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Ri-nascere, sempre. Se non uccide fortifica
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E-book171 pagine2 ore

Ri-nascere, sempre. Se non uccide fortifica

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Info su questo ebook

Nella vita di Emanuela, ogni capitolo ha portato con sé sfide, cambiamenti e preziosi momenti di crescita.
Da una giovinezza vissuta tra l'affetto della famiglia e le avventure dell'infanzia, il suo cammino si è intrecciato con il coraggio di affrontare la diversità e la sfida nella costruzione della propria identità.
Dalle risate nell'infanzia trascorsa tra i giochi con gli amici, alle lacrime nascoste durante gli anni difficili delle scuole medie, Emanuela ha attraversato i sentieri tortuosi della crescita personale e delle sfide che la vita le ha riservato. La sua storia, raccontata in modo toccante e sincero, è una testimonianza di forza interiore, resilienza e della straordinaria capacità di trovare la luce anche nei momenti più bui.
Un viaggio attraverso le pagine di Ri-nascere, sempre porterà lettori e lettrici a esplorare i legami familiari, le amicizie profonde e i momenti di autentica gioia e dolore che hanno plasmato il cuore di Emanuela.
Attraverso la sua voce, scopriremo come la diversità possa essere una forza, come l'accettazione di sé possa condurre alla vera felicità e come la ricerca della propria identità possa essere un viaggio di scoperta e autenticità. In queste pagine, un ruolo fondamentale è anche ricoperto dalla musica, costante amica e alleata di Emanuela, che nelle parole delle sue canzoni del cuore ascolta le sue stesse emozioni e ritrova un conforto fraterno.
Preparatevi a immergervi in un racconto avvincente e ispiratore, dove il coraggio di essere sé stessi è la chiave per aprire porte verso un futuro ricco di speranza e di realizzazione.


Emanuela Gosti nasce a Roma il 25 aprile 1980. Fin dai primi istanti di vita, la sua esistenza è segnata da un costante sforzo di lotta contro le avversità, a partire dalla sua piccola disabilità. Già durante le scuole medie, Emanuela sperimenta la sofferenza derivata dagli atti di bullismo di cui è vittima e da una serie di perdite e rotture che l’hanno separata da persone per lei importanti. Oggi ha trovato lavoro presso il Comune di Roma. Vive nella Capitale con il compagno, Andrea, e i tre figli, Giada, Eros e Aurora.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2024
ISBN9791220150910
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    Ri-nascere, sempre. Se non uccide fortifica - Emanuela Gosti

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    Emanuela Gosti

    Ri-nascere, sempre

    Se non uccide fortifica

    © 2024 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-4798-9

    I edizione febbraio 2024

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2024

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Ri-nascere, sempre

    Se non uccide fortifica

    Il mio primo pensiero va senza dubbio ai miei tre figli, Giada, Eros e Aurora. A loro devo dire grazie perché con i loro sorrisi, i loro abbracci e il loro amore, mi hanno sempre salvata.

    Dedico questo libro a mia madre perché, come leggerete, anche se il nostro rapporto non è idilliaco, so che è in parte anche grazie a lei se oggi sono questo, una brava madre e una donna forte.

    Lo dedico ai miei angeli e soprattutto a nonna Enza. Grazie a lei ho imparato ad amare le piccole cose. Lo dedico a mio padre, il mio primo grande amore, da cui ho imparato che amare vuol dire donare gesti e parole a chi si ama.

    Lo dedico ad Andrea, che sa amarmi nonostante la vita abbia cambiato il mio modo di essere e di amare. Solo lui sa leggermi dentro davvero.

    Lo dedico a tutte le persone che mi hanno ferita con gesti e parole, perché forse proprio loro più di tutti gli altri mi hanno resa invincibile, e scusatemi se per questo non so odiarvi.

    A tutti i cantanti, da Eros a Ultimo, passando per Laura e Tiziano, che negli anni mi hanno accompagnata e continuano a farlo. Grazie a loro non mi sono sentita sola e in qualche modo mi hanno detto che potevo farcela.

    A Giulia, che mi è stata vicina con dedizione e pazienza nella stesura di questo libro. Non finirò mai di ringraziarti.

    Ed infine a me, e a chi come me si è sentito troppo spesso messo da parte, additato e umiliato solo per piccoli o grandi difetti di fabbrica come il mio. Siamo i veri vincitori, perché solo noi sappiamo ripartire da zero, sempre.

    Capitolo primo

    Quel 25 aprile del 1980 e la mia infanzia

    Passo dopo passo capirai

    Emozione dopo emozione

    Emozione dopo emozione, Eros Ramazzotti

    Sono nata io

    Era il 25 aprile del 1980. Una corsa in ospedale. Mia madre e mio padre erano pronti a vedere per la prima volta la loro bambina. Ed io nacqui, in maniera differente.

    Nella clinica, l’assenza di un’anestetista disponibile per un cesareo rese il mio ingresso nel mondo un’esperienza fuori dall’ordinario. Fui tirata fuori da mia madre e il mio braccio destro subì quindi lesioni ai nervi, ai muscoli e ai tendini. Una sfortuna, potremmo dire, che avrebbe però potuto essere una tragedia, ma che invece è divenuta fonte della mia forza interiore. Non so quando e come questa sfortuna si sia trasformata in una benedizione, ma giorno dopo giorno continua a insegnarmi lezioni preziose.

    Mia madre e mio padre sono i primi protagonisti di questa storia. Mamma si chiama Concetta, ma tutti la chiamano Tina. Ha da sempre fatto la parrucchiera e il suo lavoro è la sua più grande passione, insieme con i suoi capelli lunghi, i quali, in modo inspiegabile, diventarono da lisci a riccissimi dopo le due gravidanze. Mamma è forse la persona con cui ho un rapporto più complesso, ma non per questo meno profondo. Non l’ho mai vista piangere, ma so benissimo che è una persona molto emotiva. Non esprime nulla a parole, ma nei suoi occhi si legge chiaramente molto dolore. È da sempre stata una persona capace di prendere in mano la sua vita e di fare in modo che a me e a mio fratello non mancasse nulla. Si sposò a 19 anni con mio padre e, dopo un aborto spontaneo, rimase incinta di me, che prima di nascere ero troppo grande per il suo corpo così minuto. Così, si presentarono, uno dopo l’altro, dei problemi che resero il suo parto particolarmente complesso. La mia mole, ma anche la quasi totale assenza di liquido amniotico e l’impossibilità in quel momento di operare un cesareo.

    Così nacqui e tutto per i miei genitori cambiò. Innanzitutto perché, sulla base delle ecografie fatte a mia madre, avrei dovuto essere maschio. Ricordo ancora le battute a tavola con i miei nonni, quando la mia famiglia ricordava che il primo regalo che mi fecero furono dei soldatini. La mia nascita non rivoluzionò tutto quello che i miei genitori si erano prospettati solo per il mio sesso diverso da quello che si aspettavano, ma anche perché, da appena nata, dovetti iniziare a fare fisioterapia ogni giorno.

    Mamma era sempre lì: più passava il tempo, più i neurofisiatri le dicevano che le mie possibilità di recupero erano poche. Mamma si ricorda ancora tutti quei pianti disperati che era costretta a sentire, inerme di fronte a sua figlia che soffriva per le manovre della terapia fisioterapica. Dopo il primo anno di vita iniziai ad andare a fisioterapia tre volte a settimana che, lentamente, sono diventate due.

    Nonno Vito e nonna Enza

    La mia venuta al mondo non solo cambiò la vita dei miei genitori, ma portò una ventata di novità anche nella vita dei genitori di mia madre. I miei nonni, Enza e Vito, non avevano altri nipoti e io ero la loro piccola cocca, il raggio di luce che illuminava le giornate tranquille nel loro angolo di mondo. La loro storia, iniziata in un paesino della Calabria e proseguita a Roma per il lavoro di nonno Vito come giardiniere al Policlinico, si intrecciò in modo indissolubile con la mia. Quando mamma aveva pochi mesi, si erano spostati nella Capitale, dapprima nella zona di Villa Gordiani e, successivamente, a San Basilio.

    Nonno Vito, alto e possente, con mani grandi da cui ricevevo infinite carezze, portava con sé un silenzio che sembrava essere la sua lingua segreta. La sua presenza era costante nella mia vita, fisica e avvolgente, anche se la sua voce era riservata, forse permeata da una sorta di vergogna per la sua mancanza di istruzione. Proveniente da una famiglia numerosa del sud, non aveva imparato a leggere e scrivere, ma il suo cuore sapeva parlare attraverso il lavoro onesto e l’amore silenzioso per la sua famiglia.

    Nonna Enza, al contrario, aveva avuto l’opportunità di studiare. Se nonno parlava solo quando strettamente necessario, lei riempiva gli spazi con il suono melodioso della sua voce. Per me, nonna era un universo di affetto, con i suoi abbracci che riscaldavano il cuore e gli aneddoti che rendevano le giornate speciali. Ella amava insegnarmi a fare tutto, coinvolgendomi nelle attività quotidiane. Ricordo ancora il suo profumo mentre indossavo la parannanza per imparare a cucinare i piatti che preparava con tanto amore. Le lezioni culinarie iniziarono con gli gnocchi, un rituale che diventò simbolo della mia infanzia. Le scorpacciate di gnocchi con nonna al mio fianco sono ricordi indelebili che popolano il mio passato.

    I soldi a casa dei miei nonni erano pochi e quindi, a insaputa di nonno, nonna andava a lavorare a casa delle persone. Lo faceva con estremo piacere, tanto che più volte mi è venuto il dubbio che lo facesse semplicemente perché si affezionava alle persone. Era estremamente facile volerle bene e il sentimento era decisamente ricambiato da parte sua.

    Nonna Enza non conosceva la parola no, soprattutto nei miei confronti. Il suo amore era un fiume inesauribile, e il reciproco affetto che condividevamo era il collante che teneva unita la nostra famiglia, un rifugio sicuro in cui imparai a navigare le acque della vita con amore e gratitudine.

    Papà Antonio

    La mia infanzia fu caratterizzata da una tranquillità apparentemente innata. Mamma ama ripetere che, da piccola, dove mi posizionavano, lì restavo. E anche se qualche volta osai disobbedire, facendo qualcosa di diverso da ciò che mi era stato chiesto, nessuno sollevava la voce per rimproverarmi. Ero avvolta da un amore e da attenzioni che provenivano da ogni membro della mia famiglia, creando un rifugio di serenità intorno a me. Forse l’unica volta in cui papà si arrabbiò con me fu quando mi ero rifiutata di mangiare la cena. Avevo allontanato il piatto da davanti a me e papà si arrabbiò tantissimo. Ricordo vividamente la sua espressione, l’intensità della sua reazione così tanto fuori dall’ordinario che mi trovai a piangere per tutta la serata. Non ricordo un’altra situazione in cui papà non fu complice con me.

    Il legame profondo con mio padre, Antonio, si radicò in me sin dai primi istanti della mia infanzia, un filo invisibile che univa i nostri cuori in maniera inestirpabile. Ancora troppo piccola per afferrare appieno la complessità delle emozioni, la forza di quel legame si manifestò nei modi più teneri e inaspettati. Il ricordo più nitido risale ai giorni in cui i miei primi passi divennero una piccola corsa diretta verso di lui. Abbandonai le salde mani di nonna, lasciando che la sua affettuosa guida si trasformasse in un passo incerto e titubante verso il mio amato papà. Seguii infatti mamma che andava verso la sua camera di ospedale - papà si era fatto molto male cadendo dalla bicicletta – urlando: «Papà! Voglio papà!».

    La figura di papà si stagliava distintamente nella mia vita, resa ancor più riconoscibile dalla sua barba, lunga e folta. Avrei probabilmente faticato a riconoscerlo se lo avessi visto senza. È forse stata una delle persone che più hanno contribuito alla mia crescita personale e, ora che non è più con me, spesso mi ritrovo a pensare a cosa avrebbe consigliato in alcuni momenti chiave della mia vita. La sua saggezza, impreziosita dalla lunga barba che incorniciava il suo volto, aveva la capacità di dissipare i dubbi e di indicare la strada giusta. La sua mancanza ha lasciato un vuoto che non può essere colmato, ma la sua eredità di insegnamenti continua a guidarmi.

    Anche se fisicamente non è più con me, la sua presenza si fa sentire in modi sottili ma tangibili. È come se la sua saggezza continuasse a fluttuare nell’aria, come se ogni decisione importante fosse preceduta da un sussurro di consiglio da parte sua. La sua influenza è una costante nella mia vita, e il legame che ci unisce sembra superare il limite tra il tangibile e l’invisibile. In qualche modo lui è ancora vicino a me, lo posso sentire, come io sono ancora molto legata a lui.

    Lo ero quando iniziai a camminare per andarlo ad abbracciare a due anni, ma lo ero ancora di più quando, in un’altra triste occasione, mamma mi chiese addirittura di stargli vicino. A causa di un problema legale, io allora lo ritenevo un problema da grandi, a papà venne tolto un terreno a cui lui tanto teneva e per il cui acquisto aveva lavorato sodo, sacrificando anche il tanto desiderato negozio da parrucchiera di mamma. Papà subì un forte crollo emotivo a causa della sua perdita, che lo fece sentire inadeguato e gli fece provare una indomabile sensazione di fallimento. Un po’ per le preoccupazioni di mamma, e un po’ perché io stessa avevo visto papà stare così male, io iniziai a stare con lui sempre, il più che mi era possibile. Mi chiamavano l’ombra di Antonio.

    Anche se il peso di quella situazione fu grande, il legame tra me e papà si rafforzò ulteriormente. La sua forza nel confrontare le avversità divenne una fonte d’ispirazione, una lezione preziosa che ha plasmato il mio carattere. Anche ora, l’ombra di Antonio continua a vivere in me, un tributo silenzioso all’uomo che mi insegnò a essere forte anche quando le tempeste della vita si scatenano.

    Nonna Maria e nonno Vittorio

    Se nella famiglia di mamma ero l’unica nipote prima che nascesse mio fratello, in quella di papà avevo tantissimi cugini. Nonna Maria e nonno Vittorio avevano infatti avuto 5 figli maschi, con quindi altrettante nuore e una media di due figli a testa (forse anche qualcosa in più). Nonna Maria era chiamata, per la sua corporatura, la Sora Lella dei poveri. Mi ricordo limpidamente le uova di Pasqua enormi che vinceva e che regalava a tutti noi nipoti.

    Nonostante la sua tarda età e i problemi di diabete che rendevano le sue gambe doloranti e visibilmente rovinate, il mio affetto per nonna Maria non conosceva limiti. Le sue coccole e le sue carezze erano un rifugio sicuro per me, e non esitavo a cercare il suo affetto. Ero l’unica tra i nipoti che non si faceva impressionare dalla sua corporatura imponente, salendole in braccio quando si sedeva. Spesso, mi abbandonavo a lunghi pisolini in quel santuario di affetto, un angolo speciale dove il tempo sembrava fermarsi. Mamma racconta di un episodio memorabile, quando rimasi addirittura a dormire acciambellata sopra nonna per oltre tre ore. La sua dolcezza e la sua pazienza resero possibile questo tenero momento, anche se, alla fine, nonna, esausta ma compiaciuta, non riusciva più a tenermi tra le braccia. Quel ricordo è come una scena di un antico dipinto, un’immagine incantata di affetto e connessione familiare.

    Nonno Vittorio era un personaggio singolare. Si diceva che avesse molteplici tresche con altre donne e quando usciva diceva

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