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Adele
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E-book162 pagine1 ora

Adele

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Info su questo ebook

Enrico ha quarantatré anni e vive a casa con la madre, in attesa di un fatidico concorso. Lavora da casa, e molto. Tutti i ragazzi del quartiere lo temono e lo conoscono come un severissimo insegnante privato.

Ma adesso Enrico sta per aprire gli occhi. I suoi amici si sono sistemati e lui non fa altro che passeggiare da solo e arrabbiarsi con il mondo, in attesa che qualcosa possa cambiare.

Quando arriva la sua nuova studentessa Adele, Enrico ne è affascinato, fin quando si accorge che il suo interesse potrebbe andare oltre la poesia…

LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2023
ISBN9798223195634
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    Anteprima del libro

    Adele - Marzia Stella

    CAPITOLO 1

    «Informazione di servizio. Marco è atteso in cassa 4. Ripeto. Marco è atteso in cassa 4».

    Ancora un passo più vicino alla cassa. Tra un po’ forse potrà uscire fuori dal supermercato... L’aria condizionata accesa già a metà marzo lo sta facendo diventare pazzo.

    La confezione delle uova ondeggia pericolosamente sul bric del latte pastorizzato.

    Enrico allunga ad arte il mignolo per tenerlo fermo e poi abbassa lo sguardo sul cestino della spesa colmo fino all’orlo.

    Pane in cassetta, acqua minerale, frutta, prosciutto e sottaceti... Tutto è incastrato alla perfezione, non è rimasto neanche uno spazio per poter appoggiare le uova o il bric del latte.

    Enrico scuote la testa.

    «Non so perché in questo supermercato non si trovano mai i dannati carrelli. Ce ne sono così tanti, ma finiscono sempre subito. È la gente che li prende anche quando non è necessario. Non so perché lo fanno. Vogliono sempre accaparrarsi tutto, avere la meglio sugli altri anche con queste sciocchezze inutili. Ma cosa ci guadagnano? Non li capisco».

    Enrico si guarda attorno, attento a non far scivolare nessun prodotto dalle sue mani piene.

    «Se rompo le uova sono guai».

    Un uomo sulla sessantina spinge in avanti un carrello pieno di pasta e pollame.

    «Guarda quello...». Enrico scuote la testa pensando tra sé. «Lui avrebbe potuto usare benissimo un cestino. E invece ha preso un carrello. Non c’è da sorprendersi. In questa città ognuno pensa per sé. È anche per questo che tutto va in rovina da sempre, e non cambia mai niente. A nessuno importa».

    Più avanti, una donna, con dietro un bambino, fa la fila tenendo in mano una confezione di gelati. Enrico guarda l’uomo davanti a lei con un carrello pieno di prodotti vari restare tranquillo al suo posto.

    «L’avrebbe potuta far passare, no? Che cosa gli costa? Eppure, anche lui ha deciso di essere egoista».

    Enrico ritorna a guardare le uova che ha comprato. Non vuole più guardarsi intorno, non vuole perdere la pazienza. È sempre così. Ogni volta che va a fare la spesa, succede sempre qualcosa che finisce per fargli saltare i nervi e perdere le staffe.

    Enrico sbuffa sommessamente.

    «Ma cosa pretendo da questa gente? Questo modo di pensare, questa ignavia e questo individualismo non sono del tutto imputabili solo a loro. Non è colpa loro. Non è colpa della gente del quartiere. D’altronde, cosa ci si aspetta da gente così? Sono individualisti, frustrati, vittime di un sistema sbagliato. Per non parlare dei più poveri... quelli che vengono qui per lavorare come baby-sitter e badanti. Da anni nessuno si prende più cura della loro situazione e quindi devono pur pensare a loro stessi».

    Mentre si avvicina di qualche passo ancora alla cassa, gli occhi di Enrico ricadono sui pantaloni sdruciti e sporchi di vernice bianca dell’uomo che si trova davanti a lui nella fila.

    E poi sui suoi scarponi color militare, sporchi anch’essi di vernice bianca e di una spessa fanghiglia scura incollata alle suole.

    «Gente della classe operaia. Persone senza soldi, inconsapevoli, sfruttate da anni. Hanno tutti i motivi per essere arrabbiati con la vita, per essere sfiduciati, per non voler dare più retta a nessuno. La loro situazione è grave. E di certo non è colpa loro. È colpa dei politici, dei sindacati. È colpa degli intellettuali, delle persone che dovrebbero prendersi le loro responsabilità. Creare eventi, associazioni. Fare qualcosa nei quartieri più degradati. Invece no, si pensa solo ai ricchi. Perché loro possono offrire del denaro, sganciare monete sonanti. Ciascuno è egoista, ciascuno pensa solamente a sé stesso. E uno come me, cosa può fare per cambiare le cose?».

    Proprio tra le persone in fila nella cassa accanto, un bambino inizia a strillare a voce molto alta, piange, indica delle caramelle.

    La mamma smette per un momento di appoggiare i prodotti sul tappeto scorrevole della cassa.

    «Basta Mattia! Fai un po’ di silenzio! Mi fa male la testa!».

    Enrico fa schioccare la lingua e passa una mano sul taschino della sua camicia.

    «E dell’educazione delle prossime generazioni ne vogliamo parlare?». Fa qualche passo avanti e allunga la testa. Davanti a lui sono rimaste solo due persone. «Chi si occupa della crescita di questi ragazzi? Sono immersi sin dalla nascita in un contesto familiare difficile, falsato, viziato da mille pregiudizi. I genitori non hanno mai tempo per dedicarsi ai bambini. E nelle scuole? Ancora peggio. Tanti colleghi così ignoranti, così vili. Così interessati soltanto a portare a casa lo stipendio... ma vuoti di animo e di cultura. Molti, sono sicuro, non hanno mai nemmeno aperto un libro in vita loro. E come possono occuparsi delle future generazioni? È anche per questo che non cambierà mai niente in questa città. Sono circoli viziosi... Sono difficili da spezzare perché tendono a ricrearsi su più livelli della società. Ma io forse dovrei fare qualcosa? Forse. Cercherò di fare qualcosa nel mio piccolo. Anche se in fondo non è quello che faccio già tutti i giorni con il mio lavoro? Devo insistere, insistere ancora di più».

    Ormai rimane solo una persona prima che tocchi a Enrico. È un uomo tarchiato con una spesa composta da pochi prodotti. Mentre comincia a sistemare la sua spesa sul nastro della cassa, Enrico osserva la cassiera bionda dagli occhiali cerchiati d’oro passare in rassegna tutti i prodotti del signore.

    Ogni volta che li fa passare davanti a sé, si sente un bip deciso.

    «Sono venti euro e ottanta centesimi».

    L’uomo paga e sistema la sua spesa in un sacchetto.

    La cassiera, con gli occhi bassi, comincia a passare i prodotti che Enrico poggia di volta in volta davanti alla cassa.

    Il prosciutto, le uova, il latte scremato...

    «Sono quaranta euro e trentacinque centesimi».

    Enrico guarda immobile la cassiera.

    «Scusi, ma io come faccio adesso? Avrei voluto una busta...».

    La cassiera alza lo sguardo per la prima volta su Enrico. Poi prende due sacchetti e li batte.

    «Avrebbe dovuto dirmelo prima, signore. Adesso deve pagarli a parte».

    Enrico scuote la testa.

    «Be’, gliel’avrei detto prima se solo mi avesse chiesto se mi servisse un sacchetto oppure no. Ma lei non mi ha detto buongiorno, non mi ha neanche guardato in faccia».

    La cassiera alza le spalle.

    «Scusi, ho tanti clienti. Sono trenta centesimi».

    «Trenta centesimi per due sacchetti?».

    «Sì».

    Enrico sbuffa.

    «Ma davvero?».

    «È sempre stato così, dovrebbe saperlo. C’è scritto su tutti gli scontrini. Quindici centesimi a sacchetto. E adesso la prego di defluire. Sta creando la fila».

    Enrico si guarda indietro. Una decina di persone lo guarda accigliata, mentre lui alza lievemente il mento verso di loro.

    Sospira sommesso.

    «Meglio che non aggiunga altro».

    Uno per uno, infila tutti i prodotti dentro i sacchetti, dopo aver fatto tintinnare alcune monetine sul tavolo della cassiera.

    Prende i suoi sacchetti e fa per uscire dal supermercato.

    Ma poi si blocca.

    Si volta a guardare la cassiera che ha già cominciato a mettere i prodotti del cliente successivo sul lettore ottico della cassa.

    «Comunque le faccio notare che non mi ha neanche detto un arrivederci. Complimenti per i modi».

    La cassiera rimane ferma. Alza lo sguardo e scruta Enrico al di sopra dei suoi occhiali cerchiati in oro. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non fa in tempo.

    Dalla fila si alza una voce maschile.

    «Ma se ne vada! Ci ha fatto perdere già abbastanza tempo».

    E poi una femminile.

    «Guarda un po’ cosa mi tocca subire. Non bastano tutti i problemi della vita di tutti i giorni. Ci si mette anche questo tizio a rendere le cose più complicate».

    «Cara mia, cosa vuole? È così che passa il tempo la gente che non lavora».

    «Si vede che non ha niente di meglio a cui pensare».

    «No, non ha famiglia e non ha doveri da portare avanti».

    «E che cosa vuole ancora qui?».

    «Sì, perché non va via?».

    Enrico alza le spalle. Stringe ancora più forte i sacchetti con le mani e, con un solo passo in avanti, fa aprire la porta scorrevole del supermercato.

    Se ne va via, dimenticandosi all’istante di tutti i suoi buoni propositi.

    CAPITOLO 2

    La camicia bianca è madida di sudore. Ancora qualche passo ed Enrico arriva a casa.

    «Meno male. I manici di queste buste sono intollerabili. Ormai li fanno così sottili che praticamente tagliano la pelle dei polpastrelli. E come se non bastasse uno deve pure stare attento. Sono così fragili che sembrano rompersi da un momento all’altro».

    Enrico oltrepassa il cancello che, come al solito, rimane aperto. Si guarda attorno. Il pino marittimo è sempre al suo posto, tra il parcheggio delle macchine e le rose sempre più rinsecchite dal caldo.

    Enrico sbuffa.

    «Anche questa volta dovrò chiamare io l’amministratore di condominio. Non è possibile che non sia capace di gestire nemmeno le chiamate al giardiniere... E almeno fosse in grado di gestire la ripartizione delle spese di acqua e riscaldamenti! Macché! Non è buono neanche a quello».

    Enrico appoggia finalmente le buste della spesa su un gradino del portone di casa. Si sfrega forte le mani, cercando di

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