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Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree
Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree
Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree
E-book235 pagine2 ore

Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree

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Chiedi chi erano i Porcupine Tree... Ecco una prima risposta alla domanda: finalmente in un libro la storia di una band leggendaria che ha saputo creare, in barba a qualche detrattore, un sound unico che ha influenzato il rock psichedelico e progressivo degli ultimi venticinque anni. Un’avventura iniziata fra le mura di uno studio a Hemel Hempstead che li ha portati a diventare oggetto di culto tra i propri fan sino alle platee sold out del Radio City Music Hall a New York e della Royal Albert Hall a Londra.
Ma questo libro è anche una piccola guida all’ascolto dei loro dischi. E il racconto genuino dei loro live da parte di chi c’era, li ha visti, vissuti e conosciuti, il ricordo di notti favolose in locali che magari non esistono più. Insomma, è il culto dell’Albero Porcospino.
... Ma chi erano veramente i Porcupine Tree?
“Ricordo il conto alla rovescia sul sito ufficiale dei Porcupine Tree. Giorni, ore, minuti e secondi che mancavano all’uscita di The Incident.
Vertiginose, si susseguivano le immagini: la copertina, con quel palmo di mano aperto, a proteggere un viso sfuocato che sembrava davvero provenire da un’altra dimensione, visioni inquietanti di figure senza volto, disegni scarabocchiati, dimore spettrali, cieli minacciosi, dettagli di automobili…
Cazzo, eravamo tutti gasatissimi!”
LinguaItaliano
Data di uscita24 set 2020
ISBN9791280133229
Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree

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    Anteprima del libro

    Il Culto dell’Albero Porcospino. Storia, Sproloqui e Ricordi dei Porcupine Tree - Enrico Rocci

    1

    INTRO/UN PIANETA DI NOME BARRUMBA

    Un libro sui Porcupine Tree? Oh, dico: ci sei o ci fai?

    Non l’hanno (sinora) scritto fior fior di critici, giornalisti, musicisti o perlomeno fanatici… insomma, gente che sa come trattare una materia tanto fragile, delicata, quanto potente, esplosiva… e ti ci metti tu?

    Sì, vabbè… ma sta di fatto che, se vai a cercarlo, un libro sui Porcupine Tree non c’è.

    Sinora, ripeto; poiché, visti i miei tempi di produzione e un’aura sciaguratamente profetica che mi perseguita, è probabile che questo mio tentativo servirà, almeno, a sbloccare l’incresciosa situazione.

    Anni fa, infatti, scrissi un romanzo che per protagonisti aveva anche i Porcospini stessi, in persona. La chiosa fu un augurio di lunga vita alla band… in effetti non accompagnato da alcun gesto apotropaico. Era il 2009. The Incident era appena uscito. E poi… ancora un solo anno di concerti, con l’ultima leggendaria data alla Royal Albert Hall, 14 ottobre 2010. Appunto, l’ultima. Sapete come è andata.

    È che mi sono stancato di rivolgere la stessa domanda ai ragazzi della Tsunami per ricevere la solita risposta frustrante. Sto parlando del Salone del Libro di Torino, che i milanesi – quelli che "ammazzano al sabato" – hanno provato invano a scippare. Invano, perché a volte la tradizione e la realtà (che è poi fatta di persone pensanti) riesce a vincere sulle cosiddette regole del mercato e sulle piratesche iniziative dei mercanti.

    Stop, fine dell’orgoglio torinese e nulla contro Milano, ovvio. Non è campanilismo, il Male è altrove.

    E poi ci sono i concerti. Vai a vedere Steven Wilson, il che ormai significa sederti comodamente a teatro sganciando un bel po’ de euri, e ci trovi gente come te, coi pochi capelli rimasti e l’eventuale barba bianca, nonché tanti giovani entusiasti… oh, non dimentichiamo le quote rosa: sempre più ragazze, donne, forse coinvolte da qualche svolta pop e dallo spettacolo multimediale, anche se noti quelle che sono lì per la passione smodata del fidanzato e tradiscono pure un discreto scazzo.

    Ma torniamo a questa bella gioventù che ama i concerti, gli spettacoli e che sei contento d’incrociare. Vero, non puoi fare a meno d’invidiarli schifosamente perché, alla loro età, col cavolo che ti potevi permettere certi eventi; e specialmente quell’età non c’è più. Ma poi ti risollevi, perché ascolti i loro rimpianti.

    Perché loro, i Porcupine Tree non li hanno mai visti.

    Adorano i vecchi brani che Steven propone sempre più generosamente negli show, ciondolano i testoni mentre li esegue, ma finisce lì.

    E tu, invece, c’eri. Non una ma dieci volte. Quasi ne hai perso il conto.

    E con te Barbara. E Gianni, Johnny e Nicola (i tre giganti indivisibili, e messi per ordine alfabetico, che ogni vero fan conosce), e Fernanda, Evaristo e tanti altri…

    Tutti imbarcati in questo viaggio.

    Non è Voyage 34, assomiglia piuttosto a una sgangherata deriva cosmica… per pianeti e satelliti ci sono piccoli e grandi locali, che magari non esistono più ma hanno fatto la storia del rock e dell’underground in Italia.

    Babylonia, Barrumba, Tenax, Binario Zero, Leoncavallo, Magic Bus, Estragon, Thunder Road, Transilvania, Rolling Stone, Alcatraz…

    È il culto dell’Albero Porcospino.

    Anche attraverso le parole, i ricordi dei suoi adepti.

    2

    ISTRUZIONI PER L’USO/LIBRI DA CESSO

    Aprite a caso un numero di Prog o Classic Rock, versione italiana o meno: è molto probabile che ci troverete un articolo, un trafiletto o almeno una foto con didascalia che riguarda Steven Wilson.

    Professor Prog, Prog genius e via dicendo.

    Steven è diventato colui che ha traghettato il progressive dagli anni Settanta ai giorni nostri, che nella sua attività instancabile – anche di produttore e ingegnere del suono – ha curato la rimasterizzazione di capolavori di King Crimson, Jethro Tull e Caravan.

    Ecco, è questa attenzione prog che mi spaventa.

    Perché il fan del prog, non me ne vogliate, è in genere un po’ menoso, quanto lo è talora la musica che ascolta.

    Un po’… talora… cazzo, sii più diretto, fregatene. Di’ chiaramente che a te… no, non potrei... è che il prog piace anche a me, davvero… tranne quando si esagera in pomposi barocchismi o esibizioni esclusivamente virtuose.

    Però… però prendete come esempio il libro Genesis - Gli anni Prog, scritto da un critico musicale¹ di lunga esperienza e fondatore "dell’unica rivista cartacea al mondo dedicata ai Genesis"². Non so se mi spiego.

    La narrazione è scandita da capitoli saturi di maniacale precisione, ricca iconografia, interviste rigorose ai protagonisti, recensioni dei dischi ed elenco dettagliato di tutte le date live. Tutte! E notizie su notizie… così puoi sapere se Steve Hackett quella sera portava le lenti a contatto o i fondi di bottiglia alla ragionier Filini, come era agghindato Peter o come andò quell’intervista alla TV belga. Per non parlare delle scalette, ovviamente.

    Il fan del progressive gode del nozionismo, del dettaglio. E magari ancora non gli basta.

    Bene.

    Scordatevi tutto questo. Cioè… qui troverete un mucchio di nozioni, anche curiosità, persino un tentativo di offrire una piccola guida all’ascolto. Inevitabilmente. Forse sarà roba che già conoscete, trita e ritrita, ma – ammesso che esistano – devo immaginare dei lettori almeno un po’ eterogenei.

    Tutto sarà però in bilico fra divagazioni, qualche intervento dei fan, di personaggi che c’erano. Ma sì, certo, la parola anche agli stessi Porcupine; altrimenti che storia sarebbe?

    Dunque il rischio dell’autoindulgenza, del cazzeggio, è dietro l’angolo.

    Quando ci cadrò, saprete come punirmi e andare oltre, o in alternativa potrete mollarmi da qualche parte. Ed ecco che scatta il suggerimento.

    Libri da cesso, li chiamo.

    Si possono tenere su un ripiano accanto al water. Spesso vicino c’è un termosifone, e così quando li afferri magari sono tiepidi, con la carta un po’ ondulata. Li si consulta per tempi variabili da persona a persona. Fondamentale che i capitoli siano brevi, agili, e che sia presente qualche foto.

    Clive Barker, i suoi, li chiamava libri di sangue. Indubbiamente peggio.

    Ehi, e Frankie hi-nrg mc dove lo mettiamo?

    Giusto, anche lui ha scritto un brano con quel titolo. Libri di sangue, beninteso.

    Ecco. Psichedelia, ambient, progressive, metal, pop, techno, kraut, persino un po’ di jazz e classica. Tutto converge nella musica dei Porcupine Tree.

    Manca solo il rap.

    N.d.A. Coma Divine, l’indispensabile sito italiano ufficiale dei Porcupine Tree curato da Evaristo, contiene l’elenco con data (e spesso setlist) di tutti i concerti dei Porcospini.

    Se è questo che volete, cliccate, visitate, ingozzatevi di dati (e date).

    E andate a cagare. Così magari può iniziare la lettura…

    1 - Mario Giammetti.

    2 - Dusk.

    3

    IN PRINCIPIO ERA STEVEN/THE START OF SOMETHING BEAUTIFUL

    3 novembre 1967.

    Steven Wilson nasce quel giorno a Kingston-upon-Thames, un borgo periferico di Londra.

    Chi frequenta Coma Divine sa dei puntuali auguri di buon compleanno (Evari’, ’a paraculo!).

    Il 1967, tanto per ricordare, è quando uscirono il primo album dei Doors (e Strange Days, il secondo), Surrealistic Pillow, Are You Experienced?, Sgt. Pepper... nonché The Piper at the Gates of Dawn e Forever Changes dei Love… quando Jimi raddoppiò con Axis: Bold As Love e gli Stones frequentarono pure loro meandri lisergici con Their Satanic Majesties Request… e quanti ancora ne sto dimenticando.

    Elenco rigorosamente cronologico: non si sa mai, trattandosi di mostri sacri.

    È anche l’anno di happening come il 14 Hour Technicolor Dream, in piena swinging London, e il Monterey Pop Festival.

    Insomma, c’è qualcosa di premonitore in questa nascita; ed è Steven stesso a sottolinearlo, nel testo di Time Flies³:

    I was born in ’67

    The year of Seargent Pepper and Are You Experienced?

    It was a suburb of heaven…

    (Sono nato nel ’67/L’anno di Seargent Pepper e Are You Experienced?/Era un sobborgo del paradiso…)

    Il tempo comunque volava già allora se pensate che proprio a novembre di quell’anno, solo pochi mesi dopo l’uscita di Piper, i Pink Floyd stavano per dire addio – non senza sofferenza – all’angelo psichedelico Syd, in volo verso differenti luoghi della mente.

    Ma noi ci dedichiamo a un altro, di angelo. Anzi, un angioletto.

    Nel booklet di Arcadia Son degli I.E.M. (Incredible Expanding Mindfuck, uno dei vari progetti del prolifico Wilson) c’è la foto in bianco e nero di uno Stefanino piccolo piccolo: musetto da paperotto disneyano, tutina bianca, frangetta bionda e occhi chiari, già infossati, che fissano l’obiettivo. Serio, tenero e… perfino inquietante.

    Steven cresce a Hemel Hempstead, cittadina della cintura londinese dove finirà per registrare la maggior parte dei brani nei suoi mitici No Man’s Land Studios.

    Mamma e papà cercano d’invogliarlo a suonare la chitarra, ma lui all’inizio non ne vuole sapere. Già caparbio – e fondamentalmente bambino – preferisce divertirsi trafficando con microfoni e magnetofoni. Sarà proprio il padre, ingegnere elettronico e appassionato del suono, ad assecondare più tardi questo suo interesse costruendogli la prima rudimentale attrezzatura. Si tratta di un vocoder, un sequencer e di un registratore a quattro piste, che diverrà leggendario nonché indispensabile per la sua crescita artistica. Leggendario… era infatti sprovvisto delle testine per cancellare: Steven – come ricorda in più di un’intervista – incideva le varie parti musicali sovrapponendole e poi mixava; però, ogni volta che sbagliava qualcosa, era costretto a rifare tutto da capo. Bello, eh?

    Torniamo intanto a quel piccoletto che cresce, ascolta e assorbe un sacco di note.

    A otto anni viene stregato da The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e Love to Love You Baby di Donna Summer. In un’intervista rilasciata nel 1996 alla fanzine Voyage 35 indicherà questi due album come responsabili dei suoi futuri orientamenti: il rock sperimentale dei Porcupine Tree e quello groove trance, territorio dei No-Man.

    È verso gli undici anni che comincia la sua attività di musicista in erba. Sul principio sono esperimenti sonori con la chitarra d’infanzia e questo armamentario fatto di magnetofoni casalinghi e gingilli elettronici; poi, con gradualità, l’approccio alla sei corde diventa più serio e si appassiona anche alla tastiera. Steven è autodidatta, dichiarerà di non saper leggere la musica e di non essere mai stato interessato ai passaggi più convenzionali, come impararsi tutta Starway to Heaven. Gli piace la ricerca del suono, piuttosto.

    E così, un Wilson quindicenne è già in grado di dar vita a due veri progetti.

    Il primo, gli Altamont, lo crea insieme a un tal Simon Vockings. I due suonano prevalentemente sintetizzatori, producendo sonorità ambient influenzate da Tangerine Dream e Klaus Schulze.

    Nel 1983 realizzano una cassetta: Prayer for the Soul. È musica elettronica, principalmente strumentale, ma contiene anche passaggi in cui Steven canta con voce acerba, magari filtrata dal vocoder, e suona chitarra e basso.

    I testi sono di Alan Duffy, un ragazzo con una decina d’anni in più conosciuto tramite annunci su riviste musicali. Un altro impallinato di psichedelia e addentro nella produzione e distribuzione di nastri estremamente alternativi. Ne riparleremo fra poco.

    Nel 2002, invece, uscirà su Headphone Dust, l’etichetta di casa Wilson, una tiratura limitata di 300 vinili colorati che testimoniano queste registrazioni con sintetizzatori analogici primitivi ed effetti eco casalinghi. Nell’occasione il nostro dirà di "essersi sentito come un pittore che vede appesi i suoi primi disegni da bambino".

    Più interessante appare il secondo gruppo che fonda, sempre nel 1982: i Karma. Anche per via di alcune perle che verranno portate in dote nei futuri Porcupine Tree.

    È un quartetto che si ispira alla scena neoprog e pubblica due cassette, la prima nel 1983…

    Oh, dico, ma non provate un po’ di nostalgia? Allora si andava di cassette; tipo quelle che ci si sparava nell’autoradio: in genere compilation toste con un bel crescendo da strada. Ed eri fortunato se, nell’estrarre la tua cassettina arroventata, non usciva il nastro…

    Sospiro. Vabbè, ho capito, ritorno al freddo racconto; sperando di non sforare in elenchi e dettagli troppo zelanti, alla Fazio (quello di Montalbano).

    Dunque, nella prima, The Joke’s on You – un titolo che si riascolterà qualche anno dopo – si trovano una lunga versione di Nine Cats e una embrionale di Small Fish.

    The Last Man to Laugh, la seconda cassetta, realizzata nel 1985, contiene due brani lunghi e un po’ indigesti: i testi li scrive Steven, mentre in The Joke’s il paroliere era ancora Duffy.

    A rieccolo… Dunque, Duffy Alan, nato a…

    Fazio, per favore!

    Ok. Questo Alan è anche fondatore di un’etichetta discograf… pardon, di cassette, la Acid Tapes, che permette a piccole band underground di pubblicare le loro opere e diffonderle nelle comunità freak. E così è stato per i primi due gruppi wilsoniani.

    Alan, le cui colazioni possono a buon diritto essere definite Alan’s psychedelic breakfast, è per l’appunto ossessionato da psichedelia, Syd Barrett, Lewis Carroll e da tutti quei frutti caleidoscopici che continuano ancora a crescere in giardini impregnati d’incenso (vero, Jacco Gardner?).

    Le sue canzoni, le sue poesie hanno queste atmosfere: versi stralunati, filastrocche visionarie da canticchiare al tè delle cinque, magari preparato con bustine di mescalina.

    Ecco un assaggio di Nine Cats, tanto per fare un esempio:

    The butterfly sailed on the breeze

    Past a field of barbed wire trees…

    A pharaoh played a merry tune

    And watched nine cats dance on the moon

    I didn’t know what all this meant

    I didn’t know why I‘d been sent

    (La farfalla veleggiò sulla brezza/Oltre un campo di alberi di filo spinato…/Un faraone suonava una melodia allegra/E guardava nove gatti danzare sulla luna/Non sapevo cosa significasse tutto questo/Non sapevo perché fossi stato mandato)

    Per carità, nulla di nuovo se pensiamo alle visioni di Lucy in the Sky with Diamonds o I am the Walrus.

    È comunque uno stile che ammalia Steven e influenzerà i primi dischi dei Porcospini, dove si trovano gemme psych purissime.

    In recenti interviste, inoltre, confesserà di aver recuperato quel tipo di lirismo con The Raven that Refused to Sing⁴, condendo il tutto con una bella salsa gotica.

    Ma torniamo ai Karma: come gli Altamont, hanno vita breve; ciò non fa però demordere il giovane Wilson, che prende parte con intatto entusiasmo al rinascimento psichedelico che sta fiorendo intorno alla metà degli anni Ottanta.

    Eh sì, ci siamo di nuovo, per fortuna! Con la mente che punta dritto ai Sixties. Nick

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