --- regimen et dominium plenum

    In pochissimi anni Innocenzo III aveva realizzato ingrandimenti territoriali impressionanti. Ottenne l'omaggio dal prefetto di Roma Pietro di Vico; i suoi inviati si fecero giurare fedeltà da tutte le città dell'Umbria, ad eccezione di Narni e Orvieto, e dai principali nobili; si mosse con grande decisione contro ogni rivendicazione imperiale.

    Nei riguardi dei comuni mostrò grande intelligenza politica: sfruttando abilmente i sentimenti antitedeschi dovuti alle angherie degli imperiali, enfatizzava i vantaggi che sarebbero derivati dal governo pontificio.

    Si recò in Umbria stipulando patti con i comuni; tra il 1201 e l'inizio dell'anno seguente ottenne il riconoscimento del potere pontificio nella Marca di Ancona. Con la promessa di Neuss, definita da alcuni «il certificato di  nascita dello Stato Pontificio»5, Ottone di Brunswick, rinunciando ad alcuni diritti in Italia, di altri vantati nei confronti di Roma e delle leghe comunali lombarde e toscane, ottenne dal pontefice il riconoscimento di Re di Germania e la promessa dell'incoronazione imperiale.  In cambio, riconobbe l'autorità pontificia sul territorio conquistato, su parte dell'Esarcato e della Romagna.

    Il Papato, quindi, cominciava a rendersi conto che, per amministrare tanti territori, in alcuni casi distanti gli uni dagli altri, ed esercitare liberamente il proprio ministero apostolico, era necessario concepire un particolare e unitario ordinamento giuridico con il quale poter difendere e realizzare la concretazione della libertas ecclesiae.

    La necessità di uno Stato della Chiesa per l'esistenza della libertas ecclesiae, misconosciuta, alcune volte repressa ove ci sono sovrani laici, era stata ravvisata da Innocenzo III, convinto che la Chiesa Romana avrebbe potuto  esercitare la  più ampia libertà solo nei luoghi ove avrebbe potuto esercitare piena potestà temporale e spirituale:

    nusquam melius ecclesiasticae consulitur libertati quam ubi Ecclesia Romana tam in temporalibus quam spiritualibus plenam obtinet potestatem6.

    Purtroppo Innocenzo III non aveva né poteva avere una visione moderna dello Stato. Si proponeva di imporre il potere assoluto (regimen et dominium plenum), sia spirituale che temporale (utriusque potestatis monarchia), non solo nella città di Roma ma anche in tutte le province delle terre appartenenti alla  Chiesa.

    Simili presupposti cozzano con la visione di uno Stato moderno. Ildebrando dei Conti di Segni era un abile politico, un acerrimo nemico delle eresie, un convinto teocratico.

    Era anche esperto nel manipolare le figure retoriche, soprattutto quelle che si riferivano alla proprietas e al dominium né si rendeva conto che tale manipolazione, semmai, avrebbe creato confusione, impedendo di poter seriamente delineare un ordinamento giuridico affidabile.

    La sua cancelleria abusava dei termini dominium, demanium, proprietas, patrimonium, o delle formule pertinere ad ius et proprietatem beati Petri. Vi ricorreva non solo per rivendicare l'esercizio di prerogative signorili o poteri di coordinamento e comando ma, ambiguamente, per riferirsi a diritti di proprietà che non gli spettavano.

    Con tale espediente retorico, inseriva nel Patrimonium beati Petri e, quindi, nello ius e nella proprietas della Chiesa,

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